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Autore: Iwuvyoubearymuch    23/05/2012    15 recensioni
Ho provato a mettere nero su bianco ciò che può essere accaduto dopo gli eventi dell'ultimo libro.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Sono in un ritardo assurdo, lo so.
Dovevo prima trovare una bella trama per il nono capitolo.
Posso affermare di averla trovata! E mi sembra anche carina. Oggi mi metto all'opera.
Per tornare a questo capitolo... beh, non mi piace neanche un po'. Non è così che avrei
voluto far andare delle cose, ma scriverlo in maniera diversa sarebbe stato complicato.
L'avrò detto anche per gli altri capitoli, ma questo è brutto davvero. Spero che non vi porti a
non leggere più la ff.
Buona lettura.
-M


Capitolo Sesto
Il giorno dopo, quando mi sveglio, noto subito la differenza. Sono ben riposata e rilassata, la fronte non è imperlata neanche da una goccia di sudore e la mente non è affaticata ancor prima di iniziare la giornata. Tutte cose che non capitavano da moltissimo tempo. Avevo dimenticato il potere di un'intera nottata di sonno. Gli incubi non sono spariti. Ormai, sono dell'idea che quelli continueranno a seguirmi fino alla fine della mia vita. Il dolore alla vista di Prim, gelida e pallida, mi ritornerà alla mente ogni volta che chiuderò gli occhi. Ma questa notte è stato diverso. Ho avuto la sensazione che ci fosse qualcuno a guardarmi le spalle, che non avrei dovuto fare tutto da sola per mettere in fuga le persone in pericolo. Un sollievo indescrivibile. Anche se non ho mai visto quel qualcuno, nella mia mente c'era solo un nome. Peeta. E' lui il responsabile di questa enorme differenza. Ieri sera, inizialmente, è stato strano. Entrambi stesi a letto, con uno spazio tra di noi che avrebbe permesso il passaggio di un treno. Era ridicolo quanto fossimo improvvisamente impacciati. L'ultima volta non ci sono stati problemi di alcun genere e nella grotta ai primi Hunger Games tutto è venuto con una naturalezza difficile da trovare tra due persone che si conoscono a malapena. Ieri sera, invece, era come se ci fossimo incontrati per la prima volta. Poi, mi sono detta - E' Peeta! - Così, ho annullato la distanza tra i nostri corpi. Ho poggiato la testa sulla sua spalla e una mano sul petto. Peeta era riluttante, ma poi ha passato un braccio attorno alle mie spalle e mi sono lasciata cullare dalla sensazione di sentirmi a casa dopo moltissimo tempo. L’ultima cosa che ho sentito prima di addormentarmi è stato il cuore di  Peeta battere.
Ci metto un po' a capire che Peeta non è al mio fianco. Mi chiedo dove possa essere. La risposta giunge appena l'odore di bacon si sofferma sotto il mio naso. Vado in bagno e mi rinfresco il viso. Non ho l'occorrente per pulire le ferite, ma non me ne interesso poi molto. Evitando con cura di prestare attenzione alla ragazza nello specchio, esco e mi dirigo al piano di sotto. Le case del Villaggio dei Vincitori sono tutte uguali, al punto che potrei credere di essere a casa mia se non avessi ben chiaro in mente di aver dormito con Peeta nel suo letto. Anche la presenza di Sae in cucina è familiare, tanto da confondermi in principio. Però mi viene in mente che anche Peeta deve pur mangiare.
"Buongiorno" bofonchio, la voce impastata dal sonno. Sae risponde cortesemente al saluto, mentre mette dell'altro bacon a cucinare. "Dov'è Peeta?" chiedo, dopo aver dato un'occhiata intorno. Non è da nessuna parte.
Sae mi rivolge uno sguardo indecifrabile. "Se non lo sai tu" dice e quelle semplici cinque parole hanno il potere di farmi arrossire violentemente. Più che le parole in sé, è il tono che mi mette a disagio. Lascia intendere che tra me e Peeta sia successo dell'altro oltre a degli innocenti abbracci.
Nascondo il viso dalla vista di Sae. Quella donna è capace di capirmi anche solo con uno sguardo. Non me la sento di ripetere la domanda. E comunque, stando alla risposta appena data, penso che anche lei ne sappia quanto me. Mangio in silenzio il piatto che mi porge, con gli occhi ben fissi sul fondo. Quando Sae va via, le chiedo di dire a Peeta che ho bisogno di lui, semmai dovesse incontrarlo.
