Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
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Autore: Evazick    23/05/2012    1 recensioni
Voleva urlare, spalancare la bocca per prendere aria, ma non ce la faceva. Li sentì raggiungere i suoi occhi e entrare nella sua testa, attraversare la sua pelle come se fosse aria per raggiungere le parti più nascoste di sé stessa, e lei rimase completamente immobile, paralizzata e senza poter far nulla per fermare quell’incubo. La parte peggiore, pensò quando divenne cieca e non riuscì più a sentire il crepitio dell’incendio, era sapere che nessuno l’avrebbe salvata.
Da qualche parte in lontananza, un corvo gracchiò.

*
Inghilterra, 1889. Pomeriggio del 13 aprile. In un bosco poco fuori Londra, una ragazza si risveglia. Non ricorda nulla di se stessa, e l’unica cosa che ha con sè è la collana che porta al collo. Vagando in cerca di un indizio sulla sua identità si rifugerà in una villa signorile, dove verrà accolta da uno spaventoso maggiordomo e da un ragazzo sfuggente e arrogante. La ragazza non sa di essere finita all’interno di una trappola tesa da un pericoloso e demoniaco ragno, e si ritroverà inconsapevolmente a far parte di un gioco che metterà in pericolo la sua stessa vita.  
Genere: Introspettivo, Mistero, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alois Trancy, Claude Faustas, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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XVI. Messaggio (non proprio) in bottiglia.


 

 
Sono passati due giorni dalla festa qui alla villa ma, per quanto strano possa suonare, non vedo Alois da quella sera.
No, aspettate – chiunque mi stia ascoltando o leggendo questi miei appunti in futuro – mi sono espressa male. Non posso certo non averlo visto, dato che ogni volta che non ha nulla da fare corre a cercarmi e mi trascina da qualche parte. Il problema è proprio questo: sembra che in quarantotto ore si sia riempito di impegni, appuntamenti e lezioni pomeridiane che non può saltare per nessun motivo; gli unici momenti in cui ci vediamo sono i pasti, e perfino in quel poco tempo che passiamo insieme siamo sotto gli occhi di qualcuno, soprattutto Claude. Specialmente Claude. Non dovrei trarre conclusioni affrettate visto che tra noi due non corre affatto buon sangue, ma ho l’impressione che questo improvviso affollamento di impegni e questa stretta sorveglianza siano dei tentativi ben riusciti di impedirmi di essere da sola con Alois. Sa che non mi limiterei a parlare con lui delle solite cose, no, sa che alla prima occasione gli parlerei di quello che ho visto la notte della festa, quando sono scappata via dalla biblioteca. Per certi versi la sua preoccupazione è comprensibile, ma per me non lo è.
