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Autore: thequibbler    28/05/2012    10 recensioni
Ellen deglutì, prese un respiro profondo, e ripeté quelle parole ancora una volta, per poi desiderare di non averlo mai fatto: "Non sono il tuo giocattolo."
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'This isn't another girl meets boy.'
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Consiglio di ascoltare questa mentre leggete. 
È la ragione per cui ho scritto questa roba, quindi è appropriato.
È la storia più "hardcore" che ho scritto fin'ora, sto cercando di esplorare quei limiti della mia scrittura.
Se non vi piace sapete come fare.
X rossa nell'angolo in alto a destra.


 

I'm Not Your Toy.

Non avrebbe voluto essere lì. 
Voleva voltarsi e tornare a casa, infilarsi sotto alle coperte e guardare film strappalacrime per tutta la notte.
Ma non poteva.
Il messaggio che aveva ricevuto alcune ore prima non lasciava spazio per nessun tipo di esitazione.
Il rimbombo delle casse si sentiva già a quasi un isolato di distanza, e più si avvicinava alla casa, più il volume della musica aumentava.
Anche se la casa era piena di gente, lo vide non appena varcò la soglia: era sdraiato sul tappeto del salotto e teneva spinello e birra in una mano, mentre le dita dell'altra scorrevano fra una cascata di boccoli castani.
Era come se ci fosse un buco nel suo intestino, e ogni volta che lui la faceva soffrire il buco si allargava.
Non sapeva per quanto ancora sarebbe riuscita a sopravvivere.
"Hey, Ellen."
La voce di qualcuno dietro di lei la fece sussultare.
Quando si voltò, la ragazza riconobbe subito la figura alta e possente del suo vecchio amico: "Dean, cosa ci fai qui?" lo salutò, alzandosi in punta di piedi e salutandolo con un bacio sulla guancia.
"Sono a casa per qualche settimana, e alcuni amici mi hanno invitato a questa festa." spiegò lui, con un largo sorriso sulla faccia: "Sono così felice di vederti."
"Anche io." rispose sinceramente Ellen, cercando di ignorare il ricciolo che si stava strusciando con ben due ragazze contemporaneamente a pochi metri da loro.
"Allora, ti vedi con qualcuno?" chiese Dean, ignorando gli spintoni della gente che andava e veniva.
"Dean-"
"Lo so, lo so." la interruppe lui, alzando la voce per riuscire a farsi sentire sopra alla musica assordante: "Solo amici."
Ellen sentì una morsa allo stomaco: sensi di colpa.
Dean aveva sempre avuto una cotta per lei, dai tempi dell'asilo, ma lei non l'aveva mai ricambiata.
L'unica volta che aveva considerato l'idea di andare oltre, aveva cominciato a vedersi con lui..
Scuotendo la testa per liberarsi dai quei pensieri, Ellen aprì la bocca per scusarsi con Dean, ma in quel momento incrociò lo sguardo dei ricciolo, ora seduto sul divano, con la stessa mora di prima sdraiata sopra di lui.
Il respiro di Ellen si bloccò per un secondo, e nonostante la velocità con cui si ricompose, l'attimo non sfuggì al ricciolo, che si aprì in quel suo sorrisetto tipico, che significava una cosa sola.
Ti ho in pugno.
La ragazza distolse lo sguardo e riprese a chiaccherare del più e del meno con Dean, che le raccontò del suo nuovo lavoro e della sua nuova vita nella grande città e della sua squadra dilettantisca di rugby che lo aiutava a rimanere in forma.
Quando il moro si allontanò per portarle qualcosa da bere, Ellen chiuse gli occhi per un secondo.
Perché non poteva semplicemente buttarsi fra le braccia di Dean?
La risposta arrivò quasi subito, quando Ellen sentì due grandi e possenti mani avvolgersi intorno alle sue braccia, e il suo cuore sprofondò. 
"Ma che brava.. Fai pubbliche relazioni?" le sussurrò nell'orecchio una voce che conosceva perfettamente.
La ragazza deglutì: "Sì beh.. Non sei l'unico che ha altri amici." replicò decisa, cercando di mantenere la calma.
La vibrazione della risata del ricciolo le provocò un brivido lungo la schiena: "Hai sessanta secondi per salire al piano di sopra di tua spontanea volontà, prima che ciò che ho in serbo per te peggiori incredibilmente."
Ellen conosceva quel tono.
Era il tono che non ammetteva repliche.
Dal momento in cui il loro rapporto malsano era cominciato, lei aveva messo tutto il potere nelle sue mani, e nonostante avesse provato a riprenderselo alcune volte, non ci era mai riuscita.
E forse non voleva riuscirci.
Non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma quel suo modo di darle ordini le piaceva, in un modo malato e che nemmeno lei riusciva a comprendere pienamente.
Voltandosi nella sua stretta, Ellen lo guardò bene in faccia per la prima volta quella sera: "Harry-"
"Tic tac." tagliò corto lui, prima di lasciarla andare e sparire nella folla.
Di nuovo sola in quella casa piena di gente, Ellen si passò una mano fra i capelli biondi, sentendo il suo respiro accelerare.
In un instante cominciò a farsi strada fra la gente con la forza delle sue braccia, incespicando verso le scale.
Sessanta secondi.
Sapeva che non stava scherzando.
