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Autore: Arisu95    24/05/2012    1 recensioni
Romano ed Antonio si sono lasciati bruscamente, mentre Feliciano sembra vivere un sogno.
... Ma la disperazione di Romano, porterà presto disordine anche nella vita del fratello, fino a stravolgere la sua vita sentimentale e quella di altre persone.
- Il Rating potrebbe alzarsi ad Arancione;
- Alcune coppie sono destinate a sciogliersi;
- Alcuni personaggi muoiono;
- Presenti coppie sia Hinted che Crack;
- Presenti scene sia romantiche che di sesso;
- Le scene di sesso non sono molto esplicite e tendono ad essere tagliate.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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NOTE. Rieccomi con il settimo capitolo ... Perdonate l'attesa, ma il mio pc continua a darmi problemi, e in più é un periodo duro anche con la scuola ... Non vedo l'ora che inizino le vacanze! DX
Comunque, non mi piace molto com'è venuto questo capitolo. Lo trovo un po' noioso ... Forse é anche colpa del mio umore ultimamente, che non é dei migliori ... Spero di rifarmi con l'ottavo =/
E spero, comunque, di non annoiarvi troppo ... Buona lettura! ^^; ♥

___________________________________________________________________________________________________ ~ Capitolo 7.





Tutto era avvolto nel silenzio.
La luce pallida penetrava appena dalla finestra, lanciando spiragli di vita nella stanza.
Gli occhi di Feliciano erano mezzi chiusi.
Se ne stava immobile e pensoso, quasi a domandarsi se fosse effettivamente vivo.

Cos'era successo ...?
E dov'era ...?
Aveva ricordi confusi, in merito.

Ricordava di aver fatto un brutto sogno, e di essersi precipitato, spaventato, da Francis ...
Un momento.
Quella era la casa di suo cugino, vero ...?
E perché era lì?
Perché mai non era a casa sua, nel suo - anzi - nel loro letto?
Loro ... Suo e di Gil.

Non appena la sua mente volò verso l'immagine dell'albino, sentì una stretta al cuore, ed il suo intero corpo tremò di dolore.
Emise un lieve gemito, e ancora non riusciva a realizzare il perché.
Cos'era successo ...?
Quella storia con Romano ... Era stata tutta un incubo, vero?
Allora perché, perché mai ora si trovava solo, senza alcune braccia attorno a lui, e senza dolci parole d'amore a svegliarlo ...?

"Oé! Reveille-toi!"



Quella voce ruppe improvvisamente il silenzio, ferendo i timpani assopiti dell'italiano, che istintivamente chiuse gli occhi e si raggomitolò ancora di più nel suo giaciglio, mentre sentiva il francese tirare le tende delle finestre, e sempre più luce entrare nella stanza, irradiandola da ogni parte.

Non udendo risposta, Francis si abbassò al suo livello, inginocchiandosi e sorridendogli paternamente, passandogli una mano sulla testa.
Infondo, forse era meglio lasciarlo dormire, il più possibile.

"Feli ... Io esco un attimo. Torno tra poco ... Hai capito? Ti ho lasciato qualcosa da mangiare sul tavolo, nel caso avessi fame ..."

"..." - Feliciano emise un lieve suono, come a confermare, senza muovere un solo muscolo.

Il francese si rialzò, scuotendo la testa e salutandolo un'ultima volta, prima di chiudere la porta di casa dietro di lui.
Sapeva bene che Feliciano avrebbe riposato ancora per un'ora o due.
Aveva sempre amato dormire, del resto!

Anche quando erano piccoli, e l'italiano andava a trovarlo in Francia, la situazione era la stessa.
Francis usciva presto di casa, a giocare sul prato fresco ed umido di rugiada del mattino, a raccogliere e lanciare sassi ed ammirare le nuvole bianche formarsi pian piano sul manto azzurro del cielo.
Faceva in tempo a fare un'abbondante colazione sul grande tavolo del salone al piano terra, uscire in giardino a giocare e pensare, rientrare e fare un salto nella grande biblioteca della sua famiglia, scegliere un libro di favole e tornare nella camera da letto.
Feliciano era sempre lì, ancora assopito, e Francis lo svegliava eccitato, impaziente di parlargli del libro che aveva scelto, di fargli assaporare la colazione al piano di sotto e di giocare con lui.
Intanto, si facevano sempre le undici, e la mattina era già da buttare, passata in solitudine a lanciare sassi e snocciolare pensieri in preda alla monotonia e l'attesa.

"... Ce ne hai messo di tempo!" - Commentò Arthur, vedendolo uscire dal portone del palazzo.

"Però, Rosbif! Cosa sono questi modi da spia segreta, ultimamente?" - Scherzò il francese, intravedendo le sue iridi color smeraldo dietro agli occhiali scuri, che splendevano al sole.

"... E' tutta colpa tua e di quello che c'é su in casa!" - Protestò, fingendo di sistemarsi gli occhiali da sole sul naso, per nascondere il lieve rossore delle gote.

"Non te l'ho chiesto io, di giocare all'agente segreto! Coraggio signor Kirkland, vinciamo la paura da palcoscenico, o no ...?" - Lo stuzzicò ancora.

"Basta con queste sciocchezze! Insomma, andiamo?"

"Oui. Ma giusto un salto in centro a prendere quello che serve, non voglio lasciare Feli da solo per troppo tempo..."

"Macchina?"

"... Mon amour, se andiamo a piedi passiamo più tempo insieme, non?"

"Ma non volevi tornare a casa in fretta ?!" - Protestò l'inglese arrossendo.

"... Allora infondo del mio cuginetto ti interessa qualcosa ..."

"Cosa c'entra! Lo dicevo per te! Jerk!"

"Lo so, lo so ... Allora, facciamo macchina."

