Videogiochi > Final Fantasy VII
Segui la storia  |       
Autore: shining leviathan    25/05/2012    6 recensioni
Zack e Aeris sono felicemente sposati. Ma il loro matrimonio, per un motivo o per l'altro, non funziona come dovrebbe.
Tifa è frustrata dalla freddezza di Cloud, spesso assente e rigido, incapace di donarle l'amore che la ragazza vorrebbe.
Cloud dal canto suo non sa scegliere, condizionato da una misteriosa ragazza che fa di tutto per rovinare la relazione tra i due.
Questo porterà Zack e Tifa ad avvicinarsi pericolosamente l'uno all'altro, un gioco di resistenza che entrambi sanno di non poter vincere. Sarà vero amore o una trama del destino?
Tra colpi di scena, e ritorni inaspettati i protagonisti di questa storia metteranno in discussione se stessi e i loro sentimenti, scoprendo che niente è come sembra, che nessun segreto è destinato a durare.
(Zack x Tifa)(Aeris x Tseng)(Cloud x Sorpresa)
Genere: Erotico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aeris Gainsborough, Cloud Strife, Tifa Lockheart, Tseng, Zack Fair
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

A forza di stare con la schiena poggiata sulla porta si era gelata fino alle punte degli alluci. I capelli scivolarono dal collo, carezzandole freddamente il profilo del seno, coperto a malapena da un asciugamano, umidi, aggrovigliati così tremendamente opachi da farli assomigliare ad una manciata mal cardata di lana.

Mosse le gambe per saggiare ancora la resistenza della barriera fra lei e Cloud: non un sussulto né un respiro, assenti i segni di una forzatura. Non ci aveva nemmeno provato, e si rilassò, cercando di non far trapelare la delusione per quel mancato gesto.

Non aveva motivo per piantonare l’ingresso alla camera, eppure un folle desiderio che lui facesse irruzione e pretendesse di dormire nel suo stesso letto superava di gran lunga la rabbia per l’ennesima negligenza dell’ex Soldier.

 Se si fosse mostrato perlomeno all’altezza di un aspettativa scontata il pensiero di perdono sarebbe sfilato veloce nelle priorità di Tifa, e compromettersi sin dagli arbori come presentarsi a testa bassa apparentemente pentito per qualcosa ingigantiva un fatto che non le avrebbe raccontato mai, uscendosene con scuse improbabili o peggio, il silenzio.

Evitando i suoi sguardi, Tifa era scoppiata.

“ Sai cosa serve un cellulare, Cloud? Immagino di no, dato che lo usi con  la stessa frequenza delle buone maniere. Non fare quella faccia. Io mi sono stancata di aspettarti e temere costantemente per la tua vita. Se la strada di casa ti appare così ignota comprati una cartina.”

Non gli diede tempo di ribattere.

“ Risparmia le energie per salire le scale. Stasera starai comodo anche sul divano.” Si voltò risolutamente, marciando al piano di sopra con tutta l’intenzione di sfasciargli la faccia se avesse osato seguirla. Purtroppo quella soddisfazione non gliela diede mai.

“ Stronzo.” Mormorò raccogliendo il pettine da terra.

Agguantò il libro poggiato sul comodino, sfogliando le pagine con rabbia. Cominciò a snodarsi lentamente i capelli, trovando più nodi che altro, intanto gli occhi vagavano su e giù per le righe: consigli idioti, paragrafi di aneddoti forse poco adatti alla sua situazione.

Tirò, e le fece un male cane. Strinse una ciocca alla radice e passò i denti del pettine per domare la massa ingarbugliata, ma si rivelò più ostica del previsto.

“ A-ahi!” sibilò. Sbuffò, gettando via il pettine. Incrociò le braccia al petto, gettando occhiate distratte alla frase in grassetto.

La depressione si fece largo nel suo animo.

Se lui non è interessato, vedila come un’opportunità per fare un salto dal parrucchiere.

Toccò piano la sommità della testa. Lo specchio restituiva un’immagine smessa, sciupata. I suoi capelli erano più corti di due anni prima, forse riusciva a curarli meglio, ma alla luce di quel consiglio notava di colpo le doppie punte e l’opacità del colore.

Era ingrassata? Oddio,no, forse solo i capelli facevano pena.

Corrugò le sopracciglia “… Magari una spuntatina non farebbe male.”

“ Tifa.”

Schizzò in piedi, rovesciando lo sgabello. Il riflesso di Cloud nello specchio la fissava cautamente e lo spavento si diradò in un attimo. Gli occhi spalancati si ridussero a due fessure, e chiuse il libro perché lui non vedesse quanto in basso poteva cadere per lui.

Si voltò, decisa ad affrontarlo a viso aperto, ma una volta che i suoi occhi ebbero incontrato quelli chiari di Cloud avvertì come una voragine pronta ad inghiottirla sotto i piedi. Il suo dolore traspariva autentico, e glielo trasmetteva nel modo più semplice possibile, un monumento fatto a immagine e somiglianza del rimorso.

Se non gli avesse nascosto qualcosa, Tifa non avrebbe esitato a saltargli al collo e baciarlo per spazzare via le nubi addensate nell’anima ma con grande sforzo rimase dov’era, atteggiata in un broncio indispettito.

Cloud aprì bocca una volta. Tifa continuava a fissarlo ostile. Richiuse di scatto la mascella pensando che forse non era stata una grande idea pensare di trovare un equilibrio con la rabbia di Tifa ancora florida, in procinto di esplodere.

“ Parla.” Ordinò, dato che il ragazzo non accennava una parola che fosse una “ Sono disposta ad ascoltarti. Ti avverto…” alzò un po’ la voce proprio quando Cloud tentava di cominciare il discorso “ Scegli con cura le parole, o puoi anche togliere il disturbo.”

Il giovane percepì un bivio pericoloso. La fatidica goccia stava per cadere, e non poteva permettere che Tifa rimuginasse su una possibile rottura. Una lieve stilla di panico guizzò dentro di lui, ad ogni battito immaginava il suo cuore urlare di non permetterlo, di fermarla, e dall’altra dirle chiaramente come stavano le cose, smettere di mentire e togliersi un peso ormai insostenibile.

C’è un’altra ragazza.

Ma non la amo.

Io amo te, Tifa, nessun’altra.

Eppure continuerò a tornare da lei.

Non possiamo andare avanti così.

Mi dispiace.

 

Strinse le labbra, trattenendo quella confessione. Premeva sulla lingua, smaniosa di farsi sentire, fu sul punto di morderla, di assaggiare il sangue per placare il tumulto interiore. Non lo fece.

“ Mi dispiace.” Mormorò prima di poterselo impedire. “ Avevo bisogno di stare da solo.”

La menzogna provocò l’insoddisfazione di Tifa, ma almeno non sospettava niente di peggio. Forse.

“ Capisco. Comunque una telefonata per avvertirmi mi avrebbe fatto piacere.” Si voltò rapida, e i suoi capelli schiaffeggiarono Cloud sul viso. Profumavano di fresco, ancora umidi. “ Se non hai altro da dire esci subito. Devo vestirmi, e dato che ti faccio ribrezzo non credo che tu voglia vedermi nuda.”

Fece per prendere dei vestiti nell’armadio, ma il braccio di Cloud la tirò all’indietro. Inciampando gli finì addosso, con la testa affondata nel petto di lui. Le braccia muscolose la serravano possessivamente, senza scampo e la sorpresa superò di gran lunga l’irritazione.