Avvicinandosi lentamente alle scale, Ellen cominciò a contare i secondi affidandosi ai battiti della musica.
Ormai metà del tempo doveva essere passato.
Quando raggiunse il primo gradino, aveva già contato ventiquattro battiti. 
Al quarto gradino esitò.
Forse avrebbe dovuto arrivare tardi di proposito.
Forse non voleva nessuno sconto della pena.
Ma poi, il ricordo di una precendente punizione le fece muovere le gambe, e in un attimo raggiunse il piano superiore, dove lui la stava già aspettando appoggiato al muro.
Il volume della musica era molto più basso lì, anche se le vibrazioni dei bassi erano altrettanto forti. 
Ellen chiuse gli occhi, e si concentrò ancora una volta sul ritmo per calmare i battiti del suo cuore.
"Giusto in tempo." mormorò il ragazzo, il viso nascosto dal buio di quel corridoio.
Ci volle solo un istante però, perché il suo volto venisse illuminato dal riflesso della luna, e quando Ellen si concedette solo un istante per sbattere le palpebre, se lo ritrovò ad un centimetro dal naso.
Senza dire una parola, afferrò le sue spalle con le mani, e fece aderire la sua schiena contro il muro. 
"Era quello il bell'imbusto di cui mi hai parlato, allora." disse, intrappolandola fra la parete e le sue braccia.
"Non sono affari tuoi." ribatté lei, tentando di controllare il terrore nella sua voce.
La stretta delle enormi mani del ragazzo sulle sue spalle si fece più salda, e Ellen si morse il labbro: "Chi era quella c-che ti stavi baciando sotto al m-mio naso?" domandò, controllando in tutti i modi il tremore nel suo tono.
Il ragazzo appoggiò la lingua lungo al proprio palato, ed emise un suono di disapprovazione: "Tsk, Ellen. Pensavo fossi meglio di così. Sai che non devi fare domande."
Ellen sentì le lacrime cominciare a bruciarle gli occhi, ma le ricacciò indietro con uno sforzo immane: "Non sono il tuo giocattolo." riuscì a mormorare poi, nonostante la paura più terribile che si stava facendo strada nelle sue viscere.
L'unica risposta di Harry fu quella di aprirsi in un sorrisetto sinistro.
Malefico.
Sbatté entrambe le mani contro il muro, imprigionandola ancora di più fra la sua figura imponente e il muro dietro di lei.
Poi, con uno scatto, le sue labbra si posarono sul collo della bionda, con una forza tale che la sua testa colpì il muro.
Ellen sapeva che sarebbe stata punita se avesse fatto anche solo il minimo rumore, ma la botta fu secca, e senza volerlo lasciò che un gemito le uscisse dalle labbra.
Harry rimosse immediatamente la bocca dal suo collo, ma lei sapeva che ci sarebbe stato un grosso segno violaceo il giorno dopo.
"Conosci le regole." la ammonì lui, il tono basso e serio.
Ellen deglutì, prese un respiro profondo, e ripeté quelle parole ancora una volta, per poi desiderare di non averlo mai fatto: "Non sono il tuo giocattolo."
Harry emise un grido frustrato, e senza distogliere lo sguardo da i suoi occhi, le strappò via entrambi i collant con una sola mano. 
Il suo respiro era accelerato, e forse per via della poca luce, o forse perché quelle parole lo avevano infuriato, i suoi occhi le sembravano più scuri.
Il ricciolo fece scivolare entrambe le possenti mani lungo la sua schiena, per poi posarle sul suo fondoschiena.
Chiuse le dita sulle sue natiche, e di nuovo Ellen seppe che ci sarebbe stato un livido il giorno dopo.
Le sue labbra umide lasciarono una scia sul collo della bionda, e il suo respiro si fece affannoso.
Poi, la bocca di Harry si fermò accanto al sul orecchio: "Ti farò pentire di averle anche solo pensate quelle parole." mormorò, e il cuore di Ellen si fermò per un istante: "Ti farò urlare così forte che ti sentirà chiunque, e quando uscirai da questa casa domani mattina, tutti sapranno a chi appartieni. Ti poterò a limite e poi mi fermerò, perché non ti meriti assolutamente niente. Non stasera."
Quelle parole le provocarono diverse morse allo stomaco, e ancora una volta, nella parte più oscura e nascosta di sé stessa, Ellen ammise di averle adorate.
Dopo qualche secondo di silenzio, la bionda aprì la bocca per parlare, ma Harry la fermò con un gesto della mano: "Non dire una parola se sai cosa è meglio per te." la avvertì, e poi fece scorrere un dito in mezzo alle sue labbra.
Gli occhi di Ellen rotearono involontariamente verso l'alto, e lentamente passò la lingua su quel dito e poi su un altro, quando Harry lo aggiunse.
Con la stessa velocità con un le aveva inserite, il ragazzo tolse le dita dalla sua bocca, e lei spalancò gli occhi.
"Non guardarmi così." disse Harry, infilandole una mano fra i capelli e afferrandoli con forza.
"Tu fai quello che dico io." sussurrò in tono minaccioso. 
La forza della presa di Harry fece scattare la testa di Ellen all'indietro, e la ragazza dovette prendere qualche larga boccata d'aria.
Con l'altra mano, il ricciolo sbottonò velocemente qualche bottone della sua camicetta, facendone addirittura saltare uno.
