Storie originali > Drammatico
Segui la storia  |      
Autore: JosephineJoanLewis    25/05/2012    0 recensioni
Giocava sulla neve.
Non lo faceva che per divertirsi, per sorridere. Mentre pattinava sul ghiaccio più spesso, era così graziosa, con quel cappellino sul capo, decorato con un pompon!
Genere: Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
PARTE PRIMA

CAPITOLO I

MARLENE

Giocava sulla neve.
Non lo faceva che per divertirsi, per sorridere. Mentre pattinava sul ghiaccio più spesso, era così graziosa, con quel cappellino sul capo, decorato con un pompon!
Aveva un bel maglione rosso e dei guanti ricamati le ricoprivano le piccole mani.
Le compagne sue ridevano. Era divertente la neve fresca, tanto che ne facevano gioiosamente il loro gioco.
E’ così che si apre il nostro racconto.
Così, semplicemente, inizia il nostro sogno, vissuto tra case dai comignoli fumanti, fanciulle graziose, dalle tenere guance dipinte di rossore, stormi di passeri grigi, che volavano nel cielo d’inverno.
Marlene litigava fraternamente con le sue amiche.
Le tiravano le trecce, quelle trecce delicate e belle, che lei non voleva far tagliare, malgrado da tempo avesse varcato la soglia della giovinezza.
La cara signorina aveva ancora nel cuore i racconti favolosi e le leggende dell’infanzia, i castelli in aria della prima fanciullezza, che nessuno mai le avrebbe fatto dimenticare.
Le guance sue già arrossivano ai primi complimenti affettuosi che le venivano rivolti. Ma la carissima Marlene, oh! Aveva un tale caratterino…
Amava pattinare, e se le facevano un dispetto – per esempio, tirandole una palla di neve all’improvviso, o canzonandola per i suoi bei capelli – subito diventava rossa rossa, e non aveva riguardi per nessuno.
Era così bella, così giovane, ed aveva immaginato la sua vita come una nuvola rosa, delicata e graziosa, che, dopo avere affollato il cielo più azzurro, dolcemente, se ne va lontano.
Rincasò presto quel giorno.
Come sempre, ella si soffermò a guardare il paesaggio sognante, che si poteva ammirare attraverso la stretta, appannata finestra della scala…
Oh, quanto amava quella vista!
La punta maestosa della torre antica, il gotico campanile dell’orologio che segnava le ore, oltre le fronde spoglie e innevate degli alberi di casa… Che visione!
Lei aveva sempre immaginato quel familiare campanile come una torre medievale, abitata da due fantasmi innamorati, un uomo e una donna, morti per amore.
E quando le giungeva il suono un po’ roco delle campane di bronzo, immaginava sempre di ascoltare l’appassionata voce dei due amanti, che raccontavano al mondo la loro sventura.
Oh, affascinanti parole!
Ed ecco, un uomo buono la chiamava, pronunziava affettuosamente quel nome dorato, il suo nome, Marlene…
Lei rispondeva:
- Vengo!
E la sua angelica voce riempiva la casa.
Con la grazia e la semplicità che tanto le erano naturali, saliva le scale come una colomba, e sul pianerottolo già abbracciava il dolce vecchio dalla barba bianca…
Poi, tra i saluti festosi, il rumore di un bacio, dato come per caso, con il più grande affetto.
Tanto gli voleva bene!
Lei si toglieva il grazioso cappellino decorato col fiocchetto, per parlare con colui che d’estate tanto amava passeggiare con lei per i campi, un copricapo di paglia per ripararsi dal sole, una spiga di frumento in mano.
Era suo padre, il facoltoso barone.
Aveva per lei sempre mille carezze, mille vezzi con cui soddisfare le sue fantasie, non avrebbe voluto lasciarla sola un istante.
Eppure, a volte, una nube grigia gli attraversava il volto, lei si accorgeva delle sue rughe profonde, ed era come se un mistero, un favoloso mistero, si frapponesse tra loro.
Allora, sembrava che lui le nascondesse qualcosa.
Poi, il barone la faceva sedere sulle sue ginocchia, le parlava dolcemente, le tirava scherzosamente le trecce, come accadde anche quella sera, davanti al focolare acceso, in cui ardeva un bel fuoco d’ulivo.
Ah, veramente non c’era nulla di cattivo nell’animo sincero di quell’uomo!
Restavano insieme a lungo, là, soli nella grande stanza del camino, dalle pareti grigie, decorate con pentole di rame.
Marlene era la sua gattina.