Ricordo molto vagamente quello che ho visto, in realtà. Forse il mio cervello ha voluto cancellare tutto per via dello shock – come deve aver fatto più di tre settimane fa – ma ci sono delle cose che non potrò mai scordare. Parte di quello che si sono detti. I simboli sulle loro mani. I loro occhi. La strana sensazione che mi perseguita come una tempesta pronta a scoppiare. No, non è il paragone giusto: la tempesta è già scoppiata, quello che avverto è un uragano pronto a travolgerci tutti, me compresa. Non avrei dovuto essere in quel corridoio quella sera, non avrei dovuto vedere quello che ho visto, non avrei dovuto, non avrei dovuto. Se continuassi così alla fine non avrei mai dovuto trovare rifugio in questa villa ma, per quanto possa cercare di immaginare un passato diverso, sento che alla fine mi sarei ritrovata comunque qui. Per altre strade, in altri modi, forse, ma pur sempre qui, intrappolata nella stessa ragnatela che mi ha salvata, come quella che talvolta vedo nei miei incubi.
Comunque, divagazioni a parte. Una delle poche cose che riesco a ricordare senza fare sforzi è “Alois Trancy diventerà il nuovo termine della vendetta di Ciel Phantomhive”. È una frase che riesce a farmi venire i brividi solo scrivendola nero su bianco e leggendola. Ho capito alcune cose, ma altre totalmente nuove mi sfuggono del tutto: vendetta contro chi? Contro cosa? Perché c’è bisogno di un nuovo termine? Chi o cosa sono in realtà Claude e quel Sebastian Michaelis? Una parte di me l’ha già capito, ma l’altra si rifiuta totalmente di accettarlo, non lo ritiene possibile. Ma deve, altrimenti non riuscirà mai a spiegarsi l’atmosfera che riempie questa villa, il simbolo sulla lingua di Alois e il suo rapporto con Claude. Deve accettare quello che sembra menzogna per trovare la verità.
Devo trovare il modo di parlare con Alois. Devo dirgli tutto quello che ho visto, tutto quello che ho sentito, il modo in cui sento che succederà qualcosa che lo travolgerà e lo colpirà come mai prima d’ora. E soprattutto, devo dirgli che non si deve fidare di Claude. Mai. Non m’importa se penserà che sono impazzita, deve aprire gli occhi e credermi, deve vedere quella rosa nera che il suo maggiordomo porta all’occhiello da due giorni. Deve vedere e capire tutto questo, dovessi spalancargli gli occhi a forza.
Non so se qualcuno leggerà mai questo quaderno o se lo stia leggendo già adesso nei momenti in cui la mia stanza e vuota, ma non m’importa. Ho già preso la mia decisione. Cercherò un modo per dire ad Alois che voglio parlargli il prima possibile. La cosa che temo di più è che qualcuno mi scopra e vada a dirlo a Claude, ma devo mettere le mie paure da parte e farmi coraggio, non mi farò fermare da nessuno. Ho un debito nei confronti di chi mi ha salvato la vita, e questo è il momento giusto per saldarlo. Spero solo che questa non sia l’ultima volta che scriverò su questo quaderno, ma qualcosa, forse l’istinto, mi dice che per ora tutto andrà bene. In futuro, chi può dirlo.
Alois, se tu stai leggendo queste parole mentre io sono da qualche altra parte, ti prego, ascoltami. Non sto delirando, sto solo cercando di
Claude non è quello che sembra, lui

