Serie TV > Grey's Anatomy
Segui la storia  |       
Autore: AlisIntoTheDark    27/05/2012    4 recensioni
titolo della storia modificato da "I'm pregnant... ok?" a "Snow"
La Dott. Cristina Yang di Beverly Hills non avrebbe mai voluto fare la mamma.
Non era nella sua natura.
Ma qualcosa stava cambiando.
Forse paperelle e pannolini non erano la fine del mondo.
Genere: Generale, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Cristina Yang, Meredith Grey, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

 

 

 

 

 

 

Snow

 

 


 

Capitolo 9

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Meredith

 

 

 

 

 


 

“Sei dilatata di... quattro centimetri” disse la ginecologa finendo di visitare Cristina, la quale sbuffò chiudendo gli occhi.

 

“Voglio uccidermi” sussurrò.

 

Iniziai a ridere per smorzare la tensione che, in quel momento, stava invadendo anche me.

 

La ginecologa uscì dalla camera lasciando me e la signora Rubenstain nella stanza.

 

Cristina si sciolse i capelli ricci e iniziò a giocherellare con l’elastico, era nervosa.

 

“Cerca di... rilassarti” dissi provando a confortarla.

 

Lei mi osservò con uno sguardo leggermente indemoniato.

 

“Per te è facile!” disse “ ma non è così. Non è che dici rilassati e io ho l’azione immediata! Vorrei... solo che questo momento non fosse mai arrivato... non ora almeno.” 

 

“Perché ora diverrà tutto concreto?” domandai cercando di percepire i suoi pensieri.

 

Cristina abbassò la testa e spostò alcuni riccioli che le erano caduti sulla faccia dietro alle orecchie.

 

Sua madre si alzò dalla sedia affianco al letto di Cristina e prese il cellulare dalla sua borsa.

 

“Devo avvertire Saul, vedrai sarà contento!” gridò la donna uscendo dalla stanza.

 

Yang rimase a fissarla qualche istante.

 

“Non... non pensavo che alla fine l’avrei fatto sul serio. Ogni tanto ho l’impressione di star sognando, ma ora so che non sarà più così” disse Cristina guardando l’orologio.

 

Era spaventata, cosa che non ci si aspetterebbe dalla dottoressa Yang.

 

“Dov’è Owen? L’hai chiamato, no?” chiese preoccupata.

 

“Certo. Arriverà tra poco” risposi.

 

Avevo chiamato Hunt, ero andata da lui, l’avevo preso per il colletto della camicia e gli avevo detto di Cristina chiaramente.

 

Non l’aveva presa molto bene.

 

O meglio, era in uno stato di shock totale.

 

Il suo sguardo pensieroso era diventato vuoto, il colore del suo volto si era tramutato da rosa a verde  e le sue mani avevano iniziato a tremare come le foglie scosse dal vento.

 

Infine aveva dato di stomaco, sulle scarpe di Jackson.

 

Insomma, non stava molto bene.

 

“Ne sei... sicura? Perché non ci tengo a passare le prossime ora in compagnia di quella... cosa” disse Cristina indicando sua madre.

 

“Non preoccuparti, rilassati. Ora devo andare, ti mando Izzie?” domandai.

 

Non mi stava più ascoltando.

 

La sua faccia divenne leggermente sofferente.

 

“Sai, puoi chiederla un’ epidurale...”

 

“Cosa dico sempre? I medicinali sono per i bambini.”

 

“Si ma proverai dolore, molto dolore, se fossi in te io la farei”

 

“Già ma non sei tu che devi partorire, piuttosto trova Owen!” gridò rabbiosa.

 

“Ok.Vado a prenderlo” risposi senza battere ciglio e mi dileguai.

 

Uscii dalla stanza e presi il telefono, Alex mi aveva inviato decine di messaggi, così lo chiamai.

 

“Meredith?” rispose.

 

“Ehi, come sta Hunt?”

 

“E’ disteso in posizione fetale su un lettino del poliambulatorio, non pensavo che un uomo sopravvissuto alla guerra potesse avere paura di questo genere” rispose allegro.

