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Autore: Melanto    27/05/2012    4 recensioni
- ULTIMO CAPITOLO ONLINE -
[Sequel di "Solo un nome" - ambientato cinque anni dopo]
«Oggetti delicati che devono essere protetti, i fiori sono le donne, che passeranno di mano in mano e appassiranno lentamente. I loro petali si consumeranno e cadranno. Noi siamo uomini.»
«E se non siamo fiori, allora cosa?»
«Noi siamo i rami e gli steli che li sorreggono. E non importa quante mani tenteranno di spezzarci, noi resisteremo e la nostra pelle sarà corteccia. Dura.»
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Nasir, Nuovo personaggio
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Solo un nome'
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NOTA GIGANTE DI SANTIFICAZIONE: Vi ricordate la planimetria impossibile di Villa Victoria? Quella su cui ho passato un paio di serate a capire ‘maperchéc’èilmareseprimanonc’eraaaa?!’, ‘manonsitrovanoleinquadratureeeee’. Sì, quella.
Ecco.
HABEMUS MODIFICHE! XD
Santa Enedhil, autrice del fandom, mentre disquisivamo in pvt sulle incongruenze prospettiche di Villa Victoria, ha proposto – in maniera illuminante! –: “Ma… io ero convinta che si fossero spostati; che quando è avvenuto l’attacco al carro fossero presso un’altra villa.”
Questo avrebbe giustificato il perché panoramiche esterne e inquadrature varie non si trovassero. Però ciò che mi aveva lasciato sempre perplessa era il fatto che Nasir e Chadara – mentre parlano per prepararsi e andare sul Vesuvio – si muovono con totale disinvoltura e conoscenza del posto da sembrare che fossero sempre rimasti a Villa Victoria (senza contare che non viene proprio detto che si erano rimessi in marcia).
E lì, Enedhil ha avuto “L’Idea”.
Ha chiesto a Padre De Knight, del Convento De Knight, in persona! *w* (le vie di San Twitter sono infinite!)
E Padre De Knight ha risposto con: “Different villa. A bit unclear in the ep.”.
Only ‘a bit’? Di’ pure ‘too much’, Padre De Knight, non lesinare XDDD
Quindi!
Habemus Veritas.
Erano in un posto diverso, onde ragion per cui, i punti (E) e (G) di Villa Victoria CAMBIANO!
Ecco la versione definitiva: VILLA VICTORIA, FONTE DI ESAURIMENTO DEL BUON FANWRITER.

Un grazie sentitissimo a Enedhil per aver chiesto a De Knight! *-* (XD tranquilla! Non ho dovuto modificare granché!!! *ride*)
E ora posso felicemente lasciarvi con l’ultimo capitolo di questa storia XD. Ci ritroviamo alla fine con le note di chiusura! :3


Buona lettura!

 

Solo un nome
- Branches -

 