"..." - Arthur non rispose, ma proseguì verso il parcheggio.

Gli sarebbe piaciuto passare più tempo con Francis ed andare a piedi, ma ...
Il francese voleva fare in fretta.
E, camminando per strada, tutti li avrebbero visti.
Avrebbero visto che erano insieme, che erano fidanzati, e chissà a quali altre cose avrebbero pensato.
L'auto era molto meglio ...
Già entrare nei negozi era una tortura, mentre si sforzava di comportarsi come se fosse stato un parente di Francis.
Ed infondo, quanto ne poteva sapere, lui, dei rapporti che intercorrevano tra parenti?

Stupido.
Stupido lui, e stupida la sua vita.
Se non fosse stato per Francis, suo veleno e sua cura, avrebbe forse voluto rinascere, azzerare tutto e ripartire da capo.

"Sembri silenzioso stamattina, dopotutto." - Commentò il francese, staccando per un attimo gli occhi dalla strada e dal volante.

"...!" - Arthur ebbe un lieve sussulto, e si ostinò a guardare fuori dal finestrino, annoiato. - "Uhm ... Cosa dovrei dire?"

"Dormito bene stanotte?"

"... Per un attimo ho pensato di dovermene restare impalato dietro la tenda fino a stamattina!" - Sbuffò l'inglese. - "Che al tuo cuginetto non venga più in mente di saltarti nel letto in piena notte!"

"Forse non lo avrebbe fatto, se avesse saputo che una persona dorme al mio fianco, da qualche mese a questa parte ..." - Lo incitò Francis.

Doveva dirlo.
Doveva farsi avanti, prima o poi.
Non potevano vivere tutta la loro vita così!
Ad Arthur non faceva certo bene.
E Francis non era abituato a tenere nascoste certe cose ... Lo trovava davvero insensato.

"... Non cercare di convincermi, perché tanto non cambierò idea!" - Si affrettò a controbattere il londinese. - "Piuttosto, hai almeno una vaga idea di quanto abbia ancora intenzione di rimanere?"

"Ad essere sincero, non saprei ... E' una persona piuttosto fragile, dopotutto, non so quanto tempo ci metterà a riprendersi del tutto ... Forse se trovasse qualcun altro sarebbe più semplice." - Spiegò il francese - "... D'altra parte, conoscendolo, cercherà di andarsene in fretta, per paura di disturbare ... Insomma, per lui la mia vita é rimasta invariata ..."

"Almeno il buon senso di farsi riguardi a rimanere in casa degli altri ..." - Borbottò infastidito Arthur, appoggiando i piedi sul cruscotto dell'auto.

"Togli i piedi da lì!" - Lo sgridò. - "E comunque, non é 'casa degli altri', é casa mia ... E dal momento che sono suo cugino, ed amico, ho il dovere ed il piacere di aiutarlo nei momenti di difficoltà!"

"... Sì, sì ... Siamo arrivati." - Concluse l'inglese, facendo cenno all'altro di posteggiare.

Proprio non riusciva a comprendere quel legame così forte tra Francis e suo cugino.
Come si può amare una persona in quel modo?
Come si può amare una persona senza il desiderio di condividere la tua vita con lei, in tutto e per tutto?
Come si può provare amore per qualcuno, senza la voglia di baciarlo fino a togliergli il fiato, farlo tuo e farti possedere da lui, fino a fondersi in un unico corpo ed un'unica anima?

Un momento.
Era davvero questo, il tipo di sentimento che lo legava a Francis?
Arthur voleva davvero questo?
Era davvero quello che desiderava, ogni volta che i suoi occhi color smeraldo si perdevano nelle iridi marine dell'altro ...?
L'inglese scosse la testa.
Pensare a queste cose gli faceva venire malditesta, oltre a farlo sentire strano.
Il suo cuore prendeva a battere più forte, e mentre nel corpo sentiva calore, la pelle prendeva ad irrigidirsi in una morsa di gelo.

"... Mi dia anche una confezione di caffé, grazie."

Arthur alzò lo sguardo verso Francis, mentre parlava al commesso.
Era davvero spensierato ...
Avrebbe tanto voluto essere come lui.
Mentre l'inglese, fissando il pavimento, covava in segreto una vergogna infondata, temendo gli sguardi ostili di perfetti sconosciuti, il francese camminava a testa alta, parlando e scherzando con tutti.
Quelli che per Arthur erano problemi esistenziali, motivo di insonnia ed emicrania, parevano non sfiorare minimamente i pensieri di Francis.
Per lui sembrava tutto tremendamente normale.

Invece no, non era normale.
Non era per niente normale.
Perché dovunque volgesse lo sguardo, vedeva uomini e donne baciarsi.
Perché da un uomo e da una donna era nato.
Perché fin da piccolo aveva creduto che quella fosse l'unica forma di amore esistente.
Aveva conosciuto, là in Inghilterra, ragazzi come lui.
Aveva visto alcuni prendersi gioco di loro, solo perché si amavano, e non nutrivano interesse - com'era normale che fosse, dicevano - per le ragazze.
Da allora, si era interrogato spesso su questi argomenti.
Tenendo segretamente nascosti i suoi desideri e le sue pulsioni, gettandosi volontariamente in una vita vuota lontano da tutti.
Solo perché sentiva di portare un grosso fardello sulle spalle.
Solo per paura di essere insultato a sua volta.
Solo con sé stesso.
Lui, lo scrigno dei suoi scomodi segreti, e nessun altro.



"Gilbert! Smettila!" - Gridò Romano, sorridendo e fuggendo dal tedesco con fare giocoso.

"Adesso ti prendo!" - Rispose l'altro, caricando la pistola ad acqua ed inseguendolo.