Lui si ricordava del tempo lontano, in cui le raccontava fiabe, romanzi fantastici che avevano fine negli sbadigli di mezzanotte, e poi, nei sogni.
Anche quella sera, le disse:
- Resterai qui con me, per sempre. Promettimelo! E quando io non ci sarò più…
- Oh, papà, ti prego, ti prego, non dire queste cose, che mi rendono triste!
Così replicava la dolce Marlene, che aveva già disegnato la sua vita tra le più intense felicità e non permetteva a nessuno, se non al barone, di penetrare nel sogno suo.
E gli accarezzava la barba bianca, che tanto donava al suo volto di vecchio.
Poi, arrivava il bel cagnone pezzato, l’affettuoso cane lupo, che faceva le feste, per poi accovacciarsi ai loro piedi.
Marlene lo accarezzava sempre.
Provava tanta tenerezza per quel suo amico, che le abbaiava sovente con profondo affetto: lo aveva visto cucciolo!
- Godi anche tu, vecchio mio, del calore rustico di un bel fuoco acceso, e di braci fumanti…
Così gli si rivolgeva il vecchio facoltoso, dandogli un’amichevole pacca sul muso, ed avendone, in cambio, una leccata.
Poi, veniva la cameriera, donna attempata con un neo sopra il labbro, a portare i gelati.
Marlene era la sua bambola.
E lui giocava insieme a lei, senza che nulla, o ben poco, potesse turbare il loro eterno affetto.
Nei giorni di sereno, quando la morsa del gelo si faceva meno severa, e il sole appariva all’orizzonte come una stella lontana tra le nuvole grigie, andavano insieme a cavalcare.
Il barone la faceva salire in groppa accanto a sé, senza paura, poiché Marlene era una cavallerizza provetta.
Amava ascoltare quel vecchio scalpitio di zoccoli di cavallo, sulla terra bagnata per un fugace disgelo.
Socchiudere gli occhi, pensare di volare, come sospesi fra la terra e il cielo, al galoppo, senza più nessun ostacolo ai sensi, né alla fantasia…
Era una grande emozione, per entrambi.
Poi, si fermavano, facevano colazione in prossimità della foresta, quella grande foresta che Marlene aveva assai amato, ma che non aveva mai visitato.
Forse, non l’aveva visitata soltanto per non infrangere quel senso di meraviglia e di mistero, che quel luogo da sempre le infondeva.
Le favole di un tempo glielo avevano dipinto come il regno magico, ove tutto è possibile.
E lei non voleva rompere questo incantesimo.
Per dire la verità, una volta c’era stata.
Vi si era recata in gran segreto, di nascosto, come per compiere un ridicolo delitto… Avvolta nella sua mantella, per ripararsi in caso di pioggia, il volto celato dal suo scialle, fingeva di andare a raccogliere fiori di prato…
Poi era caduta, come addormentata, per risvegliarsi poco dopo, come in sogno…
E vi aveva visto qualcosa, qualcosa che noi qui non confideremo, perché si tratta del suo piccolo segreto.
Lei non lo raccontò neppure all’amico barone.
Solo che, quella sera, tardò molto prima di coricarsi, la si vide alla scrivania, la penna in mano, i capelli sciolti, cadenti sulle nude spalle… Scriveva.
Confidava al suo diario del cuore ciò che con le labbra non avrebbe mai rivelato.
Poi, sorridente, si lasciò avvolgere dalla morbidezza delle sue lenzuola di lino; dopo che si fu addormentata, la si sentì parlare nel sonno, e come delirare.
Oh, che cosa mai era accaduto in lei? Ed ecco, qui, il suo mistero svelato in poche righe.
Un giorno si vide Marlene, come una contadinella perduta, avventurarsi sola sulla neve.
Le guance rosse per il freddo ed una tremula emozione, le mani avvolte nella lana, il suo sguardo fuggiva malinconico sui rovi e i rami spogli.
Il verso lugubre e un po’ cupo della tortora le era compagno, come un pallido lamento, errante nel gelo dell’inverno.
Lei non era, né si sentiva smarrita, la sciarpa bianca passata semplicemente attorno al bel collo di cigno, le scarpette rosse, ascoltava furtiva la voce del vento.
Era come se la chiamasse.
- Vieni, Marlene, a visitare il vecchio sogno d’inverno, ad ascoltare le note di violoncello, suonate dal vento…
Ma lei non rispose, non rispose a quella voce, tutta rapita com’era dall’incanto naturale dei boschi.
Era sola, si faceva strada tra le fronde, inanimate e spoglie, quando il suo sguardo incontrò qualcosa di singolare e romantico.
