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Autore: _joy    28/05/2012    3 recensioni
 E nemmeno la felicità di vederlo così felice, di saperlo così vicino
mi prepara alla gioia, all’incredulità, alla meraviglia
che le tre parole che seguono riescono a suscitare in me:
«Gin, ti amo»
 
Gin/Ben 
[Serie "Forever" - Capitolo II]
 
 
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forever'
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Che meravigliosa giornata.
 
C’è il sole e un cielo terso incredibile. Mi mette di buonumore. Non mi infastidiscono neppure le voci, le grida e le corse frenetiche delle persone, qui all’aeroporto di Malpensa.
Sono appoggiata a una colonna e mi guardo attorno felice.

Oggi torna Ben. Non ci vediamo da dieci giorni e mi manca da morire.

Abbiamo passato due settimane stupende insieme a Milano, ma lui non poteva rimandare ancora un rientro a Londra: aveva degli impegni importanti e il suo agente stava entrando chiaramente in panico, visto che lo chiamava ogni giorno e ogni giorno Ben rispondeva “ok, ne parliamo domani”.
E anche io sono stata a casa: Ben voleva portarmi con lui, me lo ha chiesto più volte, ma io ho deciso di ritagliarmi questo momento. Per vedere la mia famiglia, i miei amici, prima di partire per Londra e stabilirmi lì. Per qualche mese, al momento.
Ma, per dirla con le parole di Ben: per qualche mese e poi….vediamo.
Vediamo come va tra noi, se mi piace la città, il lavoro…
E se fosse così? Se stessi davvero per lasciare l’Italia…per sempre? Un po’ questo pensiero mi fa paura: casa mia, le persone che conosco…
Ovviamente, Londra non è dall’altra parte del mondo, ma è anche vero che Ben a Londra ci sta pochissimo. Non che a me dispiaccia viaggiare, ma un conto è viaggiare e un conto è schizzare in giro per il mondo come fa lui. E non parlo delle promozioni dei film, al momento. È che fa proprio la spola tra America ed Europa.
Io non posso stargli addosso e non voglio nemmeno farlo. È il suo lavoro e mi sembra già abbastanza stressante, senza che io ci aggiunga dei carichi extra.

Vediamo. Vediamo-vediamo-vediamo: niente panico. Ormai è il mio mantra.

Ma il panico mi passa, quando penso a lui. Non vedo l’ora di abbracciarlo. Stanotte non ho dormito al pensiero. Ci siamo sentiti ogni giorno che abbiamo passato lontani e Ben mi ha persino inviato qualche mms dal suo iPhone, con foto di lui e suo fratello che mi facevano ciao-ciao da casa loro.

Sono così felice che mi fa quasi paura. Mi sono innamorata di lui, credo.

Sarà lo stesso per lui?
Per tornare con i piedi per terra, ripenso alla reazione non proprio felice della mia famiglia alla notizia che ho accettato un lavoro all’estero, nella produzione di un film. Non ho detto loro di Ben, ma solo che ho avuto una proposta di lavoro e che ne ero molto felice.
Mio padre ha strabuzzato gli occhi e poi è rimasto in silenzio, il che non è mai buon segno. Mia madre ha sollevato mille obiezioni futili (tipo: lo sanno tutti che quello del cinema è un brutto ambiente. I set cinematografici sono posti pericolosi. Gli attori sono persone poco raccomandabili. Gli elefanti che volano non esistono….povera me!), segno che l’ho completamente spiazzata. Poi hanno spulciato il mio contratto alla ricerca del pur minimo cavillo, senza trovare nulla. Quindi, papà si è trincerato nel suo studio lasciando che le cose seguissero il loro corso. Traduzione: doveva pensarci mamma.
E il bello, con mia mamma, è che, mentre io sproloquiavo sull’importanza di fare nuove esperienze di lavoro, per di più all’estero, lei all’improvviso mi ha chiesto:
«Lui chi è?»
«Lui chi?» (mia mamma fa l’avvocato, ma avrebbe tranquillamente potuto fare la veggente)
«Il lui che vuole portarti a Londra»
«Ho deciso io di andare a Londra, mamma» (il che è vero. Certo, diciamo che la presenza di Ben ha fatto pendere la bilancia verso quella direzione. Ok, ok, ammettiamolo: ci vado per lui)
Mia mamma ha sospirato.
«Ma che lavoro fa? Quanti anni ha?»
«Mamma! Insomma!»
«Gin, dai. Pensi che sia scema? Dal niente ti licenzi e decidi di andartene a Londra?»
«Non c’entra niente con il fatto che mi sono licenziata. L’ho fatto perché non ne potevo più. Davvero.»
«Ah. Quindi vedi che c’entra con Londra?»
Ecco la fregatura di essere figlia di due avvocati.
Ma tanto, ho imparato a sopravvivere.
«E chi l’ha detto? Io no di certo»
Sorrido con la mia migliore espressione angelica. Mia madre stringe gli occhi.
«Se non me lo dici, significa che sai che disapproverei»
«Senti, mamma, facciamo così: c’è un lui, ma non stiamo scappando a Londra. Io vado per lavoro, davvero. Sono due cose ben diverse: io non lavoro per lui, né con lui»
Il che è solo una mezza bugia: tecnicamente, lavoro con e per Livia Firth.
È solo che questa cosa è troppo preziosa per condividerla, ancora. Voglio che sia solo mia. Voglio che siamo solo io e lui, senza pressioni.
Per tacere il fatto che ai miei verrebbe un colpo.
Nemmeno i miei amici l’hanno presa troppo bene. I più stretti, almeno. Il mio migliore amico, cui ho accennato qualcosa, non mi parla da due giorni, dopo aver commentato che secondo lui sono pazza.
 