- PARTE VI° -

Tiberius si era lasciato trascinare senza opporre la minima resistenza. Non aveva detto più una parola da quando era stato portato via né il soldato gli si era rivolto. Camillus l’aveva lasciato andare solo quando erano arrivati nello studio di Victor, non prima.
Lui non aveva fatto altro che pensare a Kaeso, al suo corpo abbandonato in quel frutteto, al fatto che non potesse ripararlo dalla pioggia, al fatto di averlo lasciato da solo quando lui non l’aveva mai privato della sua presenza nemmeno per un istante. Adesso erano separati e lo sarebbero stati per sempre. Adesso anche lui sarebbe stato solo, come Kaeso prima del suo arrivo alla villa. Adesso, sempre da solo, avrebbe dovuto imparare ad affrontare tutto quello che sarebbe seguito, sempre se ci sarebbe stato un ‘domani’ per lui. Non sapeva cosa gli avrebbe detto il dominus, se gli avrebbe concesso di continuare a vivere e forse, nel profondo del cuore, non gli interessava. Non gli importava più di nulla, nemmeno di morire. Non gli importava del suo nome né della libertà.
Quella tempesta sembrava così difficile da venir superata senza spezzarsi.
Quando aveva nuovamente messo piede nel palazzo, Chadara era stata la prima figura che aveva visto, ferma accanto alla colonna del cortile interno. Lei l’aveva fissato intensamente e i suoi occhi avevano posto domande cui non aveva potuto rispondere o cui forse aveva risposto, ma non a parole e non consapevolmente.
Ora restava in piedi, fermo al centro della stanza, ad aspettare la sentenza. E non gli importava nemmeno di quella.
«Esci.» La voce del dominus gli fece sollevare la testa per guardarlo mentre dava ordine a Camillus di lasciarli da soli. Tra le mani reggeva un telo con cui provvide ad asciugarsi alla meglio. Di sicuro aveva ordinato a qualcuno degli schiavi di portargli un cambio d’abiti.
Victor lo fissò con le labbra tese e lui abbassò subito le proprie iridi al suolo. Percepì il rumore dei passi che si avvicinavano, adagio.
«Che ti è passato per la testa di levare un’arma contro un soldato romano?» Si sentì domandare. Aprì la bocca per rispondere, ma il manrovescio lo mandò a terra. Il sangue prese a scorrere di nuovo dal punto in cui anche Helvius l’aveva colpito.
Poi, la voce del dominus gli esplose nell’orecchio.
«Che cazzo credevi di fare?! Eh?! Io decido chi vive e chi muore in questa cazzo di villa!» Il viso premuto sul pavimento dalla suola del calzare. Strinse gli occhi e ingoiò le lacrime che sentì affollarsi nella gola. «Ero convinto di averti strappato quel fottuto orgoglio! Ero convinto di averlo cancellato! Hai osato ingannarmi?! Rispondimi!»
«N-no…»
«Non ti sento!»
«No, dominus!»
La pressione del piede aumentò per un breve momento e poi scomparve, ma l’attimo successivo le dita di Victor gli afferrarono i capelli con forza, tirandoli per fargli sollevare il viso. Quando aprì gli occhi, quelli del padrone erano a un soffio dai suoi, furenti.
«Lo spero per te, Tiberius. E se ti rivedo di nuovo quello sguardo, se leggo di nuovo che vuoi ribellarti… ti cavo gli occhi con queste mani.» Le dita passarono davanti alle sue iridi, il palmo completamente aperto e minaccioso. Venne serrato attorno al viso, stringendo con forza la carne. «Mi hai capito bene?»
Lui deglutì a fatica.
«S-sì… dominus…»
«Sarà meglio.»
Victor lo lasciò andare con un gesto deciso e irato. Diede una sistemata alla veste e si alzò, dirigendosi allo scrittoio ma non si sedette. Anche Tiberius, lentamente, si mise in piedi, ma non si mosse, in attesa di ordini.
«Da oggi prendi il posto di Kaeso. Assolverai ai suoi compiti con la stessa efficienza.»
Vivi.
«E comincerai adesso, occupandoti del suo cadavere. Poiché mi è stato fedele fino alla fine, riceverà un funerale. Porta il suo corpo alla villa e ordina che venga preparato per domani.»
Vivi, Nasir.
«Dopodiché ti darai una ripulita: ti voglio nelle mie stanze.»
Tiberius chiuse gli occhi, stringendoli con forza e frustrazione. Quello significava ‘sopravvivere’?
«Sì, dominus
«Va’.»
L’attimo successivo aveva lasciato lo studio per tornare a vagare per i corridoi della villa.
Incontrò Chadara di nuovo nel cortile posteriore, e non era da sola.
Aveva smesso di piovere e le nuvole si stavano spostando, sospinte da una brezza più fresca che al mattino sarebbe stata dimenticata.
La schiava gli si fermò davanti e con lei c’erano Leoria, Gaius, Manius e Sertor(1). Nemmeno si chiese perché quest’ultimi non fossero alla torretta a occuparsi del lunare e delle guardie.
Leoria aveva gli occhi rossi, mentre quelli di Chadara erano lucidi, ma non piangeva.
«Dov’è?» chiese solo. Avevano già capito, avevano già saputo.
«Nel frutteto» rispose piatto; l’espressione ferma, scolpita. Gli occhi non guardavano nessuno. «Sto andando a prenderlo. Il dominus ha ordinato il funerale per domani.» Finalmente le sue iridi si concentrarono su chi gli stava intorno, sulle cose da fare e sugli ordini da impartire. «Manius, Gaius, Sertor preparate una portantina per trasportare il corpo fino alla villa. Leoria, procurati della legna asciutta. Fatti aiutare da Martia(2).» Gli schiavi si mossero subito per fare come gli era stato ordinato. «Chadara…»
Chadara gli gettò le braccia al collo e lo strinse, lo strinse più forte che poté, anche se Tiberius non le aveva chiesto nulla, ma le fu grato del suo sostegno.
«…occupati del resto» mormorò, nascosto nei suoi capelli e ricambiando l’abbraccio. «Già da stanotte dovrò essere sempre al fianco del padrone, domani sarà lo stesso e così nei giorni a venire.» Inspirò a fondo. «Appiccherai tu il fuoco… per me…»
«Lo farò, sta’ tranquillo.» Chadara lo lasciò andare, facendo scivolare le dita lungo le braccia per stringergli le mani. «Adesso fa’ quello che devi.»
Tiberius si limitò ad annuire e la superò, uscendo di nuovo, e questa volta da solo, all’esterno della villa. Ma mentre camminava tra i filari di viti pregò gli Dei di non arrivare mai, perché non era pronto per dirgli addio.