C’era un che di strano, a dire la verità. L’abbracciava come se dovessero strapparla via da un momento all’altro. Ma per non rompere quel momento rimase zitta non svelando i suoi dubbi. Si era rassegnata ad essere la ragazza di un mistero vivente.

“ Cosa?”

Tifa si scostò per vederlo in viso, e ripeté “ Perché ti comporti così?”

“ Così come?”

Eccolo di nuovo sulla difensiva. Possibile che ogni volta cominciassero un discorso lui si intestardiva nel pensare di non essere nel torto?

“ Cloud, sto parlando sul serio. Siamo persone adulte e se hai un problema lo affronteremo di conseguenza.” Gli carezzò una guancia, e lui si ritrasse, sciogliendola dalla stretta “ Ecco, vedi? Non stavo scherzando sul fatto che mi metti alla stregua di una lebbrosa.”

“ Non è vero.” Fece per uscire, poi ci ripensò e poggiò il gomito allo stipe. Sospirò “ Ascoltami, Tifa, qualunque cosa tu possa pensare non c’è niente di vero.”

Bel coraggio a dirle di non preoccuparsi mentre le dava le spalle. Codardo e pure idiota.

Mistero vivente o no a Tifa non piaceva essere presa per il culo, e se l’altro non si accorgeva delle risposte sballate che dava, alla ragazza non importava niente. Giustificarlo cominciava a scocciarla così come il dover rimanere sola dopo avergli strappato la promessa di una vita assieme.

Era dannatamente stufa di doverlo rincorrere come un cagnolino. Non si sarebbe annullata, era indipendente abbastanza da poter tirare avanti senza di lui. Semplicemente voleva sembrare abbandonata e vulnerabile, convincerlo a rimanere e proteggerla.

La gratificava sapersi così forte.

Odiava la sua forza, perché impersonava al contempo la sua debolezza.

No…

 

Lo fissò: la polvere depositata sui vestiti e i capelli, gli stivali infangati. Scosse la testa, accettando il fatto che la patina di sporco si fosse depositata sulla loro relazione sin dagli inizi. Come il sangue sulle sua mani, più cercava di lavarlo via, più si distribuiva per insozzare il futuro, cancellando prospettive, nascoste da segreti e vizi. La strada maestra sbiadiva troppo presto, alternando momenti di fiducia ad altri di lucidità: vita o non vita, se era coerente con se stessa avrebbe dovuto lasciarlo, perché era evidente la frattura creatasi fra loro.

Si malediva in ogni lingua per la permissività con cui accettava la realtà, ma ora, ora, doveva agire. Fatica inutile e la tentazione di sedersi e riprendere a pettinarsi come se nulla fosse appariva fin troppo allettante.

La sua mano strinse il lembo dell’asciugamano, tirandolo affinché il nodo si sciogliesse, scivolando con un piccolo tonfo a terra. Fu naturale abbandonare qualsiasi reticenza pudibonda, convincendosi di soggiornare sola nella stanza, e Cloud fuori a scappare come nei giorni seguenti.

Immobile, aspettava uno sguardo, un guizzo. Cloud non accennò un movimento, poggiato alla porta e dandole le spalle per rispettare la sua privacy, un copione ben congeniato dalla stessa convinzione ributtante di avere delle tare o un braccio in più.

Faccio schifo? Bene, non me ne frega nulla.

Passò un dito sul seno, raccogliendo le gocce d’acqua che cadevano dai capelli, seguendo il profilo con delicatezza, aggiungendo le altre dita per carezzarsi, arrivando fino all’ombelico. Lo esplorò facendoci girare l’indice attorno, uscendo ad assaporare il punto dove le gambe si congiungevano. Affascinata dalla contemplazione del suo corpo, registrò una stretta ferrea sul polso. Il profumo del dopobarba di Cloud, vicinissimo al punto che la maglia del ragazzo sfiorava la pelle sensibile e umida. Le dita racchiusero le sue, portandole fino alle labbra, baciandole una ad una.

Tifa sorrise, sentendo la sua mentre prendere distanze vertiginose per liberare una primordiale sensualità. Allungò il viso, passando il naso sulla guancia di Cloud, sfregando poi la punta sulle labbra sottili. Gli occhi di lui si allargarono, assumendo un’espressione vagamente stordita.

In due anni non l’aveva mai vista nuda. Tifa ci teneva alla sua intimità, e quell’improvvisa audacia lo confuse: eppure, non gli dispiacque quando, poggiando la fronte sulla sua, gli baciò languidamente il mento, sbriciolando quel poco di autocontrollo residuo.

Non poteva, non voleva cadere più in basso di così.

Doveva allontanarla, ricordarle che era arrabbiata con lui perché la ignorava.

Il fiato dolce della barista gli piaceva, forse ne poteva godere ancora per un po’. Bastava solo ricordarsi di fermarsi in tempo.

Quando lei fece per baciarlo, Cloud indietreggiò.

“ Ti lascio rivestire.”

Tifa aprì di scatto gli occhi, risvegliandosi dalla fantasia ideata in quel breve lasso di tempo. L’unica cosa che notò fu lo scomparire di Cloud giù per le scale. Freddo, insensibile.

Lei poteva solo accontentarsi di un sogno per vivere.

Come sempre.

 

 

Due settimane a letto parevano compensare, se non superare, il periodo di prigionia a Nibelheim. Una minima differenza stava nel fatto che quattro anni erano passati raccogliendolo nella corrente del tempo e trasportandolo fino al presente senza coscienza, solo con i propri incubi e il bruciore acuto del bisturi sulla pelle – di quello si ricordava, però. Dopo Angeal scomparve dai suoi sogni per sempre, una volta che il dovere di mantenerlo in vita non si era prolungato alla libertà, il suo mentore contava sul fatto che se la sarebbe cavata egregiamente in solitudine.-

I medici si erano sorpresi  della quantità di cicatrici sul torace: il foro di proiettile fresco si univa a piccoli semicerchi rozzamente medicati, due o tre ci avevano messo del tempo a guarire, un quarto non aveva suppurato a dovere, rendendolo facile bersaglio di un’infezione fastidiosa un mese prima del matrimonio. Non indossava maglie pesanti o di materiale sintetico, sopratutto bianche: lo imbarazzava, nelle prime settimane, trovarsi con una grossa macchia si siero viscoso alla portata di sguardo. Vivo per un miracolo, comunque, e ne avrebbe avuto da dire molto, raccontare la storia di tutte le ferite – quelle recenti- che di notte si ritrovava a combattere. Prima le fiamme del piccolo villaggio sulle montagne, dopo il terrore secco di una canna di fucile puntata addosso, sicuro che negli occhi di ciascun fante la pietà spariva nell’ordine impartito di sparare a vista.

“ Tutti hanno incubi da dover combattere, Zack.” Gli diceva Aeris, le rare volte in cui si confidava. C’erano territori del suo passato che anche una ragazza come lei ci si avventurava cauta, sperando di non sbagliare “ Si tratta solo di avere la forza di guardare avanti, rimestare il passato e sperare di cambiarlo non renderà giustizia a nessuno. Io sono qui, okay? Ci sarò sempre, anche quando farai delle sciocchezze.”

