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Autore: Glory Of Selene    26/05/2012    4 recensioni
"Vai, vai, bellezza, il viaggio alla riscoperta del tuo passato comincia ora. E, chissà, magari imparerai anche qualcosa"
Cosa succederebbe se Tuomas e i Nightwish fossero trasportati in una favola, all'inseguimento di alcune delle loro vecchie canzoni?
Genere: Fantasy, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anette Olzon, Erno Vuorinen, Jukka Nevalainen , Marko Hietala , Tuomas Holopainen
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Era arrivata la notte.
Era arrivata la notte, che con il suo nero mantello vellutato avvolgeva ed incoronava la luna, splendida regina delle tenebre. Lei, argentata e bellissima, saggia e affascinante, volgeva lo sguardo in basso ad osservare le complicate, eppure semplici, vicende mortali.
Quella notte soprattutto ne si poteva trovare una singolare; su un vascello pirata si incrociavano i fili dei destini di sei esistenze, sei persone che mai si erano incontrate ma che sapevano di essersi sempre conosciute.

Marko era seduto a poppa, con i lunghi capelli biondi che svolazzavano in balia della brezza notturna, e gli occhi azzurri che, insieme ai suoi pensieri, vagavano irrequieti lungo le creste spumeggianti delle onde d’inchiostro del mare notturno.
Il rollio della nave lo cullava dolcemente, ma nonostante la delicatezza e sicurezza del suo tocco, quasi materno, lui non riusciva a sentirsi tranquillo.
Tutti, in quel viaggio, sembravano sapere esattamente quale fosse il loro obiettivo: Anette e Jukka erano i due gloriosi comandanti del veliero pirata più temuto di tutti i mari, e Tuomas ed Emppu erano legati da un passato incredibile e da una ricerca per la quale sarebbero morti.
Ma lui?
Lui non era un pirata – era solo un mercenario – e, per quanto si sforzasse di immaginare ed accettare il racconto dei suoi due compagni di viaggio, era estraneo a quella realtà che loro cercavano di spacciare per vera. Tra l’altro, quello era un concetto che ancora non riusciva a mandare giù.
In base a quale criterio loro stabilivano cosa era reale, e cosa invece fittizio? In base a quale criterio loro potevano dire che tutta la sua vita era stata una falsità, un’illusione, uno specchio creati da una strega in vena di divertimenti?
Perché i suoi ricordi non potevano essere veri, mentre i loro sì?
Si concesse un lungo respiro profondo, inspirando l’odore del mare mischiato a quello della notte, in una miscela di dolcezza e mistero che lui adorava.
Non avrebbe mai esposto i suoi dubbi ai suoi compagni di viaggio. Non aveva cuore di abbandonarli. E poi, per quanto surreale potesse sembrare, era evidente che lui li avesse già conosciuti, l’affetto che provava per loro era troppo grande. Era un affetto per il quale sarebbe morto volentieri.
«Non riuscite a dormire?»
Una calda voce femminile, morbida ed acuta – bellissima, si ritrovò a pensare –, fu quella che lo salvò dal vortice infernale dei propri pensieri. Si voltò verso la propria salvatrice, ed un sorriso gli sorse spontaneo sul volto nel riconoscerla.
Era la donna che avevano tolto dalle grinfie dei soldati imperiali, e che avevano irrimediabilmente trascinato in un’avventura che non avrebbe mai dovuto coinvolgerla. Si sentì invadere da un bruciante senso di colpa, ma lo mascherò bene con il proprio sorriso e le fece spazio per invitarla a sedersi di fianco a lui.
Era ancora più bella di come si ricordava. I capelli castani erano raccolti in due trecce, ma due lunghi ciuffi ribelli le incorniciavano sciolti il viso e danzavano insieme al vento come quelli biondi di Marko. Lo fissava con i suoi grandi occhi verdi, e con le gote arrossite appena. Adorava il modo in cui lei arrossiva – l’aveva già fatto, affacciata a quell’oblo, mentre lui cantava…se lo ricordava bene –, e adorava il modo in cui la sua lunga veste bianca da notte ondeggiava al vento e delineava le sue splendide curve femminili.
