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Autore: HarleyQ_91    24/05/2012    1 recensioni
Vivien si avvicinò al dipinto e sollevò la candela per illuminarlo meglio.
Avevano tutti un’espressione così seria i conti Turner, persino la piccola Alyssa, che avrà avuto circa cinque anni, non sembrava godere di quella gioia e spensieratezza tipica della sua età.
E poi c’era lui, quel giovanotto che non era riuscita ad osservare bene qualche ora prima. Ora, col mozzicone di candela a qualche centimetro dalla tela, fece luce sul suo volto, illuminandone anche i più piccoli particolari.
Il conte Aaron Turner.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vi ho fatto aspettare parecchio e me ne dispiace da morire!!!
Ho passato un periodo un po' frenetico e, ahimé, credo che purtroppo ne stia per arrivare un altro.
La prossima settimana parto, perciò non so quanto potrò scrivere, anche se comunque mi porto il mio fidato pc sempre dietro!^^
Beh, non mi dilungo oltre, buona lettura!^^


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Capitolo 11
- Amico Mio -

 
  Arrestato il Marchese Simon Ronchester e condannato al patibolo
per alto tradimento della Corona e congiura contro Sua Maestà Carlo I.
L'esecuzione avverrà domenica a mezzogiorno nella Piazza di St. Michelle.

