Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
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Autore: Evazick    26/05/2012    2 recensioni
Voleva urlare, spalancare la bocca per prendere aria, ma non ce la faceva. Li sentì raggiungere i suoi occhi e entrare nella sua testa, attraversare la sua pelle come se fosse aria per raggiungere le parti più nascoste di sé stessa, e lei rimase completamente immobile, paralizzata e senza poter far nulla per fermare quell’incubo. La parte peggiore, pensò quando divenne cieca e non riuscì più a sentire il crepitio dell’incendio, era sapere che nessuno l’avrebbe salvata.
Da qualche parte in lontananza, un corvo gracchiò.

*
Inghilterra, 1889. Pomeriggio del 13 aprile. In un bosco poco fuori Londra, una ragazza si risveglia. Non ricorda nulla di se stessa, e l’unica cosa che ha con sè è la collana che porta al collo. Vagando in cerca di un indizio sulla sua identità si rifugerà in una villa signorile, dove verrà accolta da uno spaventoso maggiordomo e da un ragazzo sfuggente e arrogante. La ragazza non sa di essere finita all’interno di una trappola tesa da un pericoloso e demoniaco ragno, e si ritroverà inconsapevolmente a far parte di un gioco che metterà in pericolo la sua stessa vita.  
Genere: Introspettivo, Mistero, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alois Trancy, Claude Faustas, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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 XVII. Traditrice, spia, bugiardo.


 

 
L’ondata di freddo che aveva colpito l’Inghilterra passò in pochi giorni, e la primavera esplose con la stessa intensità di prima, nonostante gli occasionali temporali che di tanto in tanto si scatenavano. La natura sembrava desiderosa di volersi svegliare e rinascere, ma Lena non era decisamente di quell’umore. Avrebbe preferito di gran lunga trovare un posto in cui nascondersi e dormire il più a lungo possibile, scappando da tutto e da tutti per non affrontare la nuova situazione e aspettare che la tempesta fosse passata.
Era seduta su una panchina nel giardino e osservava senza alcuna emozione i colori dei fiori e il modo in cui tutto sembrava brillare più del solito. Sulla panchina di pietra, accanto a lei, c’erano gli stivali che portava di solito, adagiati lì sopra con noncuranza e in fretta; era sempre più difficile per lei indossarli, le sembrava che i suoi piedi fossero incatenati, e la situazione era già abbastanza soffocante di suo. Così aveva iniziato a toglierseli sempre più spesso quando era da sola e aveva preso l’abitudine di camminare a piedi nudi per la sua stanza o per il corridoio del primo piano quando nessuno era in vista. Le sembrava di essere tornata a quei lontani giorni in cui era appena arrivata alla villa: oltre alla faccenda delle scarpe, adesso non si toglieva la benda nemmeno quando si lavava, chiudeva a chiave la porta della sua camera quando doveva cambiarsela, e aveva iniziato di nuovo ad evitare tutti e a trascorrere più tempo da sola nella sua camera. La ragazza sperduta e senza memoria era tornata a farsi viva con insistenza, e Lena si chiedeva spesso quando sarebbero tornate ad essere una cosa e la vecchia lei l’avrebbe costretta a fuggire dalla villa verso una destinazione sconosciuta. Non era più importante recuperare i suoi ricordi, adesso la prerogativa era fuggire.