Victor aveva atteso che Tiberius avesse lasciato lo studio prima di uscire anche lui dalla stanza.
Camillus attendeva fuori, ritto contro il muro. Gli fece cenno, appoggiandosi il mantello di tessuto asciutto sulle spalle, e insieme si avviarono alle segrete.
Aveva già preso una decisione nel momento in cui la schiava era giunta ad avvisarlo di ciò che stava succedendo. Non aveva minimamente dubitato delle sue parole, perché i suoi schiavi erano stati tutti addestrati a obbedire e a non mentire. Mai. E nessuno si era mai dimostrato così stolto da provare a fregarlo. I suoi schiavi erano intelligenti, molto più intelligenti di Helvius.
Che vergogna per un romano.
Scese lentamente le scale che portavano alle segrete. I passi illuminati dalla fiaccola che reggeva Camillus. Il rumore dei lamenti del legionario rinchiuso arrivarono non appena la luce iniziò a diffondersi per l’ambiente, annunciando il suo arrivo.
«Dominus! Dominus, vi supplico! Ho sbagliato, non volevo! Vi prego! Punitemi come meglio credete, ma fatemi uscire da qui!»
«Fai silenzio» masticò Victor con noia, fermandosi davanti alle sbarre chiuse.
Helvius era in ginocchio e lo guardava dal basso. L’attimo di follia era ormai passato del tutto. «Sapevo che sareste venuto! Voi siete un uomo magnanimo e giusto. Vi prego non-»
«Ti ho detto di fare silenzio» ripeté con più incisività e l’altro tacque cosicché lui potesse fissarlo a lungo. «Sarei stato magnanimo se non avessi cercato di imbrogliarmi e mentirmi, Helvius. Sarei stato magnanimo se ti fossi gettato subito ai miei piedi e mi avessi supplicato di avere pietà.» Inspirò ed espirò, con calma. Le mani dietro la schiena e lo sguardo impassibile. «Lo sai quanti anni ci ho messo per addestrate Kaeso e renderlo lo schiavo perfetto che era? Lo sai, Helvius?»
«Vi-vi prego… perdonatemi… Ci sono molti altri schiavi che-»
«Non mi interessano gli altri, era Kaeso che volevo e tu me ne hai privato. Non esiste ammenda che tu possa fare per riparare al torto.» Le labbra si arricciarono, disgustate. «Io non tollero né perdono chi mi priva dei miei oggetti preferiti, quindi riceverai una punizione esemplare, che sia di monito a chiunque vorrà seguire il tuo esempio: ti terrò in queste celle fino a che non mi sarò stancato.»
«D-domin-»
«E se speri che qualcuno verrà mai a farti anche solo una misera visita, puoi anche smettere, perché il tuo zelo mi ha fatto decidere di sospendere i festeggiamenti del lunare per i prossimi cinque anni.» Victor accennò un sorriso sottile, che teneva celati i denti dietro le labbra. «Prega che io mi ricordi della tua esistenza.» Dopodiché gli volse le spalle e non si girò più, nemmeno alle urla disperate del giovane.