Le cime degli alberi carichi di foglie verdi e forti contrastavano con l'azzurro del cielo terso ed estivo.
Le ombre scure si posavano stanche sul muretto bianco che abbracciava e proteggeva la villa, come un piccolo angolo di Paradiso.
Romano e Gilbert correvano nell'immenso giardino, ridendo e giocando.
Sullo sfondo, una grossa piscina piena d'acqua fresca.
Ci passavano davanti, ricaricando le pistole e schizzandosi d'acqua, rinfrescando la pelle accaldata.

Posando lo sguardo a terra, l'italiano s'accorse di essere a piedi nudi, e il prato era disseminato qua e là di pomodori maturi, molli e marci.
Più giocava e rideva con Gil, più calpestava quei pomodori immondi, sporcandosi i piedi nudi di rosso, della loro polpa, rossa e succosa, come sangue rappreso.
E più li schiacciava, più il petto gli si riempiva di gioia, eliminando la rabbia e la tristezza, fino a non ricordare più da dove gli fossero derivate.

Ad un certo punto, tra i cespugli pungenti carichi di more mature, intravide Feliciano.
Il suo volto era avvolto nella tristezza, nudo e pallido, mentre cercava di nascondere il corpo con un pezzo di stoffa troppo piccolo per occultare la pelle lattea sporca e graffiata.
Sembrava così vicino a lui ... Eppure, sopra la testa del fratellino, il cielo pareva più grigio che mai, il prato era assente, rimpiazziato da terra dura e fredda, con qualche ciuffo di malerba scura qua e là.

Più Romano rideva, più giocava con Gilbert, più i suoi piedi si macchiavano di quella polpa rossa e appassita, facendo crescere la gioia nel suo corpo, più il volto di Feliciano si chiudeva in una smorfia di dolore e sofferenza, mentre la sua pelle si sporcava di terra e di fango, e i cespugli lo ferivano in modo più profondo.

"Feli!" - Fece in tempo ad esclamare sorpreso, come a chiamarlo, prima di essere avvolto dalle braccia forti dell'albino, al quale, pur osservando il fratellino, non aveva alcuna intenzione di sottrarsi.


Romano si svegliò di soprassalto.
Si passò una mano sulla fronte, respirando a pieni polmoni e fissando il soffitto.

Era mattina, vero ...?
Si ritrovò vestito, sul letto, così come ci si era sdraiato la sera prima.
A quanto pareva, doveva essersi addormentato ...
Il suo stomaco brontolò, sebbene l'idea di mangiare gli facesse venire la nausea.

Il suo sogno gli passò nuovamente davanti agli occhi, veloce come un treno, lasciandolo con un leggero malditesta.
Se Feliciano si sentiva così ...
Era colpa sua.
Sua, e di Antonio.
Soprattutto di Antonio.
Sì! Era colpa sua!

... O, forse, Romano aveva molta più colpa di quanto si ostinasse a credere.
Infondo, quello che, la sera prima, aveva provocato Gilbert, era stato lui, non certo lo spagnolo.
Era stato lui, a gettarsi tra le sue braccia, a baciarlo, a spingerlo sul divano e a stuzzicarlo fino a rendere per entrambi impossibile tornare indietro.

Specialmente per Gil.
Sapeva qualcosa della sua vita precedente, disordinata e allo sbaraglio, dopotutto.
Sapeva che, per quanto avesse amato Feliciano, prima o poi ci sarebbe cascato.

Era il motivo per cui, fino a quel momento, ci era andato piano, tanto dal rendere impossibile capire i suoi veri sentimenti.
Non voleva assolutamente compromettere la storia di suo fratello.

Ma i giorni passati tra bottiglie di alcool e pacchetti di sigarette, arrabbiato e disperato per la perdita di Antonio (perché sì, dopotutto, sbagliato o meno, cio' che Romano aveva fatto era ancora colpa dello spagnolo!), si erano fatti sentire, impossessandosi della sua mente e del suo corpo, facendolo agire secondo quei suoi repressi desideri e quelle agognate fantasie.

A questo pensava, mentre fissava il caffé scuro nella tazzina, soffiandoci sopra, per poi berlo tutto d'un sorso.
Si asciugò le labbra passandoci sopra un polso, gettando la tazza nel lavandino. Mise in bocca un biscotto, nella speranza d placare la nausea.

Vagò inquieto, lasciando scorrere la mano sul tavolo e tra le sedie, fino a raggiungere il salotto.
Come trasportato nel passato, mentre camminava, gli arrivarono al cervello, dritti e taglienti come pugnali, ricordi spezzati della sera prima.
Vedeva Feliciano, in lacrime, mentre guardava in direzione del divano.
Guardava le bottiglie di alcool sul tavolo, che - a dire il vero - giacevano ancora lì, mute e impassibili, mentre poco più avanti, seguendo lo sguardo del fratello, vide sé stesso, e Gil.
Altre memorie tornarono alla luce, e mentre Feliciano se ne stava pietrificato, lui e l'albino facevano l'amore.
Romano lo baciava, lo abbracciava, lo mordeva, pretendendo ed elemosinando dolore e piacere, dopo il doloroso colpo infertogli da Antonio, più masochista ed affamato che mai.
Gilbert, come una preda rassegnata nelle mani del suo predatore, ormai lo assecondava in ogni sua mossa, mentre la figura di Feliciano, affranta, svaniva dietro la porta ormai chiusa, e gli stessi amanti prendevano a sbiadire, fino a rivelare di nuovo il presente.

Avvicinandosi al divano, Romano vide qualcosa luccicare tra i cuscini.
Vi infilò la mano, avvertendo qualcosa di duro e freddo, per poi estrarla nuovamente, con l'oggetto incriminato.
Era un ciondolo: una croce di ferro nera e splendente, infilata in un cordino di stoffa scura.