 

Si stava mettendo male.

 

“La maggior parte degli uomini reagisce così, almeno credo. Devi cercare di fargli alzare il culo, Cristina si sta innervosendo e non è una buona cosa ne per lei ne per il bambino e nemmeno per chi le sta accanto.”

 

Alex non diede nessuna risposta.

 

“C’è Izzie devo andare!” 

 

“Aspetta, Alex.... Alex!” dissi cercando di fermarlo, ma lui mi attaccò il telefono in faccia.

 

Guardai il cellulare con disprezzo e lo rimisi nella tasta del camice.

 

Alex non avrebbe potuto aiutarmi, troppo preso dai suoi problemi sentimentali con Isobel, sicuramente era ancora innamorato, quindi avrei dovuto cavarmela da sola.

 

Iniziai a dirigermi verso il poliambulatorio quando, davanti agli ascensori, notai un lungo filo di nastro rosso e bianco, a delimitare la zona, e al suo interno erano presenti dei tecnici.

 

Probabilmente uno degli ascensori si era bloccato.

 

Mi avvicinai per vedere meglio tra le persone che si erano fermate ad osservare fino a che un uomo agito le mani per farci andare via.

 

“Si è bloccato uno degli ascensori, non allarmatevi è tutto sotto controllo!” disse uno dei tecnici cercando di cacciarci.

 

Stavo per andarmene quando mi ritrovai davanti Alex.

 

“Alex! Tu dovresti essere da Owen a consolarlo!” dissi dando un pugno sul braccio di Karev.

 

“Ehi! Si è alzato ok! Mi sono distratto a parlare con Izzie e lui non c’era più quando mi sono voltato!” rispose.

 

Estrassi il telefono dalla tasca del camice e chiamai Hunt.

 

“Che fai adesso?” chiese Alex.

 

“Hunt non sa la stanza di Cristina” risposi con voce leggermente agitata.

 

Iniziai a sentire un telefono squillare.

 

Karev si guardò intorno cercando la suoneria che sembrava essere quella di Hunt, poi si voltò verso l’ascensore e mi mise una mano sulla spalla.

 

Guardai anch’io l’ascensore da cui proveniva il suono e iniziai a pensare mille modi su come uccidere Owen.

 

 

 

 

 


 

Owen

 

 

 

 

 


 

Meredith mi stava chiamando e io ero bloccato in un ascensore.

 

L’ascensore.

 

Il maledetto ascensore.

 

“Grey non ti allarmare” dissi cercando di sembrare calmo, cosa che non ero dato che mia moglie avrebbe partorito tra poco e io non potevo raggiungerla.

 

“In questo momento tu non sei il capo, tu sei Owen. Il marito di Cristina, l’amico di Derek, fai parte della nostra famiglia allargata, quindi ti parlerò da amica: che diavolo ci fai lì dentro?” disse Meredith.

 

Diedi un’ occhiata a Mark e Shepherd, i quali erano bloccati con me, e mi grattai la guancia sinistra.

 

“Io... sono uscito dalla mia fase shock e ho pensato che sarei stato più veloce se non prendevo le scale, quindi...”

 

“Owen! Che cosa devo dire a Cristina? Che non ti andava di prendere le scale e sei rimasto bloccato nell’ascensore?”

 

“Beh... sì” risposi non sapendo bene che dire.

 

“Riuscirò ad essere fuori di qui in tempo! Non potrei mai lasciarla sola” affermai cercando di essere  sicuro di ciò che dicevo.

 

Ero talmente agitato da essermi dimenticato persino del lavoro.

 

“Non so quanto tempo riuscirò a tenere a bada la bestia” rispose Grey prima di chiudere la conversazione.

 

Mi accasciai alla parete e scivolai fino a sedermi sul pavimento.

 

Non sapevo che fare, avevo paura di non riuscire a raggiungere Cristina.

 

Iniziai a sentire un po’ d’ansia e tristezza così, Derek, notando che ero giù di morale, mi si avvicinò.