Io ti
 
Lena guardò sbigottita le ultime due parole che aveva scritto, come se non riuscisse a credere che fosse stata lei a scriverle, come se qualcuno o qualcosa si fosse impossessato della sua mano per forzarla a tracciare quelle quattro semplici lettere separate da uno spazio. Le osservò ancora un attimo ad occhi sgranati, poi vi tracciò sopra l’ennesima linea. Ci pensò su e poi iniziò a cancellarle del tutto come aveva fatto con il simbolo disegnato nella pagina accanto, chiudendo infine il quaderno senza aspettare che l’inchiostro si asciugasse. Nascose il diario nel suo nascondiglio sotto il materasso e si voltò verso la finestra, lasciando che il sole le inondasse la faccia mentre pensava: erano appena le dieci di mattina e non sarebbero venuti a cercarla prima dell’una, quindi aveva tre ore libere per far sì che Alois ricevesse il suo messaggio. Essere libera non significava essere indisturbata, però: doveva essere il più discreta possibile se non voleva farsi scoprire da qualcuno, il che al momento si trovava all’ultimo posto nella lista delle sue priorità. Aveva paura, ma doveva farlo.
Si concesse un bel respiro profondo prima di iniziare a slacciarsi e togliersi gli stivali, rimanendo a piedi nudi per fare meno rumore. Sorrise amara quando sentì il tappeto ruvido sotto i suoi piedi, e le ritornarono in mente i ricordi dei suoi primi giorni alla villa, quando anche il più piccolo passo le infilzava dei chiodi nella pelle, e di quella lunga notte passata a correre fino a farsi sanguinare i piedi. Si riscosse dai suoi pensieri e afferrò la strisciolina di carta che sporgeva dal bordo del quaderno. Rilesse un’ultima volta quello che aveva scritto, poi ripiegò il messaggio in quattro e lo nascose nel pugno nel modo più naturale possibile. Mentre si alzava in piedi e si dirigeva verso la porta si disse ancora una volta che era l’idea più stupida che potesse venirle in mente, che l’avrebbero scoperta in breve tempo, ma lasciò perdere le voci che le affollavano la testa e spalancò la porta, ritrovandosi nel corridoio vuoto e silenzioso. Uscì dalla stanza e si chiuse la porta alle spalle in silenzio con il respiro che le si era fatto più affannato, come se avesse un peso sopra i polmoni che le impediva di respirare nel modo giusto. Si costrinse a calmarsi e si diresse a passi lenti verso la camera di Alois, quasi in fondo al corridoio.
Quando spalancò la porta si aspettava che qualcuno sbucasse fuori dal nulla per coglierla sul fatto, ma nessuno si fece vivo e niente ruppe il silenzio che la circondava. Non sapeva se sentirsi al sicuro o meno, ma ormai era fatta, non poteva tornare indietro. Entrò nella stanza e si chiuse la porta alle spalle, senza mai smettere di guardarsi intorno e pensare a dove poter nascondere il suo minuscolo messaggio. Sotto il cuscino? Troppo ovvio. Nel cassetto del comodino? Avrebbe potuto rimanere lì per anni.
Incastrarlo in uno degli intagli delle colonne del baldacchino?
Ma seriamente, Lena?
Sospirò, d’accordo di malavoglia con la vocina che aveva sovrastato tutte le altre. Non c’era alcun posto in cui poteva nascondere quel maledetto foglietto, tutti erano troppo in vista o troppo nascosti, non c’era nessuna via di mezzo. È stata un’idea stupida, ammise mentre lanciava un’ultima occhiata alla stanza prima di andarsene. Quando si voltò verso la porta, però, vide un lampo blu scuro con la coda dell’occhio e si voltò in quella direzione, incuriosita, ritrovandosi davanti agli occhi un cubo di stoffa blu che doveva contenere qualche gioiello, probabilmente l’anello che Alois portava sempre. Un’idea si fece strada nella sua mente e, con un sorriso accennato, si avvicinò al comodino e osservò meglio la scatola da più angolazioni, finchè non trovò quella che le serviva. Afferrò il cubo lentamente e lo sollevò di pochi centimetri, quel tanto che le bastava per posare il suo messaggio sul comodino, poi mise la scatola al suo posto lasciando sporgere solo un minuscolo triangolino bianco del foglietto, visibile solamente da una persona sdraiata o seduta sul bordo del letto. Non sapeva se Alois sarebbe riuscito a trattenersi dallo scoprire cosa fosse quella punta bianca finchè non fosse rimasto da solo, ma non poteva fare altro che sperare e confidare nella propria fortuna. Uscì dalla camera e ritornò nella sua in silenzio, sospirando di sollievo non appena ebbe chiuso la porta. Si lasciò crollare sul letto sulla schiena e con le braccia spalancate come se avesse fatto un enorme sforzo, e in un certo senso si sentiva davvero così stanca. Chiuse gli occhi per cercare di rilassarsi e calmarsi, ma una voce le sussurrò all’orecchio che col suo messaggio aveva solamente innescato qualcos altro; non le disse cosa, ma Lena immaginava che sarebbe stata solo questione di tempo prima di vedere un risultato.
 