Le cose erano precipitate a una velocità incredibile e così rapida che la ragazza a volte credeva di essere finita in un sogno da cui non riusciva a svegliarsi. Da quella notte nel giardino Alois le parlava solo il minimo indispensabile e non l’aveva più cercata nei suoi rari momenti di tempo libero, lasciandola da sola per l’intera giornata. Non sapeva dire se fosse arrabbiato, offeso o triste, ma non le importava saperlo, voleva solo che tra loro tutto tornasse come prima. Avrebbe sopportato i suoi sbalzi d’umore per l’eternità pur di trascorrere di nuovo un po’ di tempo con lui, anche solo per sentirlo farneticare di cose senza senso; ma questo per ora non sarebbe successo, e quindi doveva trovare altri modi per trascorrere le sue giornate vuote. Ogni tanto faceva ancora qualche capatina in biblioteca, ma non riusciva a leggere più di qualche pagina: i protagonisti di quelle storie le sembravano irreali come le loro vicende, non le interessava più sapere cosa sarebbe successo loro. Non poteva più nemmeno girovagare per la villa ed esplorare stanze sconosciute, perché, non appena si ritrovava dove non avrebbe dovuto essere, Claude o uno dei tre gemelli sbucava dal nulla e le metteva addosso una paura tale da farla chiudere nella sua camera per lunghe ore. L’unica persona che sembrava curarsi di lei era Hannah, ma anche il rapporto tra loro due era cambiato: il silenzio che le circondava nei rari momenti in cui erano sole non era più rilassato, ma teso e carico di domande non fatte e risposte non rivelabili, ed entrambe sapevano o avevano la sensazione che il peggio stava per arrivare e che non avrebbe lasciato superstiti. Ma loro non potevano fare niente per cambiare il corso degli eventi, non erano che delle semplici pedine su quella scacchiera letale, e non potevano fare altro che stringere i soffocanti corsetti dei vestiti di Lena.
Alois non scherzava quando aveva detto che la vita della ragazza gli apparteneva, e lei se ne rese conto solo in quel momento: senza di lui lei non poteva fare niente, non sentiva niente, non era niente. Lui le aveva donato una vita e dei ricordi meravigliosi ed orribili, e lei non avrebbe mai potuto aiutarlo nello stesso modo, nemmeno se avesse voluto. L’unica cosa che poteva e voleva fare per lui era impossibile, anche se desiderava con tutte le sue forze il contrario.
Abbassò per un attimo lo sguardo sulle sue gambe che dondolavano e sui suoi piedi nudi, poi tese una mano verso il cespuglio più vicino e colse un fiore, strappandolo con uno schiocco secco dal suo stelo. Lo fissò a lungo senza vederlo veramente mentre ci giocherellava e continuava a pensare. I suoi pensieri le fecero venire in mente un episodio accaduto qualche tempo prima, uno dei primi giorni dopo il suo arrivo. Alois aveva trovato nel bosco lì vicino una farfalla intrappolata in una ragnatela, l’aveva liberata e, sotto lo sguardo inorridito di Lena, le aveva strappato un’ala per impedirle di scappare. L’aveva tenuta nella sua camera finchè non era morta e, quando aveva provato a cremarla, aveva quasi mandato a fuoco anche la stanza. La ragazza si sentiva come quella farfalla: aveva lasciato che il ragazzo la salvasse, si era fidata di lui e di quello che aveva fatto per lei, e alla fine lui le aveva tolto la possibilità di andarsene; lei non avrebbe mai osato fuggire dopo quello che le aveva urlato quella notte, nonostante la situazione oppressiva e la paura che non se ne andava mai. In un breve momento di lucidità si chiese se Alois non riconoscesse sé stesso in quella farfalla, salvato e senza alcuna via di scampo. Almeno lei aveva una scelta, ma lui non aveva nemmeno quella.
Continuò a rigirarsi il fiore tra le dita, facendo brillare alla luce del sole il giallo accecante dei suoi petali. “È quasi un mese che sono qui,” disse senza rivolgersi a nessuno in particolare. Era difficile crederlo, ma era così. Erano successe così tante cose in così poco tempo che il tempo sembrava essersi dilatato e ristretto per confonderla e disorientarla ulteriormente. Poteva essere davvero trascorso un solo mese da quando si era risvegliata in quel bosco senza più alcun ricordo? Si era davvero affezionata così tanto ad Alois in così poco tempo da impedirsi di fuggire via dalla villa per scoprire la sua vera identità? Provò ad immaginarsi la sua famiglia, i suoi genitori spersi in qualche villaggio lontano da Londra, con un figlio morto e una figlia sparita nel nulla di cui non avevano più notizie da settimane. Le si strinse il cuore al pensiero di quei due completi sconosciuti che la aspettavano, e si chiedeva quale sarebbe stata la loro reazione nel vedere che lei non si ricordava chi fossero. Sarebbe stata dura, ma avrebbero potuto ricominciare da capo, lei avrebbe potuto cominciare una nuova vita ancora una volta.