 

“Vedrai che ce la farai. Cristina è una tosta...”

 

“No... non lo è. Lei è terrorizzata, lo so perché... spesso la sento alzarsi di notte, lei si alza e io rimango sveglio ad osservarla e ad ascoltarla mentre parla da sola. E’ terrorizzata. Lo è anche se non lo vuole mostrare” risposi interrompendo Derek.

 

“Guarda il lato positivo, alla fine di tutto avrai un bambino tra le braccia” disse Mark provando ad essere consolatorio.

 

Shepherd lo guardò scuotendo la testa ma face silenzio mentre pensavo che forse sarebbe stato meglio rimanere in quell’ascensore per il resto della mia vita.

 

“Non posso credere che sono realmente bloccato qui...”

 

“Sei una persona sfortunata... come tutti noi. Inizio a pensare che sia colpa di questo ospedale perché le mie disavventure sono iniziate quando mi sono trasferito a Seattle. Cominciando dall’amore impossibile con Lexie, la sparatoria...”

 

“Mark.”

 

Sloan si voltò verso Derek e sorrise.

 

“Cerco di sdrammatizzare la situazione, guardalo!” disse indicandomi “E’ allegro come... un tizio seduto su un cactus!”

 

Shepherd cercò di trattenersi ma preso dal momento iniziò a ridere piegandosi in due e io non potei fare a meno di sorridere.

 

“Non è divertente” affermai cercando di rimanere serio.

 

“Com’è stare seduto su un cactus Hunt?” chiese Derek ironicamente.

 

“Quando il signor Clark a tentato di ucciderti anche tu eri seduto su un cactus, dovresti saperlo” conclusi.

 

I sorrisi di Derek e Mark si spensero ricordando ancora una volta la terribile situazione della sparatoria.

 

“E’ stato divertente stare su un cactus, sembrava di essere in un telefilm” disse Mark.

 

“Un telefilm non dovrebbe fare così paura” rispose Derek con sguardo serioso.

 

Mi alzai in piedi e Shepherd mi mise una mano sulla spalla.

 

“Riusciremo ad uscire da qui in tempo” disse.

 

“Lo spero.”

 

Guardai le porte dell’ascensore e iniziai a sperare che da un momento all’altro si aprissero e mi lasciassero correre da Cristina.

 

 

 

 


 

 

Cristina

 

 

 

 

 

 


“Scusami... non ho capito bene” dissi.

 

“Beh... Hunt è... bloccato in ascensore” ripeté April mentre Meredith annuiva.

 

“Bloccato in ascensore? Bloccato in ascensore!” urlai furiosamente.

 

Meredith prese il bicchiere pieno d’acqua posto sul tavolino e me lo passò, ma lo buttai a terra con uno schiaffo.

 

L’acqua iniziò a espandersi su tutto il pavimento.

 

“Non è possibile che in questo momento lui non possa essere qui, non può non essere qui! Se lui non ci sarà, dopo che avrò partorito dolorosamente suo figlio, la prossima testa che taglierò sarà la sua! E mi piacerà pure vedere il suo sangue schizzare per le pareti della stanza, oh... sì! Mi piacerà da impazzire!”

 

April, continuando a sorridere, fece un passo indietro allontanandosi dal mio letto.

 

Mia madre entrò dalla porta saltellante raccontandomi di aver parlato con il professor Marlow e, quando uscì di nuovo dalla camera, lasciai sprofondare la testa nel cuscino.

 

“Mi correggo, la prossima testa che taglierò sarà quella di mia madre” affermai mettendomi una mano sulla fronte.

 

Meredith chiese ad April di andare a prendere uno straccio, per asciugare l’acqua a terra, e si sedette affianco a me.

 

Mentre osservavo Kepner correre via con quelle odiose scarpe cigolanti, Meredith sorrise e mi prese  un braccio.

 

“Sarà qui” disse provando a rassicurarmi.

 

Sbuffai e sistemai il lenzuolo arancio che mi copriva le gambe.

