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Autore: Glory Of Selene    27/05/2012    2 recensioni
"Vai, vai, bellezza, il viaggio alla riscoperta del tuo passato comincia ora. E, chissà, magari imparerai anche qualcosa"
Cosa succederebbe se Tuomas e i Nightwish fossero trasportati in una favola, all'inseguimento di alcune delle loro vecchie canzoni?
Genere: Fantasy, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anette Olzon, Erno Vuorinen, Jukka Nevalainen , Marko Hietala , Tuomas Holopainen
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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«E’ una caccia al tesoro, mi ci gioco la chitarra»
La cabina del capitano era più grande delle altre, riusciva addirittura a contenere una scrivania in legno dove svettava un caos di documenti, fogli e cartine geografiche, e una piccola libreria contenente dei volumi rilegati e delle pergamene sciolte e abbandonate a sé stesse, senza alcuna distinzione.
Nel complesso, era una stanzetta gradevole, anche se del tutto preda del disordine più totale, e faticava a contenere le sei persone che si erano lì riunite.
Anette era in piedi, dava le spalle agli altri quattro ma ascoltava ogni parola che aveva il coraggio di uscire dalle loro labbra, gli occhi persi fuori dall’oblo, sul mare e sui marinai che si davano da fare sul ponte.
Sia Marko che Jukka erano in piedi, appoggiati l’uno di fronte all’altro a due pareti opposte, uno a destra e uno a sinistra, osservavano i compagni senza proferire una sola parola.
Emppu, Tuomas e Lisanna erano seduti sulle uniche tre sedie che arredavano l’ambiente, al centro della cabina.
Sembrava che le emozioni, le parole, i gesti vissuti la notte precedente non fossero mai accaduti; ora, tutta l’attenzione era al fogliettino che aveva portato Marko e che Emppu continuava a leggere e rileggere, come se imprimersi nella mente quelle poche lettere fino a scordarsene il significato potesse permettergli di arrivare alla soluzione più facilmente.
«Ora che ci penso, forse la chitarra me la tengo.» aggiunse poi, passando il foglietto a Tuomas.
L’illusionista vece scorrere lo sguardo sul testo in una frazione di secondo, per poi alzare gli occhi e guardare ognuno di loro.
«Potrebbe essere un fantasma. Un fantasma è una persona morta, che però vaga ancora nelle terre dei vivi» disse.
«Impossibile. I fantasmi non esistono.» fu la risposta immediata di Jukka.
Emppu gli lanciò uno sguardo sorpreso.
«Come, no? Voi siete pirati, Tuom ha beccato una sirena, e non esistono i fantasmi? Pensavo fossero ordinaria amministrazione, come – chessò – folletti, fate, spiritelli»
Il batterista lo guardò come se la sua domanda fosse la più stupida che avesse sentito, e la risposta solo un’ovvietà.
«Certo che ha beccato una sirena! Anzi, deve ancora dirmi come diavolo ha fatto a sopravvivere… ah, e ti auguro di non incontrare mai un folletto, una fata o uno spirito, e di non trovarti mai in una foresta da solo di notte. Ma i fantasmi, che idea assurda…»
Il chitarrista rimase senza parole. Lui stava scherzando… ma il vicecapitano sembrava drammaticamente serio.
«La risposta sarebbe sbagliata lo stesso.» intervenne Lisanna, così che tutti gli sguardi furono puntati su di lei. Si guardò intorno, a disagio… non le piaceva essere al centro dell’attenzione. «Beh… I fantasmi vivono su un confine.  Un fantasma è non un essere vivo né un essere morto, nessuna delle due cose. Mentre la creatura che stiamo cercando lo è entrambe.» spiegò.
Tuomas si accorse della validità del ragionamento, e ammutolì sconfortato. Era tutto ciò che gli era venuto in mente… tolti i fantasmi, cos’altro poteva avvicinarsi alla descrizione di quel maledetto bigliettino? Si prese la testa tra le mani, sconsolato.