Me ne preoccuperò più tardi, perché hanno annunciato l’aereo di Ben. Finalmente. Schizzo all’uscita passeggeri e sgomito per mettermi il più avanti possibile. Uffa, ma quanto ci mettono a farli sbarcare?
È un’agonia.
Ma quando finalmente lui compare, sento che ogni secondo di attesa è stato ben speso.

È bellissimo.

Ha i jeans scuri, una t-shirt grigia, la giacca di pelle e gli occhiali da sole. In mano una sacca da viaggio di pelle. Come farà a viaggiare così leggero, lo sa solo lui.
Vedo che guarda verso la folla in attesa e mi vede subito. Mi sorride e il mio cuore si scioglie. Gli corro incontro e mi lancio addosso a lui con tanto impeto che gli faccio cadere di mano il borsone e lo costringo a retrocedere di un passo.
Lo stringo fortissimo e lui ride.
«Ciao, piccola. Ahi, mi fai male»
Ma io non lo lascio e, mentre respiro il suo odore, sento le sue braccia attorno a me e le sue mani sulla schiena. E un bacio sui capelli.
«Gin, se mi lasci respirare io vorrei darti un bacio, grazie»
Mi scosto appena e lui si china subito. Ci baciamo intralciando le altre persone e nemmeno ce ne accorgiamo. Come se fossimo stati lontani per anni, Ben mi affonda le mani nei capelli e io mi aggrappo alle sue spalle. Restiamo avvinghiati per quello che mi sembra un attimo, finché una guardia si avvicina e ci invita a spostarci. Abbiamo entrambi il fiato corto.
Ben raccoglie il borsone e mi prende per mano. Mi porta al bar e ci sediamo a un tavolo. Ordiniamo due caffè e li lasciamo raffreddare sul tavolo, mentre ci baciamo ancora e ancora.
Gli sfilo gli occhiali da sole e lui mi dà un bacio sulla punta del naso. Lo fa sempre e mi fa impazzire. Sorrido e sospiro mentre lui mi accarezza la guancia e poi il collo.
«Allora, ti sono mancato?» mi chiede, le labbra sulle mie.
«No, per niente» rispondo io, prima di schiudere le labbra sotto le sue. Sento la sua lingua accarezzare dolcemente la mia e mi abbandono tra le sue braccia.
Ma lui si stacca dopo poco.
«Allora, se è così…»
Io sorrido e passo una mano dietro il suo collo. Inizio ad accarezzargli piano la nuca e lui sospira.
«Dicevi, scusa?»
«Mmmmm» mugugna lui, chiudendo gli occhi quando infilo la mano tra i suoi capelli.
Quant’è dolce. Gli bacio le labbra e poi scendo fino al collo.
Lui mi nasconde il viso nella mia spalla e mi stringe; le sue mani risalgono le mie braccia, stringono la mia giacca di pelle e poi scivolano al di sotto.
Quando fa così, penso che potrebbe tranquillamente venirmi un infarto.
Come se mi leggesse nella mente, lui mi prende una mano e se la poggia sul petto.
«Mi fai uno strano effetto» mi sussurra.
Io ci appoggio anche la guancia e, mentre lui mi accarezza i capelli, sento il suo cuore che batte fortissimo. Come il mio.
«Io ti sono mancata, quindi»
«Da cosa lo deduci? Dalle mie cento telefonate in dieci giorni o dal fatto che mi sta scoppiando il cuore?»
«Esagerato. Metà delle telefonate, almeno, erano mie» gli sorrido «Comunque, non vorrei farti morire qui. Quindi fai un bel respiro e stai tranquillo, che siamo insieme»
«Già, siamo insieme» sussurra Ben, poi lo sento respirare davvero come se gli mancasse l’aria, mentre con le mani stringe la mia camicia, e risale fino al seno.
Io sgrano gli occhi e cambio posizione, abbracciandolo in modo che gli altri clienti del bar non lo vedano.
Sento le sue labbra tra i miei capelli, vicino all’orecchio, mentre mi sussurra:
«Possiamo andare a casa?»
Annuisco e ci alziamo. Ci avviamo all’uscita abbracciati e non riesco ad allontanarmi da lui nemmeno quando carica il borsone nel bagagliaio della mia fida 500 nera, Carolina.
Lui mi apre la portiera, ma prima di sedermi gli butto le braccia al collo.
«Mi sei mancato tanto» gli dico.
«Anche tu» mi stringe e mi culla.
«Non vedevo l’ora che fosse oggi. A casa non mi passava un giorno»
«Nemmeno a me. Il mio agente era abbastanza seccato. I tuoi sono ancora arrabbiati?»
«Un po’. Pazienza»
Lui sorride.
«Sei tremenda»
«Solo se si tratta di te»
«Allora va bene. Dai, andiamo a casa così stiamo un po’ da soli. Dimmi che i piccioncini non ci sono»
«Ci sono, ma ho proibito loro di tornare fino a oggi pomeriggio»
«Quando fai il tiranno ti adoro, lo sai?»