Adesso che sono sola, mi sembra quasi di essere fuori posto. In fondo, è strano che sia a casa di Peeta quando lui non c'è. Dovrei andarmene e aspettare che ritorni a casa mia. Perché poi dovrei aspettarlo? Non ho niente da dirgli. E visto che è andato via quando ancora stavo dormendo, anche lui non ha niente da dire a me. E' inutile, quindi, che io stia qui. Illuminata da questo pensiero, ritorno in camera da letto per prendere le scarpe. Le infilo distrattamente ai piedi, quando qualcosa attira la mia attenzione. Sembra una tela, una di quelle che usava Peeta per dipingere. E' poggiata contro l'armadio con la parte posteriore in bella mostra. Mi chiedo come non me ne sia accorta prima. O ieri sera. Mi avvicino con cautela, prendendo in considerazione l'idea che probabilmente non dovrei vederlo. Anche se Peeta mi ha mostrato i suoi lavori in passato, forse non ho il diritto di fare tutto da sola. La curiosità però è troppo forte. Soprattutto se penso che potrebbe essere lo stesso dipinto di cui aveva parlato la sera che è venuto a cena da me insieme agli altri. Quindi, potrei essere io quella disegnata lì dietro.
Senza più alcun indugio, afferro la tela e la giro. Mi cade di mano. Gli occhi si riempiono immediatamente di lacrime. Esclusa la parte incompleta, una buona metà della tela è ricoperta da piccoli fiorellini gialli, circondati da ciuffi verdi. Li riconosco all'istante. Come non potrei? Sono primule. Ecco perché mi guardava quella sera.
Lascio il dipinto dov'è e vado via. Adesso le lacrime scivolano lungo le guance; non faccio nulla per arrestarle. Non so perché piango. Immagino che sia perché per un attimo è stato come rivedere mia sorella. Prim. Delicata e gentile come il fiore da cui ha preso il nome. Aveva preso, mi correggo. Probabilmente, Peeta aveva intenzione di darlo a me, una volta completato.
Col passare del tempo, inizio a preoccuparmi. Vado da Haymitch per chiedergli notizie di Peeta. Ne sa anche meno di me e Sae messe insieme. Prima di andare via, dico anche a lui di dirgli di venire da me, se per caso dovesse vederlo. Quando l'ho detto a Sae, in realtà non avevo nessun motivo. Solo la sensazione che dovessimo parlare di qualcosa che nemmeno io sapevo. Adesso, mi serve soltanto sapere che sta bene. Mi passano per la testa mille scenari, molti dei quali finiscono sempre con Peeta ferito e in cerca di aiuto. Qui al Distretto 12 non c'è nulla che potrebbe rappresentare anche il minimo pericolo se si sta lontani dal bosco. Però, Peeta ha il suo bagaglio di problemi che potrebbe essere fonte di minacce. Se avesse avuto un altro dei suoi flashback? Non so come abbia potuto farsi del male in tal caso, ma il dubbio mi tormenta lo stesso.
Mi apposto accanto alla finestra per un po', dicendomi che da un momento all'altro lo vedrò spuntare sul sentiero che porta qui al Villaggio dei Vincitori. Cerco di tenermi impegnata con Ranuncolo, ma finisco col buttare gli occhi alla finestra a intervalli regolari di pochi secondi. Quando mi decido ad andare a cercarlo, lo vedo. Tiro un sospiro di sollievo. E finalmente posso lasciarmi andare alla rabbia.
"Dove sei stato?" gli chiedo sulla soglia della porta. La voce mi è sembrata più agitata di quanto abbia voluto far trasparire.
Prima di rispondere, Peeta entra in casa. Mette tra di noi una distanza ridicola. Sembra che abbia paura di me. Non faccio in tempo a ripetergli la domanda, che lui parla. "Ho sognato di ucciderti". Adesso è il suo turno di sembrare agitato.