E anche se avesse trovato quello che stavano cercando – qualsiasi cosa stessero cercando –, che cosa avrebbe fatto poi? Quell’essere sarebbe stato la soluzione a tutti i loro problemi, li avrebbe riportati a casa?
Se ci fosse stata questa possibilità, allora lui l’avrebbe cercato in capo al mondo, finché avesse avuto forza in corpo. Sarebbero tornati a Kitee, tutti e cinque, insieme. A qualunque costo.
«ANETTE OLZON!»
Il grido che si levò dal ponte strappò dai loro pensieri tutti i presenti, che si voltarono simultaneamente di scatto verso l’oblo.
Solo lei, solo Anette era rimasta impassibile.
Si girò lentamente verso Jukka, e gli scoccò uno sguardo indecifrabile.
«Dovresti aver imparato che io ho sempre ragione, Nevalainen» gli disse, con un mezzo sorriso sul volto.
Il vicecapitano sorrise a sua volta, ma non riuscì a cancellare la preoccupazione che gli si leggeva negli occhi.
«Vuoi un aiuto?»
Lei rise.
Si sistemò meglio il fodero della sciabola al fianco, aprì la porta della cabina del capitano ed uscì sul ponte con tranquillità.
Sul ponte si era formato un grande spiazzo, un cerchio quasi perfetto delimitato da corpi e corpi di marinai curiosi ed estremamente seri.
Al centro dello spiazzo c’era un uomo alto e muscoloso, con un paio di orecchini dorati all’orecchio destro e due treccine sudicie di un colore rossiccio che gli partivano dalla base del collo e gli terminavano alla fine della schiena; il resto del capo era completamente rasato. Portava una camicia bianca sporca e sbrindellata, a coprire – o almeno tentare di farlo – gli evidenti muscoli della sua corporatura imponente. Stringeva nelle mani grosse come badili le spade più grandi che Tuomas ed Emppu avessero mai visto, e lo faceva come se fossero fuscelli.
«Almeno non sei un vigliacco, Willson.»
La folla si aprì in due al passaggio di Anette, e si richiuse alle sue spalle non appena fu entrata nello spiazzo, esattamente di fronte al proprio avversario. Ora che erano così vicini si poteva notare benissimo la differenza di altezza, ed era impressionante, come impressionante era la corporatura esile del capitano in confronto alla muscolatura prominente di quello che era stato uno dei suoi luogotenenti.
«Oh, no, anzi: presto imparerai che sono cento volte migliore di te.»
Sghignazzò, mostrando i buchi nelle file storte dei suoi denti, mentre passava lo sguardo degli occhi piccoli e castani su tutto l’equipaggio.
«Io ho smesso di prendere ordini da una donna, gente!» gridò, alzando le braccia per incitare la folla.
Nessuno osò urlare con lui, ma alcuni annuirono.
Anette si lasciò andare a qualche imprecazione mentale; erano più numerosi di quanto pensasse. Eppure, non mostrò mai alcun segno di esitazione.
Incrociò le braccia invece, ignorando completamente l’impugnatura della sciabola che le spuntava al fianco, quando l’uomo di fronte a lei le aveva già in mano entrambe.
«Penso seriamente che la tua stupidità sia uguagliata solo dalla tua bruttezza. Però non posso esserne ancora sicura: è una lotta ardua.» sibilò gelidamente, dietro al sorrisetto che si era stampata in viso.
«La nostra non lo sarà.» fu la replica di lui, che non aspettò oltre a gettarsi su di lei.
Lento. Decisamente lento.
Con un’agilità fuori dal comune, Anette si abbassò e compì una veloce capriola laterale, con la quale schivò il primo fendente dell’avversario, reso impacciato dal troppo impeto dato dalla rabbia.
Prima regola: la freddezza. Dilettante.