Chiuse gli occhi, aspettando che il medico arrivasse. Povera Aeris, avrebbe tanto voluto che si fosse tenuta per se una promessa del genere, che maturasse un po’ di sano egoismo invece di anteporre gli altri a se stessa. Meno male che non leggeva nel pensiero, rifletté il giovane, gli avrebbe fatto una lavata di testa colossale, altrimenti.

Le piaceva aiutare, tutto qui. Voleva che la gente intorno a lei fosse felice, che non conoscesse le durezze di un mondo che era sempre stato pronto a darle la caccia sin da quando era nata. I guai li trovavano ovunque, ed entrambi. Zack non temeva nulla, poteva frasi largo in un muro di cemento, tuttavia sua moglie si arrangiava con altri mezzi, essendo cresciuta negli slums. I fiori, la dolcezza, l’empatia, cose che in quei luoghi oscuri e malfamati Aeris coltivava ogni giorno, rendendoli suoi, incarnando ideali di cui lui non era mai riuscito a farsi portavoce nonostante l’adolescenza sprecata – perché per come era finita si era proprio consumato inutilmente- nei Soldier. Ancora adesso, temprato dal sangue e dalle tante morti, con le mani callose per l’utilizzo prolungato della spada, il bambino ingenuo di tanti anni fa si faceva spazio per mendicare una carezza, un conforto che solo Aeris era capace di donare pur non figurando ipocrita come molti nel Pianeta. La pazienza per stargli dietro non le mancava, ne lesinava abbracci e slanci improvvisi d’affetto. Si vergognava di averle urlato dietro qualche settimana prima, il nervosismo della convalescenza scandiva ore lunghissime che non passavano mai e la mezza ramanzina era servita a rinverdire ancora di più l’irritazione. Grazie a Dio la ragazza sembrava aver rimosso l’accaduto.

Toccò la garza, attendendo timoroso la solita fitta – di questo passo quando lo avrebbero dimesso?- e si accorse che non faceva male. Sorrise.

 “ Ehi, tesoro?”

Immediatamente realizzò che Aeris non era lì. Gli aveva detto che sarebbe andata a prendere qualcosa per il viaggio a Gongaga.

All’appello mancava il medico.

Un controllo, gli diceva ad ogni visita nelle stanze, per assicurarsi che la ferita non si infettasse. Zack comprendeva la miriade di impegni e pazienti per un primario di fama, però cominciava ad essere stufo: aspettava la diagnosi da una settimana, l’altro ieri era riuscito a farsi strappare la promessa di un check-up veloce e ancora nessuna traccia all’orizzonte di chicchessia.  Passò una mano nei capelli, sentendosi a disagio per tutto quel silenzio. Solitamente a quell’ora la sua vicina di letto si metteva a chiacchierare sulla sua famiglia: sei figli – con tredici nipoti annessi al pacchetto- condendo la comune adorazione per loro con coloriti particolari della sua vita intima quando era adolescente.

A quel punto si facevano entrambi due sane risate alle disavventure del marito di lei nell’atto di scavalcare il muro di cinta per vederla ed atterrare in un cespuglio di ortiche credendole innocue.

“ Eravamo ragazzi e ci godevamo la vita.” Diceva, facendo scintillare un lampo di malizia negli occhi “ Mio padre non approvava  che io frequentassi un figlio di artigiani ma, come dico sempre, l’amore trova il modo di anteporsi a tutto il resto, e ci siamo sposati in una bella giornata di sole.” Sospirava, rendendosi improvvisamente conto che la primavera era passata altre due volte senza di lui “ Avremmo fatto quarantaquattro anni di matrimonio lo scorso venticinque aprile.”

“ Cosa gli è successo?”

“ Si trovava nel Settore 7 al momento sbagliato.”

Questo gliel’aveva confidato il giorno prima di essere dimessa, e Zack sentiva rimbombare quell’assortimento di parole amare come se lei stessa glielo sussurrasse durante il sonno, instillando veleno, promettendogli vendetta a causa di tutto ciò che continuava a rappresentare nonostante la Shinra fosse ormai nella polvere. L’ennesimo incubo da aggiungere agli altri, ancora troppo vivido per poterlo accettare e chiudere in un cassetto.

Il silenzio lo torturava, spezzando la mancanza di suoni con ticchettii lievi dell’orologio da parete, alla sue orecchie insopportabili per l’assenza palpabile di qualcosa oltre il nulla della stanza bianca.

Una volta non si sarebbe preoccupato della solitudine – la vedeva più come una condizione momentanea in una camerata numerosa come la sua- ora faticava a sopportarla per più di qualche minuto, in luce degli eventi recenti, pensare alla morte gli rendeva difficile accettarla. Forse perché l’aveva provata sulla pelle troppe volte per non innervosire qualche autorità superiore, per averla fatta franca quando le persone a lui più care scomparivano per tornare nel Lifestream.

Scosse la testa.

Non faceva alcuna differenza. I morti meglio lasciarli riposare in pace, si disse, per loro non c’era nulla da fare se non ricordarli con moderazione. Eppure, anche per una persona ottimista come lui era complicato. Se non ci fosse stata Aeris, l’ancora del suo presente si sarebbe spezzata per mandarlo alla deriva nei ricordi.

Aveva tutto ciò che si potesse desiderare.

Lei.

Una vita.

“ Non chiedo altro.”

Bugiardo.

Quel monito volto a se stesso venne spazzato via quando la porta si aprì per rivelare un uomo dal camice bianco, seguito a ruota da una giovane castana con le braccia cariche di borse. Per non rivelare il sollievo nel vedere il medico, atteggiò il volto ad una sofferenza studiata.

“ La mia carta di credito…” gemette, in maniera a dir poco teatrale. Aeris posò le buste sulla sedia, ridacchiando, consapevole di aver esagerato giusto un pochino.

“ Ho preso qualcosa anche per te, tranquillo.”

Appunto. “Qualcosa”

Zack spostò lo sguardo verso il dottore, ansioso e senza prestare attenzione alle domande, chiese semplicemente “ Posso andarmene?”

“ Signor Fair.” Disse fermamente il dottore, nascondendo l’irritazione per esserlo sentito domandare per la duecentesima volta  “ Le ho già detto che prima dobbiamo fare un controllo.” Estrasse uno stetoscopio dell’ampia tasca del camice “ Si apra la camicia, per favore.”

Aeris frugò nella sporta, fingendosi indaffarata a sistemare dei vestiti e la sua attenzione gravitò in particolare su una scatoletta rettangolare. La prese, facendo attenzione a tenerla nascosta contro il petto e la fece scivolare nella borsetta.

Si morse il labbro, vergognandosi di quell’inutile segretezza. Zack rispondeva vivacemente ai quesiti, seguito dalla pacata inflessione dialettale del medico, e respirò normalmente scacciando il fremito che le aveva invaso il corpo. Abbassò un poco le palpebre, seguendo con l’indice i bordi cartacei della confezione. Titubante, ritrasse la mano, sorridendo lievemente.

“ Tutto a posto, Aeris?”

Si voltò, distendendo ancora di più le labbra.

“ Certo.”

Con la coda dell’occhio sembrò indicare qualcosa dietro di lei.

“ Certo che sì.”

 

 

 

“ Il signor Tseng?”

“ Come ha avuto il mio numero?”