Si scrollò presto di dosso quei pensieri, per evitare di continuare a sorriderle senza fare nulla, come uno scemo.
«No… purtroppo no.»
Lei ricambiò il suo sorriso, e si sedette aggraziata dove le aveva indicato.
«Non siete l’unico, messere.»
«Mi chiamo Marko, milady. Vi prego, non siate formale con me, datemi pure del tu»
Lo guardo come stupita, ma gli sorrise.
«E’… strano. Nessuno in questo mondo assurdo rinuncerebbe all’etichetta.» gli rispose lei.
Le sue parole lo fecero riflettere. Forse era vero che lui non apparteneva a quel mondo assurdo.
«Comunque, il mio nome è Lisanna, chiamami sempre così, d’ora in poi.»
Il loro sguardi s’incrociarono per una frazione di secondo, ma lui si affrettò a distogliere il proprio. Rimasero così, fermi, ad osservare l’oceano che sfilava davanti a loro in tutta la propria grandezza, senza avere il coraggio di dirsi null’altro nonostante i milioni di cose che si sarebbero state da dire tra di loro.
«Mi dispiace di averti trascinato in questa follia.»
Era stato lui ad interrompere il silenzio.
«Mi hai salvato la vita.» fu la replica di lei.
«Ti prometto che quando troveremo un luogo sicuro e accogliente, ti lasceremo in pace. Non ti porterò con me nella ricerca di qualcosa che non so neanche cosa sia.»
Lo sguardo le si fece duro, e graffiò con la sua intensità il viso del guerriero di fianco a lei.
«Sono in debito con voi. Sono in debito con te, con messer Erno. Non sarò un peso, posso aiutare, conosco molto bene queste terre»
Marco scosse la testa, e si decise a guardarla in volto con uno sguardo accorato almeno quanto quello della donna.
«Nessuno pensa che tu sia un peso, Lisanna. Mi preoccupo per la tua incolumità.»
«Non sono debole come sembro.»
«No, non lo sei.»
Anzi, probabilmente, era molto più forte di lui.
Sospirò, guardando i suoi occhi verdi e determinati. Sapeva che avrebbe perso il controllo se le fosse successo qualcosa, e sapeva che sarebbe stato inevitabile che le accadesse qualcosa, in un viaggio come quello. Ma chi era lui per impedirle di compiere una scelta? Sarebbe stato egoista, privarla della libertà a causa di una propria debolezza.
In effetti, lui per lei non era nessuno. Viaggiavano insieme da qualche giorno appena, e solo quella sera aveva saputo il suo nome; era bene che lui lo ricordasse. Era bene che ricordasse che lei era ancora un’estranea – e lui era ancora un estraneo per lei –, nonostante quello che provava gli suggerisse il contrario.
Odiava quella situazione.
Nella sua vita era sempre stato tutto ben saldo, nella sua vita era sempre stato tutto una certezza. Ora, non riusciva neanche più a distinguere il vero dal falso.
«Fai attenzione.» fu il suo sussurro.
Per un attimo anche lui, il guerriero, il temibile mercenario, il barbaro sempre energico e sempre arrabbiato… anche lui sembrò vulnerabile.
«Hai paura?» le chiese poi dopo qualche momento.
Lei non lo guardò in faccia mentre rispose.
«Sì.»
Fu invaso da un tornado di emozioni, che lo pugnalarono tutte insieme, senza neanche lasciargli tempo per respirare, senza neanche lasciargli tempo per indentificarle, talmente forti e veloci da fargli male al petto e allo stomaco.
Lentamente, si avvicinò a lei, la cinse con le braccia e la attirò al proprio petto. Fu l’abbraccio più lungo della sua vita.
«Finchè sarai con me non ti accadrà mai nulla. È una promessa.»
Lui dubitava delle proprie parole – anche se avrebbe fatto del proprio meglio per renderle vere –, ma lei no.
Lei si sentiva assolutamente al sicuro, circondata dalle braccia forti e muscolose di quel vichingo dal cuore d’oro.