Nell’alzarsi, Anette sguainò la spada e si portò alle spalle del nemico, in posizione di difesa.
«Non avrei voluto ucciderti, sciocco. Mi stai obbligando, e non amo essere obbligata a fare qualcosa.» dichiarò mentre saltava di lato per schivare un altro fendente, ma lui non le diede ascolto.
Ecco, era quello il momento del contrattacco: l’intervallo tra un impeto di furia e l’altro, l’avversario sbilanciato da un colpo potente andato a vuoto.
La cantante ne approfittò subito; scattò in avanti, la spada tesa, la punta indirizzata dritta la cuore.
Il rumore assordante della lama che cozza contro la lama, il contraccolpo che si trasferisce dolorosamente sul suo braccio, lo slancio che la porta a superare il pirata e fermarsi nuovamente dietro le sue spalle.
Ah, due spade. Giusto. Guerriero ambidestro e bla, bla, bla. Anette alzò gli occhi al cielo e si preparò ad attaccare.
Odiava la teoria.
Lui tornò a girarsi verso di lei. Certo, aveva una difesa eccellente; lei era sempre stata molto brava nello scegliere gli uomini migliori.
Altri due fendenti, in rapida sequenza. Il secondo non poté evitarlo, così dovette deviarlo con un movimento fluido della sua sciabola. Fece attenzione a colpire di striscio la lama del nemico, per non dover risentire totalmente del contraccolpo sul braccio – non si era ancora ripreso benissimo dalla parata di poco prima –.
Colse l’attimo giusto e gli sfrecciò alle spalle, ma era la terza volta che lei provava il giochetto e lui aveva deciso di non rischiare più. Non avrebbe fatto in tempo a voltarsi del tutto, così allargò le braccia e delineò una circonferenza mortale con le proprie spade grazie ad una rotazione del busto.
Le sue lame fendettero solo l’aria: Anette aveva previsto la sua mossa. Si era infatti rannicchiata in basso, all’altezza delle sue ginocchia, con la stessa agilità di un felino.
E mentre lui tranciava a metà il busto di un nemico immaginario alle sue spalle, lei gli piantava la sciabola nel polpaccio con tutta la forza che aveva.
Il pirata vacillò e cadde, con un grido di rabbia e dolore.
Lei gli fu subito addosso.
Alzò la spada, in modo da potergli dare il colpo di grazia prima che lui sfruttasse la sua fisicità per ribaltare la situazione e dare inizio ad una colluttazione a terra, ma fu bloccata a metà del gesto da una scia di fuoco che gli si propagò dal braccio sinistro fino alla spalla.
Lì si era appena conficcato un pugnale.
Non urlò. Non subito.
Si tolse un coltello dallo stivale e lo conficcò nella mano di Willson, in modo da averlo immobile; avrebbe dovuto aspettare.
Gettò a terra la spada per prendere un pugnale da lancio, girarsi e lanciarlo con forza e con una mira perfetta verso l’uomo che era dietro di lei. Fu allora che urlò.
«Io sono destrorsa, idiota!» fu il suo grido.
Il pugnale che lei aveva lanciato gli si conficcò esattamente al centro del petto, e lui si afflosciò a terra, senza un solo gemito.
Si girò poi verso il luogotenente che aveva lasciato a terra con un polpaccio disfatto e sanguinante, senza degnare d’uno sguardo il cadavere del codardo che l’aveva presa alle spalle, pronta per completare l’opera.
Raccolse la spada, poi con un calcio fece rotolare Willson per terra per poterlo vedere supino.
¬«Io non colpisco mai un uomo alle spalle.» gli disse, prima di conficcargli la lama nel cuore.
Sul ponte calò il silenzio.
Anette si scostò una ciocca dei capelli dal viso, si estrasse il pugnale dal braccio e lo gettò a terra.
