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Autore: damnhudson    26/05/2012    1 recensioni
Settimana Finntana. Dedicata a Finn Hudson e Santana Lopez, va dal 2 Aprile fino all'8.
Day 1 (April 2): Movie/TV AU
Day 2 (April 3): kid!Finntana
Day 3 (April 4): Personality Swap
Day 4 (April 5): Pregnancy/Babies/Family
Day 5 (April 6): Angst
Day 6 (April 7): Wedding Planning/Wedding
Day 7 (April 8): Deleted Scenes
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Che io ho ovviamente iniziato in ritardo, ma ci tenevo a farla, quindi, niente, eccola. :) Enjoy.
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Dalla prima settimana :
“Puoi dire qualcosa, per favore?” Chiese, in maniera supplicante, quasi.
“Dovresti saperlo Santana. Se tu ti avvicinassi io non ti lascerei mai più andare via.”
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Finn Hudson, Santana Lopez
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Day 4 : Pregnancy/Babies/Family

 

« Ciao papààà. »

Squillò la bambina non appena vide il suo papà varcare la porta. Finn era stanco, e anche oggi, aveva lavorato le sue tredici ore senza doversi lamentare. Si abbassò leggermente per prendere in braccio la sua bambina e lei gli strinse le braccia al collo. Quello era il momento preferito di Sofia, quando il suo papà tornava, e, anche se era troppo stanco, l’uomo le riservava sempre un po’ di tempo che spendevano come sua figlia voleva. A volte guardavano la tv, altre costruivano castelli con le lego. Sofia aveva quattro anni, era nata dall’amore di Finn e Santana, esattamente dodici anni dopo che avevano deciso di stare assieme. Non era una gravidanza programmata, anzi il loro intento era quello di divertirsi, e fare l’amore come ricci, ma poi successe. Santana ancora ricordava quel momento, ricordava la ‘paura’ negli occhi di Finn, e soprattutto il gridolino che aveva lasciato sfuggirsi quando Santana gli assicurò che era seria.

Finn si concesse una doccia, prima di dedicarsi completamente alla sua bambina, che richiedeva le sue attenzioni. Lasciò che l’acqua scivolasse contro la sua pelle, e che il rumore che il getto provocava sopprimesse il rumore dei suoi pensanti pensieri. Anche oggi aveva dovuto ingoiare il sapore amaro della sconfitta, aveva lasciato che qualcuno gli mettesse i piedi in testa. Finn Hudson aveva imparato ad essere forte, a lasciare che qualcuno lo credesse troppo debole per reagire e farlo nel momento più giusto. Aveva imparato col tempo che sfidare persona che risultavano più forti di lui non aiutava ad ottenere qualcosa subito, bensì, l’allontanava solamente. Aveva imparato l’arte della pazienza col tempo.

« Allora cosa facciamo oggi papà? » Chiese Sofia, mentre Finn entrava nel grande salone perfettamente ordinato da Santana.

« Aspetta un secondo angelo, non ho ancora salutato la mamma. »

« Non c’è. » annunciò la bambina, sempre col sorriso sulle labbra. Quel sorriso era la cura ad ogni tristezza, in un secondo la nube che attanagliava la testa di Finn sparì, lo lasciò libero, così si chinò per prendere in braccio la sua bambina e darle un lungo e affettuoso abbraccio.

« Che cosa ho fatto? » Chiese cingendo il collo del suo papà, sempre fortissimo per lei. La verità era che Finn, col suo lavoro non era fortissimo. Aveva i nervi a fior di pelle, i reni che imploravano pietà e aveva sviluppato un’allergia alla polvere mai avuta prima. Quel cantiere in cui lavorava lo uccideva giorno dopo giorno, eppure mai si era lamentato. Aveva sempre fatto il suo lavoro, perché quello era il suo dovere. Far crescere la sua bambina sana e forte e dare la vita che aveva promesso a Santana e per questo ci voleva impegno. Anche se l’ispanica signora Hudson, alla fine non chiedeva molto e questo era da ammettere.