Tuomas era nella cabina di Emppu, stava seduto sulla brandina tenendo in mano la chitarra dell’amico, che si era chiuso in una piccola stanzetta adiacente armato di una tinozza di legno, un secchio d’acqua dalla provenienza discutibile e una ruvida spugna di chissà quale materiale.
Aveva posato la tuba in un angolo della stanza, si era tolto la giacca e gli stivali, e tentava di concedersi un attimo di riposo, forse il primo dall’inizio di quel viaggio delirante.
Osservava lo strumento, solido e liscio, dalle forme morbide, e lo accarezzava.
Sospirò, e lo posò a terra con aria sconsolata. A causa sua invidiava Emppu. L’amico poteva avere il suo strumento, e lui no.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per avere un pianoforte.
Era confuso, spaventato, e orribilmente consapevole di essersi ficcato in qualcosa di più grande di lui. Certe sensazioni si potevano lenire solo con la più forte di tutte: quella che lui provava quando esercitava la propria arte. Voleva suonare, voleva comporre, voleva sentire la musica nell’aria e sapere che era stato lui a darle vita.
«Wow, notevole.»
Alzò di scatto lo sguardo verso Emppu, che aveva appena fatto capolino dalla stanzetta dove si era lavato, con addosso un paio di pantaloni e nient’altro. Aveva i capelli fradici che gocciolavano dappertutto, ma lui non pareva curarsene.
In effetti, nella stanza c’era qualcosa di estremamente più sorprendente di qualche goccia d’acqua; Tuomas se ne accorse solo allora, e sgranò gli occhi, più sorpreso dell’amico.
In mezzo alla piccola cabina era apparso un pianoforte tremolante, nero e lucido, i cui tasti di bianco avorio si muovevano da soli sulle tracce di una melodia fantasma.
«Allora Marko non mentiva! Sei davvero un illusionista!» esclamò Emppu con un sorriso meravigliato, mentre afferrava uno straccio pulito e lo usava per asciugarsi i capelli in maniera molto approssimativa.
Tuomas non parlò, troppo impegnato a fissare la sua creazione. Era bellissimo. Allungò una mano per toccarlo, ma non appena le dita sfiorarono l’immagine questa vacillò e scomparve.
Il tastierista sbatté più volte le palpebre.
Non una sola cosa aveva avuto un senso da quando era stato catapultato lì.
«Incredibile.» sussurrò a sé stesso. «Ma, a quanto pare, sono solo illusioni»
Il chitarrista non aveva mancato di notare quella lieve nota di amarezza nelle sue ultime parole, e si sedette accanto a lui sulla brandina.
Per qualche attimo osservarono la stanza in silenzio. Era il bello di quell’amicizia così intima e profonda: i silenzi non erano mai imbarazzanti, e si conoscevano abbastanza da sapere quando uno dei due non avesse bisogno di parlare.
«Sai, Tuom? Ce l’abbiamo fatta.» mormorò Emppu, senza staccare gli occhi dal punto nel muro in cui erano posati.
«Sì. Ce l’abbiamo fatta.»
Si guardarono. A nessuno dei due sembravano vere, quelle parole. Come se da un momento all’altro qualcuno dovesse irrompere nella cabina e dir loro che c’era stato uno sbaglio, che le loro vite dovevano essere portate via, perché era così che il destino voleva. Perché era questo che il destino lasciava intendere.
«Sono fuggito dalla morte per ben due volte… entrambe le volte per merito tuo. Mi sembra strano non dover temere per la mia vita, adesso.» continuò il chitarrista.
Erano parole che potevano contenere mille significati diversi, mille emozioni diverse, e Tuomas li colse tutti.
«Adesso è tutto strano.»
Emppu sorrise, e si osservò le mani. Era convinto che quel momento di confessioni e cameratismo facesse un gran bene ad entrambi, come se Tuomas per lui fosse l’unico punto fermo nel bel mezzo di un sogno surreale, l’unica unità di misura da cui partire, e viceversa.
«Ti manca Kitee?»
Il tastierista sospirò.
«Da morire.»
Senti una calda stretta all’altezza della spalla. Si girò ed Emppu gli sorrideva, gli occhi azzurri appena velati da un sottile strato di lacrime.
«Ci torneremo presto, vedrai, Tuommi. Basta che mi salvi la vita ancora una volta o due.»
Entrambi si lasciarono andare ad una breve risata liberatoria, felici di poter contare l’uno sull’altro, felici di potersi fare da fratelli e da guardie del corpo.

