Storie originali > Nonsense
Ricorda la storia  |      
Autore: Nyappy    24/05/2012    1 recensioni
Allora, ci sono Baader e Vallanzasca seduti assieme al bar, e Kerouac di fronte a loro con le dita sulla macchina da scrivere. Ma forse è meglio partire dall’inizio, mmh?
Un esperimento di surrealtà distopica, i pensieri di un uomo che non conclude nulla ma vuole cambiare – forse.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Allora, ci sono Baader e Vallanzasca seduti assieme al bar, e Kerouac di fronte a loro con le dita sulla macchina da scrivere. Ma forse è meglio partire dall’inizio, mmh?
 
Il portone davanti a me è una sciccheria, tutto d’oro intarsiato e scurito dal tempo. È un po’ uno spreco data tutta la polvere, ma tant’è. Il muro bianco che protegge il locale dall’arsura del sole è tutto percorso da crepe, con l’intonaco caduto in più punti.
Tra le sterpaglie che decorano l’ingresso e che decenni fa erano cespugli in fiore, il sole si riflette sui frammenti sbeccati di bottiglie, che brillano come gioielli.
Sfioro l’enorme pomello della porta che non è a misura d’uomo, dato che è grande come la mia testa, ma nulla in questa città è a misura d’uomo, forse perché siamo in un deserto che non è, non è stato e mai sarà. Forse perché nulla è reale, a volte mi dico, ma so che magari esagero – è il mio mestiere.
Le porte si aprono con uno scricchiolio, l’oro sfrega sulla terra battuta e mi finisce una nuvola di calce in faccia. È davvero fastidiosa perché mi fa lacrimare gli occhi ed entra in bocca e nel naso, e si appiccica alla barba facendomi sembrare fatto di neve.
L’interno del bar è scuro, tutto in legno che una volta era pregiato e adesso fa solo vecchio. L’aria profuma di assi calpestate e liquori di cui non so il nome, di polvere e bicchieri che si scontrano tra loro.
A volte è difficile essere uno scrittore.
Nell’angolo a destra, al solito posto, tra i tavoli deserti e i cappelli calati ci sono i miei due compari. Mi avvicino e gli speroni degli stivali annunciano il mio arrivo, kling kling; ormai però non si volta più nessuno e gli habitué non mi degnano nemmeno di uno sguardo.
Baader, nonostante il nome crucco e quell’aura da cattivo ragazzo, in realtà è solo un coglione. Non so come faccia a vedere fuori dai suoi Ray-Ban scuri, dato che il locale è in penombra, ma lui è contento così. Si scola il suo bicchiere di whiskey e mi saluta con un cenno del capo, con il solito cappotto di pelle anche se fuori ci sono quaranta gradi e la maglietta stella e mitra.
Vallanzasca – o le beau René – sta cercando di farsi crescere i baffi, anche se sa di star meglio senza. Credo che in realtà si chiami Marco, ma non ne sono sicuro. La prima volta che ci siamo incontrati, anni fa, ci siamo scambiati solo le nostre professioni e stop, esistere in questo bar come se fossimo là fuori, così io sono Kerouac perché al tempo m’era venuta un po’ un’ossessione per lui ed il suo nome era libero, così appena compiuti vent’anni l’ho preso.
Gli somiglio pure, no? Ho tagliato i capelli come lui, e sono pure scuri, così non ho dovuto tingerli, e il mio viso ha i suoi stessi tratti decisi. Che poi, “decisi” è una cosa che si scrive e basta, ma dato che queste sono solo parole va bene, no?
Insomma, ci sono Baader e Vallanzasca seduti al bar, vicini, e Kerouac è di fronte a loro.
René solleva gli occhi dal suo bicchiere e si decide a salutarmi con un «Mmh» poco convinto. Tiro fuori la macchina da scrivere dalla mia tracolla e l’appoggio sul tavolo – oggi non ho voglia di bere. Sistemo il rotolo di carta nel carrello e lo faccio scorrere. Ecco, sono pronto.