« Che cosa preferisci fare ora? Possiamo giocare con le lego, vedere un cartone o anche un film. » Propose Finn, senza rispondere alla precedente domanda della bambina. Non c’era assolutamente bisogno di ricordarle che era la sua vita, che le voleva un bene da morire, perché era chiaro a tutti che ogni padre provava sentimenti simili per sua figlia, e quelli di Finn erano così. Tanto, troppo amore per un topino di quattro anni, che era abituato a chiamare Sofia, sua figlia. Gli aveva illuminato l’esistenza, senza dubbio.

« Lego! »

Finn sorrise, mettendo giù la bambina e portandola in camera sua, dove le lego stavano poggiate sulla scrivania in una barattolo rosso come il vestito di Santana al primo prom a cui erano andati.

 

***

« Che cosa sta succedendo, papino? » Chiese Santana, entrando nella stanza della bimba. Aveva trovato Finn seduto su uno sgabello, mentre guardava sua figlia dormire, la cameretta avvolta dal buio e un silenzio sovrano. Si avvicinò al corpo immobile del suo uomo e lentamente gli massaggiò le spalle, scoprendo che aveva tutti in nervi accavallati. C’era qualcosa che stava turbando il suo pensiero. Non si erano visti per tutto il giorno a causa del lavoro di lui e quando era rientrato lei non c’era, quindi avevano dovuto aspettare per incontrarsi e per rivolgersi quelle quattro parole che si dicevano prima di crollare in un sonno esasperato, sperando che la mattina dopo non arrivasse mai, affinché il giovane Finn potesse recuperare tutto il sonno che aveva perso svegliandosi alle cinque di mattina. Finn odiava quel cantiere del cazzo, odiava starnutire perché c’era troppa polvere. Odiava il fatto che, tutte quelle persone li dentro avessero il suo stesso identico umore. Erano sottopagati e sfruttati. Com’era normale che fosse dovessero lavorare solo otto ore, al massimo, ma lì si sfioravano le quattordici ore. Aveva preso l’abitudine di segnare le ore che faceva durante il mese sopra il calendario, regalatogli dal farmacista della farmacia sotto casa loro.

« Niente, sono solo stanco... » Fece Finn, sorridendo e alzandosi dallo sgabello. Santana attese che suo marito ebbe rimboccato le coperte a sua figlia e che lasciasse la stanza, pronta poi a seguirlo, pronta ad ascoltarlo.

Quando Finn fu fuori dalla stanza, si passò la mano sul viso con fare frustrato, sospirò e si buttò sopra il divano, accendendo la televisione. Santana si sedette di fianco a lui, silenziosa, aspettando il momento propizio. Si sarebbe aperto lui. Aveva imparato a conoscerlo. Non bisognava forzarlo a parlare, sennò non l’avrebbe fatto. Attese che il primo inning della partita di baseball si concluse, ma lui ancora non parlava.

« Hai litigato ancora con Mills? »

« Come sempre, quando non mi vanno giù le tredici ore che devo lavorare per forza, Santana. » Rispose, Finn. Non staccò lo sguardo dalla tv per nessuna di quelle frasi che disse alla ragazza affianco a lui. Lei parve non perdere la speranza.

« Raccontami. » Sussurrò. Finn spense la tv, e si girò a guardarla.

« Gli ho ricordato che era troppo per un essere umano lavorare tredici ore andando avanti e indietro tirando i colli che arrivano – Finn sospirò, un sospiro lungo e triste. – Mi ha detto che questo lavoro non è per le femminucce, non è per i cantanti. – continuò. Solo perché una dannata volta era stato trovato mentre cantava ‘Losing my religion’  in memoria dei vecchi tempi, che gli mancavano davvero molto. – Io non sono un cantante. Cerco solo di dar da mangiare alla mia famiglia, che cosa c’è di sbagliato, San? A volte vorrei solo piazzare un pugno sull’occhio di quel rompicazzo di un campo dittatore, così capirebbe, ma non posso. Non posso lasciare che la mia famiglia cali a picco, così, mi arrendo, mi giro di spalle, apro il portafoglio e cerco la foto, l’unica, che ho tua con Sofia. E capisco che non posso far tornare il Finn di un tempo, non posso perché poi saremo perduti. » Ora si sentiva dannatamente meglio, aveva parlato con Santana di questa situazione che lo opprimeva, anche se gliene parlava in pratica sempre. Ma ne aveva bisogno e lei lo capiva, lo stava sempre ad ascoltare.

