Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: ermete    23/05/2012    13 recensioni
Seguito di "Back to Afghanistan":
Quando Sherlock aprì il portone del 221B di Baker Street fu quasi magia: il profumo di casa lo invitò ad entrare, adocchiando tutti i richiami visivi che via via riaffioravano nella sua mente, così come in quella di John, che non vedeva l’appartamento da ancor più tempo del detective.
Toccò a John l’onore di aprire l’appartamento entro il quale si avventurò per primo, posando il borsone vicino agli scatoloni contenenti la propria roba che Mycroft aveva fatto portare lì.
“Casa dolce casa, già.” mosse i primi passi nel salotto osservando le due poltrone, una di fronte all’altra, sorridendo perchè sapeva che si sarebbero riempite nuovamente, che avrebbero vissuto dialoghi realistici o assurdi, discussioni o frivolezze e magari anche qualcosa di nuovo.
Genere: Azione, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
***Ciao ragazze! Ecco il secondo capitolo inutile xD due di fila? Mamma mia, legatemi *_* 5mila e passa parole di fluff che non portano avanti la storia, se non dal punto di vista della relazione dei nostri Johnlock, unici protagonisti del capitolo! Nel prossimo giuro che ci sarà un po' di azione e soprattutto inizieranno i drammi XD mica può essere tutto rosa e fiori, per quello ci sono gli Harmony (oddio, sti capitoli 3 e 4 ci si avvicinavano! Perdonatemi! XD)! Ragazze, seriamente, grazie per tutti i commenti ed il supporto, quindi proprio perchè mi supportate sinceramente, se sentite che questo capitolo scricchiola ditemelo *__* vi lovvo, lo sapete, soprattutto le due Sister :D baci bacilli e vi prego, di nuovo, non trucidatemi per questo capitolo!***

La mia firma sul tuo corpo

Era stata una giornata intensa: Lestrade aveva chiamato John e Sherlock per scovare il nascondiglio di un rapinatore di gioiellerie e ovviamente c’erano riusciti in poco più di dodici ore.

Quindi erano tornati a casa e John aveva subito ordinato a Sherlock di sedersi sul divano: mentre andava in bagno a recuperare il necessario per bendarlo, stava continuando un’infinita ramanzina che era iniziata da quando avevano lasciato Scotland Yard e che non sembrava voler finire molto presto.
“Sei uno stupido sconsiderato.” continuò John, il respiro era affannoso e i movimenti nervosi: bagnò un asciugamano col quale iniziò a tamponare una ferita sul petto di Sherlock, il quale, nel frattempo, si era sbottonato la camicia per permettere al dottore di medicarlo.
“Hai finito?” domandò Sherlock quando finalmente ebbe sentito il dolce suono del silenzio “E poi anche tu avresti dovuto stare più attento.” alzò la mano destra, picchiettando con l’indice sulla tempia del soldato, il quale si scansò scontroso.
“Quello non è niente.” rispose John a denti stretti. Con modi stranamente maldestri finì di pulire il petto del consulente investigativo, quindi prese ago e filo, posizionandoli poi sopra la ferita: non era oggettivamente nulla di che preoccuparsi, era un taglio orizzontale non troppo profondo, ma il fatto che fosse posizionato proprio all’altezza del cuore aveva agitato John a dismisura.
“Anche questo non è niente John, sei il solito esagerato.” sbuffò, per poi ritrarsi alla vista di ago e filo “Ehi, che ne dici di un po’ di anestesia, Dottore?” Sherlock aveva capito che John era agitato e quella era la conferma. Sospirò nuovamente: non amava gli eccessi da parte degli altri tanto quanto era lui stesso il primo ad esagerare ogni cosa.
John sbuffò, strofinandosi il volto con la mano, quindi anestetizzò la parte ferita di Sherlock appena il necessario affinchè non sentisse i punti: riavvicinò l’ago al taglio e fu in quel momento che la sua mano sinistra, dopo più di un anno e mezzo, cominciò a tremare. Scosse il capo “Non ci riesco. Ti porto in ospedale.”
Il mondo di Sherlock di fermò per qualche istante: aveva davanti a sè l’espressione abbattuta e rassegnata di John, gli lesse addosso alcune delle mimiche facciali che caratterizzavano le foto del suo vecchio collage ed il tremore alla mano che non vedeva manifestarsi dal primo giorno in cui si erano conosciuti. Riscontrò tutte quelle anomalie nel corpo di John e la testa gli dolse per cinque, lunghissimi, secondi: non doveva e non voleva fargli più del male, se l’era promesso. Gli afferrò i polsi saldamente ma senza fargli alcun male, puntandogli gli occhi addosso, scavando dentro quelli di lui, come se cercasse di entrare nella sua mente, costruirci un Palazzo Mentale identico al proprio e riempire l’aria di note urlanti ‘Sono vivo, non ti lascerò mai più’ e possibilmente viverci. Sì, vivere nella testa di John, dentro John, per sempre.