Sarebbe stato bellissimo, se non fosse stato per quello che la teneva legata alla villa.
Lasciò andare la sua presa sul fiore e lo osservò cadere lentamente prima che si posasse sul terreno. Rimase a fissarlo a lungo senza alcuna espressione in volto, e si riscosse solo quando sentì dei passi avvicinarsi. Quei tacchi familiari ticchettavano perfino in mezzo al giardino e li avrebbe riconosciuti tra mille, e sentì il sudore colarle freddo lungo la schiena quando lui si sedette accanto a lei sulla panchina, posando per terra gli stivali. Nessuno dei due parlò per lungo tempo, ognuno perso nei propri pensieri e concentrato su cosa dire, poi il ragazzo le disse: “Finalmente siamo da soli.”
Avremmo potuto esserlo da tempo, pensò lei mentre annuiva senza alzare lo sguardo. Un lampo azzurro catturò la sua attenzione e la fece voltare verso la sua spalla sinistra, su cui si era adagiata una farfalla dalle ali turchese. La osservò mentre sbatteva lentamente le sue ali e decideva la nuova direzione da prendere, poi l’insetto si alzò in volo e Lena lo seguì con lo sguardo finchè non fu scomparso dalla sua vista. A quel punto fu quasi costretta a voltarsi verso Alois e i suoi occhi dello stesso colore delle ali della farfalla. “Già.”
Lui rimase in silenzio per qualche istante prima di continuare, andando dritto al punto: “Sono sempre stato invidioso di te fin dall’inizio. Non sei stupida, penso che tu l’abbia capito già da un po’. Ma, vedi… quando mi hai detto che non ricordavi niente di te stessa del tuo passato, mi sono chiesto perché fosse successo a te e non a me.” Strinse i pugni per contenere la rabbia. “Non capivo perché tu avessi avuto questa possibilità e non io. Ho visto e subito cose che nessuno dovrebbe mai provare, e per quanto voglia dimenticarle sono ancora tutte qui, nella mia testa, e non basteranno mille patti col Diavolo per cancellarle.” Rise amaro. “Strano, no? Tu invidi me perché ho tutto, e io invidio te perché non hai niente. Se potessi scambierei le nostre vite in un batter d’occhio.”
L’aveva già intuito, ma sentirselo dire faceva tutto un altro effetto. Adesso quella domanda così enigmatica era comprensibile, così come la sua riluttanza a parlare del suo passato. Tutto era chiaro, ma una nuova e spaventosa domanda si affacciò nella mente di Lena, facendola tremare in tutto il corpo. Dovette raccogliere tutto il suo coraggio per chiedere ad Alois in un sussurro flebile: “Tu mi odi?”
Il ragazzo non le rispose subito, come se dovesse pensarci su a lungo. Il cuore di lei iniziò a battere più veloce: non era sicura di riuscire a sopportare la verità, soprattutto se lui le avesse detto che sì, la odiava, che tutto quello che aveva fatto per lei l’aveva fatto solo per avere un nuovo giocattolino con cui divertirsi. Aveva fatto male a lasciare che lui iniziasse a parlarle, avrebbe dovuto sapere che non avrebbe retto il confronto. Fece per andarsene, ma in quel momento lui le rispose: “Dovrei, ma non lo so.” Sorrise, stavolta un po’ più sinceramente. “Sei così complicata che non riesco nemmeno a capire cosa provo nei tuoi confronti.”