 
  Vivien stava osservando quel manifesto da circa dieci minuti ininterrotti e non riusciva a capacitarsi di quanto ci fosse scritto sopra. Aveva gli occhi sgranati, increduli, la bocca aperta e le mani leggermente tremanti mentre reggevano il cestino col quale quella mattina si era presentata al mercato.
  Ad ogni parola che rileggeva, la consapevolezza di ciò che stava accadendo cresceva sempre più in lei e la schiacciava.
  Il marchese era stato arrestato, e poi sarebbe morto.
  Non una possibilità di difesa.
  Non l'ombra di un processo.
  Il re stava eliminando tutto ciò che contrastava i suoi piani.
  E ora toccava ai Mercenari.
  Vivien si portò una mano al petto, quasi per rallentare il cuore che aveva preso a battere troppo forte. Agitazione, paura, tutto le scoppiò in quell'istante.
  Se le guardie reali erano arrivate a Sam, che cosa avrebbe impedito loro di risalire anche a lui?
  Per quanto non ci fosse nessun manifesto che ne parlava, la ragazza sentiva come un pericolo incombere, e si faceva sempre più pesante, vicino, reale.
  Decise finalmente di staccare gli occhi da quel pezzo di carta attaccato al muro e prendere un profondo respiro. Doveva calmarsi, tutta quella agitazione non l'avrebbe portata a nulla.
  Il conte era scaltro, era certa che avrebbe trovato il modo di sfuggire alle guardie, così come se l'era cavata con Hummer e i tre suoi scagnozzi.
  Però se Sam avesse parlato?
  Se fosse stato un altro Mercenario probabilmente non avrebbe saputo nemmeno della presenza del conte nell'organizzazione, ma Sam conosceva l'identità di tutti.
  Se prima dell'esecuzione l'avessero torturato e costretto a parlare – magari promettendogli la vita in cambio – avrebbe tradito i suoi compagni?
  Vivien non conosceva il marchese, non sapeva dare una risposta a quella domanda. Sapeva solo che il conte Aaron si fidava di lui.
  Ora basta! Urlò nella sua testa. Questo non sapere nulla non fa altro che agitarmi!
  Risoluta allora strinse il manico del cestino tra le mani e si diresse verso casa. Clelia dormiva ancora, ma quella mattina sembrava tranquilla. La febbre non era scesa, ma almeno gli incubi erano cessati.
  La ragazza posò uno straccio umido sulla fronte dell'amica e le diede un bacio sulla guancia, dopodiché uscì e andò a prendere il cavallo con cui una settimana prima se ne era andata da Villa Turner.
  L'aveva chiamato Philip, come il cane che suo padre le aveva regalato quando era bambina.
  Non sapeva, a dire il vero, se quel destriero fosse un dono – il conte forse l'avrebbe voluto indietro una volta che lei fosse tornata – ma di sicuro in quel momento era la migliore cosa che potesse capitarle.
  Cavalcò veloce, uscendo dal paese e raggiungendo la base dell'altura su cui sorgeva la villa che negli ultimi mesi aveva ospitato i suoi servigi.
  Voglio solo vederlo. Si disse. Non serve che gli parli o che mi veda, voglio solo sapere che sta bene.
  Si avvicinò pian piano al muro di cinta, eludendo l'entrata principale. Sapeva che sul retro c'era l'entrata alla stalla, ma se si fosse fatta vedere, lo stalliere James sarebbe di certo andato dalla padrona a riferirlo.
  “Avete saputo niente”.
  Vivien si bloccò all'istante prima di svoltare l'angolo del muro e scese da cavallo. Non poteva essersi sbagliata, la voce che aveva sentito era del maggiordomo Hans.
  “No, purtroppo”.
  A rispondere invece era stato James, dal tono sembravano entrambi molto preoccupati.
  “In fondo sono solo due notti”. Continuò lo stalliere. “Il conte è stato fuori molto più a lungo in passato”.
  “Già, ma non in tempi come questi”. Ribatté Hans. “Non dopo l'arresto del marchese”.
  A Vivien gelò il sangue. Non solo aveva appreso che il conte Aaron non tornava alla villa da due notti, ma, da quanto aveva potuto capire, il maggiordomo e lo stalliere sapevano.
  “Forse dovremmo mandare qualcuno a cercarlo”. Avanzò James. “Se l'avessero preso, a quest'ora ci sarebbero stati manifesti per tutto il paese”.
  Hans stava per rispondere, quando Philip emise un nitrito che fece sobbalzare Vivien e tacere i due uomini.
  Maledizione!
  La ragazza provò a tornare sul cavallo e andarsene, ma non fece in tempo.
  “Che cosa... signorina Vivien, cosa ci fate qui?” Chiese Hans, tradendo per un millesimo di secondo la sua perenne compostezza.
  “Da quanto sei qui? Cosa hai sentito?” Esclamò invece con meno garbo lo stalliere, con i pugni ben stretti come se fosse pronto a fare a botte.
  La ragazza rimase immobile, presa da un'improvviso panico.
  Il conte era stato chiaro su quel punto, non doveva dire niente a nessuno, altrimenti – se gli altri Mercenari fossero venuti a sapere che lei sapeva – l'avrebbero cercata e messa a tacere.
  Non poteva dire ciò che realmente era venuta a fare alla villa, altrimenti era probabile che i due uomini davanti a lei la uccidessero.
  Doveva trovare il modo di andarsene, senza far capire che era venuta perché si preoccupava del conte.
  “Io... ecco...” Cominciò prendendo un bel respiro, la paura non doveva battere il suo sangue freddo. “Ero venuta a trovare la contessina. Sapete, mi manca molto”.
  Le sembrò la cosa più ovvia da dire, sperava solo che i due uomini se la bevessero.
  “E perché passi per la stalla?” Chiese scettico James, non abbassando i pugni.
  “Perché Philip ha bisogno di mangiare. In questi giorni ero così presa con la malattia della mia amica che non ho avuto molto tempo per occuparmi di lui”. Disse lei, sfoggiando un sorriso e accarezzando il muso del cavallo.
  I due uomini si guardarono circospetti tra loro, poi fu Hans a parlare.
  “Avete sentito qualcosa della nostra conversazione?”
  Vivien si strinse nelle spalle. “Solo che il conte è fuori da due notti”. Accompagnò la risposta con una piccola risatina. “Probabilmente sarà in qualche bordello a spendere soldi in donne e gioco d'azzardo. Come sempre, del resto”.
  La messa in scena doveva essere stata d'effetto, perché i due uomini sembrarono rilassarsi. James schiuse i pugni e si avvicinò a lei per prendere le briglie di Philip, mentre Hans le fece un leggero inchino e si congedò per rientrare in casa.
  “Se volete vedere la contessina, vi conviene ripassare”. Disse infine, prima di andarsene. “Lei e la contessa sono andate a pranzo dalla baronessa Gilbert”.
  Vivien annuì col capo e lo ringraziò.
  Sapeva che il conte non era a casa, che non ci tornava da due notti, ma non doveva per forza essergli successo qualcosa. Probabilmente era in missione, o magari davvero in qualche bordello.
  Doveva solo stare tranquilla.
  Era certa che al conte Aaron non sarebbe capitato niente.
 
