If happy ever after did exist...
Ecco l’ennesima litigata, ormai da un po’ di tempo era l’unica cosa che succedeva a casa mia. I miei genitori discutevano persino per cose stupide, come decidere chi dovesse buttare la spazzatura. Si sentivano urla, voci che cercavano di sovrastarsi: il caos. Mia madre incolpava mio padre di non esserci abbastanza; mio padre, invece, la accusava di essere una madre ossessiva.Mentre in salotto le discussioni andavano avanti, io ero seduta alla scrivania, avevo il mento appoggiato sulle braccia conserte e gli occhi chiusi. Immaginavo di trovarmi in una stanza vuota nella quale regnava il silenzio; ne sentivo davvero la mancanza. Cercavo di non fare caso ai rumori che mi circondavano, volevo eclissarli dalla mia mente. Finalmente i miei genitori finirono di gridarsi contro e le mie orecchie non poterono che essergliene grate.
Andai in camera mia, presi da sotto il cuscino il pigiama, infilai le pantofole e mi diressi in bagno. Avevo bisogno di una bella doccia calda, riusciva ad eliminare ogni mia tensione; infatti stetti sotto il getto d’acqua bollente per una buona mezz’ora. Uscita dalla doccia indossai il pigiama e tornai in camera per addormentarmi profondamente.
La mattina mi svegliai con “Paradise” dei Coldplay; adoravo quella canzone, mi tranquillizzava. Dopo aver fatto colazione, mi vestii, lavai i denti, pettinai i miei soliti capelli arruffati e mi truccai leggermente per coprire i brufoli che vivevano sulla mia faccia.
Con un urlo avvertii i miei genitori che sarei scesa ed entrambi mi augurarono una buona giornata; in fondo erano davvero dolci quando non litigavano. Presi lo zaino in spalla, chiusi la porta e mi diressi verso la stazione ferroviaria che, come tutte le mattine, mi avrebbe portata a scuola. Durante il tragitto ero solita ascoltare musica; la canzone di quella mattina era “Bastava” di Laura Pausini, ultimamente mi piacevano le sue canzoni, nonostante non fosse una delle mie cantanti preferite.
La distanza da casa mia alla stazione non era tanta, ci impiegavo circa 5 minuti e infatti arrivavo sempre quando le campane, che ci avvertivano del treno, suonavano. Come al solito la mia migliore amica Camilla era lì ad aspettarmi impaziente, perché temeva sempre di perdere il treno.
<< Scema vedi che se non ti sbrighi lo perdiamo sul serio questa volta >> disse afferrandomi per il braccio e trascinandomi verso il binario 1.
<< Buon giorno anche te >> le risposi sorridendo.
Entrammo in treno, ci sedemmo, appoggiai la testa al vetro del finestrone e guardai fuori lo scorrere delle campagne circostanti. Anche Camilla si era accorta della mia tristezza, più volte aveva cercato di saperne di più, ma io non le avevo mai detto il vero motivo di quel mio stato d’animo. Nonostante a casa cercassi di fare l’indifferente, quei litigi tra i miei genitori mi scalfivano sempre di più e mi rattristavano.
<< Si può sapere che hai? Non sei più sorridente come quella di un tempo …>> mi chiese cercando il mio sguardo.
<< Sono sempre la stessa Giorgia >> le dissi non guardandola. Per mentirle era l’unico modo, altrimenti dai miei occhi avrebbe capito tutto.
Dopo aver percorso la strada per arrivare a scuola, entrammo in classe e ci sistemammo aspettando la professoressa. La mia classe era formata da 25 ragazzi, ce ne erano per tutti i gusti: da quelli imbranati a quelli che si sentivano onnipotenti. Io? Beh, forse con Camilla e pochi altri appartenevo alla fascia della “normalità”, per quanto questa possa essere tale.
La professoressa entrò al suono della campanella, prese il registro di classe e fece l’appello. Con lei avevamo le prime due ore di “Promessi Sposi”. Quel maledetto romanzo ci assillava quasi tutti giorni della settimana: noi l’odiavamo e lei l’adorava. Molto probabilmente se la scuola non avesse previsto le ore di storia e geografia, quel romanzo sarebbe diventato il nostro pane quotidiano. Era davvero un’immagine raccapricciante. Fortunatamente quella tortura finì e allo stesso modo anche il resto della giornata scolastica.