«Questo è quello che succede a chi ha smesso di prendere ordini da una donna.» Il suo tono era gelido, come i suoi occhi di ghiaccio, che analizzavano una ad una le facce del suo equipaggio. «Ora, se a qualcuno di voi non va bene il sesso del vostro capitano, o se qualcuno di voi ha una mira penosa come quella del cretino che ha accompagnato Willson nella tomba, non ha che da dirlo e io sarò felicissima di ucciderlo. Chiaro?»
Annuirono tutti.
«Stupendo. Murray, Stevens, voi occupatevi dei cadaveri di questi due, voglio per loro tutte le degne cerimonie del caso. Chiamate anche qualche mozzo che pulisca tutto questo schifo e no, non ho alcun bisogno di un dottore. Tutti gli altri si occupino della rotta: oggi è una giornata come le altre.»
Voltò le spalle a tutti e si incamminò tranquillamente verso la propria cabina, incurante del sangue che gli gocciolava dalla ferita al braccio.
Quando aprì la porta, trovò tre persone che la fissavano attonite, una ammirata e un’altra molto divertita.
Chiuse la porticina dietro di sé e sospirò.
«Casa dolce casa» esordì, non senza la sua buona dosa d’ironia.
«Stai perdendo colpi» replicò Jukka, indicando la ferita al braccio.
«Nevalainen, dammi le medicazioni e stai zitto, sono stata presa alle spalle da un tizio che non era stato invitato alla festa.»
«Che episodio seccante» commentò lui porgendogli un’ampolla con dentro un liquido trasparente e un rotolo di garze.
Lei annuì, srotolando le bende e strappandone un pezzo per poi imbeverla del liquido e posarsela sulla ferita.
Sentirono il respiro di lei accelerare, e la videro strizzare gli occhi, ma non un suono uscì dalle sue labbra.
Sia Tuomas che Emppu erano scioccati; eppure, l’illusionista era convinto di aver visto tutto, ormai.
Il problema era che non si sarebbero mai abituati a vederla combattere, vincere, uccidere, dare ordini. Dovevano ammettere che tutto questo le gettava addosso un’irresistibile aura di sensualità, ma anche d’inquietudine.
Marko, invece, sembrava quasi a proprio agio e, dopo l’iniziale sgomento, trovò positivo il fatto di poter parlare da guerriero a guerriero… o meglio, da guerriero a guerriera.
«Che cos’è?» domandò infatti il mercenario, indicando la bottiglia.
«Non ne ho idea, ma fa maledettamente male» fu la risposta di lei.
Julius si schiarì la gola.
«Modestamente, è una mia creazione. Forse è un po’ fortino, ma nulla è migliore di quello per disinfettare una ferita.»
Era evidente che fosse orgoglioso delle proprie doti di alchimista.
«“Un po’ fortino”? …Ricordami di rovesciartelo in testa, questo coso, dopo che avrò finito di agonizzare» lo rimbeccò Anette mentre si fasciava il braccio con gesti esperti.
Quando terminò con le medicazioni, si mise ad osservare tutti i presenti con aria quasi stanca.
«Sentite, vi dispiace se rimandiamo la nostra riunione a dopo? Ho bisogno di parlare con il mio vice.»
Le sue parole gettarono su Tuomas un velo di amarezza. Erano come la dimostrazione del fatto che lei ancora non si fidava di loro, del fatto che lei non li considerava suoi compagni, non ancora.
Per Marko era stato facile, aveva accettato quasi subito di seguirlo, e non gli aveva mai dato la sensazione di pensare che loro fossero ancora estranei, sebbene ne avrebbe avuto tutti i motivi; in effetti, Tuomas cominciava a sospettare che Marko, per buon cuore, recitasse.
La cosa lo addolorava.
Voleva il suo gruppo, li voleva uniti, voleva che tutti si affidassero a tutti, come avevano sempre fatto. E lui, lui proprio non sapeva che cosa fare per farli tornare com’erano una volta. Si sentiva stupido e impotente.