  La fortezza di Bastion Hole si ergeva imponente e maestosa al chiarore della luna, sulla collina più alta appena fuori Landbburg.
  Il fossato ricco d'acqua intorno e il ponte levatoio in legno come unica entrata le davano ancora quell'aspetto da fortezza medievale che era stata utilizzata fino ad un secolo prima come luogo di vedetta per le milizie.
  Ora, invece, era una prigione.
  Tutti i condannati a morte passavano per Bastion Hole, prima di essere condotti al cospetto del re e giustiziati. Ed era lì, dunque, che stava il marchese Sam Ronchester.
  Aaron prese un bel respiro e si lanciò il mantello nero sulle spalle, essere confuso nella notte era l'unico modo per far sì che le tre guardie di vedetta poste all'ingresso principale non si accorgessero di lui.
  Almeno per il momento.
  Gli alberi coprivano la collina solo fino a metà strada, perciò per avvicinarsi alla fortezza aveva bisogno di un altro modo.
  Per tre giorni si era studiato quell'operazione, il modo di entrare, la possibile via di fuga e il tutto senza uccidere nessuno.
  Perché lei detesta gli assassini. Pensò automaticamente, sorridendo appena.
  Era la prima volta che si faceva degli scrupoli per qualcosa, e tutto a causa di una donna.
  Rilegò, tuttavia, quei pensieri in un angolo della mente – Vivien rischiava di essere una distrazione anche quando non c'era – e si concentrò sul da farsi.
  Aspettò nascosto finché una guardia non fosse abbastanza vicina, a quel punto si tolse il mantello nero e si infilò la pistola in uno stivale, la prudenza non era mai troppa.
  La divisa da guardia reale che indossava gli era stata donata da un compagno Mercenario che aveva prestato servizio militare al re, prima di convertirsi. Gli stava un po' stretta di spalle, in effetti, e non era proprio al meglio delle condizioni, ma non poteva lamentarsi.
  Prendendo un bel respiro il conte uscì di corsa dal suo nascondiglio, andando addosso alla guardia di fronte a lui e buttandola a terra.
  “Ehi, ma che...”
  “Oh, scusa!” Disse Aaron, alzandosi immediatamente e tendendo la mano al suo collega. “Stavo inseguendo un intruso e mi era sembrato stesse da questa parte”.
  La guardia lo guardò con attenzione e socchiuse gli occhi, come per identificarlo nel buio della notte. Tuttavia Aaron sapeva che le postazioni a Bastion Hole cambiavano in continuazione, quell'uomo non sarebbe mai riuscito a ricordarsi tutti.
  “Intruso, hai detto?” Esclamò scettica la guardia. “E dove l'hai visto?”
  “Venga con me, signore”. Fece strada il conte, conducendo l'altro uomo verso il retro del muro principale.
  Le altre due guardie di vedetta dovevano averli visti, perché cominciarono ad avvicinarsi incuriosite.
  Perfetto!
  “Tu chi sei?” Chiese ancora la guardia.
  “Soldato semplice Gold”. Rispose immediato il conte, si era preparato la commedia fin nei minimi dettagli. “È la prima volta che prendo servizio a Bastion Hole”.
  “Ah, ecco”. Esclamò poi la guardia, come se fosse sollevata. “Mi sembrava strano che non ti avessi mai visto”.
  Gli altri due intanto si erano avvicinati e avevano cominciato a chiedere cosa stesse succedendo. Aaron mostrò loro una parete del muro di cinta, circondata dal fossato pieno d'acqua e indicò verso l'alto.
  “Ero di ronda in questa parte della prigione”. Cominciò a dire. “E ho notato quel buco, vedete? Così mi sono insospettito”.
  “Io non vedo niente!” Esclamò uno dei quattro.
  In effetti non c'era niente, il buio non avrebbe permesso nemmeno di distinguere le fessure tra i mattoni.
  “Ma come? Eccolo lì”. Continuò Aaron. “L'ha fatto l'intruso con un piccone, stava provando a scalare le mura, ma io l'ho beccato”. Poi si mise dietro ai tre e li incitò a porsi di più per osservare meglio.
  Quelli obbedirono, così, approfittando di quell'attimo in cui non gli prestavano attenzione, tirò fuori la pistola e con il manico colpì il primo uomo sulla nuca.
  Come previsto, gli altri due si voltarono verso di lui, ma ebbero un attimo di esitazione – stupiti dall'accaduto – e non reagirono immediatamente.
  Quell'attimo fu abbastanza.