Il corpo di Kaeso era lì, dove l’aveva lasciato: disteso di lato, alla base del pruno.
Avrebbe potuto sembrare che stesse dormendo, se non avesse avuto gli occhi aperti. Spalancati.
E Tiberius sembrò quasi sentire sulla pelle che lo stavano guardando. Guardavano lui e sembravano chiedergli: ‘stai facendo i passi giusti?’, ‘ti stai comportando come dovresti?’, ‘stai obbedendo al dominus?’.
Stai vivendo?
Vivrai ancora per i prossimi giorni, mesi, anni?
Lui rimase fermo e in piedi davanti al cadavere, a guardarlo dall’alto. Guardava i capelli ora misti al fango e alla pioggia, guardava la pelle sporca di terra e sangue, ma il colore era così scuro che nel buio della notte si confondeva.
Sarebbe stato freddo se l’avesse toccato?
La sua pelle avrebbe potuto ancora trasmettergli, per l’ultima volta, il calore del sole della Siria che picchiava sulla sabbia del deserto?
E l’odore di incenso?
Chi gli avrebbe ricordato chi fosse, ora? Chi avrebbe fatto in modo che non dimenticasse il suo vecchio villaggio, la sua vecchia casa, suo fratello? Il suo nome.
Vivi, Nasir.
«Come posso, adesso che sono solo?»
Ma anche Kaeso era stato solo nei momenti peggiori ed era sopravvissuto, era divenuto duro come la corteccia e flessuoso come un ramo e allo stesso modo resistente, e nemmeno la morte era riuscita a spezzare la sua integrità.
Poteva essere altrettanto forte?
«Quante tempeste dovrò affrontare prima di vedere nuovamente il sole oltre le nubi?»
Anche questa domanda, come tutte le altre che fluivano nella sua mente, rimase senza risposta; Kaeso non avrebbe più potuto dargli i suoi preziosi consigli e lui avrebbe dovuto farsi bastare quelli appresi negli anni.
Lentamente si inginocchiò nel fango e le dita si allungarono sul corpo di colui che aveva sostituito il fratello lasciato in Siria; ora che lo aveva perso, non aveva più alcuna famiglia cui sentire di appartenere. Non aveva radici.
«Come posso essere ramo se non ho un tronco da cui nascere?»
Gli accarezzò i capelli, parlando piano, per non fare rumore; ce n’era stato fin troppo quella notte: le grida, i tuoni. Troppo rumore feriva le orecchie e le sue sanguinavano, e gli sanguinavano gli occhi. Poteva essere solo sangue ciò che sentiva scivolargli lungo la guancia perché lui non piangeva, non aveva mai pianto, nemmeno quando era stato portato via dal villaggio, nemmeno quando era stato venduto, nemmeno quando aveva accettato di divenire ‘Tiberius’. Non aveva mai pianto.
La mano scivolò lungo il viso e sotto al collo di Kaeso, lo sollevò e se lo tirò addosso per abbracciarlo un’ultima volta.
Sì, dovevano per forza sanguinargli gli occhi. Bruciavano e la vista era sfocata e per quanto sbattesse le palpebre altro sangue colava lungo le guance. Sangue trasparente come acqua.
Forse erano proprio lacrime.
Appoggiò le labbra contro la sua fronte e non trattenne un lamento. Si dondolò adagio, cullando il cadavere di Kaeso come fosse stato solo addormentato.
La sua pelle era già fredda.