Lena voleva ribattere che non era lei quella difficile, ma quel momento di riavvicinamento era troppo bello e desiderato troppo a lungo per rovinarlo con una battuta sarcastica. Sorrise lentamente e si ritrovò a dare ancora una possibilità ad Alois, a cancellare quello che si erano detti e ripartire da zero di nuovo. Forse fu allora che si accorse di essere diventata succube del ragazzo, ma non le importava: lui le aveva donato una nuova vita e lei gli sarebbe stata fedele fino alla morte. Lo avrebbe salvato e lo avrebbe portato lontano da lì, dal suo passato e da quella tempesta. Abbassò lo sguardo, nuovamente imbarazzata, e mormorò: “A proposito di quello che ci siamo detti l’altra sera… ho cambiato idea. Non partirò più, nemmeno quando avrò recuperato la memoria.”
Lui sorrise luminoso e feroce. “E la tua casa? La tua famiglia?” le chiese in tono ironico, come se la stesse prendendo in giro per la sua bizzarra idea di abbandonarlo per ritrovare i suoi genitori. Che idea stupida, piccola Lena, non capisci che non li incontrerai mai più?
Aprì bocca per rispondergli, ma si accorse che ciò che voleva dirgli non sarebbe mai dovuto uscire dalle sue labbra. Si limitò a sorridere in modo misterioso e a ripensare a quell’unica frase – Tu sei la mia casa. Lui ridacchiò e le mollò un pizzicotto sulla mano senza farle troppo male. “Allora mi perdoni?” gli chiese lei, anche se non era compito suo chiedere scusa; ma ormai aveva fatto il callo a queste colpe ingiuste che non ci faceva più nemmeno caso. Ordinaria amministrazione, ecco.
Alois le sorrise in un modo che poteva essere considerato una risposta affermativa. Lena non seppe mai perché lui l’aveva perdonata, anche se pensava fosse perché anche a lui mancava la sua compagnia, cosa che non avrebbe mai ammesso nemmeno sotto tortura. O forse sì? I suoi pensieri erano contorti e difficili come il suo bisogno d’affetto, non c’erano schemi che potevano aiutarti a capirlo, dovevi solo lasciare che gli eventi si sviluppassero uno dietro l’altro. La ragazza l’aveva capito da tempo e per questo lasciò che lui, dopo che si fu infilata di nuovo gli stivali, le afferrasse il polso e la trascinasse in qualche posto nascosto come facevano un tempo. Non appena lasciarono la panchina, però, qualcosa attirò la sua attenzione verso un cespuglio, e dovette trattenere il fiato quando vide la ciocca viola a malapena visibile tra le foglie. Cercò di metterla a fuoco, ma prima che potesse farlo era già scomparsa come un brandello di sogno nella luce dell’alba. Spalancò gli occhi, stupita, e riportò il suo sguardo su Alois mentre rimuginava: allora le sue intuizioni non erano sbagliate, l’avevano sempre tenuta d’occhio dovunque andasse. L’avevano spiata per tutto il tempo dopo il suo scherzetto del messaggio, e probabilmente le cose sarebbero solo peggiorate quando Claude fosse venuto a sapere del riavvicinamento tra lei e Alois. Era spaventata dalle conseguenze, certo, ma al tempo stesso sapeva che avrebbe dovuto affrontarle con tutto il suo coraggio: aveva fatto una promessa a sé stessa e l’avrebbe mantenuta, costasse quel che costasse. Aveva un debito da saldare, e nessuno glielo avrebbe impedito.
Quando raggiunsero il portone principale della villa, Lena alzò lo sguardo per abitudine verso la ragnatela nell’angolo, e le si gelò il sangue nelle vene quando vide la stessa farfalla di prima invischiata in quella trappola. Il ragno si era nascosto in un angolo buio per non farsi vedere, e stava aspettando con trepidante eccitazione che la sua preda fosse stanca a sufficienza prima di saltarle addosso e strapparle le ali azzurre dal corpo. Era una scena così simile ai suoi incubi che dovette costringersi a non svenire o urlare una volta dentro l’atrio.
Avvertimento o meno, poteva dire di essersi spaventata abbastanza.
