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Autore: Sten__Merry    20/05/2012    4 recensioni
Una mattina qualunque, il sole, lo strepitio della gente e due occhi scuri.
*
Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Antony Costa
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Eccomi, scusate, vado a rilento ma non mi sono dimenticata di questa storia.
Spero vi piaccia, fatemi sapere cosa ne pensate. Ogni tipo di commento è ben accetto

Forse è un po' più corto degli altri, ma credo che 'allungare la minestra' in questa scena non sarebbe stato producente.

Un bacino. Sten.


CAPITOLO 11. Life Goes On, Apparently.

Dopo una doccia calda in cui le lacrime si erano dignitosamente mischiate al getto d'acqua che mi colpiva violento in viso finii col sentirmi leggermente meglio.

Avvolta in un accappatoio blu scuro mi sedetti davanti al computer portatile sistemato su un tavolino in camera mia e soddisfai la mia necessità di tenermi occupata scaricando dalla posta elettronica il manoscritto che la casa editrice mi aveva mandato da tradurre.

Lavorai come in trance, quasi senza mai sbattere le palpebre e gettando nel posacenere più mozziconi di sigaretta di quanti ne potesse realmente contenere.

Quando Kerry rientrò dal lavoro mi trovò ancora in quella posizione, lasciò cadere la borsa con fare apprensivo e mi toccò subito la fronte.
“Diamine! Cassie, scotti!” esclamò sgranando gli occhi “Noi sarai qui da stamattina!?” continuò svuotando il portacenere nella spazzatura e chiudendo il computer, finalmente volsi verso di lei il mio sguardo e quando finalmente la guardai negli occhi mi accorsi che non ce l'avrei fatta parlare così mi limitai a accennare un sorriso amareggiato e a scuotere la testa

“passerà” mi disse, lasciando che sprofondassi col il viso nell'incavo della sua scapola. Non chiese ulteriori spiegazioni e io non potei che esserle immensamente grata per questo.

Avvolgendomi amorevolmente in una coperta celeste mi accompagnò a letto, poco dopo mi portò una una tazza di the caldo incoraggiandomi a berlo

“Qualcosa di caldo ti farà bene” spiegò.

E ne fece, mi distese un po' nervi e mi permise di dormire, mi permise di smettere di pensare a quella brutta sensazione.

*

Non so dire se veramente il dolore passò, ma nelle seguenti settimane la mia vita tornò a scorrere in maniera quasi del tutto normale anche senza di lui al mio fianco, anche se, nonostante fosse passato un po' di tempo, ogni volta che sentivo il telefono squillare il mio cuore mancava un battito nella speranza che fosse lui, pronto a farsi perdonare con una valida scusa.

Ma non fu mai lui.
Alla fine presi atto che non sarebbe arrivata alcuna chiamata e, facendo appello a tutta la mia razionalità a cui mi aggrappai con le unghie e con i denti, finii per convincermi a iniziare a considerare la nostra breve llieson come un mero flirt tra due sconosciuti.

Nulla per cui valesse la pena struggersi, insomma.

Analizzando la situazione così com'era oggettivamente compresi che avevamo condiviso una sola settimana, piena sì di bei ricordi, ma non ero mai arrivata tanto vicino a lui da riuscire a raccontare qualcosa di me.

Come non era stato nulla per lui, non sarebbe significato nulla neppure per me, decisi.

Ma in fondo sapevo di mentire.

Le parole che avevo detto, intendendole appieno, continuavano a rieccheggiarmi nella mente.

“Credo che nella vita ci siano delle persone affini. Io e te lo siamo.”
Sì, io e Andrew lo eravamo, ma Andrew, ora lo sapevo, non esisteva.

Pur non essendo una persona romantica, avevo sempre creduto che esistono delle persone destinate a entrarci sotto la pelle, lasciandovi un segno indelebile.

Antony, strano chiamarlo con questo nome, era una di quelle. Addirittura, poteva essere l'unica persona destinata a fare quell'effetto su di me.

Per due settimane avevo sperato in un suo piccolo gesto, anche fosse stato solo un tentativo di chiamata, ma invece aveva reso ben chiaro che non era interessato a fare quel passo verso di me.

Ne avevo così preso atto, seppur a malincuore, e avevo ripreso in mano le redini della mia vita, ricominciando a ricostruire quella barriera che Antony aveva tanto facilmente abbattuto.

Quindi, dopo quindici giorni, finalmente uscii di casa per dirigermi dal mio editore per consegnare la prima bozza della traduzione assegnatami.