***

 
Nel corso della giornata la temperatura si abbassò sempre di più finchè, con l’arrivo della sera, l’aria si fece talmente fredda da costringere la servitù ad accendere di nuovo i camini, nonostante fossero i primi giorni di maggio. Lena non aveva mai visto un vero fuoco, se si escludeva l’incendio che la perseguitava nei suoi incubi, e rimase così ipnotizzata dal modo in cui si muoveva e disegnava figure al suo interno che, durante la cena, Alois dovette riportarla alla realtà con un paio di pizzicotti. Completamente persa in altri pensieri, si voltò verso di lui con la speranza che volesse dirle in qualche modo che aveva ricevuto il suo messaggio, ma nel suo sguardo stanco non c’era traccia di quel segreto che avrebbero dovuto condividere. Delusa, si scusò a voce bassa e tornò a concentrarsi sul piatto davanti a lei, chiedendosi perché ci mettesse tanto a farle un cenno, dirle qualcosa che soltanto lei poteva capire e che le facesse intendere che il ragazzo voleva sentire quello che aveva da dirgli.
Il tempo volò e l’ora di arrivare a letto arrivò più presto di quanto Lena si aspettasse: in un battito di ciglia era di nuovo in camera sua, con addosso la camicia da notte e il fuoco acceso nel camino di nuovo in funzione dopo anni di inattività. Si rigirò un paio di volte nel letto, incapace di prendere sonno e chiedendosi perché Alois non le avesse detto niente, poi, vinta dalla disperazione, uscì da sotto le coperte e si diresse verso il bagno, più per il bisogno di fare una passeggiata e sfogare la sua ansia che per altro. Alla fine tutto quello che fece fu solamente gettarsi dell’acqua fredda sul volto, sperando di non svegliarsi completamente per poi passare una notte insonne. Diede un’ultima occhiata al suo riflesso consumato dall’attesa e tornò indietro sui suoi passi, notando solo a metà del tragitto che aveva lasciato la porta della sua stanza spalancata. Scrollò le spalle per liquidare quel dettaglio, ma, non appena si ritrovò sulla soglia della porta, il sangue le si gelò nelle vene, senza darle la possibilità di liquidare la vista di Claude inginocchiato davanti al fuoco.
Non pensò neppure per un istante di trovarsi in un sogno: sudava per il calore delle fiamme e i brividi che le scendevano lungo la schiena erano troppo reali per poter essere una mera replica onirica. Il primo pensiero che le attraversò la testa fu che l’uomo fosse entrato per leggere il suo quaderno e scoprire i suoi progetti, ma l’istinto le disse che si sbagliava, che lui si trovava nella sua stanza per un altro motivo. Afferrò la pietra blu della collana con una mano e la strinse forte nel suo pugno per impedirsi di urlare e svegliare il resto della villa.
Il maggiordomo terminò quello che stava facendo e rivolse un’ultima occhiata all’interno del camino prima di alzarsi in piedi e voltarsi impassibile verso la ragazza, come se avesse sempre saputo che lei era lì e lo stava osservando. “Ero venuto a controllare che ci fosse abbastanza legna per stanotte. Scusatemi per essere entrato nella vostra camera all’improvviso, vi lascio al vostro riposo. Buonanotte, signorina.”
“Buonanotte,” mormorò lei in risposta cercando di controllare il tremito nella sua voce. Fece un passo avanti, titubante, e Claude le passò accanto per uscire dalla camera, chiudendo poi la porta alle spalle di Lena. Lei rimase ferma finchè non sentì i suoi passi sparire, poi allentò la sua presa sulla collana, osservando distaccata le dita rosse e indolenzite per la forza che aveva usato. Lanciò un’occhiata al fuoco nel camino: non ne era più attratta, ora tra quelle fiamme vedeva solo stelle a cinque punte e occhi diabolici che non smettevano di fissarla. Si avvicinò al fuoco senza nemmeno sapere quello che stava cercando al suo interno, se qualcosa c’era. No, doveva esserci qualcosa, non credeva che Claude si fosse scomodato soltanto per un po’ di legna, almeno, non in quella situazione. Si inginocchiò davanti alla bocca del camino con la testa protesa verso le fiamme, quasi in stato di trance, ed ebbe un sussulto quando vide una strisciolina bianca adagiata con cura sopra un ciocco di legno in mezzo al fuoco. Riuscì appena a leggere nella sua stessa calligrafia le parole stanotte e parlarti prima che la carta si annerisse, si accartocciasse e tornasse cenere.
Se se lo aspettasse? Sì.
Ma vederlo davanti ai propri occhi? Tutta un’altra cosa.
 