 

Nel reparto maternità era tutto colorato e pieno di luce, come se il coniglio pasquale ci avesse vomitato sopra.

 

Sentendo un’altra contrazione cominciai a respirare più lentamente, in quei momenti cercavo di rilassarmi ma l’unico pensiero che avevo fisso in mente era operare.

 

Avevo bisogno di entrare in una sala operatoria, poiché era troppo tempo ormai che non toccavo un bisturi.

 

Stavo per partorire, ma non ero psicologicamente preparata all’evento, no... non lo ero.

 

Forse avere un bambino era una delle sfide più grandi che mi erano state poste nella vita, perché ormai operare e salvare vite mi era naturale.

 

Ora avrei dovuto affrontare ciò che mi legava a quel piccolo esserino che mi portavo dentro.

 

Sarei stata una mamma.

 

La mia migliore amica mi persuase dai miei pensieri richiamandomi alla realtà.

 

“Cristina, stai bene?” chiese.

 

Meredith mi adocchiò e fece un leggero sorriso.

 

“Si, era solo... un’altra contrazione” dissi breve restituendo il sorriso.

 

Meredith aprì la bocca per dire qualcosa quando dalla porta della stanza entrò Teddy seguita dall’immancabile dottor Marlow.

 

Mi voltai verso di lui e, notando che mi osservava, iniziai a sentirmi a disagio.

 

“Ehi!” esordì la Altman facendo qualche passo nella mia direzione “siamo venuti a farti una visita, in che punto sei?” chiese riferendosi alla mia posizione nel travaglio.

 

Prima di rispondere lanciai uno sguardo veloce a Marlow.

 

“Sono dilatata di circa sette centimetri”

 

Colin iniziò a ridere cercando di mascherarlo simulando il bisogno di tossire.

 

Meredith si alzò dal letto vedendo rientrare April con lo straccio.

 

“Salve” iniziò frizzante Kepner “ ho... io... ho ricevuto delle... notizie sull’ascensore.”

 

Mi voltai speranzosa verso di lei, ma non servì a niente.

 

“Loro sono... beh... sì... sono-sono bloccati ancora lì”

 

Meredith prese lo straccio dalle mani di April e provò a cambiare discorso mentre, nel frattempo, Colin Marlow mi fissava divertito.

 

“Che cos’hai da fissare?” chiesi acida.

 

“Stavo pensando che stai per avere un bambino e mi fa ridere perché... hai sempre detto che non volevi figli quindi capisco ancora una volta che non sei la Cristina che ricordavo. Deve essere l’effetto di Burke.”

 

Quella volta fui io a ridere.

 

Lui non sapeva assolutamente niente di quel che era successo tra me e Preston.

 

“Burke? Sì beh non stiamo insieme ormai da molto tempo! Comunque, hai presente il dott. Hunt? Il primario di chirurgia? E’ lui che mi ha messo in questa situazione” spiegai.

 

La conversazione si chiuse lì, Marlow capì che non avevo granché voglia di parlare con lui.

 

Sentii il bambino iniziare ad agitarsi e cominciai a provare una leggera nausea.

 

“Hai bisogno di riposare quindi io e il mio amico, anche tuo amico da quel che ho capito, ce ne andiamo” disse Teddy afferrando un braccio di Colin.

 

“E’ stato bello rivederti, Cris” disse l’uomo.

 

Io annuii tentando di tenere a bada la mia nausea.

 

Non appena i cardiochirurghi uscirono dalla stanza, chiamai l’attenzione di April e Meredith.

 

“April cosa sai esattamente dell’ascensore?” domandai tentando di capire se avrei avuto mio marito durante il parto.

 

Lei esitò prima di rispondere.

 

“Beh... ecco... non si sa per quanto... rimarranno là dentro, ma ho chiesto a Lexie se poteva, insomma, restare lì a-a controllare che succedeva”  spiegò Kepner.

 

Avevo uno sguardo assente ormai, non c’era molto che poteva tirarmi su di morale.

 

“Che vuoi fare?” domandò Meredith.