Anette era al timone, con lo sguardo attento degli occhi chiari puntato alla linea dell’orizzonte, e i capelli neri che svolazzavano al vento. Poco distante c’era Jukka, appoggiato alla balaustra di legno, e l’osservava.
«L’equipaggio è irrequieto.» le disse.
Lei alzò gli occhi al cielo, ed emise un verso a metà tra uno sbuffo ed un sospiro.
«Lo so. E so anche che quell’idiota di Willson vuole un ammutinamento.»
Il vicecapitano si avvicinò a lei a passi lenti, lo sguardo serio e la fronte aggrottata.
«E’ un’accusa pesante, Anette.»
«Se non è quello che vuole, allora è un deficiente, perché lo lascia intendere in maniera più che palese.»
«Vuoi che lo uccida?»
Il capitano si portò una mano alla fronte, per poi passarsi le dita su una tempia e massaggiarla piano, con aria stanca.
«No. Non posso eliminarlo, è uno dei miei uomini migliori, ed è popolare sulla nave. Ho le mani legate, Julius.»
Il pirata le si avvicinò, con uno sguardo preoccupato negli occhi verdi, e posò una mano sul suo braccio. Lui la conosceva meglio di chiunque altro e odiava quando lei faceva così.
«Che cosa c’è, An?»
Lei gli scoccò un’occhiata a metà tra la rabbia e l’esasperazione.
«Cosa c’è?! Li hai sentiti, quei pazzi, che parlavano di cose assurde, nella mia cabina? Che cosa significano le loro parole, Jukka? Cosa significa la canzone che mi sono ricordata, e che adesso mi perseguita? Non riesco a capire, non riesco a capire cosa sta succedendo, e questo mi angoscia.»
Lasciò andare il timone con un gesto rabbioso e amaro, e si mise a camminare avanti e indietro come un’anima in pena.
Il suo vice si affrettò a prendere le redini della Dark Passion, quel tanto che bastava per aggiustarne la rotta, poi tornò con lo sguardo a lei.
«Perché non li ho uccisi?» si domandò la cantante, sconfortata.
«Perché era la cosa giusta da fare.» fu la risposta, immediata, del batterista. «Senti, neanche per me è una cosa facile da accettare. Io e te abbiamo sempre vissuto in un certo modo, siamo diventati grandi con la pirateria. Ma io sento che questi uomini, chiunque siano, abbiano ragione, non puoi non averlo capito anche tu. Sei sempre stata spietata con i nemici, ma mai crudele, né ottusa. Sei sempre stata giusta nelle tue decisioni, qualsiasi fossero.»
Lei abbassò lo sguardo, non voleva incontrare quello di Jukka, perché sapeva quanto fossero esatte e sagge le sue parole.
«A volte mi domando… perché lo faccio. Io sono solo una donna.» mormorò amaramente.
Si sentiva come se a volte i suoi abiti le stessero stretti, come se le armi che portava bruciassero a contatto con il suo corpo. Si chiedeva a che scopo conduceva quella vita, si chiedeva se aveva preso le decisioni giuste.
A quel punto, Julius abbandonò definitivamente il timone e si piantò davanti a lei, osservandola dolce e severo allo stesso tempo.
«Sì, è vero, sei una donna. Ma sei la donna più tosta, intelligente e coraggiosa che abbia mai conosciuto. Tu hai più qualità di molti omoni grandi e grossi su questa nave, e non dirmi di non saperlo, perché è proprio per questo che quegli stessi omoni grandi e grossi ti ubbidiscono come cagnolini. Sei una donna, e sei migliore di tanti uomini.»
Lei scosse la testa, e gli lanciò una fugace occhiata di sbieco.
«Tu saresti un grande capitano per la Dark Passion»
Il pirata le sorrise, sistemandosi la bandana in testa con un gesto esperto.
«Sì, sì, indubbiamente sarei un grande capitano.»
La sua totale mancanza di modestia riuscì a strapparle un mezzo sorriso e il principio di una risata, ma lui tornò serio quando lei lo colpì con un pugnetto giocoso alla spalla.
«Sarei un grande capitano, ma non sarei il più grande. E non sarei mai il migliore. Oh, sciocca, sciocca piratessa! Come fai a non capire che sei tu, tu la più grande, e tu la migliore?»
Gli occhi di lei si fecero grandi, stupiti, scrutarono a fondo quelli del pirata alla ricerca di qualche traccia di scherzo o menzogna, ma non ne trovarono.
Si lasciò andare ad un sospiro, ma trovò le braccia di lui a consolarla.
«Jukka… grazie.» mormorò, la testa affondata nel suo petto.
Lui le accarezzava la testa con fare fraterno. Non c’era amore, nel suo sorriso e nei suoi gesti: solo uno straordinario affetto.
«Di nulla, dolcezza. Questa nave sarebbe una noia mortale senza di te, lo sai.»
Entrambi sorrisero, insieme.

Marko era ancora seduto sul ponte della nave, ancora insonne, ancora silenzioso osservatore del moto delle onde del mare. Ma era più tranquillo, più felice, più in pace, e allo stesso tempo più tormentato di prima.
Lisanna era ancora rannicchiata contro di lui, ancora la sua testa trovava un comodo appoggio nel suo petto, ancora le sue mani affusolate e delicate gli stavano stringendo dolcemente il braccio.
Non sapeva perché, ma sentirla così vicina a lui lo emozionava. Avrebbe voluto che quella notte durasse per sempre.
«Mh… Marko… come faceva quella splendida canzone che hai cantato oggi…?»
Nel sentire i suoi bisbigli capì che doveva essere in procinto di addormentarsi, e le sorrise dolcemente, anche se lei non poteva vedere il suo sorriso dietro le palpebre socchiuse.
Non le rispose, ma intonò le note di quella magica canzone che aveva avuto il potere di salvar loro la vita.
«Un gufo venne da me, vecchio e saggio: trafisse la mia giovinezza. Imparai i suoi modi, invidiai la sua saggezza… ma non avevo bisogno di nulla che lui avesse.»