Poi, senza nemmeno disturbarsi a slacciarlo, Harry scostò il suo reggiseno e passò la mano su uno dei suoi seni, per poi sostituirla con la bocca.
Ellen spalancò la bocca in un gemito silenzioso, ma questa volta si sforzò di non fare alcun rumore.
Harry continuò il suo percorso, passando all'altro seno e in quel momento la bionda sentì l'erezione del ragazzo spingere contro il suo bacino.
Il suo sguardo si sposto sull'evidente rigonfiamento nei pantaloni, e senza accorgersene si passò la lingua sulle labbra.
Il gesto non passò inosservato, e Harry tornò a fissarla con uno sguardo minaccioso: "Non pensarci nemmeno." sibilò, stringendo la presa sui suoi capelli, e facendo scendere una singola lacrima lungo la sua guancia: "Non pensare di potertela cavare così. Non ti perdonerò così facilmente."
"Ma io-"
"Stai zitta, cazzo, stai zitta." la interruppe, e Ellen annuì, mentre ormai le lacrime scendevano ininterrotte giù per il suo viso.
"Ti sei comportata male stasera." disse poi, girandola e facendo aderire il suo petto contro il muro.
"E sai cosa succede a quelle che si comportano male?" gli mormorò in un orecchio, passando la lingua sul suo lobo.
Ellen si concentrò nuovamente sul rimbombo della musica che veniva dal piano di sotto, e cercò disperatamente di non cominciare a singhiozzare.
"Puoi parlare, Ellen." 
"V-vengono punite." disse con voce tremante e avvertì il sorriso di Harry dietro di lei: "Allora sei in grado di mettere insieme un pensiero coerente. Cominciavo a pensare che fosse vero quello che si dice sulle bionde." sputò, prima di afferrarle entrambi i polsi e portarglieli dietro la schiena.
Con l'altra mano, guidò il busto di Ellen in avanti, fino a quando non appoggiò la sua guancia sinistra contro il muro.
"Sai quello che devi dire."
"T-ti prego." mormorò Ellen, prendendo dei respiri profondi.
"Che cosa? Non ti ho sentito." insistette lui, spingendola ancora di più contro la parete.
"Ti prego." ripeté lei a voce più alta, forte e chiaro.
"Ora sì che ragioniamo." replicò il ragazzo, e in un attimo Ellen sentì il rumore della sua cintura che si apriva, e dei suoi pantaloni che scendevano lungo le sue gambe.
Senza nemmeno disturbarsi a rimuovere la biancheria intima della ragazza, il ricciolo colpì con forza e velocità il fondoschiena di Ellen due volte, e poi entrò dentro di lei con una spinta secca, limitandosi a scostare lateralmente gli slip della ragazza con le dita.
Come ogni volta, il mondo di Ellen si fermò per qualche attimo e dovette attingere a tutte le sue forze per trattenersi dal fare alcun tipo di rumore.
La cosa però non sembrò andare a genio ad Harry: "Non osare." la ammonì col fiato corto: "Sai che voglio sentire."
Con il suo permesso, Ellen scaricò tutta la sua frustrazione e tutte le sensazioni che stava provando attraverso la sua voce.
"Non penso la musica r-riuscirà, o-oh cazzo, a coprirti del tutto." commentò lui, senza smettere di muoversi per un secondo.
Era come se stesse riversando tutta la sua rabbia nei confronti di Ellen in quei movimenti.
Lei sapeva che quei commenti, quelle frecciatine che sfociavano addirittura in veri e propri insulti avrebbero dovuto irritarla, avrebbero dovuto farla infuriare.
Avrebbe dovuto ribellarsi, avrebbe dovuto odiarlo.
Ma non era così.
Era quella la sua più grande vergogna.
Nonostante riconoscesse che il modo in cui la umiliava a letto, il modo in cui baciava altre ragazze sotto al suo naso, il modo in cui la riteneva solamente una proprietà fossero malsani, Ellen adorava ogni singolo particolare.
Adorava quel suo lato dominante, che li portava entrambi ai limiti quando si parlava di sesso.
E lei si fidava ciecamente di lui.
Sapeva che non le avrebbe mai fatto davvero del male né dentro né fuori dalla camera da letto.
O beh, in questo caso dal corridoio.
E nonostante la netta superiorità che gli concedeva ogni volta che stavano insieme, quando avevano i vestiti addosso, lontani dagli occhi di tutti, le cose erano diverse.
Scherzavano, ridevano, c'era un continuo dibattito intellettuale fra di loro.
Era stato così dalla loro prima lezione all'università insieme, quando si erano conosciuti.
Ellen si era innamorata di lui quasi immediatamente.
Del suo carattere, del suo carisma, della sua visione della vita.
Ma per lui non era altro che un'amica.
Forse nemmeno quello.
Sì, una proprietà, niente di più. 
Non ci volle molto perché Harry raggiungesse il punto di non ritorno, e proprio quando Ellen stava per seguirlo a ruota, il ragazzo mantenne la promessa e interruppe la loro connessione.
Caddero entrambi a terra per riprendere fiato, e solo in quel momento Ellen si permise di passare lo sguardo su quello che indossava quella sera.
Una maglietta nera con sopra una band che piaceva ad entrambi, ed un paio di jeans stretti.
Proprio come piaceva a lei.