 

Mi passai le mani tra i capelli.

 

“Aspetto.”

 

 

 

 


 

Owen

 

 

 

 

 


 

Erano passate un paio d’ore.

 

Per l’esattezza un’ora e quarantanove minuti.

 

Sloan e Shepherd cercavano di far passare il tempo parlando del più e del meno, ma io no.

 

Non riuscivo a far passare il tempo, ero dannatamente preoccupato.

 

Preoccupato non solo per mia moglie ma anche per il fatto che probabilmente la mia paziente aveva un marito violento ma io non potevo aiutarla.

 

“Quando ci faranno uscire di qui?” domandai a Derek e Mark.

 

I due si guardarono un attimo senza sapere che rispondere.

 

“Sono passate quasi due ore, tra poco dovrebbero farci uscire Hunt” disse Derek accennando uno dei suoi sorrisi.

 

Cercai di non buttarmi giù e fissai le mattonelle del pavimento dell’ascensore per quasi un minuto.

 

Mark guardò le porte scorrevoli e iniziò a sentire degli strani rumori.

 

“Li sentite?”

 

Derek alzò la testa tendendo le orecchie, io feci la stessa cosa.

 

Osservai le porte pieno di speranza, volevo che si aprissero, che mi lasciassero passare.

 

Avevo l’obbligo di uscire da lì.

 

Mark si avvicinò all’uscita dell’ascensore e attese in silenzio finché qualcosa non scattò e le porte si aprirono improvvisamente.

 

Scattai in piedi durante gli applausi che si ricevevano i tecnici dalle infermiere.

 

“Ok, andiamocene” disse Derek.

 

Uscii finalmente dall’ascensore e ritrovai Lexie che mi veniva in contro.

 

“Ehi! Ciao! Devo avvertirti che hanno già iniziato, ma non agitarti! Sei uscito in tempo! Ce la puoi fare!” disse la pimpante ragazza.

 

Dovevo assolutamente raggiungere Cristina, era il momento, stavamo per diventare genitori.

 

Mi feci dire la stanza di Cristina e ringraziai Lexie per essere rimasta ad aspettarmi.

 

Iniziai a correre verso la maternità, scontrai un paio di infermiere e per un pelo non centrai una barella.

 

Sentivo l’adrenalina scorrermi nel sangue, sicuramente niente avrebbe potuto intralciare la mia strada.

 

Non appena arrivai vicino alla stanza giusta cominciai a sentire le urla di Cristina.

 

Entrai nella camera e la prima cosa che notai fu lo sguardo spaventato di mia moglie, i miei occhi erano solo per lei.

 

Mi avvicinai al letto dove Meredith le teneva la mano mentre la ginecologa controllava che fosse tutto a posto.

 

“Owen” bisbigliò Cristina mentre nei suoi occhi si accendeva una luce.

 

“Sono qui, sono qui” dissi prendendole la mano e accarezzandole la testa.

 

“Io... ti uccido!” affermò afferrandomi il colletto della camicia.

 

“Sai che sto morendo di paura e tu ti diverti a... nasconderti negli ascensori!” urlò.

 

“No! Non è così! Sono qui, ho passato l’inferno in quell’ascensore ma ora sono qui e voglio sostenerti e aiutarti nel modo in cui posso perché ti amo.”

 

La ginecologa ci interruppe avvisandoci che era il momento di riniziare.

 

Cristina mi strinse forte la mano e mentre spaventata affrontava le sue paure, le nostre paure, io le sussurravo parole di incoraggiamento.

 

Avrei voluto provare io il suo dolore, non volevo vederla soffrire, ma l’unica cosa che potevo fare era comportarmi da figura rassicurante.

 

“Ok, al tre spingi” disse la dottoressa.

 

Cristina iniziò a spingere tra una contrazione e l’altra.

 

Lei era forte, sapevo che infondo stava facendo tutto quello per me.

 

“Cristina ce la puoi fare! Stai andando bene!” disse Meredith.