“Se non ti avesse...” John scosse il capo, palpitando di fronte allo sguardo di Sherlock dal quale si sentì consumato, come se gli avesse risucchiato le energie “Se non ti avesse colpito di taglio, ma se avesse affondato il colpo, il tuo cuore ora...” chiuse gli occhi inspirando profondamente più volte, scacciando via il panico che lo stava assalendo “E non dire cavolate come che tu non hai il cuore perchè...”
“Perchè non è vero.” lo anticipò Sherlock che liberò i polsi di John dalla sua presa, facendo salire le mani sul volto del dottore, posandogliele sulle guance “Chi meglio del suo Custode potrebbe sapere che ce l’ho?” gli regalò uno dei suoi rari sorrisi che s’accorse andare a segno, poichè vide John rilassarsi un poco. Avvicinò le labbra alla tempia ferita del dottore, cingendogli il capo con tutto il braccio destro, mentre lasciò la mano sinistra sulla guancia: contatto costante, rincuorante. Gli baciò la ferita, prima lievemente, assicurandosi che non gli dolesse, quindi imprimendo maggiore pressione, assaggiando il sangue di John, pulendolo dal dolore in quel gesto simbolico che aveva letto in qualche libro i cui ricordi erano in un cassetto della sua memoria. Gli leccò quella ferita fisica come avrebbe voluto curargli quella dell’animo, quello stato di inquietudine che non aveva ancora abbandonato John del tutto. Sherlock lo sapeva: poteva averlo perdonato, ma il dolore del ricordo di quanto accaduto tre anni prima era ancora vivido in lui. Sentì una leggera fitta al cuore, ma non aveva saputo riconoscerne la natura: sarebbe stato naturale dire dolore, ma quando si staccò dalla tempia di John alla ricerca dei suoi occhi, non ne fu più tanto sicuro. Quegli occhi tanto particolari quanto i suoi, seppur in modo completamente diverso: nei suoi c’era il ghiaccio, in quelli di John c’era il fuoco. Sherlock pensò che fosse la conferma di quanto fossero fatti l’uno per l’altro, la fusione di due opposti: era meraviglioso. Quella fitta al cuore non era dolore, decisamente.
“Scusami.” sussurrò a John, sfiorandogli la fronte con la propria “Non volevo farti preoccupare.” aveva detto solo quelle parole, solo quelle se paragonate al mondo di allegorie e metafore che gli passavano ogni istante per la mente, quando si trattava di John.
Per John invece furono parole più che apprezzabili, considerato il temperamento abituale di Sherlock, considerato che era arrivato a scusarsi per qualcosa di cui non era neanche il diretto responsabile: quel suo modo di fare, quello sguardo, tutto di lui gli fece recuperare la tempra e la calma necessari “Non devi scusarti. Mi sono comportato come un allievo di medicina che vede del sangue per la prima volta.”
“Per non parlare del fatto che non ci sarei andato comunque in ospedale.” Sherlock si ritirò un poco indietro, poggiandosi allo schienale del divano “Solo tu puoi toccarmi così intimamente.”
“Spero davvero che tu non abbia mai bisogno di altri dottori oltre a me.” inspirò a lungo, quindi avvicinò le mani alla ferita di Sherlock che tamponò nuovamente prima di cucire il primo punto “Punto croce le va bene, signore?” scherzò poi, potendoselo nuovamente permettere: la mano era ferma, e la lucidità riacquisita gli suggeriva l’entità effettiva del danno.
“Non scherzare, sono molto più vanitoso di quanto possa sembrare.” inarcò appena l’angolo destro della bocca, osservando il suo dottore al lavoro.
“Oh, credimi, lo so.” sbuffò John divertito.
“Mh, sarà una cicatrice lasciata da te, avrò qualcosa di tuo addosso per sempre. Indescrivibile. Sublime.” bisbigliò roteando gli occhi all’indietro come se fosse sotto effetto di qualche sostanza stupefacente, provando un piacere indefinibile all’idea di avere la firma di John sul proprio corpo.
John sussultò impercettibilmente di fronte a quella dichiarazione, umettandosi le labbra che si erano seccate di fronte alla visione di Sherlock in visibilio “A volte dici certe cose...” gli sfuggì.