“ Ci è stato fornito da un suo parente stretto. Qui è l’ufficio di tutela dei minori.”

“ Deve esserci un errore: non ho parenti in vita…”

“ Si tratta di sua sorella.”

“ …”

“ Signor Tseng, è ancora in linea?”

“ …”

“ Pronto?”

“ Ditemi l’ubicazione della vostra sede, sarò lì domattina.”

 

 

Premette dolcemente il piede sul freno, osservando l’edificio che gli era stato indicato il giorno precedente. Di poco dissimile a tutte le altre strutture permanenti e alla buona di Edge, differiva solamente per il frontone riciclato da un vecchio tribunale di Midgar, ormai con le parole semicancellate, deteriorate dalle piogge acide. Parcheggiò qualche metro più in là, infilando le chiavi nella tasca dei pantaloni. Un piede dietro l’altro, con calma, sentendosi in qualche modo costretto da catene che rendevano i suoi passi più pesanti, quasi da scalfire il cemento del marciapiede.

Non avrebbe dovuto trovarsi lì, in ogni caso un errore ci doveva essere. Avrebbe dovuto negare fino all’ultimo, minacciare quell’uomo con parole ben calibrate e costringerlo a fornire le generalità dell’individuo che aveva osato scucire un dettaglio lavorativo importante come il suo numero aziendale. Reno? No, conosceva la procedura nonostante le molte trasgressioni. Degli altri due non doveva neanche chiederselo.

Un Turk nei pressi di un tribunale non era in ogni caso un bene. Due anni prima avevano trovato rifugio a Kalm proprio per questa eventualità – considerando la rabbia della gente, forse era il meno- e adesso trovava strano che volessero riprendere in mano il caso di membri della Compagnia sopravvissuti e impuniti. Rufus finanziava il WRO, e loro davano una mano dove c’era bisogno, una sorta di espiazione, consci che non sarebbe mai stato abbastanza. Certo, avevano anche i loro interessi – la filantropia del giovane Shinra non arrivava di sicuro ai livelli di una conversione completa- ma si stavano impegnando tutti quanti per dare una speranza al nuovo mondo in ascesa, nonostante la crisi.

Si chiese se stava perdendo colpi a forza di comportasi diversamente dal killer freddo quale era da dieci anni a quella parte, se qualcuno potesse approfittare di quella debolezza e far collassare il piccolo business istituito dopo il crollo. Minacciarlo, mettere in atto le minacce, perdere tutto ciò per cui avevano lavorato faticosamente. Come leader era esposto ad ogni genere di rischi, non si era mai tirato indietro – Veld era stato un ottimo mentore in quanto temprare il carattere- e non l’avrebbe fatto in quel momento, in quella situazione. Circondò la maniglia con le dita affusolate, stringendola per spronarsi a entrare e risolvere la questione  con la massima cautela possibile.

L’interno si presentava piuttosto spartano: i muri macchiati d’umidità, due sedie accatastate alla rinfusa come sala d’aspetto, strettamente collegate a una scrivania con un fiore di plastica posto in una tazza di Costa del Sol. La lampadina a risparmio energetico illuminava a malapena la stanza verniciata con tinte scure. Diverse lauree incorniciate, uno striscione con dettami della giustizia che lui aveva sempre infranto. La segretaria alzò gli occhi da un plico di fogli coi bordi accartocciati, raddrizzando la schiena con fare sostenuto.

“ Posso aiutarla?” domandò gentilmente. L’attenzione di Tseng venne catturata dalla bacheca sulla sinistra con troppe foto da contenere per un spazio ridotto. Sorrisi di bambini e disegni mostruosi come unico colore allegro in quel cupo antro.

Sbatté le palpebre, riprendendo lucidità “ Sì, sto cercando il signor Colleridge. Il suo assistente mi ha chiamato ieri per una… questione riguardante la mia famiglia.”

Ripeté mentalmente le poche righe scritte per ricordarsi la via e il nome, pregando che finisse presto. Detestava aspettare, specialmente per una cosa di cui non aveva niente a che fare. La donna si alzò in piedi, lisciando una piega del golf. Il sorrisetto di circostanza mise Tseng di cattivo umore, e corrugò leggermente le sopracciglia.

“ Lei deve essere il signor Tseng.” Proferì con voce sorprendentemente limpida e secca. Si avvicinò a lui tendendo una mano sottile “ Anna Colleridge, associazione per la tutela dei minori.”

Tseng non mostrò alcun imbarazzo per l’errore commesso e ricambiò il saluto. Strinse giusto quel poco per dimostrare di non essere il primo sempliciotto passato di lì.

“ Onorato.” Non lo era, proprio per niente. Persone come lei non procuravano che grane, non era una corrotta o una raccomandata. Le pareva uno squalo pronto a divorare l’incauta foca con l’astuzia di tanti anni nell’oceano di menzogne di casi comuni.

“ Mi pare di ricordare che lei abbia negato in un primo momento di avere una famiglia.”

Non addentrarti in trucchi che io conosco come le mia tasche.

Il Turk scrollò le spalle “ Diciamo che l’avere parenti non significa strettamente avere una famiglia”

“ Capisco.”

Gli diede le spalle, tornando a sedersi con un sospiro.

Frugò nei cassetti fino a trovare un fascicolo fresco di stampa, e piantò gli occhi minuscoli e inquisitori nei suoi, cercando qualche segno di agitazione. Il suo sguardo scivolò poi sul corpo, e Tseng si rese conto che poteva ottenere dei vantaggi immediati grazie al timore suscitato dalla divisa.

“ Il caso è complicato, signor Tseng.” Il timbro serio, da maestra elementare non aveva più nulla dell’ironia pungente di prima “ Quindi ho fatto venire qui l’ambasciatore di Wutai addetto alla questione. È stato lui a insistere affinché io vi chiamassi.”

Tseng incrociò le braccia al petto, attendendo il vero motivo per cui l’avevano convocato.

“ La sta aspettando nella stanzetta dei colloqui.” Indicò con la testa una porta, replicando il gesto per sollecitarlo ad entrare “ Prego. Parleremo dopo dei dettagli.”

Avanzò velocemente – nervoso e irritato- ed entrò senza chiedere il permesso. Chiuse l’anta, percependo subito il suo interlocutore seduto a capotavola. L’ombra che la luce della finestrella non rischiarava non impedì a Tseng di coglierne il sorriso paterno.

Aprì bocca, emettendo poche parole che fermarono il cuore al Turk “ Mi fa piacere rivederti, Tseng.” Premette le mani sulle ginocchia, facendo leva per alzarsi “ Spero di non averti distolto dai tuoi doveri.”

Di fronte a quell’uomo tornò bambino. Rivide la sua terra, le montagne aspre e il villaggio ai piedi del Da-Chao, gli tornarono alla mente le mattine in cui si svegliava e andava a giocare al ruscello, tornando a casa con lo yucata fradicio e schizzato di fango. Il freddo della sera che combatteva avvolto in una trapunta quando guardava il sole sparire rimanendo a gambe incrociate nel giardino, bloccandosi i legamenti che scricchiolavano cercando una stabilità dopo ore immobile.

La Wutai di un tempo, colorata e in pace, la terra della sua infanzia che una volta adulto non aveva riconosciuto più. L’unico colore stava nel sangue, l’ odore soffocava i ricordi felici, facendolo concentrare solo sulla missione e uccidere coloro che un tempo erano stati suoi conterranei.