« Sei l’uomo più fantastico del mondo, Finn Hudson. Ti amo tanto. » Lei sorrise dolcemente, dandogli un bacio a fior di labbra.

« Ti amo anche io, Snix. » Proprio come al liceo, anche se Finn non ricordava in che occasione lo disse.

« Se fosse stato un maschio, come l’avresti voluto chiamare? » Chiese Santana curiosa. Si erano divisi i nomi. Lei avrebbe scelto il nome della bambina e lui quello per il maschio. Per stare al passo con le sue origini, scelse Sofia. Era un nome latino, un po’ spagnolo, ma la sua bisnonna si chiamava così e lei volle ricordarla.

« Nash. » Finn sapeva bene come avrebbe chiamato suo figlio. Aveva pensato anche di adattarlo alla bambina. Forse Sofia Nashina non sarebbe stato male, ma poi avrebbe fatto la stessa fine di Drizzle, cestinato! Perciò lasciò che fosse sua madre a sceglierlo.

« Nash è un bel nome. Come ti è venuto? » Chiese lei curiosa.

« Il chitarrista degli Hot Chelle Rae. Nash Overstreet. » Santana avrebbe dovuto saperlo. Amava quella band sin da quando erano al liceo.

« Credo che Nash stia per arrivare, allora… » Gli prese la mano e la poggiò sul suo piccolo pancino, al momento. Questo voleva dire che era incinta vero? Anche se era troppo presto per sapere il sesso del bambino lei era incinta. Era felice, Finn Hudson. Era davvero felice, come una Pasqua, anche se avrebbe dovuto lavorare per forza e per sempre in quello squallido cantiere dove veniva sfruttato. « Sarai un ottimo papà. » Concluse, l’ispanica.

« Credo solo che Sofia sarà gelosa. Tu ti dovresti dividere tra il piccolo e ipotetico Nash e io dovrò lavorare ancora di più, dici che ce la faremo? » Chiese Finn, un ditino preoccupato per la sua – al momento – figlia unica. Non voleva farle mancare niente. E anche se non le mancava niente effettivamente, non voleva iniziare adesso, con la nascita di un altro bambino.

« Siamo dei genitori perfetti, Hudson. Ce la faremo, proprio come abbiamo fatto. – Disse Santana, ridendo. Amava quando Finn si preoccupava in questa maniera per la loro bambina. Lo trovava sexy, quasi. – Magari, però... – iniziò di nuovo, all’attacco. – dovremmo ridurre ancora di più la nostra intimità… » Finn la guardò scandalizzato mentre l’ispanica li davanti a lui si spostava i capelli dal collo, mostrando il suo seno scoperto dalla scollatura audace e si mordeva il labbro.

« Non vorrei sembrarti un ninfomane, ma credo che si debba recuperare già da ora tutto il tempo che perderemo. » Santana rise, mentre il ragazzo già si era buttato sulle labbra morbide della donna che ogni giorno aveva accanto. Della donna che tra nove mese gli avrebbe dato un altro bambino, che avrebbe senza dubbio amato quanto Sofia. Senza differenze. Si amavano ed erano felici, anche se lui ogni tanto, tornava stanco e avvilito dal lavoro. Gli Hudson erano felici e da tre, stavano per diventare quattro.

 

 

 

 

 

Tutto questo parlare di tredici ore mi ricorda il mio papà che si spacca la schiena per noi figli ingrati. I love my daddy.
Okay, finalmente sono riuscita ad aggiornare. Mi viene difficile, oltre che per la scuola, per la poca ispirazione che sto avendo al periodo. Ho tipo ventordici OS aperte, ma non riesco a fare niente. Sto perdendo la mia vena artistica ç_ç
Grazie a chi ha commentato le altre tre, perché siete con me e mi spingete ad aprire un documento word ogni volta. Siete senza dubbio fondamentali. Love u.
Alla prossima. <3

   
 
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