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Autore: Sidney is so Natty Dread    20/05/2012    0 recensioni
"tutti abbiamo udito la donnetta che dice: 'oh, è terribile quello che fanno questi giovani a se stessi, secondo me la droga è una cosa tremenda' Poi tu la guardi la donna che parla in questo modo è senza occhi, senza denti, senza cervello, senz'anima, senza culo nè bocca nè calore umano nè spirito, niente, solo un bastone, e ti chiedi come avran fatto a ridurla in quello stato i tè con i pasticcini e la chiesa" C. Bukowski
Questo raconto NON vuole ASSOLUTAMENTE essere un incoraggiamento all'uso di droga, solo una riconsiderazione di quello che tutti ritengono un tema assolutamente odioso e di cui ancora evitano spesso e volentieri di parlare. Ma vuole anche essere una storia d'amore vista con gli occhi di chi vede tutto in modo diverso dagli altri, con gli occhi di ragazzi e ragazze che come molti altri cercano si sfuggire dall'incalore e inumano mondo di tutti i giorno. Spero sinceramente non la troviate noiosa e patetica. Grazie in anticipo e buona lettura.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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NADIA
“Sono 24 gradi domani, e 24 gradi in primavera è caldo” furono le ultime parole che sentii dire ad Alessio, un giorno prima di quel giorno. Si, quel giorno dovevamo trovarci in stazione alle tre, lui sarebbe arrivato col treno perché era momentaneamente senza macchina, ce l’aveva suo fratello, poi saremmo andati in giro da qualche parte, ci saremmo seduti su una panchina a caso in un parco a caso e saremmo rimasti lì. Lui doveva rivendere duecento euro d’erba, aveva bisogno di soldi e con quell’affare gli avrebbe dato un bel po’, io mi ero proposta di aiutarlo e lui aveva rifiutato, e da una parte questo fu un bene.
Alle tre in punto io ero in stazione, ero appena uscita da scuola e avevo la cartella sulle spalle e una tavola arrotolata e legata con una stringa nella mano. Mi sedetti sulla prima panchina libera che trovai, appoggiai la schiena al muro freddo della stazione e diedi un occhio all’ora, il grande orologio rotondo, bianco e nero sbiadito faceva le tre e cinque, ancora dieci minuti e sarebbe dovuto arrivare Alessio. Aprii la tasca davanti dello zaino, sorrisi guardando la scritta che la Marti aveva fatto in pennarello l’anno prima, pensai a come stava e da quanto tempo non la vedevo, pensai a quanto erano cambiate le cose, a come eravamo cresciuti in quei mesi, a come ci eravamo tutti persi. Scossi la testa e misi una mano nella tasca aperta, ne tirai fuori il pacchetto di sigarette che mi aveva regalato Luca. Era davvero una brava persona, Luca, era cosciente del fatto che Alessio rischiava ogni singolo giorno la propria vita per colpa della merda a cui era legato e che non riusciva a smettere di prendere, mi aveva lasciato il suo numero in accordo con lui, perché qualsiasi cosa fosse successa avrei potuto chiamarlo e lui sarebbe subito arrivato ad aiutarmi. Accesi una sigaretta e mi concentrai sul fumo e sull’odore di tabacco bruciato. Diedi un’altra occhiata all’orologio, erano le tre e venti, maledissi i treni che erano sempre in ritardo. Scrissi un messaggio ad Ale chiedendogli quanto era il ritardo, alzai gli occhi dal cellulare e il treno era davanti a me, rabbrividii e guardai tutte le porte, ma da nessuna vidi Alessio, il treno ripartì, i miei occhi si riempirono di un velo trasparente, lo scacciai subito via. Ripetevo a me stessa che aveva perso il treno, che sarebbe arrivato con quello di mezz’ora dopo, che era tutto a posto. Accesi un’altra sigaretta e provai a chiamarlo, il cellulare era spento. Chiusi gli occhi e li riaprii parecchio tempo dopo, sperando in qualcosa che non sarebbe mai accaduto, sperando in un brutto sogno, ma tutto era uguale a prima. Mi alzai nervosamente, fumai un’altra sigaretta, poi un’altra ancora e ancora fino a finirle tutte. Cercavo di evitare con tutta me stessa di pensare al peggio, avrei aspettato il treno dopo, magari aveva perso quello prima e aveva il cellulare scarico. Se non fosse arrivato neanche con quel treno avrei chiamato Luca. Con passo svelto mi avviai al tabacchino per comprarmi un altro pacchetto di sigarette, realizzai quando ero già lì di aver abbandonato la tavola sulla panchina. Scelsi velocemente una marca di sigarette a caso e tornai, era di nuovo lì. Guardai l’orologio, erano le tre e quaranta, da lì a cinque minuti sarebbe arrivato l’altro treno, tremai. I miei occhi continuavano involontariamente a fare avanti e indietro dall’orologio al binario, dal binario all’orologio, il tempo sembrava non passare mai. Finalmente, dopo un’eternità, vidi le luci del treno arrivare dal fondo dei binari, le seguii fissandole finche i miei occhi non iniziarono a far male. Il treno si fermò, sembrava essere passato un secolo. Le porte si aprirono, guardai, ma più guardavo più mi rendevo conto che non c’era, guardai uno ad uno tutti i passeggeri che erano scesi, li riguardai fino a che non se ne furono andati tutti, sentii una lacrima sulla guancia, sfregai gli occhi con forza fino a farmi male. Accesi un’altra sigaretta, la mano mi tremava, presi il cellulare, quello di Alessio era ancora spento, chiamai Luca. Il cellulare suonò poche volte e lui rispose. “Nadia non dire niente, arrivo, sei in stazione?”. “Si”, la mia voce tremò. “Ok, arrivo tra venti minuti, stai tranquilla”. “Aspetta, dimmi una cosa, lui sta bene?”. “Stai tranquilla, si, a tra poco, ciao”. “Ciao”.