Frustrata dalla punizione che le era stata inflitta, Ellen fu improvvisamente invasa dal desiderio di ricominciare tutto da capo, e stava per proporglielo quando lui si alzò e si rivestì velocemente.
"Spero che tu abbia imparato la lezione." le disse, lo sguardo serio.
Ellen fece segno di sì con la testa, ma era una bugia.
Lei viveva per quei momenti.
Quei momenti in cui la gelosia aveva la meglio su di lui, e anche se solo per qualche minuto, la sua facciata crollava e per qualche attimo lei si sentiva amata come nei sogni che la tormentavano ogni notte.
Sogni in cui lui la ricambiava incondizionatamente.
Sogni che sarebbero rimasti sogni.
"Voglio che resti qua stanotte."
Di nuovo quel tono.
Un ordine.
"Resterò." acconsentì lei, cercando di convincersi che si trattava di una sua scelta e non di un'imposizione, e lui annuì soddisfatto.
Ellen sapeva che era un errore, ma prima che potesse controllarsi, una domanda uscì involontariamente dalla sua bocca: "Perché non resti qui con me?"
Lui rise: "Ellen, Ellen.." la canzonò, chinandosi un'ultima volta verso di lei, e facendo scorrere le sue labbra lungo il collo della ragazza: "Non è così che funziona."
E in un attimo era sparito giù per le scale.

 
L'aveva notato subito, non appena era entrata in quell'enorme aula.
Indossava una camicia bianca, sbottonata all'altezza del collo, che lasciava intravedere giusto un po' della sua pelle e un paio di pantaloni neri.
Come le altre cinquanta ragazze presenti, lo aveva seguito con lo sguardo per tutta la durata della lezione, senza ascoltare una parola di quello che aveva detto il professore.
Quando l'ora terminò, il ricciolo venne subito circondato da una miriade di persone, anche di sesso maschile.
Ellen non si era presa il disturbo di unirsi alla calca, ed era uscita dall'aula a tutta velocità, ridendo tra sé al pensiero di quelle ragazze così disperate.
Proprio quanto stava per lasciare l'edificio, qualcuno le aveva dato un colpetto sulla spalla, facendola voltare di scatto.
"Hey." l'aveva salutata il ricciolo, sfoderando un sorriso mozzafiato.
"Hey."
"Mi chiamo Harry." si era presentato, ma Ellen era andata dritta al punto: "C'erano almeno quaranta ragazze che facevano la fila per parlarti, cosa ci fai qui?"
Lui aveva riso: "Sono venuto a parlare con te, perché sei l'unica che non si è fermata."
 
 
Ellen si alzò di scatto, spalancando gli occhi e scacciando via quel sogno.
Sembrava passato così tanto tempo.
Era come se il loro primo incontro appartenesse ad un'altra vita.
Cercando di non pensarci, la ragazza si vestì e scese le scale.
La casa era un disastro, e l'odore di alcol misto a fumo impregnava le pareti.
Trovò Harry in veranda, sdraiato sulla sedia a dondolo.
Quando la vide sulla soglia, smise di dondolare e la studiò attentamente, portandosi entrambe le mani dietro la testa.
"Elle ma belle." la salutò, aprendosi in quel sorriso pieno di significati.
Lei non disse nulla.
"Perché quella faccia?" le chiese, mettendosi a sedere: "Sei arrabbiata per ieri sera?"
Ellen si limitò ad annuire.
"Oh, andiamo, sai che di solito ti mando in orbita. Ieri era una situazione straordinaria." si scusò lui.
"Non usare quelle parole, mi metti in imbarazzo." disse la ragazza.
"Quali?" domandò Harry, fingendosi confuso.
Si alzò dal dondolo e si avvicinò a lei.
Ellen sentì il suo respiro sul proprio collo e rabbrividì.
"Non saprei come descriverlo se non con 'ti mando in orbita', sul serio." scherzò, e lei provò a spingerlo via.
Harry però fu più veloce e le afferrò entrambi i polsi con una mano: "Avanti, provaci di nuovo. Ti sfido."
Per un attimo, quella nebbia che si accumulava nella sua mente ogni volta che si rivolgeva a lei con quel tono, le fece venire voglia di dimenticare il discorso.
Ma si sentiva coraggiosa quella mattina, e sapeva che sarebbero passate settimane prima che fosse stata in grado di riaprire la questione.
"Sai benissimo che non sono arrabbiata per quello." disse a bassa voce.
Di nuovo lui si finse confuso: "E per cosa allora?"
Ellen prese un respiro profondo: "Non sono il tuo giocattolo, Harry."
Lui si irrigidì, e le sue narici si allargarono quasi impercettibilmente.
Ma Ellen conosceva quei segnali, sapeva che stava cercando di tenere a bada la sua rabbia.
"Fai quello che dico e dici quello che voglio, quindi non sono d'accordo." replicò secco, e lei sospirò.
Non avrebbe mai capito. 
"Non è nemmeno quello il punto." disse: "È che io devo sempre essere sull'attenti, mentre tu ti sbaciucchi una qualunque sotto al mio naso. Mi fai pagare caro il fatto di aver anche solo rivolto la parola ad un vecchio amico, mentre tu fai quello che vuoi quando vuoi."
Dire quelle cose ad alta voce era stata una liberazione, ma Ellen chiuse gli occhi, spaventata dalla possibile reazione del ragazzo.