“Non andava bene?” Sherlock si risollevò e pose la domanda che più volte ed in svariate situazioni era solito fare a John, domandando se il proprio comportamento fosse adatto in quella determinata circostanza.
“Oh, Dio, sì.” lo rincuorò John, abbassando inconsciamente la propria voce: sorrise, scuotendo il capo divertito, concludendo in quel momento la propria medicazione.
Sherlock storse il naso nel momento in cui John cucì l’ultimo punto, sentendo chiaramente sia il foro che il filo che scorreva nella carne creando una curiosa ma al contempo fastidiosa sensazione di sfregamento “Sempre tirato con l’anestesia eh, come ai vecchi tempi.”
“Non vorrei viziarti troppo.” John rise, quindi si rialzò, posandosi le mani sui fianchi e inarcando la schiena all’indietro “Che stanchezza! Me ne vado a letto.” si voltò poi, osservando Sherlock, ma la domanda che voleva porgli gli morì sulle labbra.
“Che c’è?” a Sherlock non sfuggì quel tentennamento.
“Niente.” abbassò una mano affondandogliela nella folta foresta di ricci, ritirandola dopo un lasso di tempo che definì mentalmente accettabile “Buona notte, Sherlock. Cerca di riposare anche tu.”
Sherlock non rispose, si limitò a seguire con lo sguardo John che prima andò in cucina a bere un po’ d’acqua per poi risalire le scale che l’avrebbero portato nella sua camera da letto.

Dopo dieci minuti che si era infilato a letto, John sentì la porta della propria camera aprirsi, sorridendo a quello scricchiolio che accompagnava i passi di Sherlock, il quale si infilò sotto le coperte, attaccandoglisi alla schiena col proprio corpo, allacciandogli il braccio destro attorno al torace.
Quando Sherlock si fu sistemato comodamente, John interruppe il silenzio “Riuscirò mai a nasconderti un mio pensiero?” domandò per poi iniziare a giocherellare con la mano che lo stava cingendo.
“No, e comunque non dovresti. Fiducia, ricordi?” gli sussurrò all’orecchio, affondando poi il viso nei capelli di John, strofinandoli col naso, con gli zigomi ed infine con la fronte.
John sorrise e non potè resistere oltremodo: ruotò sul fianco opposto trovandosi faccia a faccia con Sherlock che baciò sulle labbra per poi attirare il suo volto verso di sè, sentendo il proprio respiro riflesso sulla pelle dell’altro “Grazie.”
Sherlock avvicinò la mano destra al volto di John, segnandone il profilo con la punta dell’indice, come per studiarlo, memorizzarlo ancor meglio di quanto non lo conoscesse già “Dormi ora. Ne hai bisogno.”
“Resta qua con me.” mugugnò John con la voce resa roca dalla stanchezza: cinse la vita di Sherlock sistemando meglio la testa sul cuscino, a contatto con la fronte dell’altro.
Sherlock acconsentì alla sua richiesta. Era fatto così: poteva far trascorrere delle ore senza rivolgergli la parola, passare dei giorni senza cercare alcun contatto fisico, e chissà per quanto tempo non gli aveva espresso i propri sentimenti in maniera esplicita; poi invece c’erano quei giorni, quelle ore, quei momenti in cui, con pochi gesti e ancor meno parole, riusciva ad esprimere una dolcezza infinita, una premura costante ed un amore tangibile.
“Sempre, John.”

John si risvegliò verso le sei del mattino: la sera precedente si era dimenticato di chiudere al meglio le persiane e un raggio di sole aveva deciso di colpirlo proprio in pieno volto: mugugnò un piccolo lamento che scemò solo alla vista di Sherlock accanto a sè, un braccio attorno al suo fianco, l’altro appoggiato al petto.
Si ricordò in quel momento che Sherlock aveva acconsentito alla sua tacita richiesta di fargli compagnia quella notte, constatando con un sorriso che quella era la prima volta che dormivano insieme e forse John, pensò in quel momento, avrebbe preferito restare sveglio per osservare il compagno accanto a sè in quel surrreale stato di pace e quiete.
Adagiò la guancia sul propio pugno chiuso, appoggiato col gomito sul cuscino, ringraziando lo stesso raggio di sole che lo aveva svegliato per lo spettacolo a cui gli stava concedendo di assistere: Sherlock stava mugugnando qualcosa di incomprensibile, probabilmente stava sognando e doveva essere un sogno interessante o quanto meno molto strano, poichè il dottore lo vide mutare espressione più volte, tanto che dovette trattenersi dal ridere per non rischiare di svegliarlo.
