Anime & Manga > TSUBASA RESERVoir CHRoNiCLE / xxxHOLiC
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Autore: Harriet    11/12/2006    4 recensioni
Un pomeriggio estivo particolarmente caldo. Un semplice incarico in giardino. Una pianta rampicante, in un angolo.
Niente di insolito.
Forse.
Genere: Sovrannaturale, Horror, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kimihiro Watanuki , Yūko Ichihara
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scritta per il concorso di True Colors, seconda classificata.
Tema: Estate/Colore arancio


Flower of Despair

Durante la terza volta che fu spedito in giardino, senza un motivo abbastanza valido, Watanuki cominciò a riflettere sull’ingiustizia della sua condizione. Lavoratore part-time per una maga, lavoratore non stipendiato (almeno, non nel senso comune del termine) e sopratutto obbligato a soddisfare i più incredibili capricci di quella donna assurda. Avrebbe dovuto ribellarsi. Avrebbe dovuto mettere in chiaro che non era più disposto a tollerare quel trattamento, e soprattutto in pieno agosto, mentre la sua padrona se ne stava a mollo, servita e riverita dai due spiritelli senz’anima. Lasciandogli, naturalmente, da sbrigare le faccende più faticose e inutili. All’aperto. Era veramente troppo.
Il ragazzo si fermò, smettendo di innaffiare la colossale ortensia che era stata affidata alla maga per qualche giorno. (Per la grande gioia di Watanuki, che, dopo quell’episodio con Ame Warashi, evitava le ortensie il più possibile).
Si guardò attorno, riprendendo fiato ed energia. Il giardino di Yuuko sembrava un po’ diverso tutte le volte che lo osservava. Non che questo fosse stupefacente. Però, in quel momento, aveva una fisionomia più strana del solito, e Watanuki non riusciva a capire cosa colpisse in particolar modo la sua attenzione, nell’intrico di piante che circondavano il piccolo spazio verde davanti al negozio. C’era qualcosa di...urtante. Il ragazzo si tolse gli occhiali e si strofinò gli occhi, passando la mano più volte sull’occhio che condivideva con un’altra persona. Magari era solo l’effetto di quell’occhio, se nell’ambiente attorno a lui c’era qualcosa di strano.
Ma non era una sensazione visiva. Non del tutto, almeno. Rimise gli occhiali, quasi rassegnato a sorbirsi quel malessere spirituale, per parlarne più tardi a Yuuko, ma un attimo prima di tornare al lavoro, finalmente, individuò l’oggetto di disturbo. Nell’angolo più lontano dalla casa c’era una pianta rampicante, che c’era sempre stata. O forse no?
Beh, non era quello l’importante. Il fatto notevole era che sembrava essersi ingrandita. Una pianta rampicante, che abbracciava lo steccato e protendeva in avanti i suoi rami ritorti, le sue lunghe foglie, e soprattutto la sua miriade di fiori. Grossi fiori a campana, di un arancio intenso.
Si perse per un attimo ad osservare la pianta. I fiori.
Fa così caldo...
Così caldo che quei fiori sembravano prendere fuoco. Non aveva mai amato molto l’estate. Gli faceva sempre venire in mente cose poco piacevoli, come la distruzione, l’oblio, la morte...forse perché con il caldo dell’estate i corpi si decompongono più in fretta...
Ma che cavolo sto pensando?
Il ragazzo trasalì e fece un balzo di sorpresa, quasi ci fosse stato qualcuno dietro di lui, che gli avesse infilato quel pensiero in testa, a tradimento. Si passò una mano sulla fronte, si guardò attorno, rabbrividendo.
Dove stava andando la sua mente?
Si sentì strano e a disagio. Come quando uno ha un pensiero molto insolito, molto balordo e molto morboso. Perché quello strano pensiero era stato esattamente così.
Era solo una suggestione.
Si impose di non pensarci, e allungò la mano per riprendere l’annaffiatoio. Ma prima di poter compiere quel gesto liberatorio, i suoi occhi incontrarono di nuovo, irrimediabilmente, quella strana pianta nell’angolo.