«Non c’è problema, figurati» le rispose, alzandosi.
Ebbe l’impressione che lei avesse capito che il sorriso che si era a forza stampato sul volto fosse falso, ma comunque fosse lei non gli disse niente, e lui uscì dalla cabina e si avviò sottocoperta con il resto dei suoi compagni al seguito, portandosi dietro anche il suo immancabile senso d’amarezza.
«Pensi che ci saranno conseguenze, dopo oggi?» chiese lei, dopo che tutti se ne furono andati.
Jukka scosse la testa.
«Li hai messi del tutto in riga, An, hai ribadito la tua autorità. Non ci saranno altri colpi di testa.»
Le sue parole la confortavano. Lo sperava tanto.
«Sei stata fortissima.» aggiunse poi.
Lei sorrise.
«Ordinaria amministrazione.»
«Vuoi che ti lascio sola?»
Incredibile come, a volte, fosse in grado di leggerle nel pensiero. Annuì.
«Sì, grazie mille Nev»
Lui le fece l’occhiolino, prima di uscire e chiudersi la porta alle spalle.
Finalmente sola…
Si lasciò cadere su una sedia, massaggiandosi le tempie. Non l’avrebbe mai ammesso davanti a nessuno, ma cominciava a sentirsi davvero stremata. E le difficoltà non erano neanche iniziate, se lo sentiva.
Dall’oblio della stanchezza, emersero alcune parole, che la fecero sorridere.
Chissà perché, quella canzone, in quel preciso istante…
In altre condizioni l’avrebbe bloccata. Era una canzone che la confondeva, e per questo era irritante. Ma in quel momento non aveva la forza per combattere contro sé stessa, e la lasciò fluire dolcemente in un sussurro vibrante.
«Una colomba venne da me…» le note scemarono. Com’era il seguito? …Ah, sì: «…non ebbe paura: si riposò sul mio braccio. Io toccai la sua calma, invidiai il suo amore… ma non avevo bisogno di nulla che lei avesse.»

A dove came to me
Had no fear
It rested on my arm
I touched its calm, envied its love
But needed nothing it had


Smise di cantare, per poi lasciarsi andare ad un sospiro liberatorio.
Chissà se, adesso, sarebbe venuta da lei una bella colomba bianca?
L’idea la fece sorridere.
Sarebbe stata una cosa alquanto impossibile. Anche perché l’oblo era chiuso, e non sarebbe mai riuscita ad entrare.
Ticchettio.
Beh, certo, avrebbe potuto fare un ticchettio con il becco, per farsi notare e farsi aprire… Ma no, che cosa assurda. Assurda almeno quanto un gufo che portava indovinelli.
Ticchettio?
Si voltò verso l’oblo, per poi scoppiare in una lunga risata.
Si alzò e aprì la piccola finestrella, lasciando entrare il bellissimo volatile, che si posò aggraziato sulla sua scrivania. Solo quando lei tornò a sedersi sulla sedia la colomba decise di avvicinarsi e appollaiarsi sul suo avambraccio destro.
Le unghiette delle zampe le graffiavano lievemente la pelle, ma non era una sensazione spiacevole.
«Sai una cosa, colomba? Sei assurda. Almeno quanto una donna che si mette a fare il capitano di una nave pirata.» sussurrò all’uccello mentre ne accarezzava la testolina.
Di sicuro quell’animaletto grazioso dal piumaggio candido non aveva capito le sue parole, ma sembrava aver gradito molto le carezze, tanto da tubare tutta soddisfatta.
«Sei venuta per dirmi qualcosa? Per darmi dei consigli?» le domandò dolcemente.
Questa volta sembrò aver capito, perché fece un cenno col capo terribilmente simile ad un cenno d’assenso.
Anette sorrise.
«Dimmi, allora. Ma ti prego, sii più esplicita del gufo, lui non ha fatto altro che confondermi le idee»
La colomba gonfiò il petto, come se fosse orgogliosa della fiducia che Anette sembrava riporre in lei, e indicò con la testina bianca l’oblo dal quale era entrata.
