Rosso,
come
rosso
fu il colore della succosa melagrana di
Persefone
Spesso mi sono chiesta quale sia la
differenza tra amare e farsi male.
E sapete come mi sono
risposta?
Nessuna.
Non c’è alcuna differenza. Proprio no.
Ed è
assurdo, lo so, ma io benché ne fossi a consapevole non ho resistito, e mi sono
avvinta, con invisibili catene, da sola;
stupida ad illudermi di non cascarci
come chiunque altra ti avesse conosciuto o anche solo parlato.
E sono
altrettanto conscia di non voler rinnegare ne dimenticare nulla di ciò che è
stato, perché sarei allo stesso modo nuovamente stupida a volerlo fare.
Ma da
gloriosa, orgogliosa e temeraria grifone quale sono, prometto che stanotte sarà
l’ultima notte;
l’ultima notte di segreti;
l’ultima notte di bugie e
menzogne;
l’ultima notte di sotterfugi;
l’ultima notte di sospiri;
l’ultima notte di sentimenti troppo gelati anche per la luce;
l’ultima
notte di emozioni proibite e sensazioni sbagliate, che ne io ne lui avremmo
dovuto provare;
l’ultima notte testimone di un qualcosa nato e subito
soppresso, relegato;
semplicemente l’ultima notte testimone di una realtà che
non avrebbe dovuto vedere la malsana luce di una luna beffarda e
implacabile.
Sorrido a questi pensieri, e una goccia di cristallina
rugiada scende lungo la mia guancia, sciogliendo il suo corposo e salato ripiene
sulle mie labbra.
Sorrido, dicevo, perché una volta laggiù nel suo regno lui
capirà.
Gli basterà afferrarmi un polso e incrociare l’oro dei miei occhi, e
lo capirà;
come capisce sempre tutto e tutto ciò che mi riguarda con un solo
cipiglio, che però non ha nulla di severo.
Gli basterà fissare le sue iridi
forgiate con nobile e freddo metallo (come lui del resto) nelle mie, per
comprendere tutto ciò che aspetta di sapere con una rapida risposta vocale,
quella che non arriverà mai.
Perché lui è così, prende tutto ciò che vuole;
subito.
e non chiede il permesso.
Perché lui è il principe di Serpeverde,
a lui un permesso non serve.
Perché non ne è abituato
come non lo è a
ricambiare ciò che chiede.
Perché è semplicemente lui, e questo, di per sé,
basta a giustificarlo.
Perché non riesco a resistere a suo sguardo quando mi
sonda e mi dirompe e mi trapassa e mi spezza come nulla fosse.
Perché fra noi
è sempre così, testardi e fieri, e uno sguardo può valere molto di più che le
dolci parole di due innamorati, nello sguardo risiede l’estasi più pura.
E
quando arriverò laggiù, com’è da copione, lui mi guarderà perché non c’è una
volta che non lo faccia, e, come d’abitudine, scrutandomi, intuirà tutto ciò che
provo, se sto male o se sto bene, se sono felice o triste o spaventata o nervosa
e non ho ancora capito perché debba affaticarsi a comprendere, quando io sono
poco più che un intrallazzo divertente, un intermezzo nella sua quiete che in
più gli scalda le lenzuola.
E stanotte lui capirà che sarà l’ultima;
perché io farò di tutto affinché sembri un’altra normale notte, un’altra normale
seduta di una passione senza amore, solo routine quotidiana.
Ma darò il
meglio di me, e mi tradirò.
E allora lui capirà.
E, molto probabilmente,
resterà indifferente, mentre io, illusa, giacerò nel suo grande letto corrotto,
spogliata della mai anima.
Senza segreti. Apparentemente.
Già perché io
non ho segreti per lui, che sa leggermi fin nel più piccolo spigolo della mia
natura, e so che nemmeno lui ne ha molti per me.
Ma c’è ne uno, il segreto
più importante, quello più prezioso, che si ferma proprio sopra lo stomaco, un
peso morto e opprimente, quello lo terrò per me:
sarebbe solo una deplorevole
macchia sulle mie impeccabili ali da grifone;
e nessuno mi perdonerebbe una
simile pecca, una tale ignominia, nemmeno lui.
Io sono perfetta sul mio
piedistallo trasparente, non ho macchie, niente debolezze.
E quel segreto
sarebbe solo un’orribile caduta di stile,
ed io, di cadute di stile, non me
ne posso permettere.
Perché non commetto passi falsi,
perché devo essere
sempre corretta,
perché devo sempre essere giusta e fare la cosa giusta ed
essere paziente;
perché questo è il mondo a cui sono destinata, il mondo in
cui sono nata,
dove non ci sono debolezze, non c’è “il male”, la corruzione,
le macchie e se c’è fosse ne anche solo una di queste, bhe allora ci sarebbe
qualcuno per eliminarla;
in cui l’amore è puro e casto e alla luce del
sole;
un mondo di cui, ahimè o per fortuna, Draco Malfoy non fa parte.
Ma,
chissà, che un giorno le ali dell’arcangelo Lucifero, dai biondi capelli lucenti
e che fu il più casto, virtuoso, ed elegante tra tutti gli angeli, non tornino,
dopo essere state tinte del sangue dei reietti, cangianti e redente?
Sospiro accompagnando la coda dello sproloquio dei miei pensieri, e con
quest’ultimo entro nella gabbia d’argento che tutte le notti il mio carceriere
mi socchiude, a me incauto uccello dorato che si è fatto attrarre, come una
venale gazza, dal falso luccichio del suo infernale paradiso.
A me, stupida
grifone, che si azzarda ogni notte a scendere nel suo personale Regno di
tenebra.
Che io sia la Persefone di Draco?
E Draco il mio Ade?
Forse,
mi rispondo sorridendo, ma c’e una piccola modifica da fare:
Persefone fu
ingenua a farsi rapire così facilmente e a mangiare, non resistendo alla fame e
alle tentazioni, un chicco della rossa melagrana;
Io, a mia volta, fui
ingenua perché nella gabbia argentata ci sono andata volontariamente, ma
l’assaggio della melagrana non era in conto, no, quello fu accidentale e
involontario.
E fu per quello che Persefone dovette rimanere negli
inferi.
E fu quello che fregò me: non avrei mai dovuto iniziare questa
pantomima, almeno non senza prima valutare ogni sfaccettatura e regola di questo
gioco perverso;
perché non c’è frutto al mondo
più dolce e gustoso, aspro e fresco se non quello che custodisce nel suo antro
il serpente.
FINE
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