  Sempre col dorso della pistola colpì una guardia in pieno volto, mentre all'altra diede un calciò sulle ginocchia, facendolo cadere a terra.
  “Chi diavolo sei?” Urlò quest'ultima, cercando di prendere la pistola nella sua fondina, Aaron però gli pestò il braccio col piede, non permettendogli di muoversi.
  “Le domande le faccio io!” Si chinò su di lui, premendo forte il piede sul suo polso, e puntandogli la pistola alla fronte. “Dov'è la cella del marchese Ronchester?”
  “Sei un Mercenario... ah...” Il conte fece più pressione sul braccio. “Bastardi, che pensate di fare? Il re... vi giustizierà tutti”.
  “Non hai risposto alla mia domanda”. Aaron premette ancora di più col piede e alla guardia scappò un grido di dolore.
  “Pensi davvero... che te lo dica? Morirai... appena metterai piede... nella prigione”.
  Il conte sorrise. “Questo è da vedere”. Con un colpo secco lo colpì alla testa, mandandolo nel mondo dei sogni come aveva fatto con gli altri due prima di lui.
  La parte più rognosa era stata fatta, legò le tre guardie ad un albero, le imbavagliò e disarmò, dopodiché si diresse vero l'entrata di Bastion Hole.
  Adesso doveva solo trovare e liberare Sam.
  Man mano che saliva i piani della prigione, metteva fuori gioco le guardie di vedetta. Se non avesse avuto l'ansia di liberare il suo compagno, avrebbe trovato quella situazione quasi divertente.
  “Ehi, tu!” Lo richiamò la voce di un detenuto. Più di qualcuno si era svegliato. “Chi sei? Come... come hai fatto ad entrare?”
  Aaron lo osservò, era un uomo piuttosto grosso di corporatura, sulla cinquantina, e una cicatrice sull'occhio destro. Le rughe che gli solcavano il volto – forse troppe per l'età che aveva – davano l'impressione che fosse stato un uomo che ne aveva passate davvero tante.
  “Cerco il marchese Sam Ronchester, sai dov'è?” Chiese a sua volta Aaron, non rispondendo alla domanda che gli era stata posta.
  “Se mi liberi te lo mostro”.
  Il conte osservò l'uomo davanti  sé. Non sapeva se fidarsi e, a dire il vero, la sua mente gli urlava di non andarsi ad impelagare con altre complicazioni, eppure doveva trovare Sam, e doveva farlo in fretta.
  “Chi mi dice che posso fidarmi”.
  “Ti do la mia parola”. Esclamò l'uomo. “E la parola di Claud è sacra”.
  Aaron sospirò, dopodiché prese il mazzo di chiavi che la guardia stesa poco prima aveva attaccato alla cintura e aprì la cella del prigioniero.
  “Bene, Claud, fammi strada”.
  “Ehi, ehi, e quella?” Esclamò l'uomo, vedendosi la pistola puntata al petto.
  “Solo una precauzione, nel caso tu volessi fare il furbo”.
  “Ti ho dato la mia parola!” Rimarcò Claud.
  “E io ti do la mia che, se fai come ti ho chiesto, non ti sparerò”. 
  L'omone fece strada verso la fine del corridoio in pietra, dove altri detenuti chiedevano di essere liberati, ma Aaron non li ascoltava. Di certo non era entrato a Bastion Hole con l'intento di far evadere tutti i prigionieri e anche Cloud, una volta liberato il marchese, lo avrebbe messo fuori gioco.
  I soffitti si facevano sempre più alti, man mano che scendevano le scale a chiocciola che portavano verso quelle che un tempo erano le segrete della fortezza. Era lì che venivano messi i traditori della Corona poiché, non essendoci né porte né finestre, era impossibile uscire.
  A meno che, naturalmente, qualcuno non spianasse la via principale.
  Nei sotterranei c'era un silenzio angosciante, solo ogni tanto lo squittio dei topi lo rompeva. Le celle erano poche, chiuse da porte in legno massiccio con un'unica finestrella con sbarre in ferro come apertura, e la maggior parte erano vuote.
  I traditori della Corona non venivano lasciati in gattabuia per molto, di solito venivano giustiziati a una settimana dal loro arresto, perciò le segrete di Bastion Hole non dovevano mai aver subìto un sovraffollamento.
  “Dovrebbe stare in una di queste”. Disse Cloude, avvicinandosi ad ogni cella con la fiaccola che aveva staccato dal muro appena finite di scendere le scale.
  “Perché non c'è nessuna guardia?” Chiese Aaron circospetto, la cosa non prometteva niente di buono.