Uscii all’esterno della stazione e andai a comprarmi un altro pacchetto di sigarette, guardavo per terra, abbassai lo sguardo anche incrociando quello del tabacchino, mi appoggiai al muro e realizzai di aver lasciato di nuovo la tavola, non tornai dentro a prenderla. Prima di vedere arrivare Luca con la sua punto arancio fumai altre quattro o cinque sigarette. Salii sulla sua macchina che ancora stavo fumando. Lo guardai per qualche secondo senza dire niente e poi scoppiai a piangere, lui mi tolse di mano la sigaretta e la buttò fuori dal finestrino, poi mi abbracciò, nell’orecchio avevo il ticchettio delle quattro frecce. “È tutto ok, non piangere”. “Cosa gli è successo?”. Mi sciolse dal suo abbraccio e fece partire la macchina. “Andiamo in un posto più tranquillo, prima che te lo racconto è meglio se ti siedi e mangi qualcosa, sembri stanca”. Tirai su col naso, raccolsi i dread in una coda e poi tirai fuori il pacchetto di sigarette, Luca si girò verso di me e me lo tolse dalle mani. “Basta Nadi, penso che tu abbia fumato abbastanza, Alessio non vorrebbe che tu ti conciassi così”. Un’altra crisi di pianto mi colpì, appoggiai la testa sulle mani e lasciai scendere le lacrime. “Ti porto a casa mia, siamo quasi arrivati, tu cerca di stare tranquilla più che puoi”. “Non mi porti da lui?”, alzai la testa e lo guardai supplicandolo con gli occhi, di cosa poi? Non lo sapevo neanche io. “Ora non si può”. Girai lo sguardo rassegnata e fissai la linea bianca della strada fuori dal finestrino fino a quando la macchina rallentò e si fermò. Alzai lo sguardo verso una casa a due piani, a mattonelle color terra bruciata, con un giardino pieno di fiori e un pino altissimo. “Siamo arrivati”. Non risposi, ma scesi dalla macchina e continuai a fissare la casa, era stupenda, mi piacevano le tende giallo limone e arancio, mi piacevano i gerani rossi sui balconi, mi piaceva il laghetto dei pesci in un angolo del cortile, mi ricordava qualcosa di bello, mi faceva stare bene. Luca mi indicò il cancelletto, era piccolo e decorato a motivi floreali, mi avvicinai e lui si mise di fianco a me. “Ti piace casa mia?”. “È meravigliosa”. Sorrise e entrò nel cortile, io lo seguii, un cane pastore ci venne in contro e fece le feste al padrone, poi si avvicinò a me e mi annusò, io mi chinai e lo accarezzai. Sembrava vecchio, si muoveva lentamente e aveva gli occhi stanchi, aveva una medaglietta al collo con scritto “Rodgy”. Rialzai la testa e vidi Luca che mi aspettava all’ingresso della casa, lo raggiunsi a passo veloce ed entrai. In quella casa si respirava un profumo di pulito e di fiori che non aveva niente  a che vedere col profumo di incenso e con gli odori orientali di casa mia, ne’ con l’odore di sigarette della casa di Alessio, ne’ con l’odore di nessuna casa in cui io fossi mai stata. Tutto era perfettamente al suo posto, dal cesto della frutta al vaso dei fiori, era quasi come trovarsi in un mondo parallelo, forse l’iperuranio di Platone. “Vuoi qualcosa da bere o da mangiare?”. Scossi la testa, guardandomi intorno. “Mia mamma ha sempre amato la pulizia, ma da quando è andata in pensione è diventata una maniaca”. Sorrisi e guardai per un secondo Luca, lui abbassò lo sguardo e si girò facendomi segno di seguirlo. “Vieni, andiamo su in camera mia così parliamo”. Lo seguii attraverso il salone e poi su per una rampa di scale a chiocciola con il passamano più lucido che io avessi mai visto. La porta della sua camera era aperta, entrando mi guardai intorno, niente più odore di fiori e di pulito, ma di sigarette e di deodorante da uomo, niente più ordine maniacale ma vestiti e posacenere sparsi in giro per tutta la camera, un tappeto messo storto  e mezzo arrotolato in un angolo, il letto era sfatto, sul muro sopra era attaccata una bandiera con la svastica in mezzo, tolsi lo sguardo lui se ne accorse e la tirò giù dal muro con uno strappo secco, l’appallottolò e la buttò in un cestino che si trovava di fianco ad una scrivania nera con un portatile e alcuni foglietti sparsi. “Aveva ragione Alessio, sono tutte bambinate”. “C’è sempre tempo per cambiare”. “A volte però diventa troppo tardi per migliorare”. “Non è mai troppo tardi per accorgersi dei propri errori e diventare una persona migliore”. Luca abbassò lo sguardo e si sedette sul letto, io mi misi per terra di fronte a lui. “Vuoi una sedia?”