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Autore: M_GCGH    27/05/2012    6 recensioni
Salve a tutti, questa è la mia prima fanfiction in assoluto e sarà tutta Monchele. La tratterò sia dal punto di vista di Cory che da quello di Lea. Spero che vi piaccia, fatemi sapere che ne pensate!
"Sapevo che Lea andava matta per il caffè. E sapevo che Dianna non avrebbe indagato sul motivo per il quale cercavo Lea, sia perché non poteva perdere molto tempo, poiché Ryan l’aveva chiamata, sia perché avrebbe potuto chiederlo direttamente alla sua migliore amica dopo le riprese."
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Cory Monteith, Lea Michele, Quasi tutti
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Come sempre scusate per il ritardo, pensavo di postarlo prima di andare in gita ma non ci sono riuscita. Eccovi il sesto capitolo! :)

Cory POV

Ero seduto nella sala d’aspetto dell’ospedale e sì, erano lacrime quelle che scendevano lungo il mio viso.
Qualche istante prima un uomo, dai bei capelli scuri e occhi chiari, col camice blu, aveva parlato con Theo e gli aveva fatto firmare qualche foglio; non so cosa ci fosse scritto in quel pezzo di carta o che cosa gli avesse detto, so solo che avevano portato Lea in sala operatoria.
Dopo circa mezz’ora arrivarono i genitori di Lea, con Jonathan. Corsero verso Theo chiedendogli cosa fosse accaduto. Vidi Edith e Jonathan piangere e disperarsi mentre Marc, il padre di Lea, cercava di consolarli, ma alla fine scoppiò in lacrime anche lui. Mi distruggeva vederli così quindi, giacché Theo era intento a parlare al telefono, decisi di fare qualcosa: mi asciugai le lacrime con il dorso della mano, feci un bel respiro e andai da loro.
Arrivato alle spalle di Marc, posai una mano sulla spalla di Edith che, con mia grande sorpresa, si girò e mi abbracciò. Dopo un attimo di esitazione le strofinai la schiena per rassicurarla un po’. Era minuta come la figlia e per un attimo pensai di avere lei tra le braccia. Un’altra lacrima rigò il mio volto. Scioltasi dall’abbraccio Edith, tra le lacrime mi disse:
“So quanto ci tieni a lei e so che per te è doloroso come per noi, grazie di essere qui.”
“Ci sarò sempre per Lea”
Marc mi mise una mano sulla mia spalla e me la strinse per ringraziarmi, non riusciva a parlare. Annuii con la testa per fargli capire che non si doveva preoccupare, avevo capito quello che mi voleva dire.
Jonathan mi guardò con gli occhi lucidi.
“Ce la farà, ne sono sicuro” cercai di rassicurarlo, ma le lacrime continuavano a scendere sul mio volto.
Dopodiché mi allontanai, dovevo lasciargli il loro spazio e volevo restare da solo anch’io, per pensare. Pensare a cosa provavo per lei. Pensare ai momenti passati con lei. Pensare a ciò che era successo. Ecco sì, quello che era successo…
Preso dalla paura del momento, non mi ero soffermato a pensare a cos’era successo. Riflettendoci, ciò che gli aveva detto Theo e ciò che ricordava lui della telefonata, non sembrava che Lea fosse potuta cadere dalle scale in quel modo. Theo diceva che era al piano di sotto quando Lea è inciampata su Sheila, ma lui si ricordava benissimo di aver sentito una porta sbattere vicino Lea, l’aveva sentita chiaramente quindi era impossibile che Theo fosse al piano di sotto. A pensarci bene aveva anche sentito distintamente la voce del biondino: era vicino a lei mentre parlava al telefono.
“Ma che dia-“ sussurrai. Sentii una mano sulla mia spalla. Non mi ero accorto del tempo che era trascorso, guardai in giro e vidi che dei ragazzi del cast non era rimasto più nessuno a parte Dianna che mi stava dicendo qualcosa.
“Scusa, puoi ripetere?” le chiesi, ancora stordito dai miei pensieri.
“Lea è uscita dalla sala operatoria, hanno detto che l’intervento è andato bene e che ora dobbiamo attendere il suo risveglio. Hanno anche detto che se non si risveglierà in una settimana potrebbe perdere la memoria”.