Arrivata a casa trovai mamma in cucina intenta a preparare il pranzo. Proprio quando avevo finito di spogliarmi si riaprì la porta ed entrò mio fratello Riccardo. Era un ragazzo di diciotto anni, castano e con gli occhi verdi; aveva appena finito il liceo scientifico e adesso stava facendo dei test per entrare a medicina: diventare medico era sempre stato il suo sogno, aiutare il prossimo lo faceva sentire bene.
Forse era proprio per questo che mamma lo preferiva a me: uno perché era il primo figlio maschio, secondo perché era un ragazzo che adorava studiare e dava molte più soddisfazioni scolastiche ai miei rispetto a me. In effetti io e lui potevamo davvero considerarci due opposti: lui il ragazzo serio, con la testa sulle spalle, che aveva già programmato il suo futuro; io, invece, ero ancora bambina, nonostante avessi sedici anni, pensavo più al presente che al mio futuro, non che a scuola andassi male, certo come dicono i professori ‘può fare di più’, però non davo problemi ai miei. Era questo che mia madre non sopportava di me, mentre mio padre mi adorava come io adoravo lui, eravamo un’anima sola in due corpi. La nostra intesa si rafforzò quando avevo dieci anni: da allora incominciai ad avere dei contrasti con mia madre e lui era sempre pronto a farmi sorridere e ritornare la bambina gioiosa di sempre.
Dopo pranzo mentre mamma rassettava, io e mio fratello ci sedemmo alle rispettive scrivanie e incominciammo a studiare.
La scuola che frequentavo era il liceo classico, sempre sotto il consiglio di mia madre, anche perché se avessi fatto lo scientifico sarei stata bocciata il primo anno; la matematica ed io non avevamo un bel rapporto. Di fare il linguistico nemmeno per idea; ‘il liceo classico ti apre più porte per il futuro, il linguistico ti pone dei limiti’ era sempre quello che mi ripeteva mia madre.
Per evitare ulteriori discussioni scelsi il classico e non me ne pentii, anzi mi piaceva. Terminai di studiare alle 19.00 e per distrarmi un po’ accesi il televisore e mi lasciai cadere sul divano; mentre guardavo la televisione, mio fratello sgobbava sui libri. Prima di fare la doccia gli portai una mela verde già sbucciata: stava seduto a quella scrivania da quasi cinque ore e non aveva toccato cibo.
Fatta la doccia aspettai i miei rincasare e nel frattempo apparecchiai; poco dopo la porta si aprì e i miei entrarono. Mamma non impiegò molto a cucinare e per le 21.00 eravamo tutti e quattro seduti a tavola. Stranamente non stavano litigando, anzi sembravano davvero calmi e la cosa non quadrava tanto.
<< Ragazzi devo dirvi una cosa >> disse papà posando la forchetta. Tutti e tre lo guardammo incuriositi.
<< La banca ha indetto un meeting a Biella e quindi starò via per tre giorni >>.
Lo guardai con espressione triste: mi dispiaceva non vederlo per tre giorni, sapevo già che mi sarebbe mancato. Ecco perché non avevano litigato quella sera, entrambi erano contenti per quella notizia; lo dicevo che la cosa era strana.
Aiutata mamma a sparecchiare andai a dormire; domani sarebbe stata una giornata davvero pesante e avevo bisogno di riposarmi.
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Salve sono Lilo, la mia fanfiction parla del mio incontro con Liam Payne e del nostro rapporto ( tutto inventato ovviamente ) ;) E' probabile che nei primi capitoli vi possa sembrare noioso e non incentrato sull'argomento, ma vi posso assicurare che non è così! Ho pensato di descrivere bene la situazione della protagonista e di aprire così il sentiero alla storia che presenterà Liam e il resto della band più in là, verso il capitolo 8 :) In poche parole ho pensato di scrivere questo e i capitoli a seguire com calma, immedesimandomi al 100% nella storia che voglio raccontarvi e che spero vi piaccia! :) Vi invito pertanto a proseguire nella lettura e a non fermarvi all'apparenza :D