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Autore: Logic Error    21/05/2012    0 recensioni
[[Persona 4]]
//Dal momento che le fict di P4 finiscono nel tag di P3 in mancanza di un tag proprio//
Fict che ho deciso di dividere in capitoli perchè stava venendo troppo lunga- ops. Anyway, è una AdachixOlder!Nanako, perchè sì. In questa fict, ho immaginato un Adachi fuori di prigione 14 anni dopo gli eventi di Persona 4.
Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Adachi aveva però la sensazione che fosse lui il sole…no, il buco nero pronto ad inghiottire la piccola stella di nome Nanako. Era tornato a casa con quelle parole che gli fluttuavano in testa e la vaga speranza che la ragazza non mantenesse la sua promessa.

Non è errato affermare che Adachi aveva una scusa per tutto: ci stava provando davvero a prendersi tutte le responsabilità del caso, a convincersi che era stata tutta colpa sua. Eppure, nel profondo, aveva sempre una scusa pronta nel momento in cui le sue speculazioni si fossero fatte troppo intime, troppo veritiere.
Ma per Nanako…non ne aveva.
Nanako non avrebbe mai dovuto trovarsi su quel letto d’ospedale. Non avrebbe mai dovuto provare un’esperienza tanto terribile. Tutti, in quella città, avevano avuto un ruolo fondamentale, per quanto piccolo, nel crollo psicologico di Adachi: nelle sue precarie condizioni, anche un saluto negato o una parola di troppo poteva avere un effetto devastante. Tutti erano colpevoli, tranne Nanako: nonostante tutto, lei sorrideva, lei sopportava le bugie e le dimenticanze del padre, lei aveva trattato Adachi come…quasi come un amico, senza pregiudizi o altro. Certo, idealizzare così una bimba di 5 anni può apparire esagerato, ma quella di Adachi era una realtà aumentata, una realtà a più dimensioni tanto fragile quanto complessa.
Fragile. Alla fine, ecco cos’era: tanto fragile che il suono del campanello della sua porta lo fece sobbalzare.
Si diresse verso la porta e l’aprì, con un’espressione preoccupata sul volto: tanto già so chi è.
“Disturbo?”
N-no, Nanako-chan, non ti preoccupare…”
“Sono qui per…”
“Sì lo so. Dai, entra.”
 Nanako era arrivata a casa di Adachi piena d’entusiasmo. Aveva bei ricordi di quelle serate con suo padre e il suo sbadato collega e in cuor suo sperava di trovare un po’ della stessa allegria che aleggiava in casa Dojima anni ed anni prima. Con suo padre, le cose non…stavano andando troppo bene. E per questo s’era chiesta: chissà se l’arrivo di Adachi-san è un intervento del destino! Un aiuto dal cielo! La persona che aspettava per far ritornare il sorriso sullo stanco volto di Dojima e…per finalmente capire quelle criptiche pagine dal suo libro universitario.
Il suo entusiasmo stava però andando scemando a mano a mano che Nanako osservava Adachi, i suoi movimenti e la sua casa. Tutto sembrava coperto da un velo di…malinconia. I gesti con cui l’aveva invitata a sedersi al modesto tavolino nella sala da…pranzo- ma che era probabilmente anche la sua camera da letto, dal momento che c’era un futon appoggiato in un angolo-  sembravano quasi meccanici, non c’era quasi più nulla dell’impacciato Adachi di cui si ricordava.
Nanako scosse la testa: No, è solo una mia suggestione.

