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Autore: U N Owen    23/05/2012    3 recensioni
Una brevissima storia allegorica che rappresenta una riflessione sulla vita. Le influenze sono chiare, Pirandello in primis per alcune simbologie e tematiche, seppure in questo contesto si giunga a conclusioni più negative, più caratteristiche del pensiero leopardiano, ad esempio, o montaliano, da cui mi sono ispirato per lo stile allegorico, anche se ovviamente non è in poesia!
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Com’è bello il Carnevale!” pensò Charlotte. Dagli occhi della sua maschera vedeva i colori sgargianti, la gente che rideva, ballava e scherzava. C’erano maschere di tutti i tipi e la ragazza si aggirava tra questo caleidoscopio di colori, rumori e persone. Tutti erano gentili con lei, ridevano, le offrivano da bere, ma lei non riusciva a capire chi fossero, non riusciva a riconoscere nessuno.
Poi, a un certo punto, tornò quella sensazione, fastidiosa, pungente, che la perseguitava da tempo.
La sua mente cercava di parlarle, di comunicarle qualcosa, ma lei non voleva ascoltare, voleva solo che quella voce smettesse di sibilarle nell’orecchio. Ogni volta la zittiva, la ignorava, ma era sempre più difficile, e aveva frequenti mal di testa. Ma questa volta non smetteva, e cominciò a sentirsi stanca e accaldata, quindi decise di cercare un bagno. Lo trovò e si sedette, si risciacquò il volto, alzò lo sguardo.
E vide.
Comprese, finalmente, che cosa cercava di comunicarsi, ma era inutile ormai. Guardò nello specchio e vide, se stessa. Vide Charlotte imprigionata in quell’involucro, vide i suoi occhi pieni di paura e di tristezza, vide quella maschera, allegra e ridente, preparatale appositamente da genitori, parenti, amici. Quando le avevano regalato quel vestito, per Carnevale, era pronto, ma avevano continuato tutti a tesserci sopra, e ormai quel travestimento la stava soffocando, logorandola sempre di più. Quindi decise di toglierselo, anche se ormai le si era attaccato addosso, le cuciture si erano unite alla sua pelle, e la maschera stava appropriandosi delle sue espressioni.
In quello specchio vide molte cose. Vide delle ombre, incatenate e mosse da burattinai senza volto, vide le persone, rinchiuse in gabbie, con degli specchi in mano.
Decise allora di andarsene da quel luogo, senza sapere nemmeno quanto vi fosse rimasta, e uscì. Nulla era mutato, tutti danzavano, bevevano, e cantavano. Ma non appena la vedevano, tutto cessava, tutto si ingrigiva e tutti la guardavano, con rabbia, e la deridevano, la umiliavano. Charlotte si sentì sola e minacciata, tutti la indicavano, nessuno le rivolgeva più la parola.
In quel momento capì, che quello era l’unico modo di sopravvivere al Carnevale, che quello non era Carnevale, ma era Halloween, un’eterna festa dei morti che errano sulla Terra, la popolano, vuoti ed effimeri contenitori vaganti; capì, infine, e si rimise il travestimento.
In quel momento, uno specchio si infranse, e da allora fu il silenzio.
  
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