Quando lui non aprì bocca, Ellen decise di battere il ferro finché era caldo: "Perché io non posso avere nessun altro, Harry?"
Lui la fissò per qualche istante, la bocca spalancata come se stesse per confessare qualcosa.
Poi tutto ad un tratto si riprese e distolse lo sguardo da lei.
"Perché sei mia, lo sai, non farmi ripetere le cose, è irritante."
"Perché mai dovrei accettare il fatto di essere tua se tu non sei mio?" riuscì a ribattere lei, raccogliendo tutto il suo coraggio.
Lui la guardò attentamente per qualche secondo, cercando una qualche traccia di ironia sul suo volto.
Quando non ne trovò nessuna scoppiò in una sonora risata: "Sei adorabile quando provi a tenermi testa." disse, premendo il suo corpo contro quello di lei, e alzando improvvisamente la temperatura di diversi gradi: "Mettiamo le cose in chiaro una volta per tutte." cominciò: "Sei mia, ma io non sarò mai tuo. Mai."
Fu come se qualcuno le avesse scaricato una secchiata di ghiaccio sulla testa.
Senza dire un'altra parola, Ellen si voltò e corse via, ignorando la voce di Harry dietro di lei.
Corse a perdifiato fino a casa, corse via da quella relazione che non le avrebbe portato altro che sofferenza, corse via da quell'amore maledetto.
Entrò nella sua stanza e tirò fuori una vecchia rubrica.
Compose il numero che cercava, pregando che fosse ancora attivo.
"Pronto?" rispose una voce confusa dall'altra parte del telefono.
"Dean? Sono io. Per quanto ancora ti fermi a casa dei tuoi genitori? Pensi potrei che partire con te quando torni in città?"
 
 
Cinque mesi dopo.
 
Wow.
Era l'unica parola che aveva nella testa in quel momento.
Aveva pensato a lei ininterrottamente per gli ultimi cinque mesi, ma la sua memoria non le rendeva giustizia.
Non rendeva giustizia ai suoi lunghi capelli biondi e ai suoi occhi azzurri, alle sue curve e al suo sorriso.
Wow.
In quel momento i loro sguardi si incrociarono dai lati opposti della sala, e lui si sentì arrossire.
Con che faccia avrebbe potuto rivolgerle la parola?
Non l'aveva chiamata nemmeno una volta.
Pensava si sarebbe fatta viva prima o poi, ma qualche tempo dopo una professoressa all'università aveva annunciato il suo trasferimento e lui si era sentito morire.
Non aveva fatto niente però.
Era troppo orgoglioso per qualsiasi gesto.
Troppo orgoglioso per ammettere che bastava il suo viso a renderlo completamente e assurdamente felice.
Troppo orgoglioso per ammettere che quei mesi senza di lei erano stati l'inferno.
Troppo orgoglioso per ammettere che nonostante amasse il suo tratto dominante, era pronto a rinunciarci per lei. Fuori dalla camera da letto, ovviamente.
Troppo orgoglioso per smettere di vedere altre ragazze e ammettere che voleva solo lei.
Troppo orgolioso per essere suo.
Il flusso dei suoi pensieri venne interrotto da Nina, la ragazza che aveva organizzato la festa quella sera: "Hey, Harry. Ti stai divertendo?" 
"Uh, sì, grazie Nina."
"C'è qualcuno che ti voglio presentare. La fidanzata di un mio amico." annunciò, prendendolo per mano e trascinandolo attraverso la stanza, fino a raggiungere Ellen.
Harry si sentì sprofondare.
"Ellen, questo è Harry. Vi state laureando nella stessa materia, pensavo avreste avuto qualcosa di cui parlare." spiegò: "Harry, questa è Ellen, la ragazza del mio amico Dean."
Che cosa? 
"Oh, noi due ci conosciamo." disse Ellen senza distogliere lo sguardo da Harry.
"Davvero?" domandò Nina incuriosita: "E come?"
"È una lunga storia." risposero entrambi nello stesso momento.
"Oh. D'accordo allora. Vi lascio soli." gli comunicò, sentendosi evidentemente a disagio.
"Harry." lo salutò lei una volta soli.
"Ellen. Quanto tempo."
"Già." rispose lei.
Calò un silenzio imbarazzante, e dopo qualche secondo Ellen batté le mani: "Beh, è stato bello rivederti." 
Fece per andarsene, ma Harry fu più veloce e le bloccò la strada: "Sul serio, El? Non hai nient'altro da dirmi?"
"No." replicò secca lei. 
"Vuoi un indizio? Che ne dici di spiegarmi perché sei sparita nel nulla?" domandò, liberandosi da quella domanda che lo aveva tormentato per mesi.
Ellen sospirò: "Sai benissimo perché, Harry. Volevo guardare film con te sotto le coperte mentre fuori pioveva. Volevo poterti baciare davanti a tutti e far sapere al mondo che eri solo mio. Volevo il sesso strepitoso, ma volevo fosse esclusivo. Volevo la-"
"La favola." concluse lui per lei.
"Esattamente." confermò lei: "E poi, non mi sembra che tu mi abbia cercata in questi mesi, mi sbaglio?"
Prima che lui potesse dire qualcosa, qualcuno portò una mano attorno alla vita di Ellen.
"Allora, vuoi presentarmi?"
Lei si voltò a guardare l'enorme ragazzo accanto a lei e sorrise: "Certo. Dean, questo è Harry. Harry, ti presento Dean, il mio ragazzo."