A guerra finita, le uniche parole per descriverlo venivano da se, marchiate sulla pelle per l’eternità.

Traditore della patria.

Assassino.

Turk.

Etichette guadagnate uccisione dopo uccisione, dannandolo il doppio per le urla agonizzanti nella lingua di sua madre, dei suoi antenati, che si spegnevano in un’eco di rombi e polvere da sparo fra quelle montagne mute e altere.

Sedici anni dopo il nome affiorò spontaneo.

“ Hiroya-sama.”

“ Ragazzo mio.” Mormorò sinceramente commosso l’ambasciatore. Venendo a meno alle regole di galateo, abbracciò per un attimo il Turk, accorgendosi di quanto tempo fosse passato dall’ultima volta che l’aveva visto, decisamente più immaturo e ingenuo. Si sorprese della sua altezza, ricordando poi a se stesso che forse era lui quello che si era abbassato con l’età.

Diciassette anni comportano naturali cambiamenti.

Tempo tiranno.

Tseng rimase immobile, tre secondi, battendogli una leggera pacca amichevole sulla spalla. Trovava incredibile che Hiroya fosse qui, in abiti diversi da quelli tradizionali del villaggio natio, e che lui lo superasse di una buona testa. Lui che da bambino lo ammirava dal basso, adesso si ritrovava a dover abbassare gli occhi per mantenere un contatto.

Hiroya sciolse l’abbraccio, incrociando le mani dietro la schiena. La contentezza non accennava a voler lasciare il reticolato di rughe e rise di cuore: “ Ti ho scambiato per tuo padre, lo ammetto. Per un attimo mi sei sembrato in tutto e per tutto Saito, pace all’anima sua, sei identico!”

Tseng incassò quello che per lui era un insulto. Hiroya e papà gestivano le contrade del villaggio, tutelando gli abitanti dai soprusi esterni. L’altruismo di Saito non compensava la scarsa considerazione che aveva avuto per i suoi figli.

E poi…

Nascose il pugno, i tendini sbiancavano pericolosamente sulle nocche appuntite.

 Si schiarì la gola“ Sono… sorpreso. Fra tutte le persone non mi aspettavo certo lei.” Si ravviò i capelli “ A quanto pare gli dei mi sono favorevoli, oggi.”

“ Confido che Miss Colleridge ti abbia messo a disagio. Rispetto a lei molti preferirebbero avere a che fare con un Behemoth.” Ridacchiò ancora, suscitando un sorrisetto di scherno sul volto di Tseng.

“ Il disagio è la prima sensazione che si deve bandire, nel mio lavoro.”

In ogni caso lo stava provando a frequenze sempre più ravvicinate. L’apparizione di un personaggio del suo passato lo portava a ricordare, ed era un’azione che non compiva da secoli, un misto fra malinconia e voglia di andarsene senza domandare altro. Nell’innocenza, si sarebbe lanciato diritto fra le braccia di Hiroya, tempestandolo di domande, supplicandolo di raccontare le leggende del suo popolo. Trovare consolazione, quando tutto il mondo pareva contro di lui. La cortesia, blando gradimento, rigettava un comportamento ai limiti della freddezza per celare un imbarazzo costernato.

Ormai uomo, non poteva lasciarsi andare e sorridere. Poteva solo guardare la felicità altrui e prenderci parte con scarso entusiasmo. Accennare l’incarico da Turk indicava una voglia di rispetto, o paura, dimostrare di non essere inerme come il fu ragazzo di Saito.

“ Oh, allora ne sei immune fino a tal punto?”

“ Ovviamente.”

Hiroya sospirò. Tseng avvertì la stanchezza nel corpo raggrinzito del funzionario, i capelli grigi che traevano in inganno per mascherare un’indole da ragazzino, pronto ad argomentare per difendere il suo paese e tutto ciò che era caro, una scintilla che mai si sarebbe spenta.

Intuì che gli avrebbe causato un grattacapo bestiale, e rinunciò all’idea di tornare in ufficio in tempo per sbrigare le ultime scartoffie sulla missione a Corel. Stava per parlare ma Hiroya lo anticipò.

“ Vuoi sapere perché ti ho convocato qui?”

Tseng ammutolì, stranito nel vedere le guance afflosciarsi in un espressione addolorata. Fu un lampo, tristezza piombata sulle vecchie spalle a ricordargli che l’ilarità concessa era giunta al termine, e zoppicò fino alla sedia, svuotato dell’energia vitale.

Tseng si accomodò al suo fianco, paziente. Un’aspettativa quasi feroce gli squassava il cuore, percuotendolo col rumore ritmico fino nel cervello, e la stanzetta silenziosa si riempiva di suoni assordanti.

Il vecchio non abbassò gli occhi, fece guizzare la pupilla solo per controllare il piccolo usignolo atterrato dolcemente sul davanzale, e al secondo cinguettio di quest’ultimo iniziò: “ Temo di doverti dare una brutta notizia, Tseng.”

“ Ci sono abituato.” Replicò, incrociando le braccia, fissando la punta delle scarpe con disinteresse. E sono anche abituato a provocarle, suggerì la mimica facciale, contratta per un attimo in un flashback di innumerevoli vite finite sotto la canna della Lugar.

“ Purtroppo riguarda te, stavolta.” Precisò Hiroya, ignorando l’affermazione ambigua . Massaggiò la radice del naso, sistemando gli occhialetti pieni di ditate “ E’ Hana.”

“ Come è successo?” si interessò Tseng, intuendo dove Hiroya volesse andare a parare. Si rifiutò di guardarlo, preferendo il pavimento a rombi neri per concentrare la vista. I battiti cardiaci si erano fermati, congelando il sudore che faceva capolino dalle maniche della camicia.

“ Ammetto.” Un suono di gola, imbarazzo “ Ammetto di non conoscere tutti i particolari. Chi è arrivato per primo nella casa dove è…” esitò “ … morta afferma di aver visto come… non saprei, melma nera. Usciva dalla bocca, e le braccia erano coperte della medesima sostanza. In tutta la mia vita non ho mai sentito di una malattia del genere.”

Il Turk non disse nulla.

“ Tseng.”

Niente.

“ Posso capire che… ma era tua sorella. Non mi vuoi chiedere nient’altro?”

“ Solo il motivo per cui mi ha fatto chiamare.” Mormorò atono.

Hiroya non aveva dato conto alle voci che circolavano a Wutai. Durante un conflitto era normale che si creasse una leggenda della morte come monito per chiunque avesse fatto l’errore di sottovalutare i propri nemici e Sephiroth ne era stato l’esempio lampante, un mostro venuto fuori dall’inferno stesso, ma pure allora Hiroya non si era arreso al fatto che Tseng fosse diventato l’ennesimo cane al servizio di quei parassiti, ripetendosi sciocchezze troppo infantili per un uomo adulto, incredulità che sarebbe dovuta appartenere a Saito, dato che di suo figlio si parlava. Adesso quel ragazzino vivace si era nascosto sotto quegli indumenti rigidi per sfuggirgli ancora una volta, cosa che non gli avrebbe permesso di fare. Non questa volta.

“ Sì, giusto.” Incrociò le dita sotto il mento, le lenti scivolarono poco per volta sul naso sottile creando un buffo contrasto con l’alterigia del funzionario. Chiunque altro avrebbe trovato delle difficoltà a prenderlo sul serio. “ Ma prima voglio fartela io, una domanda.”