L'editore, vedendomi arrivare, mi salutò professionalmente con una stretta di mano. Era un uomo sulla quarantina con i capelli leggermente radi al centro della testa che ne tradivano l'età nonostante il corpo fisicamente scolpito.

Si presentò con il nome di Jacob e mi fece accomodare, quando gli disse che ero venuta a consegnare il manoscritto della traduzione strabuzzò gli occhi, meravigliato dalla velocità con cui avevo portato a termine il lavoro.

“Ho avuto solo un po' di tempo libero” spiegai sorridendo timidamente, cercando di scrollargli di dosso l'intenzione di appiopparmi l'etichetta della più brava della classe.

Chiacchierammo brevemente e attesi che leggesse la prima pagina della traduzione, poi mi congedai accampando un finto impegno preesistente.

In realtà non avevo molto da fare, così mi recai in un piccolo supermercatino, comprai frutta e verdura in quantità, del pane nero, dell'acqua e del formaggio spalmabile.

Poi, di controvoglia, mi diressi verso casa.

Mentre mi avvicinavo al mio appartamento iniziai a scorgere la sagoma di una figura maschile seduta sugli scalini. Indossava una maglietta verde chiaro e un cappellino marrone.

Inarcai leggermente le sopracciglia nel tentativo di metterlo a fuoco, ma rinuncia presto catalogandolo subito come uno degli amici di Kerry.

Fu solo quando lui si girò, attirato dal rumore dei miei tacchi sull'asfalto, che lo riconobbi, il mio cuore accelerò il ritmo.

Non sorrideva, guardava in basso senza fissare nulla di particolare, in silenzio.

Trassi un profondo respiro, poi, con voce pacata, quasi fredda esordii

“Non mi aspettavo di vederti qui” iniziai “non più” aggiunsi senza quasi riprendere fiato, un filo di acidità di troppo mi segnava la voce.

Lo osservai mentre si mordicchiava imbarazzato la parte più interna delle guance, poi mormorò una timido “scusa” senza aggiungere altro, sbuffai spazientita

“che sei venuto a fare?” chiesi mentre infilavo le chiavi nella toppa della porta, lui scosse la testa con talmente tanta veemenza che pareva tentar di cacciare qualche fastidiosa mosca del viso

“è complicato” mormorò. Mi girai verso di lui alzando scetticamente un sopracciglio e feci schioccare rumorosamente la lingua contro il palato

“Antony... è così che ti chiami, no?” lo sfidai “Non ho mai chiesto di venire infilata in una situazione complicata, hai fatto tutto tu” spiegai, lui sbuffò sporgendo leggermente il labbro inferiore, io entrai in casa e feci per chiudere la porta. La sua voce assunse una connotazione leggermente disperata quando mi chiese di invitarlo ad entrare, io mi strinsi nelle spalle e gli feci cenno con il capo di farsi avanti.

Se fuori ostentavo indifferenza, il mio cuore aveva nuovamente raddoppiato la sua velocità.

Mentre camminavo decisa verso il frigorifero trassi tra profondi sospiri senza preoccuparmi di riaprire gli occhi tra l'uno e l'altro nel difficoltoso tentativo di calmarmi. Non funzionò.

Aprii l'elettrodomestico con decisione e ci infilai l'intera borsina del supermercato senza preoccuparmi di estrarne le vivande prima di riporle.

Quando mi girai verso di lui lo vidi che appoggiava su una sedia il giubbetto in pelle che fino a quel momento aveva tenuto appoggiato in mano. Osservai la piega che la maglietta disegnò sulla sua scapola quando mosse il braccio e, nuovamente, mi parve di perdere il controllo.

Mi avvicinai a lui con passo deciso, guardandolo con aria di sfida, poi gli presi con forza le spalle e lo tirai a me. Lo baciai, intensa, appassionata.

Non si tirò indietro.

Fu un bacio lungo e disperato, un tentativo continuo trovare l'uno un appiglio all'altra.

Poi mi ritirai di scatto, con gli occhi sbarrati, quasi stupita da ciò che avevo fatto. Tenevo l'indice della mano destra appoggiato al labbro inferiore e scuotevo la testa.

“Scusa, non avrei dovuto” dissi andandomi a sedere sullo sgabello opposto al suo, ancora incapace di smettere di fissare un punto indeterminato del tavolo.