Non aveva mai avuto un profumo particolare, quella pianta, se ci pensava bene. Ora però gli sembrava di percepirlo, in tutta la sua forza vagamente malsana. Odore di miele e di terra, odore di linfa e di pollini. Dolciastro, appiccicoso, un passo di troppo oltre la linea di confine tra gradevole e nauseante.
E tutti quegli insetti, da dove spuntavano? Aveva notato altre volte come quei fiori attirassero ogni sorta di piccola fauna, ma adesso i fiori sembravano diventati piccoli aeroporti, invasi di voli in partenza e in arrivo. Un attimo dopo iniziò anche a percepire il ronzio dei clienti della pianta. Un ronzio complesso, una polifonia di suoni bizzarri e disturbanti.
E quei fiori. Piccoli imbuti color arancio, arancio fiamma, con la bocca spalancata e la gola protesa, invitanti tunnel, produttori di nettari per tutta quella folla alata.
All’improvviso gli sembrò che gli insetti avessero smesso di andare e venire dalla pianta. Adesso si limitavano ad andare. Non tornavano più. C’erano sempre più insetti, e tutti accorrevano al banchetto promesso da quei fiori, ma una volta entrati nelle bocche delle campanule arancio evidentemente scoprivano di apprezzare i piaceri di quel luogo più di ogni altra cosa, e rimanevano lì dentro.
In un luogo caldo, appiccicoso, nascosto.
Come in un ventre. Che però non ti teneva in sé per partorirti e darti alla luce, ma per conservarti, fino alla tua dissoluzione.
Come il ventre della terra.
Come il ventre della terra tiene in sé il corpo di qualcuno che è diventato l’ennesima preda della morte.
Ecco, morire doveva essere un po’ in quel modo. Lasciarsi avvolgere da un abbraccio mieloso e appiccicoso, svanire lentamente, risucchiati in un luogo caldo, umido, nascosto. E trasformarsi in nutrimento per le piante, per quella pianta, per permetterle di continuare la sua aberrante vita, la sua esuberante, inarrestabile vita, la sua secrezione di nettari dolci, invitanti e tremendamente velenosi, un orrore distillato con grazia.
E anche lui, presto, sarebbe divenuto parte di quel ciclo infinito, sarebbe scivolato lentamente nella terra, e mentre la sua anima si sarebbe dissolta in una miriade di particelle, senza più sentimenti o pensieri, il suo corpo sarebbe divenuto...niente, solo elementi chimici risucchiati dal suolo e dalle radici insaziabili delle piante.
Accadrà presto, no? Accade a tutti così. Sarebbe meglio lasciarsi andare. Non si può sfuggire alla dissoluzione. Sarà quasi...dolce.
E mentre si lasciava trascinare da quelle visioni avvolgenti, non si accorgeva che i suoi muscoli si muovevano da soli, attratti, come gli insetti incauti, dalla meraviglia spaventosa dei fiori infuocati. Vedeva distintamente il processo inevitabile dello sfacelo del suo corpo, mentre si muoveva, come in trance, verso la fonte di quel potere caldo, umido, appiccicoso, infuocato, arancione, invitante, troppo invitante ed ipnotico per potergli sfuggire.
Era un incantesimo malvagio e potente. Era una visione di orrore e decadenza, ma era anche attraente, risvegliava quella curiosità morbosa che l’animo si affanna sempre a sopire. Vedere la morte. Vedere la rovina delle cose, degli esseri viventi, delle sue cellule, una dopo l’altra. Disgregazione nella terra, per poi diventare nettare, perché quella pianta mostruosa producesse altro nettare velenoso...
NO
E’ questa, e nient’altro, la morte?

Il pensiero penetrò la sua mente scossa e paralizzata, improvviso. Come fosse stato una delle frecce di Doumeki, che attraversava le folle di spiriti malvagi che lo assediavano sempre, per liberarlo da quegli esseri, così quel pensiero passò in mezzo alle visioni malate che affannavano la sua mente, e le incrinò.
E’ questa, e nient’altro la morte?
E’ solo questo?
Questo?
Questa quieta dissoluzione senza speranza, per diventare una manciata di elementi terrestri, e nutrire incubi e mostri?
NO!