Quella collana ... Non era forse quella che Gil portava sempre al collo?
Il ragazzo raramente se ne separava ...
Doveva averla dimenticata lì, dopo aver discusso con Romano ed averlo lasciato solo.
Avrebbe dovuto chiamarlo ... Chiamarlo e restituirgliela.

Era il caso ...?
O avrebbe dovuto aspettare la sua chiamata?
Al pensiero di rivedere il tedesco, il cuore gli batteva più forte che mai, e per un attimo il dolore di Feliciano non gli passò nemmeno per la testa.
La sera precedente era stata un vero disastro, forse la cazzata più grossa che avesse mai combinato ...
Ma, allo stesso tempo, solo ripensare a quei momenti, con Gilbert e nessun altro, lo emozionava.

Rimase con la collana tra le mani, vagando di nuovo per le stanze e decidendo di prendere una boccata d'aria sul balcone.
Aria, aveva bisogno di respirare e non pensarci per un po'.


Spinto dai lamenti del suo stomaco, Feliciano decise, finalmente, di alzarsi.
Si stirò, sbadigliando ed asciugandosi qualche lacrima dagli occhi, iniziando a guardarsi attorno.
Prima che la sua mente potesse volare verso qualsiasi triste pensiero, un profumo lo guidò fino al tavolo del salotto.

"Veeeeh!" - Esclamò estasiato, notando la tavola imbandita, ed un biglietto.

Bonjour, Feli!
Ho pensato di prepararti qualcosa da mangiare per colazione, se ti va.
Se ne hai bisogno, usa pure la cucina come preferisci.
Bon appétit!

~ Francis
.


Una grande tazza piena di latte riposava davanti all'italiano, contornata da biscotti, brioches e marmellate, il tutto adagiato sopra una tovaglietta di stoffa, sulla quale, in un lembo, era ricamata una piccola torre Eiffel, contornata di fiori rosa, gialli e blu.

Feliciano sorrise stanco.
Lo stomaco gli brontolava, eppure non sentiva particolarmente il bisogno di mangiare.
Bevve appena un sorso di latte, per poi mettere tra i denti un biscotto, giocherellando con il cucchiaio.

Ma chi voleva prendere in giro ...?
Fingeva di agire come se non fosse accaduto niente, ma, per quanto una parte di sé se ne volesse convincere, l'altra non abbandonava mai i ricordi della sera precedente.
Si era avvinghiato ad essi, e mentre mangiava, ogni biscotto, ogni brioche, ogni cosa lo faceva pensare a Gilbert.

Al suo Gil ...
Come aveva potuto fargli questo?!
E non solo lui ... Anche suo fratello!
Perché?
Perché, proprio le persone che amava, avevano fatto in modo di farsi odiare da lui?
Proprio mentre cercava di consolare le ferite di Romano, questi già si stava preparando ad inferirgliene altrettante.
Non era giusto ... Cos'aveva fatto di male?

"Scommetto che a letto non ve la intendete più di tanto. Gli fai fare tutto cio' che vuole, come se fossi un cagnolino bastonato, perché hai paura di perderlo."


Le parole di suo fratello gli scoppiarono dentro come una bomba.
Aveva ragione ...?
Era quella la causa per cui Gil l'aveva tradito ...?
Perché sì, per quanto odiasse ammetterlo, sia a sé stesso che agli altri, era vero: lui e Gilbert non avevano mai avuto grande intesa, in quel senso.
Quei sogni che l'albino gli raccontava, in cui lui, Feliciano, lo provocava maleducatamente, tra parolacce e frustrate, erano il riflesso dei suoi desideri.
Desideri che Feli esitava a far avverare.

No, non ne era proprio il tipo.
Le rare volte che lo faceva, era solo per volere dell'albino, e l'italiano provava quasi un senso di umiliazione, che odiava.
Non importava quanto amore Gilbert ci mettesse, il solo pensiero di farlo in quel modo, lo faceva sentire a disagio.

Forse in Romano aveva trovato cio' che da lui non era mai riuscito ad ottenere.
Quella naturale maleducazione, quella consapevolezza del proprio corpo e delle proprie capacità, che erano caratteristiche di suo fratello, totalmente estranee a lui.
Eppure, Feliciano lo amava ...
Lo amava tanto.
Allora, perché ...?
Perché non potevano vivere leggeri, come su soffici nuvole, ad abbracciarsi e baciarsi tra profumi e dolci parole d'amore?
Perché mai Gilbert voleva altro da lui?
Come potevano, quelle pratiche, essere modi per dimostrare quell'alto sentimento che era Amore?
Come potevano, parole lanciate con ferocia come pugnali, sciogliere il cuore dell'altro come miele dorato nel latte caldo?

Uscì sul balcone, e, fissando la strada, si accorse di un volto noto.

"Uhm ... Arthur! Hey Arthur!" - Lo chiamò, vedendolo in mezzo alla strada, mentre si allontanava dal palazzo in cui Francis abitava.

L'inglese si voltò infastidito, e per poco non gli venne un colpo.
Ancora lui ?!
Insomma, che faceva quel ragazzo? Lo stava pedinando ?!
Guardò nella sua direzione ed accennò un saluto, per poi voltarsi di nuovo e procedere per la sua strada.

Doveva essere ancora in casa di quel suo parente.
Aveva forse dormito lì, la notte ...?
Che strano, eppure quel balcone gli era familiare.
Gli ricordava tanto quello di ...
Francis!
Quel balcone ... Era il suo - anzi - il loro balcone!

Quello, quindi, doveva essere ...
Ad Arthur mancò il respiro.
... Il cugino di Francis!

Senza accorgersene, l'inglese aveva già accelerato il passo, per sparire poco dopo dietro l'angolo.