«Allora, che si dice?» chiedo, tamburellando le dita sul bordo della macchina.
Che si dice? O scrivo, o presto attenzione a loro, e tendono ad essere più facili da gestire delle parole. Voglio dire, posso essere me stesso con loro, invece di fare lo schizoide. Ogni scrittore è uno schizofrenico, in realtà, è per questo che mi rifiuto di mettere le mie foto nelle quarte di copertina dei miei libri che questi due non leggeranno mai.
Voglio dire, se la gente sapesse che ho i capelli neri e gli occhi verdi, mi assocerebbe di sicuro al primo personaggio con i capelli scuri e gli occhi verdi che trovano nei miei romanzi. E se usassi solo personaggi simili a me, beh, allora sarei osannato come un folle o un genio, dipende dall’orientamento politico del recensore.
Kerouac dovevo andare a scegliere.
«Che si dice?» fa eco René e tira fuori un coltello. È entrato nel personaggio così bene che a volte smania per farsi vedere con un’arma, anche se so che non farebbe del male ad una mosca. Fa sbattere il coltello contro il bicchiere vuoto e sbuffa, sbuffa.
«Ho voglia di fare qualcosa» dice Baader. «Etwas» aggiunge, come se usare qualche parola in tedesco di tanto in tanto rafforzi la sua identità professionale.
«Idem. Odio essere fuori dal tempo» gli risponde René.
«Voglio dire, sai che fissa essere stati ventenni negli anni Settanta» continua Baader.
Quasi cento anni fa. Annuisco perché sì, sarebbe stato essere loro e non delle imitazioni per preservare la memoria storica, Baader e Vallanzasca. E pure io, anche se sono più datato, invece eccomi qui con una macchina da scrivere davanti e dei romanzi da completare anche se non so come si fa, né nessuno me l’ha mai insegnato.
Kerouac dovevo andare a scegliere.
«Ho sete» dice René, guardando il bicchiere sporco di whiskey dell’altro, ma non lo prende. Ha sete di azione, fame di rivoluzione, eppure sta seduto tutto il giorno a bere al bar, perché tanto il conto lo paga il padre di Baader.
Batto le mani e mi metto a scrivere, dato che è già tre mattine che Ferlinghetti mi sveglia chiedendomi quanti rotoli ho già attaccato assieme, e io mi vergogno perché è una cosa che odio fare.

Ho questo strano amore per le personalità abnormi che non riesco a spiegarmi. I primi secondi sono odio o indifferenza, poi subentra l’adorazione.

Diamo al popolo quello che vuole, no? Un po’ di segreti, un po’ di discorsi che riguardano l’intimo e l’inconscio. Devo ancora decidere il nome del protagonista anche se sono a metà rotolo, ma ci penserò quando introdurrò altri personaggi.

Ammiro un sacco di uomini morti che potevano fare quello che han fatto solo perché erano loro, quel branco di sboroni senza ritegno.

Mi fermo. Vorrei capire le ragioni che mi portano ad essere così selettivo, però. Voglio dire, mio fratello fa Hegel e non lo posso vedere, mentre il marito di mia sorella è Saint-Just e ogni volta che ci troviamo, parliamo per ore di tutto quello che ci passa per la testa.
«Toh, arriva Dafne» bofonchia René, e io e Baader allunghiamo lo sguardo per intercettare quelle gambe da favola e quelle tette che purtroppo sono finte. Dafne so cos’è: dentro è una donna, ma la Natura, Dio o il karma non sono stati clementi con lei, così è nata con l’amichetto in mezzo alle gambe. Lo nasconde benissimo, anche se ogni volta che la vedo mi sento torcere le budella.
Non solo perché è gnocca, con quei lunghi capelli castani che le arrivano fino alla vita e quel sorriso al lucidalabbra, soprattutto perché non riesco ad accettare che non sia una donna e la cosa mi manda in bestia.