Anette guardò fuori: proprio in quel momento la linea dell’orizzonte era oscurata da una striscia nera.
Terra.
Il capitano aggrottò la fronte. La rotta della Dark Passion non prevedeva alcun approdo, e dopotutto per una banda di criminali sarebbe stato un suicidio: terraferma significava Imperatore, in qualunque lingua esistente.
In effetti, sarebbe stato un suicidio anche per una persona che non aveva commesso alcun reato.
La donna osservò la colomba con un’espressione non troppo convinta.
«Sei sicura? Vuoi davvero che noi torniamo sulla terra? È davvero quella la risposta alle nostre domande?»
Non appena fatta la sua domanda, la colomba si alzò in volo, fece un giro in tondo sul soffitto della stanza del capitano e poi puntò dritto verso la terraferma.
Un frullio d’ali, un tubare lontano, e Anette fu lasciata sola nella sua cabina, in preda ai dubbi.
Terraferma.
Da quanto tempo non la toccava?
Era il posto più pericoloso del mondo conosciuto, tra le foreste infestate da creature sovrannaturali e l’Imperatore che imperversava terrorizzando le città e i borghi abitati. Una decisione sbagliata avrebbe comportato la morte.
C’era anche da dire che lei poteva anche decidere di non seguire quello strano gruppo di suonatori fino ad una molto probabile morte: lei su quella nave aveva tutto quello che aveva sempre desiderato, tutto quello per cui aveva sempre combattuto.
Sospirò, si alzò e a grandi passi si avviò sottocoperta.
Una sola cosa era certa: la Dark Passion avrebbe dovuto continuare a solcare i mari, qualsiasi cosa fosse accaduta.
E in questa situazione, mai avrebbe potuto abbandonare la nave in quanto capitano, si sarebbe subito scatenato il finimondo. Anche perché avrebbe dovuto portare il vicecapitano con sé.
Assorta nei suoi pensieri, non si accorse di essere già arrivata alla cabina che stava cercando: quella di Holopainen.
Era un ragazzo strano, così magnetico, così affascinante. C’era qualcosa in lui che le ricordava qualcuno, ma non riusciva a capire chi.
Quando aprì la porta, si ritrovò davanti tutta la combriccola al completo, Julius compreso.
Tutti le sorrisero; Marko era paonazzo, e si accorse in ritardo che Jukka aveva provveduto a far loro conoscere il contenuto dei barili di rhum che erano incautamente tenuti in cambusa.
Sospirò, scuotendo piano la testa, mentre le saliva alle labbra un sorrisetto divertito.
«Annuncio a tutte le persone sobrie che si trovano in questa stanza – so perfettamente che nessuno di voi lo è, ma almeno provate a fare finta –: nessuno di voi è specializzato in piani complicati, diabolici e molto probabilmente suicidi?»









Ciò che dice l'Autore
Mia madre ha passato tutto il pomeriggio a urlarmi addosso perchè sono stata al computer a scrivere da quando mi sono svegliata fino ad adesso (alle 22.02)...a stento mi sono alzata per mangiare xD
Comunque! A parte questo aneddoto che non importerà a nessuno xDxD
Volevo giustificarmi per un paio di cose: ehm, penso che sia palese che io non so assolutamente nulla nè di come si dirige una nave (non sono mai neanche salita su un gommone O.O Però il pedalò lo so guidare U.U'') nè di come si combatte con la spada, spero che nessuno che sia competente in questi due ambiti decida di condannare la mia ignoranza....navi e spade mi servivano per scopi artistici, chiedo venia :S
Un bacione a tutti e un grande ringraziamento a chi legge e a chi recensisce ^^ Spero che vi sia piaciuto il capitolo! Le danze cominciano ora ;P


  
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