***

 
Lena rimase sveglia buona parte della notte, mentre i suoi pensieri le vorticavano nella testa a velocità incredibile, uno dietro l’altro in un fiume continuo e inarrestabile. Il fuoco non riusciva a scaldare il freddo che sentiva nelle sue vene, e le ombre che le fiamme proiettavano sulle tende aperte e sulle pareti sembravano creature uscite dai suoi incubi. Non c’era niente che riuscisse a calmarla, nessun ricordo felice che potesse aiutarla ad addormentarsi. Claude aveva scoperto il suo misero tentativo, e poteva stare certa che non avrebbe mai più avuto occasioni di stare da sola con sé stessa. Sarebbe stata sorvegliata in continuazione senza nemmeno il tempo per respirare, e sapeva che la situazione sarebbe peggiorata finchè le mura della villa non le sarebbero andate strette come quelle di una prigione costringendola a fuggire via. Al diavolo le minacce di Andrè, c’era qualcosa peggiore da cui doveva fuggire. Però…
Non poteva lasciare Alois da solo. Non poteva abbandonarlo nel mezzo della tempesta dopo tutto quello che aveva fatto per lei. Doveva convincerlo che le cose stavano per peggiorare, che niente era a suo favore e nessuno dalla sua parte, che la cosa migliore era fuggire e andarsene. Ci pensò su, poi scosse la testa sconsolata: no, non l’avrebbe mai fatto, non avrebbe mai lasciato la sua casa e tantomeno Claude. Aveva solo una vaga idea del rapporto tra i due, ma quel poco le bastava per rendersi conto che il ragazzo si fidava ciecamente del suo maggiordomo e che gli avrebbe affidato la sua stessa vita come aveva fatto con la sua anima. Non ci sarebbe stato modo di convincerlo a scappare, e se lui fosse rimasto allora sarebbe rimasta anche lei. Avrebbe provato ad arginare la situazione dall’interno, anche se una smemorata come lei poteva fare ben poco contro qualunque cosa fosse in realtà il maggiordomo. Ma Alois l’aveva salvata, la sua vita gli apparteneva, e aveva un debito nei suoi confronti troppo grande per non essere saldato. Così, mentre un corvo fuori dalla finestra gracchiava, Lena prese la sua decisione.
Due colpi leggeri alla porta la fecero sobbalzare e mettere a sedere di scatto sul letto col cuore in gola. La porta si aprì lentamente e la ragazza si aspettò di trovarsi davanti da un momento all’altro Claude, ma al suo posto apparvero due familiari occhi azzurri e una massa di capelli biondi spettinati dal cuscino. Lo guardò confusa e mormorò con voce impastata: “Alois, cosa stai…”
Lui si portò un dito alla bocca per dirle di fare silenzio e le fece cenno di raggiungerlo. Lena fece come le era stato detto e per un attimo pensò che il ragazzo ce l’avesse fatta a leggere il suo messaggio prima che Claude lo trovasse, ma quando fece per chiederglielo lui le tappò la bocca con una mano, le afferrò un polso e la trascinò lungo il corridoio, cercando di fare meno rumore possibile. Scesero al pianterreno e uscirono dalla villa per una porta di servizio, la stessa da cui era scappato Ciel Phantomhive un paio di sere prima. La ragazza continuò a rimanere in silenzio mentre Alois entrava in un boschetto poco lontano e la conduceva in un punto in cui gli alberi erano meno fitti e l’erba più spessa. Lasciò andare il suo polso solo in quel momento e si sdraiò sul prato con un tonfo, facendole poi segno di sdraiarsi accanto a lui. Rimasero immobili a fissare il cielo in silenzio per lunghi minuti, due fantasmi distesi su un prato, poi Lena gli chiese, cercando di nascondere la speranza nella sua voce: “Perché sei venuto a cercarmi a quest’ora di notte?”
Lui fece spallucce. “Sai, a volte questo posto mi sta stretto. Mi sento soffocare tra quelle mura, come se fossi in prigione. Troppi ricordi, capisci?, troppe cose che voglio dimenticare e che invece ogni singolo angolo di questa villa mi riporta in mente.” Sospirò. “Vorrei vedere il mondo, conoscere altri posti, ma a questo punto credo che morirò tra queste quattro mura senza alcuna via di fuga.”