. “No tranquillo mi trovo meglio così”. “Una sigaretta?”. Feci si con la testa, mi ridiede il mio pacchetto e insieme ne accendemmo una, lui mi passò uno dei tanti posacenere che si trovavano in giro per la stanza. “Cosa gli è successo?”. Luca guardò per un attimo il vuoto, poi guardò me e aprì la bocca ma non disse niente per un po’. “Hanno fatto una retata alla stazione stamattina”. Ci fu un attimo di silenzio, poi lui riprese. “Lui aveva duecento euro di roba da rivendere, lo sapevi?”. “Si lo sapevo, mi ero proposta di aiutarlo ma lui ha rifiutato”. Gli occhi ricominciarono a bruciarmi. “Beh gliene hanno trovata addosso un po’, ora è in questura, ci sarà un processo, non penso che gli daranno una pena al carcere però probabilmente un anno di arresti domiciliari se lo farà tutto”. Di nuovo un’orda di lacrime colarono giù dagli occhi. “Probabilmente chiameranno anche te in questura, io ci sono già stato prima, non centravo niente con tutto questo però mi hanno detto che sono segnalato lo stesso. Non ho visto Alessio ma il poliziotto mi ha detto che era disperato perché non voleva che tu pensassi che ti avesse dato buca, ha chiesto a loro di chiamarti o di avvisarti ma evidentemente non l’hanno fatto, sono stronzi”. Era troppo, questo era troppo anche per me, dalla mia gola uscì un verso roco e mi gettai tra le braccia di Luca, lui mi accarezzò la schiena, vidi i suoi occhi lucidi chiudersi e appoggiai la testa sul suo petto, avrei voluto sparirci dentro, essere inghiottita. “Non ce la faccio, non ce la faccio a stare un anno senza vederlo ogni giorno, senza stare con lui ogni cazzo di giorno”. “Lo so”. “Perché? Perché proprio lui? È la persona più buona del mondo, perché lui?”. “Non lo so Nadia, ma non se lo meritava, non se lo meritava per niente”. Continuai a piangere fino a quando le lacrime non smisero di uscire e gli occhi mi diventarono rossi e gonfi, poi mi addormentai dallo sfinimento.
Mi svegliai più tardi, avevo perso la concezione del tempo e non avevo idea di che ore fossero. Era la seconda volta nel giro di poco che mi svegliavo sul letto di qualcun altro, la differenza era che quella volta i ricordi del motivo per cui mi trovavo lì mi arrivarono subito alla testa come una fucilata. Mi guardai intorno, nella penombra vidi che la tapparella della finestra era abbassata, la luce era spenta e la porta era chiusa. Trovai subito la sagoma di Luca, era seduto ai piedi del letto e si era appena acceso una sigaretta, l’odore pungente di fumo mi arrivo subito al naso e mi tirai su a sedere. Luca mi vide, accese la luce e mi guardò per un attimo. “Ciao, come stai?”. “Ciao”, rimasi un attimo in silenzio, “non lo so”. Accennai un sorriso poco convinto e mi sfregai le mani sul viso, gli occhi bruciavano da morire. “Sono le otto, mia madre è venuta qualche minuto fa a chiamarci che è pronta la cena, ti va?”. “Si, ma non è che disturbo?”. “No, tranquilla”. Sorrisi e mi stiracchiai, poi mi sedetti vicino a Luca che era arrivato alla metà della sigaretta. “Mi manca già, sai” dissi sottovoce. “Lo so”. Appoggiai la testa sulle mani e nella mia testa si materializzò Alessio, ma solo per un attimo. “Non piangere, andrà tutto bene”. Scossi la testa e mi asciugai gli occhi. “Luca posso chiederti un favore?”. “Dimmi”. “Posso stare da te a dormire? Solo per stasera”. Luca gettò il mozzicone della sigaretta nel posacenere e si alzò, poi mi prese le mani e mi tirò su. “Si che puoi, puoi stare stasera e ogni volta che vuoi, ho promesso ad Alessio che mi sarei preso cura di te se fosse successo qualcosa e lo farò”. “Grazie”. “Non devi”. Lo abbracciai, era lui ora la mia ancora di salvezza. “Siamo sulla stessa barca Nadi, dobbiamo superare questo brutto momento”. “Senza affondare”. “Senza affondare” ripeté lui, poi insieme scendemmo a mangiare.
  
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