Appoggio le mani sulle ginocchia e mi metto a fissare il tasto delle A, il mio preferito quando rimugino su questo discorso. Insomma, non è che non mi sogni di lei, ma quando lo faccio, è sempre una donna. Non le ho mai rivolto la parola, anche se è mesi che segretamente la venero, perché… sì, insomma, se arrivassimo al dunque come amo tanto sperare nel segreto della mia dimensione onirica, non credo mi piacerebbe.
E non è colpa sua, quindi mi sento un pezzo di merda. Quindi non le parlerò mai e resterà per sempre la mia Musa segreta in scarpe da ginnastica, che le stanno lo stesso una favola e la fanno camminare in modo naturale, non come quell’oca impettita di mia sorella Tyra.
Faccio male o faccio bene, mmh? Non lo so. Vorrei provare, ma è come se qualcosa mi bloccasse. Una volta René mi ha detto che quando legge i libri di suo zio Svevo, quelli veri, però, non quelli che scrive veramente suo zio, ci ritrova tutti. Non fa schifo essere perfettamente descritti da un uomo di più di centocinquant’anni fa? Secondo me sì, ma ecco, non so davvero come fare.
Con Dafne e con tutti.
«Spero di cavarmela dalla testa quando qualcuna sceglierà finalmente di essere la Ensslin» sbuffa Baader. La fa facile, lui, protetto dai suoi Ray-Ban e dalla sua giacca di pelle. Lui l’anima gemella ce l’ha già, deve solo aspettare che qualcuno scelga quel ruolo, ma ci sono poche ragazze che si buttano sulla Grande Germania.
«Taci, ti prego, taci» gli intima René, che ha divorziato da poco e di donne vere non ne vuole sentir parlare, anche perché la sua Giulia la amava davvero e l’ha dovuta lasciare per contratto.
Sospiro e mi maledico ancora per aver scelto Kerouac fra tutti. Dalì era libero, dannazione, e si era liberato pure il posto di Gala, così non avrei dovuto stare con una vecchia bavosa.
Vogliamo il cambiamento ma siamo troppo stanchi per provarci, dato che bere e scambiarsi due parole è più facile di scrivere o fare attentati.
Dafne, al bancone, ha ordinato da bere. Toro Seduto, con il suo copricapo di piume e la terra in faccia per farlo sembrare un pellerossa, le sta preparando il drink.
Se mi avvicinassi, potrebbe concretizzarsi il mio incubo più grande. Non credo che Dafne mi piacerebbe ancora, e sono crudelissimo a pensarlo, ma non è che questo cambi la situazione. Stupido mondo che mi odia.
«Stavo pensando… sapete che fissa passare dall’essere la priorità di qualcuno al rientrare nella normalità?» È Baader che parla. Strano, di solito il whiskey non lo rende impedito nel parlare.
«Ce l’hai con me?» Il tono di René è aggressivo, e lo capisco benissimo, dato che Baader si riferisce sempre alle donne nei suoi discorsi e lui non ne vuol sentir parlare.
«No, scusa. Parlavo con il nostro dattilografo» gli dice Baader. Si è comprato una mia biografia e si diverte a punzecchiarmi pigramente con tutti i nomignoli e gli aneddoti che si ricorda. Che simpatico, vero? Però non lo fa con cattiveria, è solo il suo modo di ricordarsi di essere un terrorista stronzo rovina famiglie.
«È la vita» rispondo. Conosco persone così umorali che si innamorano di certe cose o certe persone per un po’, poi le mettono da parte, le usano come antistress, le uniscono al mucchio dei “meh”. La cosa brutta è che a volte credo anch’io di essere così, però vedo che con Baader e Vallanzasca dura già da tanto, quindi mi rassicuro. Succederà così anche per Dafne?
Dalla finestra entrano dei raggi di sole netti, nei quali danza la polvere.
Ogni tanto ci penso: e se dal quella porta d’oro entrasse l’uomo della vita di Dafne? O la donna, anche se dubito, ma non si sa mai. Dopotutto, non la conosco davvero.