Quando poi lo sentì chiamare il suo nome, sperò che il sogno non si fosse trasformato in un incubo, proprio come quando accadeva a lui stesso poco dopo la morte di Sherlock, quando il suo inconscio gli faceva rivivere la caduta centinaia e centinaia di volte. Assottigliò lo sguardo e tese bene le orecchie, cercando di intuire quanto meno la natura di quell’intervento onirico: Sherlock continuava a mutare espressione e John tirò un sospiro di sollievo quando vide che nessuna di quelle poteva suggerire uno stato di malessere. Anzi, il tono gutturale imposto dal sonno ed i lunghi sospiri che Sherlock esalava tra un richiamo e l’altro suggerivano pensieri di natura lussuriosa.
Il dottore sentì nuovamente invocare il suo nome e percepì le mani di Sherlock provare ad agguantare ciò che si ritrovavano sotto i polpastrelli, ovvero il fianco ed il petto di John il quale ringraziò di indossare il proprio pigiama perchè in quel momento non avrebbe proprio saputo come reagire, d’altronde si era appena svegliato e l’alzabandiera a cui stava pensando non era propriamente quello militare.
John adorava sentire Sherlock pronunciare il suo nome, soprattutto quando si concedeva a momenti di dolcezza, e non pensava ci sarebbe stato un suono più piacevole di quello finchè non si sentì chiamare in quel momento, durante quello che sembrava essere un vero sogno erotico in cui lui era l’oggetto del suo desiderio: deglutì, stropicciandosi il volto con la mano, scrollando il capo a metà tra l’eccitato e il disperato. Avrebbe voluto svegliarlo e dare sostanza ai suoi sogni, ma d’altro canto pensò che se finora Sherlock non si era ancora fatto avanti da quel punto di vista, era giusto che aspettasse ancora. Quanto meno finchè la forza di volontà lo concedeva.
“Ma com’è possibile che tu mi faccia questo effetto...” bisbigliò mordendosi un labbro, avvicinandosi al viso di Sherlock col proprio, sfiorandolo con il dorso della mano “Sherlock...” : l’altro sembrò reagire al tocco, ma ancor di più alla voce di John che chiamava il suo nome tanto che sorrise, in estasi, rinvigorendo la stretta delle proprie mani sul corpo del dottore che tuttavia rimase fermo, per nulla intenzionato a svegliarlo.
Sherlock ansimò il nome di John ancora una volta e il dottore fu realmente tentato di scappare da quel letto prima che accadesse l’irreparabile, ma poi tutto finì con un lungo sospiro da parte di entrambi: il detective espirò tutta l’aria che aveva nei polmoni, rilassando anche il resto dei muscoli e dei nervi, mentre John, almeno in parte, fu contento di non dover più assistere a quello spettacolo la cui fine intuì facilmente.
Sorrise infatti, ripensando alle parole di Matt “Piena adolescenza. Già.”sussurrò, posando un leggerissimo bacio sulle labbra di Sherlock dalle braccia del quale riuscì a sfilarsi, ora che gli arti non erano più contratti dal piacere. Quando si alzò dal letto indugiò ancora qualche istante su Sherlock che nel frattempo l’aveva sostuito con un cuscino -il suo- trovando il vuoto nelle proprie braccia oltremodo scomodo: osservò l’espressione beata sul suo viso, le lunghe braccia che lo cingevano fino a poco tempo prima e non riuscì proprio a non pensare al tono di voce provocante che aveva durante il sogno. Sospirò rassegnato per poi dirigersi verso il bagno, al piano di sotto.

Quando Sherlock scese nel salotto, John era seduto al tavolo intento a far colazione e a leggere un quotidiano: a parte i riccioli spettinati e lo sguardo leggermente annebbiato, nulla poteva suggerire che si fosse appena alzato. Il suo cervello iniziava a lavorare subito, non appena apriva gli occhi, e qualsiasi essere umano avrebbe invidiato quel talento che lo rendeva subito vigile a dispetto del torpore che colpisce ogni persona almeno nei primi minuti dopo il risveglio.
John abbassò il giornale salutandolo, ma non ricevette alcuna risposta verbale giacchè il detective si mise a trafficare in cucina finchè non reperì una tazza di caffè con la quale tornò in sala: la poggiò sul tavolo per poi allacciare le braccia attorno al collo del dottore, posizionandosi alle sue spalle, il capo ciondolante, lo sguardo che s’alternava tra il giornale e il volto del compagno.
“Visto che ti avevo fatto la premura di dormire con te, mi aspettavo di trovarti a letto appena sveglio.” mugugnò Sherlock, sprofondando con le dita nei capelli di John, mentre gli annusava il profumo di sapone e caffè direttamente dal collo.