Io, invece, rimango impassibile. Come si dovrebbe reagire a una confessione del genere? Fosse stato qualcun altro a dirmelo non ci sarebbe nulla di analizzare. Può capitare di fare sogni del genere. Quindi, dovrei essere preoccupata dalle parole di Peeta. Ma non lo sono. Con tutte le volte che ho rischiato di morire davvero negli ultimi anni, e non in un sogno, non riesco ad allarmarmi. "Per questo sei andato via stamattina?" domando. Peeta sembra confuso, mentre annuisce. Forse, si aspettava che mi arrabbiassi. O che mi spaventassi. Dovrei esserlo? Lui deve essersi spaventato sicuramente. "Non l'hai fatto" dico, per tranquillizzarlo e sdrammatizzare la situazione. Buffo che sia io a fare entrambe le cose. Di solito lo faceva lui.
"Non è questo il punto" dice, secco.
"E allora, qual è?" domando, con un brutto presentimento che tento di allontanare con tutte le mie forze.
Peeta sospira rumorosamente. Ho la sensazione che le parole che sta per dire gli costino una grande fatica. Il che probabilmente feriranno me. "Penso che per un po' non dovremmo vederci" afferma, con un filo di voce.
E' così basso che stento a udirlo. Infatti, mi chiedo se abbia sentito bene. I suoi occhi rivolti verso il basso non lasciano fraintendimenti. Ho avuto ragione. Mi sento ferita. E delusa. "Okay" dico solamente, in assenza di altre risposte. E' già tanto che sia riuscita a dire quelle quattro lettere. Come è possibile svegliarsi così piena di forze e poi ritrovarsi improvvisamente a corto? Soltanto per una frase!
Vedo le spalle di Peeta che si dirigono verso la porta. Ecco, l'ennesima persona che va via da me. Prima mio padre. Poi mia madre e Gale che vanno vivere in altri distretti. Prim. E adesso Peeta. La sensazione di vuoto mi divora dall'interno, pezzo per pezzo. Con una lentezza che mi uccide. Rimarrò da sola. Finirò con l'essere brilla a ogni ora della giornata come Haymitch. "No" dice qualcuno, proprio quando Peeta sta per aprire la porta. "No!" ripeto ancora con maggiore enfasi. Ho la sensazione che se uscirà da questa casa, lo perderò per sempre. "Non posso perdere anche te" dico, accorciando con pochi passi la distanza che è tra di noi. Gli metto una mano sul braccio, continuando a scuotere la testa. Provo a fargli capire che non può lasciarmi anche lui. Che ho bisogno di lui, contrariamente a quello che avevo pensato. Una sola notte con lui mi ha fatto molto più bene di tutte le cure di Haymitch e Sae insieme. E ho bisogno di aiutare lui.
Anche Peeta scuote la testa. "E' necessario" dice, con un'espressione più addolorata di prima.
Riesco a capire chiaramente che non ci crede neanche lui. Lo dice soltanto perché pensa che deve. "Non è vero" dico subito. "Non hai fatto nulla per ferirmi. Sono viva, vedi?" cerco di fargli capire, dandomi qualche colpetto sulle braccia e sulle gambe. Sembro disperata. Ma non mi interessa. Sono disposta a fargli credere qualsiasi cosa di me pur di convincerlo a rimanere con me.
"Avrei potuto" dice, debolmente. Anche lui sembra a corto di forze adesso.
E' il momento giusto per attaccare. "Ma non l'hai fatto" ripeto. "Sei andato via. Hai cercato di proteggermi"
"E' quello che sto facendo anche adesso" dice afferrandomi per le spalle.
"Non serve" sbotto, con un misto di rabbia e fastidio. "So badare a me stessa e mi fido di te. So che non farai mai nulla per farmi del male"
Prima che Peeta possa aggiungere qualcosa, pianto le mie labbra sulle sue. All'inizio Peeta rimane fermo, poi risponde al bacio. La presa sulle mie spalle inizia a rilassarsi con la stessa velocità con cui il bacio diventa più intenso. Inizio a sentirmi travolta da una sorta di confusione intossicante. La stessa sensazione della grotta e della spiaggia. Quella voglia avida di continuare a baciarlo e il desiderio di andare oltre. E' così che dovrebbe essere quando ci si innamora?, mi chiedo improvvisamente. Probabilmente si. Sono innamorata di Peeta, allora? Non lo so. E questo, comunque, non è il momento adatto per trovare una risposta alla domanda. Il bacio non ha in sé nulla di romantico. E' solo per dimostrargli che mi fido ciecamente di lui.
  
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