 

***

 
La cantina era immersa completamente nel buio e nel silenzio notturno quando la porta si aprì, rivelando una figura bianca in piedi sulla soglia con in mano un candelabro con tre candele accese. Guardò il buio sotto di lei con paura come la prima volta in cui era scesa lì sotto e, forse per il fatto che era notte fonda e incredibilmente buio, fu sicura che nell’oscurità i suoi incubi la stessero aspettando per trascinarla nel loro mondo malato e contorto per sempre. Respirò profondamente e scese il primo scalino, chiudendosi la porta alle spalle, e mentre continuava a scendere si costrinse a pensare a qualcos altro, qualunque cosa non riguardasse le ombre che circondavano lei e la sua misera luce. Quella giornata, per esempio. Doveva pensare a quello che era successo quel pomeriggio.
Tutto sembrava essere tornato come ai vecchi tempi, quando trascorrevano insieme interi pomeriggi parlando e spostandosi da una stanza all’altra della vecchia villa. Lena si era sentita felice come non lo era da giorni, e aveva sopportato perfino quei due o tre momenti in cui Alois aveva avuto uno dei suoi cambi d’umore improvvisi. Lo aveva ascoltato parlare ininterrottamente per ore, saltando da un argomento a un altro, e si era stupita quando lui aveva menzionato di sua spontanea volontà Ciel Phantomhive. Le aveva detto che a breve sarebbe tornato alla villa –mentre parlava gli occhi gli brillavano – per una piccola sfida, una Danse Macabre, niente di che. “Cos’è, esattamente?” gli aveva chiesto lei incuriosita.
Lui le aveva sorriso in un modo che le aveva fatto venire i brividi. “Niente di cui tu debba preoccuparti, Lena,” l’aveva tranquillizzata accarezzandole i capelli, ma l’unico effetto che quella risposta le aveva fatto era stato quello di accentuare la sua preoccupazione apparsa quando era saltato fuori il nome di quella ‘piccola sfida’. Era un nome che prometteva guai, ed era per quello che adesso si trovava di nuovo sui freddi scalini della cantina, in cerca di un oggetto sconosciuto: tutto era partito da lì, ne era sicura, quindi quale luogo migliore in cui trovare le risposte alle sue domande?
Una volta in fondo alle scale, si diresse subito verso lo stesso scaffale della volta precedente: lo avrebbe controllato meglio in cerca del più piccolo indizio, non doveva farsi sfuggire nulla. Non aveva nemmeno paura che qualcuno potesse interrompere il suo lavoro: era scesa fin lì nel silenzio più totale, mettendoci mezz’ora per non svegliare o allarmare qualcuno, ed aveva acceso le candele solo quando era arrivata in cucina. Aveva fatto un lavoro perfetto, ma era questo il momento in cui doveva impegnarsi il doppio.
Appoggiò il candelabro su un punto vuoto dello scaffale e si scrocchiò le dita prima di iniziare a controllare ogni scatola di tè con precisione quasi maniacale. Le aprì tutte, rovistando tra le foglie al loro interno in cerca di qualche oggetto, ma quando arrivò all’ultima non aveva trovato niente di insolito o strano. Sbuffò frustrata e avvicinò la testa al punto in cui aveva appoggiato il candelabro, avvicinandovi involontariamente anche la sua collana. Non appena la pietra sfiorò il legno, l’azzurro del ciondolo si fece più brillante quanto la luce delle candele e la L incisa sulla sua superficie risaltò ancora di più. Sotto lo sguardo sorpreso e spaventato di Lena, la pietra iniziò ad emettere qualcosa: non erano suoni, bensì vibrazioni che non facevano tremare gli oggetti, ma udibili ad orecchio umano e che si propagavano anche fuori dalla stanza. La ragazza fece un veloce passo indietro e le vibrazioni finirono, ma qualcosa le diceva che era già troppo tardi. Si sbrigò a spengere le candele mentre dei passi risuonavano sopra di lei, e si appiattì contro la parete un attimo prima che la porta si spalancasse. Tutto era immerso nell’oscurità, ma la figura sulla soglia le era maledettamente familiare, e il fatto di trovarsi da sola con lui in quel posto a notte fonda non la aiutava a calmarsi.