John sorrise abbassando il giornale sul tavolo, quindi alzò le mani fino a raggiungere il braccio di Sherlock che ancora lo cingeva: era intenzionato a non svelargli nulla del sogno, non voleva metterlo in imbarazzo, quindi sarebbe dovuto stare attento anche a non farlo intuire dal perspicace detective “Scusami. La natura chiamava. E a quel punto mi avevi già tradito col cuscino e non c’era più posto per me.” sorrise perchè, in fondo, non aveva detto una bugia vera e propria “Grazie per la concessione, comunque.”
Sherlock rise, quindi, dopo aver velocemente baciato John sulle labbra, gli rubò il giornale, andando a sedersi al suo posto, di fronte a lui: nell’accavallare le gambe fece in modo di incastrare il piede destro dietro il polpaccio del dottore “Non capisco perchè non l’abbiamo fatto prima. Anzi, sì, lo capisco, ma volevo essere colloquiale una volta tanto.”
John imburrò due fettine di pane tostato, tenendone una per sè ed allungando l’altra verso Sherlock “Dovremmo dormire insieme più spesso se ti mette così di buon umore.” pensò qualche istante a quanto accaduto poche ore prima e preso da un momento di imbarazzo, raccolse la prima rivista che gli capitò a tiro e la aprì davanti a sè, immergendovi il viso in una lettura di copertura “Non l’abbiamo mai fatto prima perchè tu, le rare volte che lo fai, dormi sempre sul divano. Non ti ho mai vietato di venire a dormire con me.”
“No, John. Non abbiamo mai dormito assieme per non rischiare di offendere gli ultimi rimasugli della tua eterosessualità.” sibilò Sherlock, tingendo il tono con una velo d’ironia.
“Quella ormai è andata a farsi benedire, direi.”
“Cioè? Non ti piacciono più le donne?” Sherlock rimase basito.
“Non ho detto questo. Mi piacciono ancora le donne e continuano a non piacermi gli uomini.”
Sherlock stava già aprendo la bocca per protestare, ma John lo anticipò.
“Semplicemente, mi piaci tu.”
“Io sono un uomo.”
“Ovviamente, Sherlock.” e prim’ancora che l’altro potesse replicare, John riprese a parlare “Ma mentre l’idea di toccare qualsiasi altro uomo mi dà ribrezzo, l’idea di stare con te non mi disturba. Anzi.” alzò gli occhi sull’altro, riscoprendolo piacevolmente sorpreso.
“Un enorme passo avanti. Meglio tardi che mai.”
“Pensavo l’avessi capito, ormai.” John fece spallucce, prendendo tra le mani la tazza di caffè che aveva di fronte “Insomma, non so te, ma io non mi metto a baciare chiunque.”
“Ah, figurati io, è già tanto se bacio te.”
“Questa ti è uscita proprio male.”
“Hai capito cosa intendo, John.” si giustificò Sherlock, alzando gli occhi verso il soffitto “Quindi non ti darebbe fastidio ammetterlo in giro?”
“Che cosa?”
“Che abbiamo...” Sherlock inspirò profondamente “...una...” il piede incastrato dietro il polpaccio di John iniziò a ballare “...relazione?” riuscì a concludere dopo un lungo sospiro.
“Ah! Abbiamo finalmente un nome per questa cosa?” John sorrise, divertito dall’evidente sforzo comportato dal pronunciare quella parola.
“Non glissare John.” lo rimbeccò Sherlock “Lo ammetteresti in giro? A Lestrade, Mycroft, Mrs Hudson?”
“Non amo sbandierare le mie cose in giro, lo sai, non lo facevo prima con le donne e non inizierò ora.”
“Le tue relazioni.” lo corresse Sherlock “Non parlo di sbandierarlo. Semplicemente dirlo.”
“Sarebbe importante per te?” domandò John, capendo bene che quello sarebbe stato uno degli argomenti su cui Sherlock avrebbe insistito fino a che non avesse ottenuto quello che voleva.
“Capirebbero tutti che sei impegnato sentimentalmente.” Sherlock si esibì in un sorrisetto inquietante che palesava tutta la sua possessività “Che sei mio.” aggiunse “E quindi che non sei disponibile per nessun’altro.” concluse non senza una vena trionfale nel tono di voce.
“Geloso, Sherlock?” ridacchiò John.
“Quel che è giusto è giusto.” si giustificò Sherlock, ponendosi sulla difensiva “Non so come facevi con le donne, John, ma se hai una relazione con me, non puoi averla con nessun’altro.”