Quella scoperta non cambiava nulla, vero?
Solo perchè conosceva, almeno vagamente, quel famigerato 'Feli', questo non significava necessariamente che dovesse rivelargli la sua storia con Francis.
Insomma, cosa avrebbe dovuto fare ?!
Entrare da quella porta? Stringergli la mano?
Dirgli tranquillamente "Oh, ciao! E così tu sei il cugino di Francis, eh? Chi l'avrebbe mai detto! E pensa un po', io sono il suo fidanzato!".

No.
Era assolutamente impensabile.
Non avrebbe mai fatto nulla del genere.
Che gli importava, a quel ragazzo, della sua vita privata?
Era un parente di Francis, e allora?
Solo perché, contro ogni sua intenzione, si era ritrovato a conoscere un membro della famiglia del francese, questo non doveva certo significare che avrebbe ceduto.
Non dopo tutto quel tempo!
A cosa erano serviti, quei mesi in cui entrambi avevano mantenuto il segreto?!
Semplicemente ad aspettare che uno qualsiasi arrivasse a distruggere ogni cosa ?!
Nossignore.
Doveva tacere.
Tacere e fare come sempre.
Anzi, alzare ancor più le difese, ora che conosceva 'il suo nemico'.

"Feli! Sono tornato!" - Esclamò Francis, aprendo la porta.

"Francis!"- Rispose l'altro, correndogli incontro ed abbracciandolo.

L'altro sorrise paternamente, abbracciandolo di rimando. - "Comment ça va ...?"

"Mmh ... Bene ..." - Assicurò Feliciano in un filo di voce, ma le sue parole sapevano di bugia. Non stava neppure a guardare il francese negli occhi, ma anzi, si nascondeva ancor più nel suo petto.

"..." - Francis rimase ad accarezzargli la schiena e la testa per un po'.

L'italiano rimase immobile, col volto in cerca di protezione.
Sapeva bene di mentire.
Sapeva bene che Francis lo aveva capito.
Ma rispondere diversamente, lo avrebbe solo spinto a pensarci di nuovo, ancor più intensamente, e non aveva voglia di piangere ancora.
I suoi occhi bruciavano ancora per le lacrime versate.

Il francese si abbassò al suo livello, dandogli un bacio sulla guancia, per poi alzare gli occhi verso la tavola. - "... Vedo che ti sei servito!".

"Non molto, ho bevuto solo un po' di latte e mangiato qualche biscotto ..." - Spiegò Feliciano, e per un attimo si sentì in colpa: Francis aveva preparato tutto quel ben di Dio, solo per lui ...

"Non importa! Se non hai fame non devi sforzarti ..." - Gli poggiò una mano sulla spalla. - "Dimmi pure quando hai fame, così prepariamo il pranzo."

L'italiano annuì, per poi sedersi sul divano, volgendo lo sguardo verso il francese in cerca di una conferma, prima di accendere la televisione.
Voleva non pensare a nulla ...
Avrebbe tanto voluto svuotare la sua testa di tutto, rimanere con gli occhi incollati allo schermo, privo di emozioni, con immagini e suoni che lo attraversavano senza lasciare alcun ricordo.
Francis rimase un attimo ad osservarlo, per poi iniziare a sparecchiare la tavola.

Stava pensando ad Arthur ....
Quel testardo se n'era andato di nuovo, congedandolo sulla via del ritorno, senza alcuna intenzione di mettere piede in casa.
Aveva deciso di pranzare fuori, in qualche tavola calda, e lo aveva intimato a chiamarlo solo qualora Feliciano se ne fosse andato dalla loro casa, o se si fosse addormentato.

La situazione stava diventando insostenibile ...
Doveva trovare un modo per convincere Feliciano a tornare a casa: con Arthur c'erano ben poche speranze, e non avrebbero retto per molto in quel modo.
Con l'inglese che continuava ad andare e venire, e Feliciano in casa, Francis avrebbe fatto fatica a dividersi tra i due.

Per un attimo, provò profonda rabbia per Arthur.
Perché quell'inglese stava complicando la vita di entrambi, facendosi problemi che nemmeno esistevano.
Se solo non avesse avuto la testa così dura ...!
Feliciano sarebbe potutp andare a casa da loro, Arthur presentarsi con nonchalance, e non ci sarebbe stato alcun problema.
... Certo, forse presentare il suo fidanzato, mentre la storia di suo cugino stava cadendo a pezzi, non era il massimo ...
La soluzione era ancora più indietro nel tempo.

Se, il giorno in cui entrambi capirono di essere innamorati l'uno dell'altro, Arthur non si fosse ostinato a negarlo!
Se avesse accettato la cosa, se Francis non avesse dovuto rendere il loro fidanzamento 'ufficialmente segreto', tutto sarebbe stato molto più semplice!
... Ma, di nuovo, Arthur era estremamente testardo, e non era facile fargli cambiare idea.
Ma il francese sperava, prima o poi, di farcela.


Il sole era ormai alto nel cielo chiaro e terso.
Gli uccellini cinguettavano spensierati, accarezzati e bagnati dalla luce splendente del mattino, mentre saltellavano da un ramo all'altro degli alberi, talvolta aggrappandosi ai vicini cavi della corrente, e adagiandosi sul davanzale delle finestre.

"Eliza ..." - Roderich sussurrò appena nell'orecchio della moglie, sedendosi sul letto al suo fianco, accarezzandole i capelli e sistemandole una spallina della camicia da notte, che le era caduta lungo il braccio.

"Mmh ..." - L'ungherese nascose il volto nel cuscino, muovendo le spalle per liberarsi dell'austriaco. - "Che ore sono?"

"... Le undici, ormai." - Rispose Roderich, guardando distrattamente l'orologio sul comodino. - "Non dovevi chiamare Feliciano ...?"

"...!" - La ragazza si alzò di colpo, facendo trasalire il marito. - "E' vero! Accidenti!"