Fu lui a rompere il silenzio

“Cassie io...” lo interruppi

“Ti prego, non dire di nuovo che ti dispiace. Non ho bisogno di sentirlo e di certo non ha alcuna importanza” esclamai, lui annuì pensieroso

“ma è così che mi sento” di nuovo lo guardai perplessa

“non è un problema mio” precisai inarcando le sopracciglia

“Non avevo intenzione di farti male. Non è da me fare una cosa del genere, ma non ho resistito. Dal momento che ti ho vista, non sono più riuscito a toglierti dalla mia testa”

“Questo non spiega le bugie” dissi senza fare una piega, si leccò velocemente le labbra e il suo sguardo catturò il mio

“Non sono riuscito a fermarmi. All'inizio volevo solo vedere come sarebbe andata con qualcuno che non conosceva il mio lavoro, il mio stile di vita, e poi la situazione è degenerata. Se da un lato iniziavo a provare qualcosa per te, dall'altro avevo paura di perderti se ti avessi raccontato tutto” smise di parlare e si limitò a fissarmi, gli occhi più tristi del solito.

Guardandolo mi sentii quasi dispiaciuta per la confusione che potevo leggergli chiaramente in viso, ma mi bastarono pochi secondi per rinsavire e per ricordarmi che non avrei dovuto fidarmi di lui in nessuna circostanza.

Mi aveva ferito con la prima bugia che aveva scelto di dirmi, poi aveva affondato il coltello nella carne ancora sanguinante ad ogni piccolo dettaglio che vi aveva aggiunto, ed io, dal canto mio, come la vittima di un accoltellamento, non mi ero accorta di nulla, schiava dell'adrenalina di quei momenti.

“Quindi dovrebbe dispiacermi per te?” chiesi, fredda, distaccata. La nausea iniziava a farsi prepotente alla bocca dello stomaco, lui si girò verso di me, si sfregò il lato destro del volto con il palmo della mano e a mezzo fiato disse

“Dio, sei così intransigente, Cassie. Non aiuti!” strabuzzai gli occhi e spalancai le labbra in segno di sorpresa

“Scusa?” chiesi incredula di fronte a un uomo che stava biasimandomi per non riuscire ad accettare le sue bugie

“Devo dirti altre cose, ma così non credo di farcela” mormorò, mi accasciai sullo sgabello, cercando di sparire e sventolando una mano nell'aria gli feci segno di continuare, mentre mi accendevo una sigaretta, cercando di ostentare noncuranza

“Sono fidanzato” scossi la testa, incredula, toccò a me passarmi la mano sul viso in segno di esasperazione, la sigaretta cadde nel posacenere e soffia fuori il fumo rumorosamente

“Dio, Antony!” imprecai alzandomi in piedi “io ci sono stata da quella parte, sono stata tradita e avevo giurato a me stessa che non avrei fatto mai nulla di simile a un'altra donna e tu invece me lo hai fatto fare” sbuffai senza parole, sentii le energie abbandonare il corpo, afferrai con forza il bancone di fronte a me per reggermi in piedi e notai che la presa era così forte che le nocche mi erano diventate bianche. Lo guardai negli occhi, nel mio sguardo una nota di disprezzo “non mi devi raccontare più nulla” sentenziai, poi gli indicai la porta con un gesto del capo, lui scosse la testa

“Non me ne vado, voglio raccontarti tutto. Meriti di sapere tutto” lo fermai con un gesto della mano

“Hai solo bisogno di alleggerirti la coscienza, Antony. Se davvero merito qualcosa, quello è riuscire a mantenere un ricordo anche solo leggermente positivo della storiella che abbiamo avuto.”

“Non chiamarla storiella” quasi una preghiera la sua

“Ci siamo frequentati solo una settimana, era una storiella” insistetti, lui si alzò e si avvicinò a me, posò una mano sulla mia nuca dolcemente ma anche con fermezza, si avvicinò quasi ad appoggiare la sua bocca alla mia, poi parlò, le sue labbra solleticavano le mie

“Ti riesco a leggere dentro, Cassandra”, abbassai lo sguardo. Sapevo che aveva ragione.

“Antony...” sussurrai, quasi ipnotizzata dai suoi occhi, cercando di implorarlo di allontanarsi, le lacrime colmarono prontamente gli occhi e iniziai a combattere affinché non uscissero

“Vivimi, Cassandra” bisbigliò lui, la sua voce, calda e sensuale, fece sì che la mia schiena venisse percorsa da un brivido bollente.

Rimasi senza parole quando lui si avvicinò ancora di più e prese a baciarmi il collo dolcemente.

Quel giorno, ancora una volta, decisi di vivere di lui.

Lui, che quasi come una droga, non mi lasciava scappare.

   
 
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