“Come se prima che avessimo una relazione, fossi potuto uscire veramente con qualcuno. Me le boicottavi tutte.”
“Ti salvavo dall’irreparabile, John. Non è colpa mia se te le sceglievi tutte noiose, oche e insopportabili.” Sherlock iniziò a sciorinare i numerosi difetti delle malcapitate ex di John per poi concludere in bellezza “Fortunatamente i tuoi gusti sono notevolmente migliorati.”
“Modestia a parte, eh?” rise, a metà tra la rassegnazione e il divertimento “Comunque non ho mai tradito nessuna delle mie ex, Sherlock. Non sono proprio il tipo che fa queste cose.” lo rassicurò John, che per tutta la durata della conversazione non aveva mai smesso di guardarlo “E lo stesso vale per te, caro compagno di relazione.” l’apostrofò maliziosamente il dottore.
“John, mi conosci, è già tanto se sto con te.”
“L’hai detto di nuovo, Sherlock.” sospirò pazientemente, per poi fare spallucce, sempre più rassegnato “Non si sa mai, meglio specificare.”
Sherlock lesse un qualcosa di sospeso nella mente di John, intuì anche il riferimento al quale si stava aggrappando e fu tentato di stuzzicarlo, ma la giornata era iniziata troppo bene per rischiare di rovinare l’umore di entrambi.
“Tornando alla questione del dormire assieme...”
“Mi piacerebbe dormire di nuovo insieme a te.” rispose John, anticipando Sherlock almeno per una volta.
“Interessante.” bisbigliò Sherlock mentre, dopo aver appoggiato il giornale sul tavolo, recuperò la fettina di pane “Quindi possiamo dormire insieme tutte le volte che voglio?”
“Certo. Non hai mica bisogno del mio permesso.” John arricciò le labbra, riportando lo sguardo sull’altro.
“Anche se dovesse venirmi sonno a metà notte?”
“Sì.”
“Anche se volessi semplicemente venire ad osservarti mentre dormi?”
“Anche se avessi solo bisogno di un abbraccio.” assicurò John.
Sherlock annuì con un mugolio soddisfatto, intento a leggere un articolo, leccandosi le dita quando ebbe finito la propria colazione “John?”
“Mh?”
“Sto davvero bene.” confessò il detective: non alzò lo sguardo, probabilmente imbarazzato, ma allungò una mano verso il dottore.
“Anche io, Sherlock.” John intrecciò le dita della mano con quelle dell’altro, coccolandolo con la dolcezza incontrollabile del proprio sguardo.
Quella domenica di giugno non poteva sicuramente cominciare meglio.

Qualche ora più tardi, John era seduto sul divano a guardare un film-documentario sulla guerra in Afghanistan, scuotendo più volte il capo, contrariato, commentando più o meno aspramente i reportage che accompagnavano le immagini televisive. Seduto affianco a lui, con la testa appoggiata sulla sua spalla ed un braccio intrecciato al suo, c’era un silente Sherlock che di tanto in tanto pescava una ciliegia da una bacinella posata sulle gambe di John.
Fu proprio il detective a rompere il silenzio “Non hai ancora messo a posto la divisa.” non era una domanda, ma una constatazione pura e semplice.
“Mh? Ah, no, è lì attaccata all’armadio, non dà fastidio a nessuno dove sta.” recuperò a sua volta una ciliegia, il cui nocciolo andò poi a buttare in un bicchiere inutilizzato, adibito in quel momento a raccoglitore della spazzatura.
“A me sì, a dire il vero.” dichiarò Sherlock, colui la cui roba era sparsa per tutto l’appartamento, i cui esperimenti che variavano dalle teste alle dita umane riempivano il frigorifero, i cui libri occupavano tutto lo spazio disponibile sulla libreria, i cui vestiti erano spesso in giro per casa o dentro la vasca da bagno.
“Come potrebbe darti fastidio la mia divisa, appesa sull’anta del mio armadio, nella mia camera da letto?” con la voce marcò volontariamente gli aggettivi possessivi presenti in quella frase.
“Ti fa pensare all’Afghanistan e ai tuoi adorati Mastini. Basta guardare indietro, John. Vivi il tuo presente.” Sherlock avrebbe voluto aggiungere che era lui il suo presente, che non doveva avere bisogno d’altro, ma preferì non scoprirsi troppo.
“Ti ricordo che l’Afghanistan mi ha aiutato a non impazzire per la tua finta morte.” dovette rispondere John: non che volesse rinfacciargli il dolore provato a causa sua, ma era la verità, l’unica risposta plausibile a quella domanda. Provò quindi a spostare l’attenzione ponendogli una domanda che pensò l’avrebbe fatto sorridere “Sei geloso dei Mastini, Sherlock?”