Irrealtà.
Era questa la sensazione che Tiberius percepiva di quei momenti.
Il pomeriggio precedente parlava con Kaeso della pericolosità dell’amore, la sera lo stringeva morente tra le braccia e la notte era nella stanza del dominus a soddisfare i suoi voleri.
Irreale, distante. Come se mente e corpo vivessero in esistenze differenti. La prima era spettatrice esterna e il secondo un involucro vuoto che si muoveva meccanicamente.
Anche il dolore aveva assunto una diversa consistenza.
Gli era esploso nel petto quando Kaeso era stato trafitto, quando era crollato a terra, quando aveva continuato a guardarlo con occhi ormai privi di vita. Poi si era fatto ovattato, attutito. Il male sembrava essersi allontanato o forse era solo lui che si era isolato da tutto e tutti, perfino da sé stesso, e riusciva a vedere, adesso, tutto ciò che lo circondava con una lucidità quasi irreale.
Di nuovo, quella parola tornava in ogni gesto o pensiero, in ogni immagine che i suoi occhi vedevano, in ogni colore o sapore. Era tutto irreale, era tutto lento. Le voci, i movimenti.
Tiberius aveva dato disposizioni fin da quella mattina. A dire il vero non aveva dormito. Subito dopo aver soddisfatto il padrone, era andato ad accertarsi che fosse tutto in ordine, che gli altri schiavi avessero trovato della legna asciutta per preparare la pira funeraria, che il corpo di Kaeso fosse stato ripulito dal sangue e dal fango e vestito con gli abiti che lui aveva dato personalmente a Chadara. Quando poi il dominus si era svegliato e aveva iniziato la sua giornata, Tiberius era rimasto sempre al suo fianco, ma aveva continuato a informarsi sui preparativi attraverso gli altri schiavi.
Aveva assunto pienamente il ruolo di schiavo personale senza che nemmeno se ne accorgesse, quasi fosse naturale, per lui, trovarsi a dare direttive agli altri e, con la stessa naturalezza, come fosse il giusto ordine delle cose, quest’ultimi seguivano i suoi comandi senza replicare.
Le cose erano cambiate, ma il cambiamento era stato talmente repentino da passare inosservato e tutti, forse, se ne sarebbero resi conto solo più avanti nel tempo. Ma non quel giorno che ormai iniziava a volgere al termine.
Affacciato al balcone di una delle camere che davano sul retro della villa, Tiberius osservava il piccolo gruppo di schiavi che restavano raccolti attorno alla pira e aspettavano solo l’ordine del padrone per dare inizio al rito funebre.
Victor era qualche passo avanti Tiberius; aveva le braccia incrociate e l’aria severa. Accennò col capo e Chadara avanzò con la torcia. La reggeva con entrambe le mani e le tremavano un po’, anche se cercava di nasconderlo. Iniziò ad appiccare il fuoco dal basso, ma subito le fiamme si fecero spazio tra gli sterpi e attecchirono in un attimo, salendo verso l’alto fino ad arrivare al corpo posto sulla sommità.
Appena scorse il rosso avvolgere il feretro di Kaeso, Tiberius strinse con più forza le mani che teneva dietro la schiena. Il pugno sentì chiaramente la consistenza del metallo che giaceva nel palmo. Glielo aveva dato Chadara quella stessa mattina, quando si era avvicinato a Kaeso per l’ultima volta.
«Pensavo ti avrebbe fatto piacere avere qualcosa di suo, che te lo facesse sentire vicino in qualche modo.» Gli aveva detto, porgendogli l’orecchino a corno che Kaeso indossava sempre. «Anche se sarà sempre troppo lontano, adesso.»
Non aveva mai saputo il significato di quell’oggetto, non gliel’aveva mai chiesto, ma quando l’aveva avuto tra le mani, si era maledetto per non essersi mai informato, per non aver indagato, per non aver parlato ancora di più con lui. Ora non avrebbe più potuto farlo ed era insopportabile.
Inspirando a fondo, Tiberius aprì la mano e l’orecchino era lì, immobile. Lo rigirò adagio, guardandolo attentamente alla luce del sole morente che batteva su quella terrazza e rendeva arancio ogni contorno o figura, ogni colore. Il metallo era stato lavorato in maniera grezza, ma con dedizione. Non sembrava di origine siriana. D’un tratto una piccola incisione catturò il suo sguardo. Ben nascosta nella parte inferiore dell’orecchino, quella che era rivolta alla mascella, c’era una ‘F’ e Tiberius seppe d’aver trovato la risposta al motivo per cui Kaeso non se ne separava mai.
Flavinius.
Era un ricordo.
Dal soldato allo schiavo.
E ora sarebbe passato a lui, come un altro ricordo.
Dallo schiavo allo schiavo. Da fratello a fratello.
Lo strinse di nuovo e sentì un sapore salato scendere lungo la gola. I suoi occhi non avrebbero più sanguinato lacrime. Non più. E tutte quelle che avrebbero cercato di far emergere la sua debolezza, le avrebbe ingoiate, come in quel momento, per non essere più preda della tempesta, per imparare ad oscillare al vento senza spezzarsi. Per essere più forte di ogni dolore.
«Sì è fatto tardi.» La voce del dominus lo riportò bruscamente al presente.
Tiberius strinse le mani e sollevò lo sguardo per dedicargli tutta la sua attenzione. Gli vide volgere le spalle alla balaustra e passargli accanto.
«Provvedi che venga preparata la cena e ricorda che domani avremo ospiti. Fai in modo che il cumulo di cenere scompaia entro la decima ora del giorno.»
«Sì, dominus
Victor rientrò ma lui non si mosse per gli istanti successivi. Rimase a guardare il fuoco che ormai avvolgeva completamente ogni cosa, divorando le forme della pira e la sagoma di Kaeso. Entrambe non erano più visibili.
Adagio si avvicinò, fermandosi dove era stato Victor. Dall’alto, guardò le fiamme mescolarsi all’ultimo sprazzo di arancio che ancora resisteva, ma che presto sarebbe scomparso oltre il frutteto. Con movimenti lenti tolse l’orecchino che stava indossando e lo sostituì con quello appartenuto a Kaeso.
«Mi ero sbagliato» mormorò piano. «Non c’è libertà oltre queste mura. Non ce n’è mai stata fin dal principio. Né un nome da reclamare.» La sua libertà era morta assieme a ‘Nasir’ quando era stato catturato; Kaeso glielo aveva sempre detto e lui stupidamente, ingenuamente, non aveva mai voluto accettarlo. Ora però era in grado di vedere la verità. E anche se faceva male, rifiutarla ancora non l’avrebbe mai cambiata. Lui era uno schiavo e come tale sarebbe anche morto, ma sarebbe stato lo schiavo perfetto che Kaeso gli aveva insegnato a essere: avrebbe obbedito al dominus, avrebbe portato a termine ogni compito, avrebbe vissuto ogni giorno difendendo l’unica identità a essergli rimasta, quella di ‘Tiberius’.
Strinse lo sguardo, indurendo l’espressione. L’orgoglio del cazzo brillò per un attimo nelle iridi.
«Non esisterà tempesta capace di spezzarmi. Perché io sono ramo e la mia pelle è corteccia.»