Solo allora Harry lo riconobbe. 
Il ragazzo con cui stava parlando alla festa.
Fu pervaso dal desiderio impellente di colpirlo, ma riuscì a mantenere il controllo.
Era tutto così surreale, era tutto così umiliante e Harry dovette trattenersi dal gridare.
Dopo le dovute presentazioni, Harry domandò loro per quanto tempo sarebbero rimasti in città.
"Solo per una settimana, siamo venuti a visitare i nostri genitori." rispose Dean prima che Ellen potesse aprire bocca.
Ma Harry non lo degnò di uno sguardo.
Continuò imperterrito a fissare Ellen dritto negli occhi.
"Ora scusaci ma dobbiamo andare." si congedò Dean, prendendo la ragazza per mano e trascinandola via, senza lasciargli nemmeno il tempo di salutarsi.
Per tutto il resto della serata, Harry non staccò lo sguardo dalla bionda nemmeno per un attimo e nonostante si fosse ripromesso di non farlo, quando i due lasciarono la festa, Harry li seguì furtivamente fino a casa di lei.
Aveva afferrato qualche lattina di birra prima di uscire e ora, seduto sul marciapiede di fronte a casa di Ellen, cominciò a sorseggiare la prima.
Dopo qualche minuto vide la luce della camera da letto di Ellen accendersi.
E l'avessero visto?
In fondo era illuminato dalla luce del lampione.
Dopo qualche istante di riflessione, Harry giunse alla conclusione che non gli importava.
Posò gli occhi sulla stanza della ragazza, e rimase in contemplazione per ore.
Le dieci.
Le undici.
Mezzanotte.
L'una.
Le due.
Le luci non si erano ancora spente e lui aveva perso il conto delle lattine di birra che si era scolato.
Non riusciva a smettere di pensare a tutti i modi in cui quel tizio si era probabilmente sbattuto Ellen nelle ultime cinque ore, negli ultimi cinque mesi.
L'idea gli faceva venire voglia di vomitare.
Pensava a tutte le volte che avevano sperimentato qualcosa di nuovo e si chiedeva se lei avesse applicato quelle conoscenze quando era con lui.
Ognuno di quei pensieri lo portava inevitabilmente ad aprire un'altra lattina.
Una sola parola continuava a risuonare nella sua testa.
Mia.
Che enorme bugia.
Non lo era mai stata veramente.
Come poteva pretendere che lo fosse, se lui non aveva mai avuto le palle di essere suo?
Non sono il tuo giocattolo, Harry.
Quelle parole lo investirono come un camion, e il petto cominciò a fargli male ad ondate.
Quando pensava che fosse passata, ricominciava, ed era ancora più doloroso di prima.
La luce non si era ancora spenta, e alle tre Harry si alzò barcollando.
Camminò fino a casa, reggendosi al muro e inciampando numerose volte.
Una volta solo in camera sua, si slacciò i pantaloni con un gesto esperto e veloce, e troppo esausto anche solo per arrivare al letto si accasciò a terra, appoggiando la testa al muro.
Mentre l'alcol faceva effetto su di lui, Harry chiuse gli occhi e pensò alla prima volta che lui e Ellen erano stati insieme, pensò alla morbidezza della sua pelle e ai dolci rumori che era solita fare.
Lasciò che la sua mano passasse sotto l'elastico dei suoi boxer, mentre i ricordi gli riempivano la mente.
"Ellen.." fu l'unica parola che uscì dalla sua bocca, prima che giungesse al termine, sentendosi patetico come non mai. 
 
 
Din-don.
"Ciao. Harry, giusto?"
"Giusto. C'è Ellen?"
"È uscita a prendere le pizze."
"Oh. La posso aspettare?"
Dean esitò.
Non era stata una buona idea presentarsi alla porta di Ellen.
Non lo era stata affatto.
Ma dopo due giorni di tortura, Harry aveva ceduto.
Doveva parlarle.
Non sapeva bene di cosa, in effetti.
Non era pronto a scoprire le sue carte, non era pronto a mettere da parte l'orgoglio.
Ma la voleva indietro, la voleva indietro a tutti i costi.
"Cosa ne dici se aspetto fuori con te, invece?" rispose Dean in quel momento, chiudendosi la porta alle spalle. 
Harry scosse la testa incredulo e forse anche un po' offeso, e si appoggiarono entrambi allo steccato, fissando le nuvole nel cielo.
"Fa freddino oggi, non è vero?"
Harry fece un suono di assenso.
Rimasero in silenzio per quelle che sembrarono ore, e poi Dean parlò: "Ellen mi ha parlato di te, di voi."
Harry lo guardò, schermandosi dal pallido sole inglese con una mano: "E cosa ti ha detto esattamente?"
"Niente di che, è stata molto concisa: lei ti amava, tu no. Fine della storia."
Ancora una volta Harry scosse la testa.
Era molto più complicato di così.
Ma come avrebbe potuto questo tizio capire? 
Come avrebbe potuto Ellen capire come funzionava la sua mente tormentata?
"Cosa ci fai qui?" gli chiese poi Dean.
"Voglio solo parlarle." lo rassicurò Harry: "Dei bei vecchi tempi, sai com'è."
Un'altra pausa infinita, e poi Dean ridacchiò.