La guardai non dicendo una parola, i miei occhi gonfi e rossi parlavano per me. Si sedette accanto a me e mi poggiò nuovamente la mano sulla spalla.
“Io vado a casa, vuoi che ti prenda un caffè prima?”
“Grazie Di, sono apposto così. Va pure a casa, sarai stanchissima. Io resto qui, il caffè lo prendo più tardi”.
La abbracciai e le diedi un bacio sulla guancia; notai l’espressione interrogativa che aveva sul volto quando si girò prima di entrare nell’ascensore, sapevo perché aveva quell’espressione, ma non gli diedi peso.
Quella sera non riuscii a dormire.
Andavo avanti e indietro per il corridoio guardando attraverso quel maledettissimo vetro. Sarei voluto entrare nella stanza ma c’era Theo e il tutto sarebbe stato abbastanza imbarazzante.
Jon, Edith e Marc stavano riposando in alcune poltroncine appena fuori dalla stanza. Mi feci dare delle coperte da un’infermiera, le misi sopra ciascuno di loro facendo attenzione a non svegliarli; posata la coperta su Jonathan questo aprì di scatto gli occhi facendomi sobbalzare. Il ricciolino fece finta di niente.
“Cory che ci fai ancora qua? Va a casa”
Lo guardai dritto negli occhi e feci segno di no con la testa.
“Non posso, non ci riesco. Non se lei è lì con tutti quegli aggeggi intorno, immersa in un sonno che nessuno sa quanto durerà!” crollai sulla sedia accanto a lui, misi le mani in faccia: stavo di nuovo piangendo.
“Da quanto tempo sei innamorato di lei?” mi chiese all’improvviso. Lo guardai stupito.
“No, no… io non sono…” non riuscivo a mentire, non su questo, non ora; rassegnato, risposi alla sua domanda.
“Beh, diciamo che mi ha sempre attratto ma sono sempre riuscito a controllare i miei sentimenti; ora, invece, non riesco a stare nella stessa stanza senza pensare di poterla tenere tra le mie braccia e baciarla. Non sai quanto mi faccia stare male vederla in queste condizioni e sapere che non dovrei necessariamente stare qui tutto il tempo perché non sono il suo ragazzo”.
Non riuscii a tenermi più niente dentro. Mi guardai intorno imbarazzato, sperando che nessuno, a parte Jonathan, mi avesse sentito. Per fortuna i genitori di Lea stavano ancora riposando e Theo non era nei paraggi. Mi alzai e mi allontanai.
Vedendo che nella stanza con Lea non c’era più nessuno, decisi di entrare. Questa volta la sua testa era fasciata, segno che rendeva il tutto ancora più reale. Non riuscivo a starle lontano: mi avvicinai. Asciugai rapidamente una lacrima che era scesa sul mio volto senza il mio consenso. Presi una sedia e mi sedetti accanto a lei. Volevo abbracciarla forte dicendole che sarebbe andato tutto bene, ma avrei sicuramente staccato qualche filo quindi decisi di tenerle la mano.
“Sarò uno stupido e forse nemmeno mi sentirai. So che non ti sveglierai solo se dirò svegliati perché queste cose accadono solo nei film, e noi lo sappiamo bene; ma mi piacerebbe. Mi piacerebbe perché ora, in questo preciso momento, riuscirei a dirti tutto. Forse riuscirei a dirti tutto perché ho paura, paura di perderti, sì, ma ti direi quello che provo per te, che ho sempre provato per te e che non sono mai riuscito a dirti perché cercavo di reprimere i miei sentimenti per diversi motivi, motivi che mi sembrano enormi cavolate in questo momento; come il fatto che hai un ragazzo. Sì, perché io sono innamorato di te e non m’importa di quello sgorbio. Io starò qui, giorno e notte, finché non aprirai quei tuoi bellissimi occhi, sfoggerai quel sorriso che ogni volta illumina tutta la stanza, e ti sveglierai”.
La mia voce tremò per tutta la durata del discorso, ma ero riuscito a trattenere le lacrime.
“Perché io ti amo”
A quelle parole, però, non cercai nemmeno di trattenerle le lacrime. Lacrime di gioia e di dolore.
“Perciò ti prego, svegliati. Svegliati, svegliati, svegliati, svegliati, svegliati…”.
Posai la fronte sulle nostre mani continuando a sussurrare quelle parole e senza nemmeno accorgermene, mi addormentai.
  
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