Disperatamente si attaccò ad altre visioni, flebili e pallide, nel retro della sua mente. I suoi genitori, morti per salvare lui, ed i loro spiriti che lui sentiva vicini (perché sarei già morto mille volte, se non ci fossero stati loro). Quella bambina che non riusciva a trovare la pace finale, che lui aveva preso per mano, per farla smettere di piangere, per portarla alla felicità che meritava (ed è andata lì, Yuuko-san me l’ha confermato!). La quiete del tempio di Doumeki, la quiete e il rispetto...e la familiarità con cui Doumeki parlava della morte. Che era una cosa degna di quiete, rispetto e familiarità, un passaggio misterioso. E tutti i suoi incontri con gli spiriti, che, nelle loro stranezze, in mezzo alle loro sconclusionate follie, sembravano volergli dire (gridare): la vita non è tutta lì, l’universo è molto più grande e le cose sono molto più profonde di quel che sembrano a te, piccola creatura sciocca!
E allora...
NO!
La morte non è solo questo!
Non è...
...la fine...
Non è...

Perse la battaglia col suo corpo, ma mentre scivolava nella semicoscienza avvertì che aveva di nuovo il controllo su di sé. E questo era decisamente rassicurante...

- Io non...Cosa...Yuuko-san?-
- Ben svegliato, Watanuki-kun. Ti senti meglio adesso?-
La maga era seduta accanto a lui, sorseggiando qualcosa (di alcolico, senza alcun dubbio). E lui era disteso sul divanetto che troneggiava nella sala principale del negozio di Yuuko.
- E’ una mia impressione o quella pianta ha cercato di...ehm...di mangiarmi?-
- Più o meno.- rispose lei, tranquilla. – Ma non è stata colpa della pianta. Piuttosto, dovresti incolpare quello che aveva preso possesso della pianta.-
- E cos’era?-
- Oh, meglio non saperlo. L’importante è che tu sia qui.-
- E questo...qualunque cosa fosse...ora dov’è?-
- Non c’è più. Si è dissolto. Quando una delle sue vittime si ribella, perde ogni suo potere.-
Watanuki spalancò gli occhi, colmi di stupore. Allora lui...
-...l’ho...Insomma, l’ho respinto da solo?-
- Già. A quanto sembra, hai uno spirito più forte di altre persone.-
- Mi è solo venuto in mente che se quella pianta stava tentando di farmi credere che la morte è la fine di tutto, si sbagliava. Mi stava dicendo che era meglio se abbandonavo il mio corpo, subito, sarebbe stato meglio. Niente più dolore. Solo la dissoluzione nel suolo. Ma io non credo che sia così. Voglio dire...credo di...aver sperimentato che le cose stanno diversamente. No?-
Yuuko sorrise in quel modo inquietante di cui solo lei era capace. Il genere di sorriso che sottintendeva troppe cose, la maggior parte delle quali impossibili da capire.
- Te l’ho detto. Evidentemente hai uno spirito più forte di altre persone.-
Poi la donna si alzò, avviandosi all’uscita della stanza. Sulla soglia si voltò a guardare il suo stravolto impiegato. – Ora puoi anche andare a casa, se vuoi. Hai finito qui, per oggi.-
- Ma non dovevo annaffiare i...- Yuuko lo lasciò solo, e lui capì, all’improvviso. – Yuuko-san! Mi hai mandato in giardino perché sapevi cosa c’era in quella pianta! Lo hai fatto apposta! Yuuko-san!-
La sua rabbia rimase inascoltata, come sempre. Il ragazzo si rassegnò per l’ennesima volta, si alzò, riprese la sua roba ed uscì dal negozio.
Mentre lasciava il giardino, lanciò un’occhiata guardinga alla pianta. Ma si accorse che si trattava solo di un misero rampicante, relegato ad un angolo del giardino, con dei fiori arancio quasi del tutto appassiti, tormentati da qualche insetto svogliato.
Proprio niente di cui aver paura.

   
 
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