"Ho provato a svegliarti prima, ma non davi segni di vita ... Eri davvero distrutta ..." - Spiegò l'austiaco, baciandola sulle labbra ed alzandosi a sua volta.

"Ieri sono successe troppe cose ... Gli straordinari, la storia con Feli ..." - Fece una pausa, annusando l'aria e guardandosi intorno - "Cos'é quest'odore?"

"... La torta. Dev'essere pronta!"

"Torta ?! Ma l'hai finita appena ieri sera!" - Commentò sorpresa Elizaveta. Eppure, non doveva essere così sbalordita: Roderich era sempre stato goloso, tanto di dolci quanto di musica. - "... Non un'altra Sacher, spero ..."

"... No." - L'austriaco scosse la testa, avvicinandosi all'ungherese ed abbracciandola da dietro, sussurrandole dolcemente all'orecchio. - "... Avevo in mente qualcosa di più fresco ... Panna e fragole. Ti va?"

"Certo ..." - Rispose Elizaveta, per poi aggiungere, in un tono al contempo regale e giocoso - "... Di' pure al nostro chef, che la contessa gradisce il dolce da lui scelto."

"... Glielo riferirò appena possibile ..." - Roderich rimase allo scherzo. - "Ma ora, con il cuore in mano, questo nobile austriaco vorrebbe sapere cosa la contessa Hedervary ha contro le Sacher ..."

"Niente ..." - La donna sorrise, per poi voltarsi e toccare dispettosa le guance dell'altro - "... Ma se continua così, conte Edelstein, tra un po' non avrò più un marito per casa, ma una Sacher che cammina!"

"...!" - L'austriaco trattenne il respiro per un istante, socchiudendo gli occhi, per poi andarsene fingendo di essere offeso. - "Vado a guarnire la torta ..."

"Chiamo Feli ..." - Informò la ragazza, per poi aggiungere - "Ah, Roderich. Scusami se ti lascio solo ..."

"Non importa!" - La rassicurò l'uomo - "Non preoccuparti, magari faccio un salto in qualche locale e poi torno a casa."

"Mmh ... Basta che nessuna damigella da quattro soldi ti faccia la corte!"

"Non accetterei, il mio cuore le appartiene, contessa ... Con permesso." - Si allntanò definitivamente, lanciandole un ultimo sorriso pieno d'amore.

Elizaveta ricambiò lo sguardo, per poi prendere in mano il cellulare, che sonnecchiava sul comodino.

Doveva chiamarlo.
E se stava ancora dormendo ...?
O magari stava piangendo ...
Beh, era a casa di suo cugino, del resto.
Probabilmente era stato in grado di confortarlo ... Forse più di quanto non avesse mai potuto fare lei.
In ogni caso, desiderava davvero alleviare le sue sofferenze e farlo pensare ad altro.
Non avrebbe avuto il cuore in pace prima di essere riuscita a portarlo, per un momento, fuori dalla cruda realtà.


Francis stava iniziando a preparare la cena, quando vide Feliciano osservarlo, appoggiato allo stipite della porta, con un lieve sorriso.

"Vuoi aiutarmi?" - Gli chiese, sorridendo. L'italiano annuì. - "... Perché non inizi ad apparecchiare? Ho già messo la tovaglia ..."

"Va bene." - Sussurrò, dirigendosi verso il salotto.

Rimase un attimo in silenzio, guardandosi attorno, per poi ricordare dove Francis teneva i piatti.
Aprì piano il mobile, prendendo quanto gli serviva.
Nell'oscurità, aveva notato un piatto diverso dagli altri, più grande e colorato.

"Uh, non avevo mai visto prima questo piatto! E' nuovo?" - Esclamò Feliciano, prendendolo in mano e posando gli altri sul tavolo.

"Quale ...?" - Il sorriso sul suo volto svanì, e la sua pelle divenne più pallida, quando girò lo sguardo verso il ragazzo più giovane, senza trovare le giuste parole.

Era un piatto piuttosto grande.
Con l'esterno in ceramica bianca, come tutti gli altri.
All'interno, era blu.
Blu, con strisce bianche.
E su queste, altre strisce più sottili, rosse.

No ... No, doveva essere un incubo.
Quel piatto era un regalo di Arthur.
Come aveva potuto essere così stupido ?!
Aveva nascosto tutto con cura, eppure ... Quel piatto!
Ed ora, cosa avrebbe fatto?
Cos'avrebbe detto?
Certo, era un piatto, uno qualsiasi, una di quelle cose che si trovano facilmente nei negozi, se si cerca nei posti giusti.
Ma quando si nasconde qualcosa, ogni scusa pare poco convincente agli occhi di chi la inventa.

"Veeeeh? E' un regalo di qualcuno?" - Chiese incuriosito l'italiano, osservandolo con attenzione.
"... Sì." - Dopo una lunga attesa, la conferma uscì dalla bocca di Francis senza che se ne fosse reso conto.

Ed ora, cosa poteva inventarsi?
Non poteva dire la verità ...
Non importava quanto lui avesse desiderato farlo.
Il suo Arthur non voleva.

"Oh ..." - Feliciano si guardò in giro, indeciso su come affrontare l'argomento. - "Uhm, qualcuno dei tuoi ..."

"Sì." - Lo interruppe freddo, ancor prima di lasciargli finire la frase.

Qualcuno dei suoi amanti?
Ebbene, sì.
Ma non avrebbe detto tutta la verità ... Indizi sparsi per ora erano sufficienti ad alleviare la colpa che sentiva gravare sulla sua testa.
Tenere i parenti all'oscuro di tutto.
Dover accettare le richieste di Arthur, che voleva tenersi all'oscuro da tutti.