 

Dopo l’ultima contrazione Cristina si accasciò sul lettino ansimante.

 

“Non... non posso... io...”

 

“Cristina” la chiamai “ce la fai, ce la puoi fare devi solo... fare un ultimo sforzo.”

 

Lei sbuffò, sapeva che era ciò che si diceva alle donne mentre partorivano, ma invece di arrendersi fece un respiro profondo gonfiando d’aria le guance, si risedette sul letto e poi mi guardò.

 

Annuì e capii che era pronta a continuare.

 

Passarono i secondi, i minuti, le ore, ogni istante era importante e ci avvicinava alla fine.

 

Era sera ormai.

 

Continuai a stringere la mano di Cristina e ad accarezzarle i capelli neri finché l’ostetrica non ordinò a mia moglie di smettere. 

 

Cristina si fermò e guardò la ginecologa avvolgere quel batuffolo con una copertina. 

 

Un lamento, il pianto di un bambino, dilaniò nella stanza squarciando l’aria.

 

Erano piccoli polmoni ma potenti, come quelli della madre.

 

“Oddio” sussurrò Cristina.

 

Mi voltai verso di lei, che stanca respirava faticosamente, e le feci un sorriso enorme.

 

“Siamo... genitori?” domandò, forse non riusciva a realizzarlo nemmeno lei.

 

“Penso di si. Grazie” dissi.

 

Ero felice, veramente felice.

 

“Di cosa?” chiese leggermente stranita.

 

“Di essere arrivata fino in fondo, solo... per questo”

 

Lei sorrise e appoggiò delicatamente la testa sulla mia spalla.

 

“Ti amo.”

 

Mi ama. Lo so.

 

Quella fu una delle poche volte che me lo disse senza pensarci o senza vergognarsi.

 

La sua corazza di ghiaccio si era sciolta per davvero.

 

“Scusate, mi dispiace interrompere questa scena molto carina, ma qualcuno vorrebbe conoscervi e credo che preferirebbe stare tra le vostre braccia” disse Meredith stringendo il bambino il quale pianto ci fece voltare.

 

Non sapevamo se fosse un lui o una lei ma non ci importava granché.

 

“E’... ha tutte le dita?” chiese Cristina alzando il mento per scrutare meglio il piccolo.

 

“Dita più... dita meno. E’ ok. E’... semplicemente perfetta” disse.

 

Era una bambina.

 

L’avevo sempre saputo, ne ero stato convinto fin dal primo momento, e adesso, che avrei potuto coccolarla e tenerla stretta, ero ancora più felice.

 

Cristina fece un leggero sorriso e Meredith le pose la piccola tra le braccia.

 

Le manine chiuse a pugno appoggiate sul petto, gli occhi sigillati per proteggersi alla luce della stanza, i capelli neri inclini ad arricciarsi, la pelle candida. 

 

Era bellissima.

 

Cristina inclinò la testa di lato e notai che aveva iniziato a piangere.

 

Era emozionata e ciò non me lo sarei mai aspettato da lei.

 

“Ti assomiglia” sussurrai accarezzando il braccio di mia figlia.

 

“Avevi ragione, su ogni cosa.”

 

“Anche sul fatto che si chiamerà Elizabeth?” dissi scherzando.

 

Scosse la testa.

 

“Non ho cambiato idea, sai che io non cambio idea facilmente” rispose cullando dolcemente la piccola.

 

Sembrava volesse proteggerla.

 

“Lo so, comunque non possiamo chiamarla Cole” dissi osservando la bimba che tranquilla ci mostrava bellamente la lingua.

 

Lei non rispose era persa in quel semplice gesto di osservare la propria figlia che per la prima volta tentava di aprire gli occhi.

 

Era scattato qualcosa in lei.

 

Era diventata diversa, era... semplicemente una mamma.

 

 

 

 

 

 

 

0.0px 0.0px; text-align: justify; font: 12.0px 'Times New Roman';"> 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  AlisIntoTheDark  


  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Grey's Anatomy / Vai alla pagina dell'autore: AlisIntoTheDark