 


[1]SERTOR: nel IV° Capitolo avevamo conosciuto Manius e Gaius; mancava il terzo tra gli schiavi che avevamo visto essere al servizio di Victor (in teoria ce ne sarebbe anche uno ben più anziano, ma non ho ancora deciso se lo userò o meno XD). Vi presento Sertor: *clicca qui*. :3 Se non sbaglio, lui è ancora vivo quando lasciano la Casa di Victor e vanno per campi a cogliere margherite a cercare Naevia. Mi sembra di averlo visto addirittura quando arrivano al tempio di Lucius.

[2]MARTIA: altra schiava al servizio di zio Vic, e che ci viene mostrata insieme a Leoria. Di sicuro so che è sopravvissuta perché l'ho intravista quando si trovano al tempio di Lucius. Yay per lei. (Martia: *clicca qui*).


Fine




Ciarle Randomiche di chiusura: :3 e anche "Branches" è finita.
Il 'cambio generazionale' è avvenuto e Nasir è divenuto il nuovo body slave del dominus, in modo da ricondurre gli eventi a quelli di "Vengeance". In particolare, la parte finale e la durezza di Nasir mi servivano per motivare il futuro tentato omicidio di Spartacus: quest'ultimo arriva a turbare l'ennesimo equilibrio che aveva finalmente - e faticosamente - raggiunto, diciamo che non ha tutti i torti. Ammetto che l'idea di tracciare l'intera storia è nata proprio dal voler dare una spiegazione a quel comportamento in particolare: è nato tutto da lì, dall'aggressione a Spartacus e dal capire perché il nostro siriano abbia attaccato la persona che gli aveva dato la libertà. XD ovviamente io ho fatto il giro lungo, lo so! *ride*
La prossima storia della serie è già pronta, è una breve one-shot che si collocherà temporalmente intorno alla fine di "Blood & Sand". La troverete online tra circa tre giorni. :3

Ringrazio infinitamente tutti coloro che hanno deciso di rimanere con questa fic fino alla fine, coloro che hanno recensito e coloro che hanno infilato la storia nelle varie liste. :333
Grazie anche ai Lettori-Ninja! XD
Di solito, concludo sempre le long fic con una sorta di 'saluto scaramantico' che rivolgo un po' a me stessa e alla mia ispirazione, ma visto che la serie si comporrà tutta di storie piuttosto brevi, ho deciso che la metterò in chiusura dell'ultima storia dell'intera serie! X3
Quindi, chiudo dicendo solo: Grazie a tutti, ci rileggiamo presto!!! :DDDD

   
 
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