"..." - L'italiano sorrise lievemente, un po' in colpa. - "Uhm, scusami ... Se sto qui da te ... E non puoi invitare nessuno qui..."

"V-Va bene! Ne t'inquiète pas!" - Rispose svelto il biondo, per poi fare un sospiro. - "Me l'ha regalato un ragazzo inglese ... Un mese fa, più o meno ..."

"Non l'hai più rivisto ...?"

"No. Mai più." - Quelle parole facevano male, ma sapeva che Arthur gliene avrebbe fatto di più, se avesse rivelato qualcosa.
Per quanto non lo considerasse giusto, continuò a mentire.

"Mi dispiace ..." - Feliciano lo raggiunse in cucina, accarezzandogli un braccio. - "Spero che tu prima o poi possa trovare la persona giusta ..."

A quelle ultime parole, l'italiano si morse il labbro inferiore ed abbassò gli occhi, ripensando a come lui, quella persona, l'avesse appena persa.
Cercò di mandare indietro le lacrime, e gonfiò appena le guance pallide e piene.

Francis, notando come il volto del cugino stesse cambiando espressione, lo accarezzò di rimando, baciandolo sulla testa.

"... Lo spero ... Moi aussi." - Concluse, con la voce decisa dietro la gola tremante, conscio delle sue menzogne.

"A proposito di inglesi! Ieri sera quando sono venuto qui, ho incontrato un ragazzo londinese giù all'entrata! Diceva di avere dei parenti qui ... L'avevo incontrato anche qualche giorno fa alla fermata dell'autobus, e stamattina sotto casa! Magari lo conosci ..." - Spiegò Feliciano, ingenuo ed innocente come al solito. Neppure immaginava la tensione che la notizia stava provocando nel cugino. - "Si chiama ... Uhm, Arthur, mi pare!"

Il francese si sentì svenire.
Il cuore pareva aver smesso di battere.
Il sangue nelle vene, come congelato.
La gola secca ed un profondo senso di angoscia e paura.

Cosa doveva fare?
Gli stava servendo la possibilità di spiegare ogni cosa, su un piatto d'argento.
Arthur l'avrebbe forse odiato.
Si sarebbe arrabbiato con lui.
Ma, alla fine, sapeva che avrebbe capito.
Anche l'inglese, nonostante la paura che lo immobilizzava, sapeva benissimo che non poteva vivere tutta la vita in quel modo.

"Feli, io ..."

Il cellulare di Feliciano prese a squillare.


Il francese si interruppe all'istante.
L'italiano si scusò con la mano, e si diresse in salotto, prendendo in mano il telefonino.

"Pronto ...?"

"Feli! Sono Eli. Come stai?"

"Bene ..." - Si sforzò di rispondere Feliciano, ma, come sempre, la sua voce lo tradiva.

"Hai impegni per stasera?" - La voce allegra di Elizaveta contrastava di proposito con quella debole e preoccupata dell'italiano.

"Uh ... Immagino di no ..." - Scrollò le spalle, guardando prima per terra, e poi Francis, il quale continuava ad aprire e chiudere indaffarato le ante dei mobili, andando e venendo dalla cucina con fare estremamente nervoso.

"Vuoi venire con me in centro? Stasera ci sono anche le bancarelle! So che ti piacciono!" - Cercava in ogni modo di coinvolgere Feliciano e di catturare il suo interesse.

"..." - Il ragazzo rimase in silenzio per un istante.

Le bancarelle ...?
I ricordi pungevano negli occhi e sulla pelle, agitando il suo cuore, costretto tra fasci d'ortica e spine scure.
Quante volte ci era andato con Gil, in centro!
Quante volte gli aveva comprato regali, passando per quelle bancarelle!
Erano oggettini di poco conto, senza valore.
Ma per lui, erano davvero importanti.
Testimoniavano il suo amore ...
Perché non trovava cosa più bella da donare, se non il suo cuore, da passargli nelle mani chiuso in scatoline di legno, intrecciato in braccialetti di stoffa e di pelle, o nascosto nell'anima di qualche piccolo soprammobile.

"... S-Sì. Mi farebbe molto piacere!" - Rispose infine, imitando l'allegria della donna, e nascondendo a se stesso il principio di una lacrima.

"Ok! Passo sotto casa tua verso le nove e un quarto, va bene?"

"Va bene ... Uhm, non a casa mia, però, da Francis ... Veh, ora devo andare ... A dopo!" - Concluse l'italiano, interrompendo la chiamata.

"Fratellone!" - Chiamò poi, raggiungendo Francis in cucina.

"Feli!" - Gli sorrise il francese, cercando di scordare quanto avvenuto prima.

Stava per rivelargli ogni cosa.
Era l'occasione giusta.
Eppure, erano stati interrotti.
Forse il destino aveva in riservo altre occasioni, anche migliori, per fare quell'annuncio.
O, forse, Arthur e Francis erano destinati a vivere per sempre nell'ombra.

"Stasera vado con Elizaveta in centro ... Alle nove e un quarto viene qui." - Spiegò l'italiano, e per un attimo il suo volto si dipinse di malinconia, mentre si avvicinava al francese, gettando le braccia attorno ai suoi fianchi - "Veh, scusami se non ti ho chiesto il permesso ..."

"Permesso? Ma di cosa parli!" - Fece una risata, passando le dita tra i capelli di Feliciano, appena sopra la nuca. - "Non devi certo chiederlo! Fai ciò che senti!"

"Mmh ... Grazie." - Sorrise un poco, lievemente, rilassando i muscoli.


Gilbert si svegliò stanco sul letto, sbirciando lì vicino e notando che suo fratello non c'era: era sempre stato molto mattiniero, a differenza sua.
Si guardò in giro, grattandosi la testa ed alzandosi, facendo cadere l'occhio sull'orologio.