“È inutile che vi nascondiate, signorina, lo so che siete qui.” Gli occhi dorati di Claude scintillavano perfino nel buio, e Lena trattenne il fiato quando lui scese il primo gradino, diminuendo la distanza tra loro due. “Immaginavo che sareste tornata qui, prima o poi, ma quando ho sentito che la vostra… collana aveva trovato qualcosa ho capito che eravate di nuovo qua sotto per cercare qualcosa.” Secondo gradino. “Avrei potuto ignorarvi se non vi foste intromessa, ma avete visto e sapete troppo per non essermi d’intralcio.” Terzo gradino. “Niente di personale,” concluse in un tono che lasciava intendere l’esatto contrario.
Gli attimi successivi furono confusi e si succedettero così velocemente che la ragazza si ritrovò incastrata tra la parete e il maggiordomo prima che potesse rendersene conto. Il cuore le batteva come impazzito nel petto e il sudore le incollava i capelli alla fronte. Non era mai stata così terrorizzata prima d’ora, e quei due occhi dorati esattamente davanti ai suoi la facevano sentire ancora più impaurita e indifesa. Il coraggio la abbandonò poco a poco, e si ritrovò a pensare quasi inconsciamente Ti prego, non farmi del male!
Come se avesse sentito i suoi pensieri – e forse l’aveva fatto davvero – un guizzo divertito attraversò quegli occhi innaturali. Prima che lei potesse aggiungere qualcosa o provare inutilmente a difendersi, Claude le afferrò il polso in una morsa così stretta che lei avrebbe giurato che volesse attraversarle la pelle; immersa com’era nel dolore e nella sorpresa, si accorse che lui l’aveva portata via dalla cantina soltanto quando si ritrovò nel corridoio mal illuminato fuori dalla cucina. Provò un paio di volte a liberarsi, nonostante sapesse che era inutile, poi ricorse all’unica arma che le era rimasta: spalancò la bocca e iniziò a urlare come non aveva mai fatto prima di quel giorno, come se volesse sfogare tutta la sua paura e liberare le urla che aveva trattenuto in tutto quel tempo. Non si aspettava che qualcuno riuscisse a sentirla e la aiutasse – perché avrebbero dovuto? Nessuno era dalla sua parte – ma si ricredette quando arrivarono nell’atrio e in cima alla scalinata, appena svegliato e confuso, apparve Alois in camicia da notte. Lena smise di urlare e fece per dirgli qualcosa, felice di vederlo lì, ma lui guardò sorpreso la scena davanti ai suoi occhi e chiese allarmato: “Cosa sta succedendo, Claude?”
La ragazza fece per rispondergli, ma una mano le tappò velocemente la bocca prima che potesse farlo. Si divincolò nella presa ferrea che la stringeva senza riuscire a liberarsi, ma non si arrese, continuando a dibattersi come un’ossessa. “Sono spiacente di dovervelo dire, danna-sama, ma poco fa ho sorpreso la signorina Lena mentre scriveva una lettera a Ciel Phantomhive. Credo che sia stata una sua spia fin dal primo momento in cui è entrata dentro la villa.”
Il silenzio crollò pesantemente nell’atrio. Lena smise di divincolarsi per spalancare gli occhi, stupita, mentre Alois sembrava addirittura più stupito e colpito di lei. Aveva gli occhi azzurri completamente sbarrati, come se non riuscisse a credere a quello che aveva appena sentito, e fece un passo indietro mentre tremava nella camicia da notte. “Cosa?” mormorò.
“Ho la lettera qui con me in tasca, se non mi credete,” aggiunse il maggiordomo, come se non sapesse che il ragazzo avrebbe preso qualunque sua bugia per verità.
Lena era completamente scioccata: si era aspettata di tutto, dalla tortura a una fuga improvvisa e costretta, ma quella situazione era talmente irreale che andava oltre ogni sua immaginazione. Lo sguardo sorpreso e tradito di Alois la faceva stare male, e approfittò del momento in cui la sua bocca fu liberata - per errore o per aggiungere drammaticità alla scena – per urlare: “Non è vero, Alois, non devi credergli! Io non ho mai visto quel ragazzo prima della festa, lo sai benissimo!”
