Prologo
Il suono delle catene spezzava il silenzio che
regnava nella notte. Nuvole scure coprivano il cielo, quasi non ci
potesse essere nulla sopra di esse. Seth guidava il prigioniero
attraverso il labirintico castello di Ga'Hat. "Prigioniero Zero", era
chiamato da alcuni, l'"Innominabile" da altri. Il tintinnio
cessò appena giunsero davanti ad un'immensa porta di pietra,
intarsiata di oro e argento, e con delle pietre azzurre incastonate
tutte intorno. Seth toccò due di esse con il proprio
scettro. Un suono metallico scosse la porta, che si aprì
qualche istante dopo, aprendosi su un'immensa stanza illuminata dal
fuoco di un camino.
« Mio Signore, il prigioniero è pronto. »
Una figura emerse dall'ombra di una poltrona. Alta, robusta e terribile. I lunghi capelli argentei cadevano sulle spalle, danzando al ritmo del mantello che ondeggiava ad ogni passo. Fece scostare Seth con un semplice gesto, trovandosi faccia a faccia con l'incatenato. Lo fissò a lungo, senza dire nulla. Poi gli prese il mento tra le dita.
« Bene - disse sorridendo. Gli lasciò il volto e tornò a sedersi. « Liberatelo ».
Dall'altro lato della città, un fulmine cadde rompendo il sigillo di Koraan. Qualcosa di terribile stava per accadere, a Dorehan.
Capitolo
I - Daev
« Mio Signore, il prigioniero è pronto. »
Una figura emerse dall'ombra di una poltrona. Alta, robusta e terribile. I lunghi capelli argentei cadevano sulle spalle, danzando al ritmo del mantello che ondeggiava ad ogni passo. Fece scostare Seth con un semplice gesto, trovandosi faccia a faccia con l'incatenato. Lo fissò a lungo, senza dire nulla. Poi gli prese il mento tra le dita.
« Bene - disse sorridendo. Gli lasciò il volto e tornò a sedersi. « Liberatelo ».
Dall'altro lato della città, un fulmine cadde rompendo il sigillo di Koraan. Qualcosa di terribile stava per accadere, a Dorehan.
Il caos più totale sembrava essersi abbattuto sulla città. Ovunque c'erano donne e uomini che sellavano muli e cavalli, preparavano carri, ricaricavano i motori delle proprie vetture, abbandonavano le proprie case. Sembrava che una guerra si fosse abbattuta su Elthkin e non ci fosse più nulla da fare se non fuggire, cercando la pace in un altro luogo. Sembrava che il tempo di Elthkin fosse scaduto.
Daev era seduto in piazza su di una panca di legno, osservando la scena con un fare distaccato, come se non fosse realmente lì, come se tutto quello che stava accadendo non facesse parte di lui. I sacerdoti di Koraan, i preti addolorati, come Daev li apostrofava, camminavano urlando che la fine era giunta, che Koraan aveva subito un affronto e che il suo affetto verso il nostro popolo era svanito, e che ovviamente la colpa era degli infedeli. Infedeli come lui. Si aspettava che da un momento all'altro arrivassero con torce e forconi per arrostirlo in pubblico come succedeva ai tempi d'oro, quando bastava avere un neo troppo esposto per essere colpevoli di aver infastidito il loro dio. Pentitevi! Continuavano a gridare, agitando le fruste nel tentativo di espiare le proprie colpe e spargendo incenso con le loro torce. Una figura sinuosa gli si sedette accanto, stringendo tra le mani due boccali di birra d'ambrosia speziata.
«Strano...» disse porgendogli il proprio boccale «Sei qui da quasi due ore e non ne hai ancora ucciso neanche uno, di questi buffoni? E pensare che sei famoso per la tua poca pazienza!». Rise. E questo bastò a ricordargli che anche lui aveva qualcosa da perdere. Prese il boccale e ne bevve un sorso.
«Beh, tu sei famosa per essere la regina della fuga, ma sei ancora qui. Chi dei due, secondo te, è quello che crea più scalpore?»
Rise ancora. La sua risata sapeva di primavera e di vita. Scosse il capo, i lunghi boccoli scuri che le dondolavano sul viso, dandole un’aria dolce. In Lea, in realtà, vi era ben poco di dolce. Era stata un’assassina, una mercenaria, una ladra e una cacciatrice di taglie. Da molti era conosciuta come Etharne, la mano della morte. Ma aveva salvato la vita della figlia del Lord Reggente di Elthkin, e questo era bastato per concederle l’amnistia totale e la libertà. Tutto questo, però, la rendeva perfetta agli occhi di Daev. Ancora ridendo, sorseggiò la birra e gli sfiorò le labbra con un leggerissimo bacio.
«È tutto così ridicolo, un anellino si rompe e si crea il caos, succedono cinque omicidi al giorno e nessuno batte ciglio!» commentò Lea, indicando un uomo che caricava dei bagagli su di una piccola vettura ad ingranaggi. «Fino a qualche anno fa, era il mio nome a fare quest’effetto» concluse in modo malinconico.
«Lea...» sussurrò Daev. «perché sei qui?»
Ci fu un momento di silenzio. Lea scostò delicatamente i capelli rossi dalla fronte di Daev, scoprendo la parte deturpata del suo viso. Spostò lentamente le dita seguendo i contorni del naso, per poi spostarsi sul suo zigomo di metallo. I grandi occhi neri di lei fissarono a lungo l’occhio meccanico di Daev, quello sinistro, quasi fosse un qualcosa di meraviglioso. Lea allungò il volto verso il suo. Gli diede un lungo bacio delicato, dal quale fu difficile staccarsi. Finalmente lei si separò.
«Siamo stati convocati» bisbigliò.
Daev allontanò lo sguardo dal volto di Lea e tornò a fissare i pavidi cittadini che si affrettavano a partire. Dopo dieci lunghi anni, finalmente stava per finire.