L’usignolo fece frullare le ali, procedendo a balzelloni sul davanzale.

L’uomo strinse gli occhi “ Esiste ancora il ragazzino che ho visto crescere? O la Shinra si è portata via anche lui?”

“ La risposta può vederla da sè.” Un completo scuro come la notte ad offuscare tutto quello che era stato. Lui non era più un bambino.

“ Invece no.” Lo contraddisse flemmatico, insinuando una vena di dubbio nel cuore del Turk. “ Rispondi. Hai ucciso molte persone a Wutai?”

“ Sì.”

“ Consapevolmente?”

“ La mia fama mi precede, Hiroya-sama.” Lentamente alzò la testa, permettendo di vedere la sua facciata gelida, impenetrabile, e Hiroya, che pure aveva buon intuito nell’indovinare gli stati d’animo, trovò difficile capire se il suo interrogatorio l’avesse irritato o semplicemente annoiato.

Quel piccolo esame gli aveva confuso le idee ancora di più. Decise di lasciare perdere l’atroce perplessità sulla spietatezza di Tseng, pregando che dopo aver sentito tutta la storia accettasse di cooperare. Invocò Leviathan e tutti gli spiriti degli antenati, implorando la loro benevolenza, e disse:

“ Forse è meglio partire dall’inizio.”

Tseng non si mosse, ascoltando attentamente per soppesare informazioni utili da un racconto assurdamente lungo.

“ Capirai che durante la guerra molti paesi sono stati distrutti dai bombardamenti. Nara non esiste più, Tseng. O meglio, alla fine del conflitto è stato ricostruita sulla sponda est del fiume inglobandosi a ciò che restava di Mino. Ora viene chiamata Tsuano.”

“ Scelta nostalgica.” Fece notare ironicamente.

“ L’ho pensato anche io, ma non stiamo parlando di questo, in ogni caso.”

“ Si sta contraddicendo.”

“ Per me il tempo passa con meno indulgenza.” Ammise quieto, scostando una ciocca grigia dalla fronte, e continuò “ Tutto parte da un singolo evento che ne influenza molti altri, e la caduta della nostra città natale ne è stato il primo esempio.”

“ Sono tutto orecchi.”

“ La guerra ci stava portando via ogni cosa, ogni affetto. Vedevamo i bambini morire senza poter fare nulla. Il cibo scarseggiava, ed eravamo vittima di continui sciacallaggii, sia da parte di SOLDIER che da disertori dell’esercito di Wutai. Vivevamo nel terrore costante e intanto dopo il coprifuoco chi veniva sorpreso fuori casa veniva ammazzato senza tante cerimonie e le spie incontravano un destino addirittura peggiore.” Riprese fiato “ Il vecchio Sai, il guaritore, mi raccontò che un giorno dei fanti fecero irruzione nella sua bottega, esortandolo a venire con loro per visitare un prigioniero. Quando lo fecero entrare nel bunker sotterraneo vide un uomo legato ad una sedia, afflosciato in avanti, col sangue che dalla faccia colava sul pavimento. Gli diedero un posacenere, imbrattato di rosso, e si accorse che a quel povero diavolo avevano cavato gli occhi e adesso si aspettavano che lui lo “guarisse” e glieli rimettesse nelle orbite. Cercò di spiegare che non era possibile e loro lo minacciarono, dovettero chiamare un medico direttamente da Midgar per provare che Sai aveva ragione. Lo rilasciarono dopo quattro giorni.”

Nella stanza adiacente sentirono una sedia strisciare sul pavimento. I piccoli passi scattosi della Colleridge si spensero in un fruscio di carta e dal suono della fotocopiatrice. Hiroya si voltò per vedere meglio l’usignolo alla finestra, ma si accorse che era volato via.

“ La situazione era insostenibile, piccoli focolai di rivolta divampavano ovunque, lasciando vittime civili in quantità spaventose. Per ogni SOLDIER ucciso venivano prelevate dieci persone e fucilate nelle vie principali, l’ossessione dei gruppi partigiani portò i soldati della Shinra a gesti terribili, seguiti da una controreplica altrettanto crudele, e così via in una spirale continua. Io e tuo padre non eravamo dei guerrieri, lo sai, il nostro lavoro era diventato gravoso, e l’essere funzionari equivaleva a portare indegnamente tale nome, dato che gli aiuti che davamo erano insufficienti per far fronte alle necessità primarie dei nostri concittadini. Non avemmo altra scelta, e combattemmo fino a spingere il plotone alla ritirata. Li inseguimmo fino alla palude, scoprendo troppo tardi che i rinforzi si erano stanziati lì. Ci spararono addosso e chi si trovava in prima fila non ebbe scampo. Pioveva forte quel giorno,  il sangue e il fango mi accecavano e corsi a zigzag fino a ripararmi in una tana sufficientemente grande. Tuo padre, che gli dei lo abbiano in gloria, rimase tre giorni immobile e incosciente, facendo credere a quei maledetti invasori di essere morto. Lo venni a sapere solo quando un gruppetto di resistenza mi trovò rannicchiato nel terreno e mi riportarono in città. Le mie ferite non erano gravi, e anche Saito si riprese in fretta. Sfortunatamente, la permanenza nella palude gli lasciò in eredità la malaria. I tagli guarivano, ma lui si dibatteva in un delirio orrendo, chiamando sua moglie e anche te Tseng. Ha fatto il tuo nome molte volte.”

Sì, nelle sue maledizioni.

“ Tua madre è morta nel primo bombardamento.” Proferì cautamente “ E da allora Saito non è stato più lo stesso. Junko, mia moglie, si è occupata di Hana affinché non crescesse priva di educazione, e si è sempre mostrata una ragazza giudiziosa e obbediente, questo fino…” scosse la testa “ Andiamo per ordine.”

“ Una volta ripresosi Saito mi lasciò il compito di dirigere le difese. La malaria lo aveva distrutto, e i frequenti attacchi di febbre lo costringevano a letto più spesso di quanto mi piacesse. Hana gli stava accanto, curandolo come poteva, arrischiandosi fino alla radura per cercare erbe medicinali. Non so come facesse ad illudere la sorveglianza dei fanti. Immagino astuzia o fortuna sfacciata. Questo per anni. Siamo andati avanti anni in una situazione di stallo, non per questo meno cruenta. Tuttavia, qualcosa si sbloccò in autunno, nelle ultime fasi della guerra.”

Tseng intuì una svolta importante e acuì l’udito.

“ Da Midgar inviarono dei SOLDIER di seconda classe per sostituire quelli morti nell’ultima epidemia di colera, la stessa che uccise la maggior parte degli abitanti di Nara, la mia piccola Ai compresa.” Tseng non aveva mai sentito la voce di Hiroya spezzarsi in quel modo. D’altronde, perdere la sua unica figlia doveva essere stato un durissimo colpo sia per lui che per Junko. “ Io e mia moglie eravamo distrutti, e questo ci portò a fare meno attenzione ai movimenti di Hana. Ciò che sto per raccontarti ora viene tutto dalla bocca di tua sorella, che me lo narrò qualche tempo dopo. Non so quanto ci sia di vero o di falso sul suo primo incontro con lui.”

“ Lui?”