La capanna abbandonata spuntò tra le siepi del bosco. Era minuta, graziosa, dimenticata nel segreto del verde, come un gioiello racchiuso in uno scrigno.
Era fatta di paglia, così, almeno, sembrava. Il camino, un tempo fumante, era spento.
Aveva poche finestre impolverate, nessuno la abitava, se non il silenzio.
Oh, quale capitale rifugio per il cuore sognante di Marlene!
Bussare all’uscio di legno era cosa vana. Era socchiuso, l’avevano lasciato così perché potesse entrare anche il viandante appassionato e stanco…
Marlene accarezzò con la piccola mano quei muri, ricoperti di muschio e d’edera, poi socchiuse gli occhi, e le parve di vivere un sogno, tenero e malinconico.
Sentì dei passi, qualcuno le stava accanto… Ma non osò guardare, come rapita dal pensiero che potesse essere un giovane amico.
Una mano gentile si posò sulla sua spalla, lei allora si voltò, aprì gli occhi, e nelle pupille sue si disegnò un volto familiare.
Egli portava un cappello a visiera, marrone, i capelli ricci lunghi fin quasi alle spalle, i calzoni arrotolati, alla pescatora.
- Io ti conosco, io so chi sei… - mormorò Marlene.
- Perché vieni in questo luogo?
- Oh, io non lo so… C’è qualcosa che mi conforta, e mi fa sentire al sicuro. E’ come se ci fossi sempre stata, se ci fossi nata, qui, dove anche l’eco più sinistro sembra amico.
- Tu ami questi posti, non è così?
- Oh, sì, li amo, perché sono il mio rifugio segreto, che non confiderò a nessuno.
In quell’istante, erano l’uno accanto all’altra… Si guardarono negli occhi, fatalmente.
Marlene aveva riconosciuto in colui che le carezzava le belle trecce il giovane garzone dai calzoni alla pescatora cui aveva, come inavvertitamente, confidato parte del suo segreto.
Perché lo aveva fatto? Lei non lo sapeva…
Lui le mormorava:
- Sai, un tempo, questo camino era fumante, vi abitavano due spiriti consacrati al bosco…
Era con grande poesia che le raccontava quella vecchia fiaba d’amore, che tutti avevano conosciuto…
Era la storia di due infelici, che per destino furono trasformati l’uno in upupa, l’altra in fonte…
Se si faceva silenzio, sembrava di udire ancora, perso nello stormire delle fronde, il roco verso di quell’uccello di sventura, cui faceva eco, come per incantesimo, il pianto gorgogliante della sorgente bianca.
Sembrava la patetica serenata di due anime tristi, e incatenate!
Ma Marlene non ascoltava le parole di lui: lo guardava negli occhi, come incantata, senza chiedersi che cosa provasse in quegli istanti dorati.
Poi, improvvisamente, egli le prese la mano, gliela strinse forte, come fosse sua, e le disse:
- Vieni ad abitare con me, in questa capanna… Oh, vieni, vieni con me, perché questo sarà il nostro rifugio, e nessuno mai potrà trovarci…
- Oh, io non so…
- Ricordi? Fui io ad insegnarti a cavalcare, io, che ti porsi la briglia, la prima volta. Ti chiamavo con il soprannome di “Signorina Bambola”, hai forse dimenticato come ti guardavo? Siamo fatti l’uno per l’altra…
- L’uno per l’altra?
- Oh, sì! – le rispose lui, con voce appassionata. – Oh, possibile che tu non ti accorga di ciò che arde nel mio sguardo e che i miei occhi, che tanto piansero per non poterti neppure sfiorare, non ti ispirino qualcosa?
- E che cosa mai dovrebbero ispirarmi?
- Marlene! Marlene!
E le strinse ancor più forte la mano, tanto, che quasi le fece male, mentre lei tremava dei brividi più teneri del mondo.
Le ricordava di quel giorno, quando si era udito il suo cavallo, nitrire forte, come imbizzarrito, e lui, il garzone, aveva riconosciuto quel nitrito per primo, era corso da lei, per soccorrerla…
Oh, Cielo, se l’avesse trovata morta!
- Ebbene, dimmi, dimmi, che cosa avresti fatto, se ciò fosse accaduto? – chiese Marlene, con voce carezzevole.
- Ah, in questo caso… Io… Io…
- In questo caso?
Entrambi tremavano teneramente. Erano quasi l’uno tra le braccia dell’altra, nel silenzio misterioso della natura.
  
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: JosephineJoanLewis