  “Probabilmente le hai già messe fuori gioco tutte, hai uno stile niente male”.
  “Grazie, ma risparmiati pure i complimenti”. Lo zittì il conte. “Abbiamo altro da fare”.
  “A-Aaron, sei tu?”
  Una voce partì dall'ultima cella del corridoio e il conte si mise a correre, riconoscendola all'istante.
  “Sam, finalmente!” Esclamò, affacciandosi alla finestrella della porta. “Ora ti tiro fuori”.
  “Che cosa?” Ribatté il marchese. “Abbiamo già fatto questo discorso, non intendo fuggire, lo sai”.
  Aaron contrasse la mascella, sapeva quanto Sam fosse cocciuto, ma credeva che, vedendo avvicinarsi il momento della fine, si sarebbe ammorbidito. Evidentemente era un uomo più tenace di quanto mai avesse creduto.
  “Non ti lascerò morire, Sam, non senza aver prima tentato il tutto per tutto”.
  Con agitazione prese il mazzo di chiavi che aveva utilizzato per aprire la cella a Cloud e ne provò una per una nella serratura.
  Il prigioniero scosse la testa e strinse i pugni attorno alle sbarre in ferro della piccola finestra. L'unico spiraglio che aveva per vedere il conte in volto.
  “Ho sempre rimproverato la tua irresponsabilità”. Disse in tono duro. “Ti avevo dato ordini precisi e, invece, hai preferito fare di testa tua. Scommetto che hai anche letto la lettera che ti ho consegnato”.
  “Certo che l'ho letta”. Esclamò l'altro, alzando la testa solo un secondo, dopodiché tornò a combattere con le chiavi e la serratura. “E per questo sono qui, tu non morirai, Sam!”
  “Io sono già condannato”. Il tono autoritario del marchese di poco prima lasciò spazio ad uno rassegnato, quasi sereno, e ciò fece innervosire ancora di più il conte.
  Un rumore di stivali e voci arrabbiate si sentì provenire dal piano superiore. Qualcuno doveva aver chiamato rinforzi e, se non si fossero sbrigati a risalire, il conte e gli altri sarebbero rimasti bloccati nelle segrete.
  “Che aspetti? Scappa, idiota!” Lo rimproverò il marchese, ma Aaron non si dava per vinto, stava ancora cercando la chiave giusta.
  “Ehi, stanno scendendo!” Tuonò Cloud, che nel frattempo era rimasto di vedetta ai piedi delle scale.
  Il conte allora lasciò perdere il mazzo di chiavi e prese la pistola.
  “Stai indietro, Sam!” Urlò, poi puntò la canna verso la serratura e sparò un colpo secco.
  La porta si era spaccata e con un calcio la buttò giù.
  Ce l'ho fatta!
  Il marchese però non sembrava condividere tutto il suo entusiasmo. Lo spinse infatti fuori dalla cella, non permettendogli di entrare.
  “Smettila di fare il moccioso e cresci, Aaron!” Lo aggredì. “Io non verrò con te e devi accettarlo. Ci sono cose che non puoi cambiare, che non puoi comandare, mettitelo in testa una buona volta”.
  “Ma io...”
  “Ho fatto la mia scelta, adesso vattene!”
  Le guardie irruppero nelle segrete, gridando imprecazioni e bestemmie. Claud provò a tenerle occupate, ma Aaron sapeva bene che non avrebbe resistito a lungo. Per quanto grosso, era comunque un prigioniero mal nutrito e le guardie saranno state una decina. Doveva andare a dargli una mano.
  Lanciò un'ultima occhiata al marchese Ronchester, sperando fino all'ultimo che si decidesse a seguirlo, ma per tutta risposta Sam si allontanò dall'uscio della cella ed andò a sedersi sulla brandina.
  Doveva davvero andare così?
  Era davvero finita?
  “Qui servirebbe una mano!” Gridò Claud dal fondo del corridoio.
  Aaron prese un respiro profondo e corse da lui.
  Non si voltò più, non ne aveva la forza, eppure era convinto di aver sentito il marchese parlare. Forse era stata la sua immaginazione, il desiderio di sentirglielo dire, ma gli sembrò che Sam – per la prima volta da quando lo conosceva – gli avesse rivolto quell'epiteto che mai credeva potesse uscire dalla sua bocca.
  “Addio, amico mio”.

******

Come ho già detto, non so darvi un'idea precisa di quando pubblicherò il prossimo capitolo.
Ho già cominciato a scriverlo, ma ho ancora un po' di idee da riordinare...
spero mi venga al più presto un'illuminazione!^^
Beh, aspetto con ansia le vostre opinioni!
Un bacione,

*HarleyQ_91*

 

  
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