Hiroya sollevò una mano, come per zittirlo “ Era passata una settimana dalle esequie funebri di mia figlia. Hana si accorse che suo padre stava peggiorando e si avventurò nella boscaglia nonostante il coprifuoco fosse ancora in vigore, e fu allora che vide un ragazzo sprofondato fino alla vita in una pozza di sabbie mobili. Era molto buio e non lo riconobbe, o sono dell’idea che l’avrebbe lasciato al suo destino. Raccogliendo la richiesta disperata di aiuto porse il bastone da passeggio perché lui si trascinasse fuori e lo salvò. Il ragazzo la ringraziò, e solo in quel momento notò che non possedeva le fattezze di Wutai. Per quanto riguarda la divisa non ci furono dubbi: Soldier di Seconda Classe Jesse Sommers.”

Il vecchio fu lieto del guizzo incuriosito e al contempo atterrito di Tseng. Riprese con veemenza.

“ Già. Uno straniero, un soldato.” Chiuse gli occhi “ Un assassino. Immagino che Hana ci abbia pensato per un breve, terribile, attimo, terrorizzata dall’uomo che aveva incautamente salvato. Ma fu un attimo, appunto.”

“ Cosa intende dire?”

“ Non le ha fatto del male, se temevi questa evenienza. Era “pulito”, per modo di dire. Il tipico ragazzino attirato dalle lusinghe di gloria per essere poi buttato in pasto ad un orrore che l’avrebbe cambiato per sempre. In quel momento, però, una bestia peggiore si risvegliò nel cuore di entrambi.”

Il Turk non si curò di mascherare la sua incredulità, questa volta “ Si sono innamorati?” esclamò stupito. Hiroya sorrise, come a prenderlo in giro, o forse per malizia, ed annuì.

“ Esatto. Stando al racconto di Hana deve essere stato un colpo di fulmine spaventoso.”

“ Sì, spaventoso è l’aggettivo adatto” sibilò flebilmente Tseng. Lo spiazzò questa somiglianza con Aeris, l’incontro/scontro con un membro dei SOLDIER ed un amore fanciullesco sbocciato in mezzo all’odio. Ma il tono di Hiroya lasciava presagire che la favola di sua sorella non avesse avuto un lieto fine. Gli pareva di avvertire uno spillo piantarsi nel petto, seguito da molti altri.

“ Jesse e Hana provenivano da due mondi differenti, due mondi in perenne contrasto. Eppure, Tseng, l’amore è stato più forte… purtroppo.”

Lo so. Odiavo papà, ma lei non si meritava niente di male.

“ Da quella notte cominciarono a frequentarsi di nascosto. Non so cosa facessero o cosa si raccontassero, Hana non me lo disse mai. Il ragazzo era dolce e l’aiutava come poteva, dandogli metà delle sue razioni e rubando dei rifornimenti che lei donava agli orfani del paese. Jesse era fiducioso, ripeteva che la guerra era ormai finita, e che dopo non sarebbero più stati costretti a nascondersi. Amava tua sorella come nessuno e questa “debolezza” influiva sulle missioni, quando rifiutava di uccidere donne e bambini. Gli costò caro, la sua insubordinazione poteva rispedirlo diritto a Midgar per essere rieducato, e Hana si straziava al solo pensiero di saperlo lontano.”

Si interruppe bruscamente, tastandosi le tasche per cercare qualcosa. “ Ti dispiace se fumo?”

“ Affatto. Anzi…” Tseng sfilò una sigaretta dal taschino, facendo poi scattare l’accendino in contemporanea con quello di Hiroya. L’odore del fumo lo rinfrancò, ispirò la nicotina con sollievo per buttarla fuori in una nuvola di fumo biancastro.  Si chiese se la megera nell’altra stanza gradisse che qualcuno fumasse nel suo ufficio, ma poi pensò che non erano affari suoi. Fece cadere della cenere sul pavimento.

“ Dicevo…” Hiroya tossì “ Dicevo che quel ragazzo metteva a repentaglio la sua vita e anche quella di Hana. Una ragazza nubile se compromessa, non ha altri tesori se non la propria virtù, o così mi ostinavo a pensare allora, e in guerra quello era il male minore. Ciò che quei due non avevano calcolato era il naturale corso degli eventi.”

Tseng portò ancora una volta la sigaretta alle labbra, ma lentamente, per non perdere il filo del discorso, inalando fumo talmente piano che non se ne godeva neanche la metà. La tenne fra indice e medio, facendola ondeggiare un poco. Un fiocco grigiastro si posò sul tavolo, vicino alla manica della giacca di Hiroya.

“ Tre mesi dopo Hana scoprì di essere incinta.” Disse senza preamboli.

La sigaretta fra le dita di Tseng smise di oscillare, e la stanza colloqui divenne gelida, morta, i rumori amplificati da un baratro aperto dopo quella confessione brutale. Hana? La bambina timidissima che si aggrappava a lui quando non sapeva che pesci pigliare? Lei che rappresentava la figlia ideale per un qualunque nobile di Wutai?

Aveva concepito con un SOLDIER, un nemico. Aveva tradito il suo onore per uno straniero.

Quelle coincidenze terribili che si deformavano in una beffa a distanza di tempo. Anche lei aveva ceduto.

“ Tu non mi porterai via l’amore, Tseng!”

“ Tseng?” il suo nome gli rimbombò in mente, ed ebbe un sobbalzo. Lasciò cadere la sigaretta, e quella rotolò a terra. La guardò finché non rimase immobile, con un sottile pennecchio di fumo a vivacizzarla.

“ Stai bene?” Hiroya si piegò in avanti, studiandolo preoccupato. Aspetta, aveva già finito la sua sigaretta?

Tseng restituì lo sguardo, dandosi un rapido contegno “ Sì” rispose lapidario “ Stavo solo pensando.”

“ A lei?”

Annuì. “ Continui.”

“ La scoperta della sua gravidanza la gettò nel panico. Non voleva perdere suo padre ne essere cacciata da casa. Jesse la confortò come poté, ma non volle assolutamente che lei si provocasse un aborto date le condizioni igieniche precarie, e fu a quel punto che Hana decise di confidarsi con me.”

“ Mi raccontò tutto, spiegandomi la sua situazione. Rimasi spiazzato. Come aveva potuto? Ero furioso, ma cercai di pensare lucidamente sul da farsi. Le consigliai di non parlarne con nessun altro, ma la sera dopo portò Jesse da suo padre, mentre progettavamo delle difese da schierare nelle piantagioni. Era debilitato dall’ennesimo attacco malarico, e si vide arrivare sua figlia mano nella mano con un invasore. Fu a modo, lo ammetto, si presentò e gli disse chiaro e tondo di voler sposare Hana. Non l’avesse mai fatto, Tseng.”

Sospirò.