La sua speranza cadde come un castello di carte, ma le parole che uscirono dalla bocca di Alois la spaventarono più di ogni altra cosa. Quel pensiero era rimasto nascosto nella sua mente a lungo e finalmente era riuscito a uscire allo scoperto: lui non sarebbe mai uscito vivo da quella tempesta, ne sarebbe stato travolto e schiacciato. Non era solo un pensiero, era una certezza tremendamente reale. Cancellò dalla sua mente tutto quello che aveva voluto dirgli, spiegargli, e passò alla domanda che vagava nella sua testa da quella sera. “Se tu potessi andartene da qui, lo faresti davvero?”
Ci fu un attimo di silenzio, poi lui sussurrò in tono spezzato: “Vorrei, ma non posso.”
Ma tu puoi! urlò Lena dentro di sé, ma sapeva che stava solo mentendo. Per colpa del simbolo che portava sulla lingua non avrebbe mai potuto essere libero, Claude lo avrebbe ritrovato dovunque, perfino nel nascondiglio più perfetto e invisibile che potesse esistere. Cercò spontaneamente la mano del ragazzo e gli disse: “Ti prometto che quando me ne andrò via di qui verrai anche tu con me.”
Un silenzio pesante cadde tra di loro, e sembrò che fossero passate ore prima che Alois le chiedesse, incredulo: “Cosa?”
Un sorriso le illuminò la faccia. “Sì, verrai anche tu! Ce ne andremo da qui, vedremo altri posti, saremo…”
“Non questo.” La sua voce era glaciale, e la sua stretta sulla mano di lei si strinse. “L’altra cosa che hai detto.”
Lena deglutì, impaurita. “Quando… me ne andrò da qui.”
Ci fu un altro minuto di silenzio, poi il ragazzo si alzò di scatto a sedere e trascinò Lena con sé, afferrandole la faccia con le mani e costringendola a guardarlo nei suoi occhi azzurri, dove brillava di nuovo quella scintilla spaventosa di follia. “Tu andrai via?” le chiese come se avesse capito male.
“M-Ma solo quando avrò recuperato i miei ricordi, non prima, altrimenti non saprei dove andare.” Cercò di farlo ragionare. “Alois, capiscimi. Devo andare a cercare la mia famiglia.”
No, non puoi!” Le sue urla erano un misto di rabbia e paura, e la ragazza ebbe ancora una volta paura che lui potesse farle del male quando vide una scintilla familiare brillare in quell’azzurro. “Tu non puoi andartene, Lena! Tu mi appartieni, sono io che ti ho salvata, la tua vita è mia, devi rimanere con me! E non recupererai mai più i tuoi ricordi, non ricorderai mai più niente di te stessa così come a me non è stata data questa possibilità, capisci? È una maledizione a cui siamo legati a doppio filo!” Prese fiato per un attimo, poi mormorò a voce bassa: “Non puoi abbandonarmi anche te, Lena.”
Sbarrò gli occhi mentre altre tessere dell’enigma tornavano al loro posto. Allungò una mano per sfiorare la guancia di Alois, ma lui si tirò indietro a quel contatto e, con tutta la rabbia di cui era capace, strappò via la benda dalla sua guancia e la lasciò cadere sul prato, mettendo in bella mostra la sua lunga cicatrice. Lena rimase interdetta, come se non riuscisse a credere che lui avesse svelato il suo segreto ancora una volta, e rabbrividì quando il ragazzo percorse per l’ennesima volta la sua ferita con il dito tremante. “Perché tu, Lena? Perché non io?” le chiese con la voce spezzata. Una lacrima gli corse lungo la guancia, ma prima che la ragazza potesse asciugargliela o consolarlo era già scappato via, verso la villa. Lena lo guardò allontanarsi mentre capiva.
Sì, adesso capiva. Capiva cosa significava lo sguardo che le aveva lanciato il primo giorno che si erano conosciuti, capiva cosa c’era dietro ai suoi comportamenti sadici, ai suoi pizzicotti, alla domanda che le aveva rivolto giorni prima e che le aveva fatto nuovamente e a cui lei non sapeva dare una risposta.
C’era un solo sentimento che Alois provava nei suoi confronti in quel momento, e forse era sempre stato così.
 
Invidia.


















Stasera sarò breve (è tardi, è tardiiii D:). Ho scritto questo capitolo abbastanza in fretta, se trovate qualche errore sappiate che è per la stanchezza. La parte finale non è venuta come mi aspettavo, ma vabbè.
E un'ultima cosa: PREPARATEVI AL PROSSIMO CAPITOLO.
MadLucy: mannaggia, alla fine mi hai scoperta! *si toglie le lenti a contatto colorate e lo smalto nero* Non ti preoccupare per la tua recensione, nemmeno la mia risposta è granchè. Questi ultimi giorni mi uccideranno ._____. (Libertà, dove sei? ç____ç)

xoxo
Eva
  
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