“Potrei.” Sherlock rispose in modo telegrafico, senza cambiare postura, senza rivolgere lo sguardo a John, nonostante il dottore avesse provato più volte a fargli sollevare il capo. Prese un’altra ciliegia, giocandoci coi denti, spellandola per gustarsi l’amaro della sottile buccia prima di dedicarsi al gusto dolce della polpa.
John rise mentre sceglieva la ciliegia più matura tra quelle rimaste “Ma dai. Sono dei fratelli per me. Anzi, Matt e Zach sono come dei figli. E vorrei che anche tu li trattassi bene, sappi che affiderei la mia vita nelle loro mani, tanto mi fido di loro.”
Ma mentre John sperava di riuscire a dire qualcosa che tranquillizzasse Sherlock, la reazione del detective a quelle parole fu oltremodo burbera: si scostò da lui, quindi gli prese il mento nella mano destra girandolo verso di sè con ben poca delicatezza, le sopracciglia inarcate rigidamente, lo sguardo severo.
“La tua vita nelle loro mani? Non dirlo neanche per scherzo.”
John sospirò di fronte alla reazione di Sherlock. Un tempo si sarebbe arrabbiato, ma in quel momento si rese conto del punto debole del detective: avendo da poco permesso alle emozioni di caratterizzarlo, non sapeva ancora controllarle e di conseguenza non riusciva a misurarne le conseguenti manifestazioni. Avrebbe dovuto, con molta pazienza, educarlo, o si sarebbe trovato al fianco l’incarnazione della gelosia unita al cervello più brillante del mondo, quindi chissà di cosa sarebbe stato capace. Tuttavia non avrebbe neanche potuto negare le proprie convinzioni, quindi avrebbe dovuto trovare un modo, ogni volta, per spiegargli come funzionava l’arcano mondo dei sentimenti.
“Non ti ho mai raccontato le mie missioni in Afghanistan, Sherlock, ma sappi che proprio loro due, una volta, mi hanno salvato la vita.” spostò la bacinella sul tavolino, alzandosi l’angolo destro della maglietta fino all’altezza del fegato, sopra il quale spiccava una vistosa cicatrice dai bordi irregolari “Non avrei più il fegato se non fosse stato per il loro coraggio.”
Sherlock lasciò il mento di John, posando la mano sulla cicatrice appena mostratagli dall’altro: non replicò a parole, impegnato a scendere dal divano fino ad inginocchiarsi davanti al dottore, il cui addome iniziò a scandagliare e analizzare.
“Si sono buttati addosso a quell’energumeno nonostante fossero molto più esili di lui riuscendo a spostarlo e a immobilizzarlo. E poi Zach mi ha prestato le prime cure mentre Matt, poverino, tremava perchè non sapeva come fare per aiutarmi. E allora ha cominciato a raccontarmi tutte le barzellette che conosceva: sono stati molto preziosi per me, Sherlock, vorrei che tu lo capissi.” John posò la mano sinistra sulla testa dell’altro, ma non riuscì a distoglierlo dal suo studio approfondito.
Il detective infatti, passò delicatamente le mani su ogni cicatrice, piccola o grande che fosse, deducendone via via la causa, l’arma utilizzata, riuscendo quasi a datarle approssimativamente.
“Sono stati importanti per me, Sherlock, tutti loro, mi hanno aiutato, mi hanno fatto sentire di nuovo vivo quando ero morto dentro. Mi hanno salvato e io ho salvato loro. E’ vero, per Matt e Zach provo un affetto particolare, ma non devi assolutamente preoccuparti. Insomma, li hai visti? Sono più innamorati di Biancaneve e del Principe Azzurro!” John si abbassò, posando un leggero bacio sulla fronte di Sherlock, che sembrò finalmente risvegliarsi da quella profonda analisi.
“Tutte queste ferite te le sei fatte negli ultimi tre anni, John, prima non le avevi.” Sherlock sospirò continuando a passare le proprie scheletriche dita sulle diverse cicatrici visibili, causando una leggera pelle d’oca al dottore.
John infatti rabbrividì riabbassando la maglietta, e lo fece per nascondere quelle cicatrici che lo deturpavano, ma non perchè se ne vergognasse, bensì per celarle a Sherlock e fare in modo che gli sparisse dal viso quell’espressione colpevole che lo feriva oltremodo.
“L’hai detto anche tu, è passato ormai.” John provò a catturare il viso di Sherlock tra le mani, ma fu fermato dall’altro che gli rialzò la maglia, tornando sulle sue cicatrici.