Erano le dodici passate.
Aveva dormito davvero molto, più di quanto credesse.
Emise un lamento a bocca chiusa, stropicciandosi un occhio ed uscendo dalla camera da letto.
Diede un'occhiata in giro, ma Ludwig pareva non esserci.
Prese in mano il cellulare, notando che c'era un messaggio.

Gil, sono in rosticceria. Vuoi qualcosa in particolare?


Notando che era stato inviato quasi mezz'ora prima, l'albino decise di non rispondere.
Sicuramente, Ludwig, non ricevendo risposta, aveva provveduto da sé.
Dopotutto, Gilbert non aveva nemmeno molta fame.

Si sciacquò il viso con l'acqua fresca, ma le preoccupazioni non scivolarono via con essa.
Il volto triste di Feliciano, era indelebile nella sua mente.
Così come quello di Romano, più scuro e provocante, mentre, ubriaco ma sincero, l'aveva tentato fino a farlo sprofondare nel peccato.

E, stavolta, non ci sarebbe stato nessun angelo meraviglioso, dalle guance di latte e dai capelli color tramonto, a tendergli una mano per salvarlo.

Il suo cuore si strinse, in un misto di piacere e pentimento, pensando a come, dopotutto, quell'incontro con Romano non gli era dispiaciuto.

Quello era il vecchio Gil.
In tutto il suo viscido egoismo.
In tutta la sua voglia di divertirsi, senza curarsi dei sentimenti degli altri.
Credeva di essere cambiato.
Credeva che quell'angelo l'avesse davvero reso un'altra persona.
Invece, appena tentato da un demonio, ecco che ci era ricaduto.
Il vecchio Gil era sempre rimasto in agguato.

D'altra parte, la sera precedente, aveva provato sensazioni diverse, da quelle di quei tempi.
Forse era solo un'impressione, perché da allora era trascorso molto tempo.
Forse era la grande somiglianza tra Feliciano e Romano, ad averlo confuso.
Oppure, proprio non riusciva a capacitarsene.

Cio' che aveva sentito ... Somigliava a cio' che provava per il suo fidanzato (e, nella mente, gemette al pensiero di dover arrivare a definirlo 'ex'), in un certo senso.
Meno chiaro e distinto, probabilmente meno intenso.
Eppure, mentre lo guardava negli occhi ambrati, facendo navigare lo sguardo tra i suoi capelli scuri, aveva provato piacere.

Un piacere diverso da quello a cui il vecchio Gil era abituato.
Un piacere che non derivava dalla semplice situazione in cui si erano ritrovati.
Era quello sguardo, puramente a sé stante, ad averlo mosso.
Così diverso dallo sguardo innocente di Feli, nonostante le iridi fossero le stesse.
Diverso, ma dannatamente intrigante.

Un rumore di chiavi squarciò i suoi pensieri


Poco dopo, vide Ludwig rientrare.

"Guten Morgen." - Lo salutò Ludwig, chiudendo la porta ed appoggiando le borse di plastica sul tavolo.

"Guten Morgen, bruder!" - Gilbert era bravo a nascondere le sue incertezze. Sicuramente più dei due italiani.

"Tutto bene ...?" - Gli chiese il biondo, guardandolo e cercando di vedere oltre le sue parvenze.

Conosceva suo fratello.
Capiva quando fingeva.
Rimase a fissarlo, i suoi occhi d' acquamarina incastonati in quelli di rubino del fratello maggiore.

"... Sì." - Rispose, cercando di non parlarne, aggiungendo un solo, veloce - "Solo incasinato, te l'ho detto."

"Spero ... Che tutto si sistemi." - Concluse Ludwig, deglutendo e sentendo come il suo cuore assopito protestò, come a dichiarar guerra alla sua mente, facendolo sentire il peggiore tra gli uomini. - "... Spero di aver comprato cose che ti piacciano."

"Ne sono sicuro, bruder." - Cercò di essere il più naturale possibile. - "Tiro ad indovinare? Wurst e birra!"

"Bravo ..."

"Non ci vuole molto! Sei troppo prevedibile, fratellino!" - Rise chiassoso, sperando di coprire i suoi stessi pensieri con la voce.

"Perché non ti vesti, mentre apparecchio?" - Gli consigliò, ignorando completamente l'ultima battuta di Gilbert.

"Come vuole, é casa sua! Prendo i tuoi vestiti."

Si diresse di nuovo in camera da letto, e si guardò per un attimo allo specchio.
Era magnifico, come al solito.
Eppure, la parola 'bastardo' gli arrivò alla mente molto prima di qualsiasi altra.

"Sei troppo figo! Oh, Magnifico Me, se solo potessi uscire dallo specchio e farmi compagnia!" - Pensò, distraendosi e rimirandosi come il più orgoglioso e vanitoso degli adolescenti.

Guardò meglio.
Le gambe dritte e perfette, robuste quanto bastava, né magre né grasse.
I boxer neri e semi-lucenti, adagiati sulle cosce magnifiche, a proteggere e nascondere il meglio di sé.
Sopra, la canottiera bianca, da cui si intravedeva appena il suo magnifico petto (e, che dispiacere era per lui non poter andare in giro nudo, a far godere gli occhi di tutti della sua magnificenza!), e da cui sbucavano le braccia forti e sode, con i muscoli appena accennati, perfetti e non volgari.
Davvero meraviglioso (cercava di convincersene, cacciando via i sensi di colpa e l'immagine dei due fratelli), eppure mancava qualcosa.

Ma certo ... Che stupido!
Come aveva fatto a non accorgersene prima ?!
La sua collana!

... Doveva essere rimasta a casa di Romano.
La rivoleva indietro, ovviamente.
Eppure, il pensiero di mettere di nuovo piede in quella casa, lo inquietava e compiaceva al tempo stesso.

~ Continua.

  
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