"Cosa c'è di divertente?" chiese Harry incuriosito.
"Sai quando arriva il momento, e capisci benissimo di cosa sto parlando, e Ellen fa quel suono.. Un misto tra un gemito e un sospiro, la cosa più eccitante che io abbia mai sentito. Te lo ricordi?"
A Harry mancò il fiato: "Che cosa cazzo stai dicendo?"
"E poi quando ti guarda con quegli occhioni enormi, come se fossi la cosa migliore che le è mai capitata. Ma forse non ti ha mai guardato così, non è vero?"
Harry sentì ogni parte del suo corpo cominciare a tremare: "Smettila." lo avvertì sottovoce.
"Ha mai gridato il tuo nome, ti ha mai sussurrato quanto ti amava, sdraiata sotto di te, donandosi completamente?"
Le mani di Harry cominciarono a prudere: "Tu sei malato."
"Non l'hai mai avuta veramente, non come l'ho avuta io."
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Colpì Dean dritto in faccia, ma nell'istante in cui lo fece capì di aver fatto più male a sé stesso che al suo avversario.
"Non avresti dovuto farlo." esclamò furente il ragazzo, rispondendo al colpo con il doppio della forza, sbalzandolo a terra.
La guancia di Harry si scontrò contro l'asfalto con forza, ma prima che Dean potesse fargli altro, Ellen spuntò come dal nulla e si mise fra i due.
"Harry!" gridò, chinandosi accanto a lui: "Che cosa gli hai fatto?" domandò rivolta a Dean.
"Ha cominciato lui!" si scusò il ragazzo, pulendo via una goccia di sangue dal proprio naso. 
"St-stronzo." riuscì a mormorare Harry.
"Che cosa hai detto?" sibilò Dean, ma Ellen si alzò e lo spinse via.
"Smettila, Dean." gli intimò, per poi aiutare Harry a rialzarsi.
"Vieni, andiamo."
"Dove lo stai portando?" chiese Dean, irritazione enlla sua voce.
"A casa sua, dove se no? Lo hai steso."
Dean aprì la bocca per protestare, ma la bionda gli lanciò un'occhiata che non ammetteva repliche.
I due si incamminarono lungo la strada, e quando furono abbastanza distanti da Dean, Harry la ringraziò per il salvataggio.
"Non ti preoccupare." disse secca lei: "Non voglio nemmeno pensare a cosa vi siete detti."
"Fidati, non lo vuoi sapere."
Non dissero altro per il resto del tragitto.
Arrivarono a casa di Harry in meno di dieci minuti.
Ellen lo aiutò a sedersi sul divano e poi gli cacciò una borsa di ghiaccio sulla faccia.
"Che cosa ci facevi a casa mia?" gli chiese dopo qualche minuto.
"Volevo parlarti." ammise Harry.
"Di cosa?"
"Di noi." rispose semplicemente lui.
"Harry-"
"No, stammi a sentire. Quel tizio è un'idiota. Mi avevi parlato di lui, nemmeno ti piace."
"Te lo sei ricordato?" osservò lei stupita.
"Mi ricordo tutto quello che mi hai detto." disse il ragazzo in un momento di sincerità più assoluta.
Si guardarono in silenzio, e Harry pensò a quanto dannatamente gli fosse mancata.
"Lui sa che il tuo film preferito è Quel Pazzo Venerdì, ma non lo dici mai a nessuno perché non è una risposta abbastanza intellettuale?"
"Harry-"
Lui la ignorò: "Sa che basta mezza birra per farti ubriacare?" insistette: "Sa che devi sempre avere il controllo del volume della TV su un numero pari?"
Improvvisamente, Ellen si alzò dalla poltrona dove si era seduta e senza fiatare tirò giù la zip laterale del suo vestito, scivolandone fuori con un gesto aggraziato.
Harry sentì un verso involontario uscirgli dalla bocca: "Ellen.."
Ma lei non rispose.
Rimosse i fermagli che le tenevano i capelli, e scosse la testa per farli ricadere lungo le sue spalle.
Harry sbatté le palpebre un paio di volte, chiedendosi se fosse un sogno.
Era come se il sangue avesse cominciato a pizzicargli nelle vene, e senza accorgersene cominciò a stringere le mani in due forti pugni. 
"Avevi ragione, sai." disse poi lei, rimasta soltanto in biancheria intima: "Sarò sempre tua."
Il ragazzo sentì un sentimento di trionfo invadergli il petto, ma lo nascose con la sua solita facciata arrogante: "Ora sì che ragioniamo." disse, la frase che era solito dire quando si trovava con lei.
Si alzò di scatto e avvolse le braccia intorno ai fianchi di Ellen, uno sguardo compiaciuto sul volto.
"A una condizione." disse però lei, spingendolo via con i palmi delle mani: "Ammetti di essere mio."
Oh, no.
Non questo.
"C-che cosa?" domandò per prendere tempo.
"Mi hai sentito." replicò lei: "L'ultima volta che ci siamo visti prima che io partissi mi hai detto che non saresti mai stato mio. È quella la ragione per cui me ne sono andata. Dimmi che mentivi."
Harry avrebbe voluto farlo con tutto il suo cuore.
Ripensò a tutte le volte che era rimasto sveglio la notte cercando il coraggio di chiamarla e di confessare ciò che provava veramente.
Ma c'era qualcosa che non andava in lui.