Io che farei? La mia politica è di lasciar perdere, mettermi da parte. Ma se mi sto già mettendo da parte, che posso fare?
Sospiro. Vivere è faticoso, anche se non faccio nulla se non battere le mie dita sui tasti della macchina da scrivere, come lo può fare una scimmia analfabeta. Anche se è ovvio che le scimmie sono analfabete.
Ho di nuovo le budella ritorte. Sei messo male, vecchio mio.
«Qualcuno di voi ha una moneta?» chiedo senza nemmeno pensare. È un trucco per agire che mi ha insegnato mio padre: evita di pensare, spegni il cervello. E fallo solo in casi disperati, che è una tecnica rischiosa.
Beh, questo è un caso disperato.
«Ci penso io.» René si fruga nella tasca dei pantaloni e io rimango seduto con il cuore in gola, perché adesso che ho deciso questa cosa, la porterò al termine.
Lui è più irritabile del solito, Baader è più silenzioso che mai e io non ho abbastanza voglia di scrivere. Insomma, poi ho quest’immagine di un tipo dai capelli lunghi, muscoloso e abbronzato, che entra dalla porta e fa cadere Dafne ai suoi piedi, letteralmente.
Non va affatto bene.
René mi passa la sua unica moneta, con una X su una faccia e l’altra completamente liscia. Non ci si può sbagliare.
«Se viene croce, parlo con Dafne.» Baader fischia e si sistema meglio sulla panca. Ho attirato anche l’attenzione dell’altro, che aggrotta le sopracciglia ma non dice nulla.
«Se esce testa, rimango qui con voi a deprimermi.» Se lo dico ad alta voce non posso scappare, no? E mi serve la tensione. Mi serve questo senso di obbligo che mi fa ancora scrivere, che mi fa ancora mantenere quest’identità che non sento più mia.
Piego il pollice e ci appoggio sopra la moneta. È così leggera che è uno spreco, da una cosina così dipende il mio futuro.
Tendo i muscoli contro il polpastrello dell’indice e rilascio la moneta in aria. La catturo con il palmo contro la mano sinistra.
«Dai, amico» mi incita Baader, che si sta sporgendo sul tavolo per vedere meglio. Non si fida di me?
Scopro la moneta. Croce. Si va a parlare con Dafne. X.
«Non crepare d’infarto nel mentre, frocetta» si limita a dirmi René, tamburellando con le dita sull’orlo del suo bicchiere.
«Muori» gli auguro, anche se non lo voglio davvero.
«Poi mi dirai tutto, mmh? Compreso se le sue tette sono vere o finte.»
Mi alzo e lascio lì la macchina da scrivere con quelle quattro righe forzate. Credo siano finte, non che sia un problema. Voglio dire, una donna non è tette e basta.
Inizio a deglutire solo nel guardarla da lontano. C’è a chi viene la gola secca e chi invece inizia ad avere una salivazione sovrabbondante. Merda.
“Ciao, bellezza, come ti chiami?” com’è? O forse è meglio “Un whiskey per me ed un succo per lei” rivolto a Toro Seduto? Meglio l’approccio da macho o qualcosa di più soft per farle vedere che sono un uomo sensibile e degno di stare con lei tutta la vita?
Le sono arrivato davanti. Ho il suo meraviglioso sedere a venti centimetri dalle mani, il suo meraviglioso viso a trenta centimetri dalle mie labbra e quanto alla comunione dei nostri spiriti, beh, le devo ancora parlare.
Lei si volta e sorride, anche se è più alta di me senza tacchi. Mi saluta con un: «Ciao» della sua dolce voce simile ad una melodia divina e diavolo, sono proprio cotto, essì che ho superato i quindici anni da un pezzo.
«Ciao.» Deglutisco e mi sento avvampare. «Come va?»
Kerouac 1 – karma 0, palla in centro. O è al centro?
L’ho sempre detto che le scimmie analfabete sono meglio di me.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Nonsense / Vai alla pagina dell'autore: Nyappy