“Mi farò perdonare per ognuna di queste.”
“Non devi. Non sei stato tu a farmele. E poi sono fiero di ogni cicatrice.”
Ma Sherlock era ancora con lo sguardo fisso sull’addome di John, e sarebbe anche stata una situazione interessante se non fosse che il detective era più propenso a studiare l’anatomia del dottore in maniera professionale e non emotiva. John decise di stuzzicarlo, e sapeva esattamente come farlo.
“...tornando a parlare dei Mastini, un’altro a cui sono molto affezionato è David, un vero genio.”
Come previsto da John, Sherlock bloccò la propria ricerca alzando lo sguardo che assottigliò sul volto del dottore “Quello? Un genio? Ma per favore.” si alzò in piedi sbuffando sonoramente, andando a sbirciare dalla finestra “Solo perchè ha inventato quegli stupidi orologi non vuol dire che sia geniale.”
“Le sue conoscenze ci hanno salvato la vita più volte. E’ davvero in gamba.” continuò John ridacchiando sotto i baffi, quindi si alzò, raggiungendo lentamente Sherlock alle spalle.
“Pfff, in gamba. Quando l’ho trovato in quella grotta stava tremando come una foglia.”
“Eravamo sotto bombardamento, Sherlock! Ed è un ragazzo giovane, ci stava che avesse paura.”
“Tu non ne avevi.”
A John sembrò che Sherlock l’avesse detto con una punta di orgoglio: sorrise, quindi gli prese la mano nella propria, tirandolo per farsi seguire “Vieni, andiamo a mettere l’Afghanistan nell’armadio.”
Sherlock accompagnò John al piano di sopra, lasciandosi guidare dalla sua mano che era come sempre calda e confortante e gli veniva sempre naturale intrecciare le dita della sua con quella dell’altro in un legame fisico oltre che simbolico.
“Ah, e tra parentesi, ho fatto modificare a David il mio laptop, in caso riuscissi a scoprire la mia nuova password.” ridacchiò John mentre apriva la porta della propria stanza.
“Chi ti dice che non l’abbia già scoperta?” domandò Sherlock mentre prendeva anche l’altra mano di John nella propria, accostandosi alla sua schiena.
“Oh, credimi, lo so.” sorrise John, fermandosi di fronte alla propria divisa: per Sherlock fu facile poggiare il mento sopra la spalla del dottore data la differenza di statura.
“Mf, odio quel Mastino.”
“Lo odi perchè sai che, tra tutti gli altri, è quello che ti somiglia di più.”
“Non mi somiglia.”
“Un pochino.”
“Io sono meglio.”
John rise, strusciando la guancia su quella del detective “Non hai motivo di essere geloso. Prima di mettere la divisa a posto... guarda nel taschino.”
Sherlock non se lo fece ripetere e, mosso da innata curiosità, lasciò una delle mani di John, alzandola verso il taschino indicatogli dall’altro: estrasse la foto, ormai logora, che li ritraeva, la foto che John aveva sempre portato con sè ad ogni missione. Sherlock liberò completamente John dalla sua stretta, prendendo poi la foto con entrambe le mani, sfiorando i volti con i polpastrelli, annusando il recondito odore di sangue, la sottile percezione della sabbia, il sapore dei ricordi.
“Ti ho sempre portato con me. Nel cuore.” John non amava essere melenso, non a parole quanto meno, ma quelle gli uscirono spontanee in quella circostanza.
“Curioso.” sorrise Sherlock ripiegando con cura la foto e rimettendola a posto, nel taschino della divisa.
“Cosa è curioso?”
“Anche io avevo delle foto di te, negli anni in cui non ci siamo visti.”
“E ora dove sono?”
“Non ha importanza. Ora sei qui, in carne ed ossa.” bisbigliò Sherlock, per poi prendere la mano sinistra di John e posarla sopra la gruccia che teneva ordinatamente la divisa: una chiara richiesta che non poteva essere rimandata oltremodo.
John acconsentì alla richiesta, riponendo con cura la divisa nell’armadio, passando la mano sopra il taschino prima di richiudere le ante: quindi si voltò verso Sherlock, e quasi non fece in tempo a farlo perchè il detective si era già abbassato raggiungendo le labbra del dottore, allacciandogli le braccia in vita per salvarlo dalla foga con cui l’aveva derubato del respiro. Lo spinse sul letto dove l’avrebbe consumato di baci: sapeva di ciliegia, ed era, letteralmente, buono.
   
 
Leggi le 13 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: ermete