Come professore era impeccabile, niente da dire. Tralasciando l’angosciata espressione nel venire a conoscenza che la ragazza stava studiando per diventare avvocato –adesso capisco il lavoro di mio padre e…l’ammiro! Credo che sia nel giusto! Mi piacerebbe tanto aiutarlo, ma la polizia non fa per me, ahahah! Per questo vorrei fare il giudice…amministrare la giustizia dall’alto!- era stato in grado di spiegarle tutto ciò che non le era chiaro. Se da un lato quella prova d’intelligenza faceva sentire Adachi un vero figo, era pur sempre la dimostrazione che nonostante avesse una mente simile, non era stato in grado di combinare nulla con la sua vita.
“Hai capito tutto?”
Mh! Sì, grazie!”
Con un mezzo sorriso, Adachi si alzò per andare a prendere dell’acqua in cucina.
A-adachi-san…”
Voleva davvero chiederglielo? Non ne aveva il diritto, chi era lei per chiedere ad Adachi cosa c’era che non andava? Lei era fatta così, voleva rimediare, voleva sempre aiutare gli altri…ma questo non le permetteva d’essere irrispettosa. Deglutì quando lo vide tornare e rispondere ‘cosa c’è?’ mentre le porgeva un bicchiere d’acqua.
“…m-mi chiedevo se…c’è qualcosa che…t-ti dà da pensare.”
“…c-come?”
N-non lo so! E’ come se…Adachi-san fosse meno…felice di com’era un tempo! Credevo che, magari, avrei potuto aiutare Adachi-san a…
“…no. E’ tutto okay, davvero, non…”
M-ma…è come se…t-tu fossi cambiato…”
Adachi sorrise beffardo. Già, cambiato. Diverso. Per tutti, l’Adachi triste, era l’Adachi diverso. Peccato, che non fosse così: quando sorrideva o rideva, nell’80% dei casi, stava fingendo. Si era obbligato per anni e anni a portare quella maschera dell’impacciato e inesperto detective come difesa. Più facile mentire che dire la verità. Una verità scomoda anche per lui.
Quindi era assolutamente normale che Nanako la pensasse a quel modo.
“Non preoccuparti. E’ solo…”
“E’ successo qualcosa? Problema a lavoro? Vita sentimentale o…”
Nanako si portò le mani alla bocca per fermarsi: cosa stava facendo? Basta con tutte quelle domande, Adachi-san si potrebbe infastidire!
Dal canto suo, Adachi, continuò a sorridere con un velo di tristezza. Non era comico che proprio la ragazza che aveva rischiato di morire a causa sua voleva aiutarlo? Quasi grottesco.
Adachi si portò il bicchiere alla bocca, mentre nella sua mente contemplava l’ingenuità della figlia del suo ex-boss.
Tsk, lavoro…non che ci fosse molto da fare in prigione---

Ma non completò il movimento; anzi, il bicchiere gli cadde da mano.
Chi era l’ingenuo? Chi era lo stupido? Tutti quegli anni e si dimenticava ancora di collegare la bocca al cervello.
Il suo segreto era ormai scoperto, via, rivelato da quei pezzi di vetro sul pavimento; e a Nanako. Che lo osservava con gli occhi sbarrati, senza capire.
“…prigione?”
Non c’era tempo da perdere: farla andare via prima che la situazione potesse peggiorare era l’unica scelta rimasta. Adachi si alzò, corse verso la porta della stanza e l’aprì. Poi, tenendo gli occhi abbassati, disse:
“E’ meglio se vai.”
Nanako non si mosse.
“Va via, Nanako.”
“…Adachi-san…”
T-tho detto di andare via!”
Stava urlando. Stava urlando a Nanako di andare via. Sei sempre lo stesso, non cambierai mai. Adachi alzò lo sguardo per vedere la sua reazione. I suoi occhi stavano per bagnarsi di lacrime. Perfetto, congratulazioni Adachi, gran bella mossa. Meglio che soffra ora, piuttosto che soffrire ancora di più in futuro.
Lei si alzò, ma non si mosse. Anzi, strinse i pugni.
A-adachi-san! N-non sono più una bambina! Va bene se non vuoi dirmi cosa succede, ma…non trattarmi così! Credo sia normale se…se mi dispiaccio per te!
Cosa diavolo…cosa diavolo stava accadendo. Era dispiaciuta per lui?! Ma aveva la minima idea…Non hai la minima idea di quello che sono…!”
"Non lo saprò mai se non me lo dici!”
“Tu non sai cosa t’ho fatto!”
“…a me? A-adachi-san, ma…!”
“D’accordo, se vuoi saperlo…”
Abbandonò la porta e si diresse verso Nanako. A quel punto..cos’aveva da rischiare? Era colpa di Nanako, tutta colpa sua, l’aveva provocato ed ora stava per pagarne le conseguenze, ecco tutto, era la verità sarebbe venuta a galla e, bum, la sua vita si sarebbe arrestata tutta d’un colpo, ottimo Adachi gran bel piano, che schifo che mi fai.
“Ricordi gli omicidi di  14 anni fa? Quelle due donne trovate morte sull’antenna televisiva? Bene. E’ colpa mia. Sono io l’assassino. E…ti ricordi, di quando fosti ricoverata all’ospedale? Già, anche in quel caso era colpa mia. Ecco l’uomo che sono Nanako! Il tuo caro Adachi-san!”
Parlava velocemente e gesticolava, guardando la ragazza fissa negli occhi, come per imprimerle la verità sulla retina. Quando ebbe finito, sospirò ed abbassò finalmente le braccia.
Lei era incredula. Ovvio. Aveva la bocca semi-aperta e gli occhi fissi.
“E’-è…la verità…?”
“Sì, esatto.”
Silenzio. Nanako abbassò gli occhi mentre Adachi ritornò alla porta, pronto per aprirla, prima che una frase della ragazza non lo bloccò.
“Non capisco.”
“Cosa?”
“Non capisco perché tu sia qui.”
“…”
Come spiegarglielo, quando non conosceva neanche lui la risposta? E se le avesse risposto…no, le avrebbe riempito la testa di false speranze.
“Non avevo altro posto dove andare. Nient’altro.”
“…m-ma perché ritornare in un paese dove tutti ti odiano!”
“Cosa t’importa! Cosa cambia questo?! Io rimango un assassino e tu…”
“Cambia tutto! Io…io non riesco a crederci! Non riesco a credere che tu sia ciò che dici! Ho così bei ricordi che…”
“Erano tutti falsi! Tutte menzogne! Dimentica quei giorni, okay? Fa come se non fossero mai esistiti, come se io non fossi…
“Perché? Se non t’importa di me…o-o degli altri, perché dici queste cose?!”
Già, perché. Aveva dimenticato quella caratteristica di Nanako: dolce, gentile, ma determinata e cocciuta. E con quell’innocenza che le era rimasta, stava scardinando la maschera di menzogne che Adachi continuava a costruire nonostante i suoi buoni propositi.
P-perché…lo faccio per me! Non voglio semplicemente più avervi intorno, i-io…”
Ma quelle parole facevano male, troppo male. Com’era semplice mentire, 14 anni prima! Quando non si rendeva conto di cosa stava perdendo! Le serate dai Dojima, lo strano, ma piacevole rapporto con Dojima-san e Nanako…solo ora si rendeva conto cosa significassero. Solo ora che aveva perso quelle briciole che era riuscito a raccogliere lungo la strada, si rendeva conto di quanto fossero importanti per lui.
Lui, del mondo intero…non se n’era mai fregato un accidente. A lui interessava soltanto se stesso. Interessava essere finalmente gratificato, considerato, amato. Solo adesso lo capiva: capiva che cambiare il mondo intero era un’impresa tanto impossibile quanto stupida. Sarebbe bastato creare un piccolo Mondo…una colonia di pace nel caos per poter vivere in serenità. Peccato che ora fosse impossibile fare ciò: i legami s’erano spezzati. La colonia era capitolata sotto l’attacco dell’egoismo.
Ma Nanako…non era una donna che s’arrendeva facilmente. Lei non ci credeva, o almeno, non aveva abbastanza motivazioni per credere nella colpevolezza di Adachi. Le date e lo strano silenzio di suo padre non potevano essere solo delle coincidenze, ma…adesso, lei lo vedeva. Vedeva un Adachi diverso, un Adachi che aveva voglia di pentirsi, ma che non riusciva a superare l’ostacolo dell’orgoglio.
Lei gli si avvicinò e lo fronteggiò con una dolce espressione.
“Adachi-san…non ci credo. Non posso crederci. Io…posso anche credere a ciò che dici. Che…hai ucciso quelle due donne. Che mi hai fatto del male. M-ma i tuoi occhi mi dicono qualcosa di diverso. Un assassino andrebbe fiero di ciò che hai fatto. Tu…tu stai soffrendo, quindi…fatti aiutare. Io…voglio aiutarti.”
Adachi la guardò con stupore. Quelle parole. Nessuno gliele aveva mai dette. Nessuno si era mai offerto spontaneamente di aiutarlo. Il mondo era popolato di lupi pronti a sbranarsi l’un l’altro: da dove veniva quel piccolo cerbiatto capace di fronteggiare la bestia più disperata del branco?