“Potrebbe avervi mentito anche sulla sua amnesia per guadagnarsi la vostra fiducia.”
No!” Guardò il ragazzo disperata, aggrappandosi alla più sottile speranza. “Ti ho mentito solo sul modo in cui sono arrivata qui, ma ti giuro che tutto il resto è vero! Non ricordo niente del mio passato, non so davvero chi sono!” Una sola lacrima le solcò la guancia, ma nessuno, nemmeno lei, la notò. “Non so dirti perché ero sveglia a notte fonda, ma non l’ho scritta io quella lettera! Ti prego, devi credermi!”
Alois non disse niente, limitandosi a fissarla impassibile. Lei non staccò mai il suo sguardo da lui, sperando che lui potesse leggerle negli occhi tutto quello che non poteva dirgli. Sta mentendo, Alois, non devi credergli. Lo sta facendo solo perché sono un ostacolo, sono d’intralcio a quello che vuole farti. L’ha scritta lui quella lettera, non io. Credimi, Alois, anche tu sai che non sono una spia. Io voglio solo aiutarti. Io voglio solo salvarti. Io ti…
“Cosa devo farne di lei, danna-sama?”
Aiutami.
Il ragazzo rimase a lungo ancora in silenzio, e quando finalmente parlò la sua voce era fredda e tagliente come il ghiaccio: “Fai quello che vuoi, non m’importa niente di quello che le succede. Non la voglio vedere mai più.”
Il suo cuore si spezzò in migliaia di minuscoli frammenti con uno schianto fragoroso, e Lena sentì a malapena Claude che replicava ‘Yes, your Highness’. Si risvegliò solo quando Alois si voltò per tornare in camera sua e urlò: “Alois, ti prego, aiutami! Non mi lasciare da sola!
Lui non la ascoltò e scomparve nel corridoio senza dire altro. La ragazza si sentiva completamente svuotata, esausta e tradita; sì, tradita, esattamente come doveva sentirsi il biondo in quel momento. Era talmente confusa e scioccata che si lasciò condurre docile dal maggiordomo al primo piano, e così rimase finchè lui la fece entrare nella sua camera: le finestre e la portafinestra erano sbarrate da inferriate che non aveva mai visto e che trasformavano quella stanza così accogliente in una prigione. Solo quando pronunciò quella parola nella sua testa capì di essere finita nei guai più di quanto immaginava. Si voltò velocemente verso la porta, sperando di riuscire a scappare prima che si richiudesse, ma Claude le aveva lasciato andare velocemente il polso e aveva chiuso la porta dopo essere uscito nel corridoio, facendo sbattere Lena contro una barriera impenetrabile di legno. La chiave girò nella serratura per tre volte e, mentre la ragazza appoggiava la fronte alla porta e ascoltava i passi che si allontanavano nel corridoio, una voce che non era la sua le entrò in testa e le disse: Nero in oro. Alleata in spia. Menzogna in verità. Questo è un maggiordomo Trancy.
Emise un urlo furioso e colpì la porta con tutta la forza che aveva nel pugno destro.













Ecco, ora potete linciarmi.
Che tristezza, pensare che questa storia sia quasi alla fine. Ad occhio e croce dovrebbero mancare ancora tre capitoli, e poi tutto sarà finito. E' orribile pensarci ç_ç
Bè, l'unica soddisfazione che questo capitolo mi ha dato è stata pensare "Tranquillo, Claude, tanto ti faremo ricacare tutto quello che hai fatto."
MadLucy: mi piace il modo in cui descrivi il rapporto tra Alois e Lena, è proprio quello che avevo pensato io all'inizio. (Risposta brevissima, ma manca venti a mezzanotte e dormo ritta. Perdonami D:)

xoxo
Eva
  
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