Non poteva, non ci riusciva.
Non era in grado di abbassare la guardia, non fino a quel punto.
Ellen lo stava guardando fisso, gli occhi pieni di aspettative, e il suo cuore si spezzò.
"Io-"
La ragazza si aprì in un sorriso triste, e si chinò a raccogliere il suo vestito dal pavimento.
Si rivestì in silenzio, e prima di uscire dalla porta si voltò ancora una volta: "Tra me e Dean non ci sarà certo la passione che c'è fra di noi, Harry, ma almeno lui non mi ha mai trattata come se fossi il suo giocattolo."

 
Era una bellissima giornata.
La migliore che avesse visto da anni.
L'ironia di certe cose non avrebbe mai smesso di stupirlo.
Tutti quanti si alzarono, e un centinaio di teste si voltarono verso l'entrata della chiesa.
Harry poté giurare di aver sentito il suo cuore fermarsi per un attimo.
Era perfetta.
La guardò camminare lentamente lungo la navata, osservando attentamente i dettagli del suo vestito e la lunghezza del suo strascico.
Non osò posare lo sguardo sul suo viso però, nemmeno per un secondo.
La ragazza raggiunse l'altare, dove ad aspettarla c'era la persona sbagliata.
Avrebbe davvero lasciato che succedesse? 
Era così arrabbiato con sé stesso, così amareggiato.
Avrebbe potuto odiarsi più di così?
Perché non poteva semplicemente alzarsi e urlare quello che lei voleva sentirsi dire, perché non poteva dire la verità? 
Ellen pronunciò il suo giuramento guardando Dean dritto negli occhi, ma all'ultimo secondo il suo sguardo si spostò fra la folla, fino a trovare lui.
"Lo voglio."
Quelle parole arrivarono troppo in fretta, e la testa di Harry cominciò a girare.
La chiesa scoppiò in un applauso, e senza sapere bene come lui si ritrovò fuori, appoggiato ad un albero a prendere fiato.
Era successo davvero.
Aveva lasciato che accadesse.
La cravatta si fece soffocante, e Harry quasi la strappò via.
In quel momento Ellen scese i gradini della chiesa col suo nuovo marito, raggiante e palesemente felice.
Accadde proprio in quell'istante: Harry avanzò a grandi passi verso di lei, facendosi strada nella folla di amici e parenti.
La prese saldamente per mano, e poi con un gesto svelto la prese in braccio.
"Harry!" esclamò lei incredula: "Harry, mettimi giù!" protestò, scalciando e riempendolo di pugni.
Lui la ignorò e si allontanò a tutta fretta dall'ammasso di persone.
Quando realizzò di essere arrivato abbastanza lontano la fece scendere.
"Cosa diavolo-" cominciò lei, ma lui la interruppe premendo le sue labbra contro quelle di lei.
La baciò con forza, con intensità, mettendoci tutte quelle parole non dette.
Dopo qualche istante, Ellen rispose al bacio, infilando una mano fra i suoi capelli ricci, e aggrappandosi a lui con tutte le sue forze.
"Sono tuo. Lo sono sempre stato e lo sarò sempre." ammise il ragazzo tutto d'un fiato quando si staccarono.
Era fatta.
Ci era riuscito.
Non era mai stato più fiero di sé stesso in vita sua.
Ellen lo guardò in silenzio, il respiro accelerato, uno sguardo malinconico sul viso.
"Oh, Harry.." disse, passandogli il dorso della mano sulla guancia.
"Hai avuto così tanto tempo. Così tanto." mormorò tristemente.
"Lo so, mi dispiace, ma ora te l'ho detto e possiam-"
Lei lo zittì posandogli un dito sulle labbra: "È troppo tardi, amore mio."
Harry sentì la terra sotto di lui cominciare a tremare: "N-no, io-"
"Se solo ti fossi alzato in chiesa e mi avessi fermato." proseguì lei, mentre una singola lacrima le rigava il viso.
"Ellen, ti prego."
La bionda scosse la testa e si alzò in punta di piedi, posando un piccolo bacio sulla sua guancia, e poi uno sulle sue labbra.
"Devo andare. Mio marito mi sta aspettando."
Sollevò lo strascico del suo vestito con le mani e si incamminò.
"El?" la chiamò Harry quando stava per scomparire dalla sua vista.
Lei si voltò.
"Sei bellissima."
La ragazza si limitò a sorridere, e a mimare "ti amo" con le labbra.
Harry la guardò sparire tra gli alberi dove si erano nascosti, e con lei, sparì anche quella sensazione di felicità assoluta che aveva provato qualche istante prima.
Si sentiva vuoto, come se stesse fluttuando nell'aria.
Era come se nulla fosse vero, come vivere in un sogno.
Forse era questo il suo destino.
La felicità non è per tutti, e forse non era scritto che lui potesse ottenerla.
Perché altrimenti, avrebbe trovato il coraggio di dire ciò che aveva sempre voluto dire solo dopo averla persa per sempre?
Sì, il lieto fine non era per lui.
E avrebbe dovuto imparare a convivere con quella consapevolezza.
Guardandosi intorno, il ragazzo trovò un rametto appuntito, lo raccolse, e con quello incise quelle parole sul tronco di un albero.
Quelle parole che lo avrebbero tormentato per il resto dei suoi giorni.
Tuo.
Da sempre.
Per sempre.
  
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