Quindi…quindi si arrese. Si arrese a lei. Adesso, era lui a piangere, ad abbassare il capo, a prenderle le mani e a premersele sugli occhi. Erano anni che non piangeva: piangere, voleva dire essere debole. Anche in prigione, se piangevi, eri una checca. Alla fin fine, aveva indossato una maschera anche in quel buco puzzolente.
E poi, lì, era arrivata una ragazzina con dei codini gialli ed era riuscita a farlo piangere.
Mentre piangeva le chiedeva scusa: scusa per ciò che aveva fatto, per cose che non c’entravano nulla con gli omicidi di Konishi e Yamano, scusa per aver saltato il lavoro e per aver tentato di rubare un ombrello a Junes. Perché sapeva che lei l’avrebbe capito e perdonato: era il sole che avrebbe spazzato via la polvere da quel vecchio e malandato suolo lunare.
Dopo che Adachi ebbe finito di sfogarsi, si sedettero di nuovo e lui le raccontò tutto per filo e per segno: evitò però di nominare le Personae e il mondo nella TV, non ce n’era bisogno. Nanako lo ascoltò e comprese, non finse tranquillità quando non ce n’era bisogno, si spaventò, fece domande, si meravigliò e rise ad alcuni errori di Adachi. Era così viva che quasi faceva paura: nessuna maschera le aveva mai sfiorato il viso.
Poi, com’era ovvio, se ne andò. Un po’ di sano imbarazzo li accompagnò verso la porta.
“…allora ci vediamo.”
“…s-se hai bisogni di altre spiegazioni…sai dove trovarmi.”
Nanako annuì e sorrise.
Ed Adachi sperò che, beh, mantenesse quella promessa.                              

 

   
 
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