An owl came to me
Old and wise
Pierced right through my youth
I learned its ways, envied its sense
But needed nothing it had


Anche sul volto di lei si delineò un sorriso, assonnato. Si sistemò meglio sul suo petto, sussurrando parole incomprensibili, finché non si spensero anche quelle e non rimase che il suono regolare del suo respiro.
Lui rimase ad osservarla dormire ancora per qualche minuto, e quando fu sicuro che si fu addormentata la prese delicatamente in braccio e si alzò con cautela.
La portò fino alla sua cabina a passi lenti, per non svegliarla, per non rovinarle il sonno, e la posò dolcemente sulla brandina, coprendola con quelle poche coperte ruvide che c’erano sul materasso con la stessa cura con cui avrebbe coperto il suo tesoro più grande. Non volle soffermarsi oltre, non volle approfondire il sentimento che provava per lei…
Era troppo presto per provare qualcosa, lo sapeva.
Tornò sul ponte leggermente turbato. Si appoggiò all’albero centrale della Dark Passion, volgendo gli occhi alla linea dell’orizzonte.
Avrebbe tanto voluto che un gufo venisse da lui. Perché lui, a differenza del testo della canzone, aveva tanto bisogno della sua saggezza.
Il lieve suono delle piume scrollate dal vento lo riscosse dai suoi pensieri.
Alzò gli occhi, ma appena vide cosa era atterrato sul ponte della nave, gli venne quasi un infarto.
Un paio di grandi occhi gialli, a palla, fosforescenti nella notte, rimasero ad osservarlo mentre si metteva le mani tra i capelli e gironzolava in tondo ripetendosi che tutta quella storia era pura follia.
Il gufo non si scompose mai, aspettò calmo e paziente che il guerriero si riprendesse, e non fu cosa da poco; dovette passare qualche minuto, perché il vichingo si calmasse e riuscisse a guardare l’uccello notturno senza avere un attacco di panico.
«Beh, che vuoi?» domandò bruscamente.
Rivolgersi ad un volatile gli sembrò la cosa più stupida che avesse mai fatto, ma evidentemente quel volatile non la considerava tale, dato che la sua risposta fu un lungo bubolo. Con un artiglio, il gufo spinse verso di lui qualcosa rilucente di bianco, con una dignità che stupì il guerriero. Poi, senza mai staccare gli occhi da lui, il gufo aprì le ali e si levò in volo, abbandonando la nave e i suoi strani e controversi abitanti.
Marko raccolse il biglietto di carta che gli aveva portato l’uccello, con lo sguardo ancora scioccato che saettava dal messaggio all’oscurità in cui era scomparso il rapace, e poi ancora, dall’oscurità al messaggio.
Quando decise di darsi pace, il mercenario spostò la propria attenzione sul foglietto.
Al tatto sembrava un frammento di pergamena, ma non si prese tanto tempo per esaminarlo il bassista, perché quella fugace visita notturna l’aveva incuriosito troppo per permettersi altre esitazioni.
Spiegò velocemente il pezzo di carta, ma rimase quasi deluso nel vedere che recava scritte solo poche parole.

Io sono ciò che è morto, ma che vive ancora.

Ah, splendido, un indovinello.
Ma che cosa diavolo voleva essere, una specie di caccia al tesoro?
Marko strinse il biglietto nel pugno, e si avviò a grandi passi sottocoperta.
Sapeva esattamente chi andare a cercare: Tuomas.









Ciò che dice l'Autore

Ho voluto scrivere questo capitolo per farli staccare un po' ^^ Vengono da una serie di avventure, corse e combattimenti frenetici, e si troveranno davanti nei prossimi capitoli dei periodi di vero "stress" sotto questo punto di vista, perciò prima che vengano sottoposti a questo durissimo trattamento (ehehe), volevo creare un capitolo che fosse un po' riflessivo per tutti...e, soprattutto, volevo mettere a nudo le debolezze e le paure di ognuno :D Spero di non avervi annoiato!

PS: Un ENORME ringraziamento ai lettori e ai recensori! Ai recensori vecchi e a quelli nuovi....grazie mille!!!!!!

Un grande bacio
















  
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