“ Saito andò fuori dalla grazia degli dei. Si mise ad urlare spergiuri che io non avrei mai pensato di sentirgli usare, le vene del collo parevano esplodere, gli occhi uscire dalle orbite, gridò che avrebbe preferito vedere sua figlia morta piuttosto che accanto ad uno sporco parassita. Cercai di calmarlo, ma Hana ebbe l’infelice idea di dirgli della gravidanza, che erano uniti davanti al tribunale divino, che era cosa fatta. La follia prese il sopravvento e si gettò contro di lei, con tutta l’intenzione di ammazzarla di botte. Jesse reagì, riuscendo a sbattere via Saito prima che potesse causare danni gravi. Tuo padre sputò una serie di maledizioni, dicendo che non aveva più una figlia, che non riconosceva la puttana davanti a lui. Hana gli rispose che non le interessava, perché si era comportato da bestia, che sarebbe morto solo. Lei e Jesse si sarebbero sposati comunque, senza il suo beneplacito. Fuggirono dalla casa e due ore dopo Saito ebbe un attacco apoplettico. La malaria lo aveva consumato, e la notizia del bastardo gli aveva definitivamente fatto perdere la salute.”

“ E Hana?”

“ Furono due ragazzi molto sfortunati. Poco tempo dopo venni a sapere che Jesse era stato fatto a pezzi da una mina anti-uomo.”

Hiroya sistemò tristemente gli occhiali.

“ Provai a parlare con tuo padre, persuadendolo a riaccogliere Hana. Lui affermò di non sapere di chi stessi parlando.”

“ Tipico di lui.” Tseng ricordava come Saito avesse poca pietà nel suo cuore. Nonostante le sue buone azioni come funzionario, lui e Hana avevano infranto le sue sacre,fottutissime, tradizioni. Il perdono di suo padre non sarebbe stata un’opzione sicura alla delicata situazione della sorella.

“ Era diventato il fantasma dell’uomo forte che era un tempo. La sua terra beveva il sangue di migliaia di vite spezzate, la Shinra estendeva i suoi luridi tentacoli e deturpava il mondo in cui era nato, tutti coloro che aveva amato erano defunti.”

Tseng lo contraddisse “ Se solo fosse stato meno bigotto di quello che era, qualcuno accanto l’avrebbe avuto. Spero che dall’inferno mi abbia sentito perché non si merita niente di meno.” Fece per alzarsi, uscire e dimenticare quella stupida storia che risvegliava in lui ricordi dolorosi, ma la voce stentorea di Hiroya lo inchiodò in un attimo.

“ Seduto, Tseng.” Ordinò secco, come se fosse un cane. Il wutaiano si arrese e gli fece cenno di continuare. Sapeva di averlo irritato parlando di suo padre in maniera del tutto irrispettosa.

Aggrottò le sopracciglia,  e quasi urlò“ Non accetterò queste scenate da adolescente frustrato. Tuo padre ha difeso Wutai quando tu trucidavi innocenti su innocenti senza chiederti il perché!” esclamò irato. Mosse un braccio, come per scacciare via la rabbia. Schioccò la lingua “ Ma cosa te lo ricordo a fare?” domandò meditabondo, massaggiandosi la fronte. Lo fissò penetrante “ Quanti anni hai?”

“ Trentacinque.” Rispose automaticamente, evitando qualunque inflessione vocale.

“ Sei sposato?”

“ No.”

“ Sei.. com’è che dite da queste parti, impegnato?”

“ No.”

“ Questo potrebbe essere un problema.”

Tseng decise si dare un taglio alle futili chiacchiere “ Il punto è il bambino? Il figlio di Hana?”

“È una bambina. Il suo nome è Eliza, Eliza Sommers. Era il nome della nonna materna di Jesse.”

“ Parliamoci chiaro, allora. Io non posso occuparmene, non con il lavoro che faccio.”

“ Sai cosa mi disse Hana, quando andai a trovarla poco prima del parto?”

Hiroya si mise in piedi, osservando la finestrella nella speranza di vedere un altro usignolo posarsi per ammirare un piccolo miracolo di natura nella grigia Edge.

“ Disse che tu avevi fatto bene ad andartene da Wutai, che erano state le tradizioni a rovinarvi entrambi. Lei non ti ha mai dato la colpa per ciò che è successo a Mariko.”

Tseng distolse lo sguardo, alzandosi a sua volta per andarsene “ Si sbagliava.”

“ Si tratterrebbe di una soluzione temporanea. Jesse aveva una sorella e sto cercando di rintracciarla.” Lo seguì, molto vicino a supplicarlo “ Ascolta il tuo cuore per una volta! La bambina ha cinque anni, se non l’aiuterai finirà in un orfanotrofio e allora non basterà la mia influenza per portarla fuori da Wutai!”

“ Mi dispiace ma non posso aiutarvi.”

“ Sei l’unico parente in vita! Sei suo zio, per la miseria!”

Tseng afferrò la maniglia e raddrizzò la postura. Voleva dire qualcosa, qualsiasi cosa.

Prima che potesse farlo, Hiroya pronunciò stancamente poche parole.

“ C’è sempre una possibilità di redimersi dalle proprie colpe, Tseng.”

Tseng non si mosse.

“ Perché la stai buttando via?”

Per una buona ragione.

 

“ Tu non mi porterai via l’amore, Tseng!”

 

 

 

 

 

 

 

“ Fra poco saremo a Gongaga!” le dita rosee di Aeris si strinsero sul volante, eccitata dalla prospettiva di rivedere i suoi suoceri.

Zack sorrise, correggendo la traiettoria della macchina spostando il voltante un po’ più a sinistra “ Occhio a non finire nel fosso, Miss Formula 1.”

Aeris rise “ Ops!”

“ Mi fa piacere vederti così serena.”

“ Già.”

Stasera.

Stasera glielo dirò, devo.

Quanto può essere difficile?

“ Zack, voglio un figlio.”

Sì.

Sì, ce la posso fare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dopo molto tempo, ehm…

Salve! ^^”

So che molti di voi hanno aspettato questo aggiornamento da, bhè, parecchio…

In realtà doveva essere molto più lungo ( Anche adesso non scherza,eh?) solo che era davvero TROPPO lungo, e non lo avevo ancora finito. Allora mi sono detta: “ Comincio ad aggiornare con questo, sennò dovranno aspettare molto più a lungo.”

Allora, la parte con Tseng mi sono quasi emozionata a scriverla. Essendo un personaggio tenebroso ( anche nel senso che non ci sono praticamente informazione su di lui) ho dovuto inventargli un background in tema con la sua situazione. Non so se possa essere verosimile, ma lui mi ha dato l’idea di un uomo visto come traditore della sua patria, d’altronde ha ucciso moltissime persone a sangue freddo. Vabbè, ha anche una parte umana messa in risalto in Crisis Core, ma nel VII era molto più cinico e spietato. Spero vi sia piaciuta,anche perché ho notato che ultimamente molti preferiscono questa storia per lui e Aeris piuttosto che Zack e Tifa. Scusate se vado lentamente, ma voglio creare una fic accurata senza buttare niente al caso.

Adesso c’è la faccenda della bambina. Andando avanti ho cambiato un po’ questa storia, anche perché all’inizio avevo in mente un’idea unitaria e non uno svolgimento complesso.

Tutte cose che approfondirò più avanti.

Aeris vuole un figlio, ma Zack è davvero sicuro di aver risolto la sua confusione? Per adesso posso dirvi che è dettata molto da una frustrazione molto fisica, e dopo… chissà.

Questo capitolo è più pesante per le tematiche ma spero che vi sia piaciuto lo stesso. Entro in periodo esami, quindi non so quando sarà il prossimo aggiornamento.

Grazie a chi mi segue e sostiene!

Ciao, bacioni!!!

  
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Final Fantasy VII / Vai alla pagina dell'autore: shining leviathan