In macchina, io guido e lui mi racconta dei copioni che gli ha sottoposto il suo agente e delle cose che ha fatto. Io gli parlo dei miei e dei miei amici. In realtà, ci siamo già detti tutto per telefono, ma raccontarsi le cose guardandosi negli occhi ha tutto un altro sapore.
Anche se io farei meglio a guardare la strada.
«Gin, guarda davanti» mi dice infatti Ben, poco dopo.
«Guarda, mio caro, che io sono una donna e le donne sono celebri per la loro capacità di fare più cose contemporaneamente»
«Non mentre guidi!»
«Anche mentre guido, invece. Lo sai che ci sono donne che si truccano, mentre guidano?»
«Non tu, spero»
«No, però io posso guidare e guardarti»
«Cosa ne dici di guidare e parlare e basta, così arriviamo vivi? Quando saremo a casa, potrai guardarmi quanto vuoi»
Mi sembra ragionevole. Anzi, al pensiero, accelero.

Appena entrati a casa di Tommaso (che è rimasta la nostra base milanese, povero lui), non faccio in tempo a chiedere a Ben se ha fame e vuole qualcosa da mangiare che lui butta per terra la sacca, mi abbraccia e mi trascina sul divano.
Cadiamo avvinghiati e iniziamo a baciarci mentre Ben mi fa stendere e si sdraia sopra di me. E nel giro di cinque secondi perdo la lucidità. Ci stringiamo e ci accarezziamo e ci baciamo con tanta foga che, ad un certo momento, Ben si inarca all’indietro e cadiamo giù dal divano.
E non smettiamo comunque di baciarci, anche se a entrambi viene da ridere.
Ben si ferma un attimo per prendere fiato e mi sposta i capelli sulla spalla, per scoprirmi il collo.
«Tutto ok?»
«A parte il volo dal divano?» sorrido io. E poi gli sfilo la giacca di pelle, che ha ancora addosso «Mai stata meglio»
Anche lui mi sfila la giacca e io mi contorco per non farlo alzare. Poi esita e mi guarda.
«Mi impongo di andare con calma, ma tu me lo rendi difficile»
Io sorrido.
«Bene»
Ben fa una smorfia buffa.
«Come bene? Io sto cercando di fare il bravo…»
E poi le sue mani slacciano il primo bottone della mia camicetta. Io trattengo il fiato.
«È solo che sei così bella…»
Secondo bottone.
«E così dolce…»
Esita, con la mano sul terzo.
«Sai, mi sei mancata davvero, Gin»
Io ho la gola chiusa dall’emozione e per un attimo non riesco a parlare. Poi alzo la mano a fargli una carezza sul viso e lui mi bacia il palmo.
Ecco, quando fa così, io muoio.
«Anche tu mi sei mancato. Tantissimo. Davvero»
«Ci conosciamo da così poco tempo e tu sei già così…» non finisce la frase.
«Fa quasi paura, vero?» gli chiedo.
Lui annuisce.
«In senso buono però»
«Certo» sorride e mi bacia il collo. E la sua bocca scende verso il mio seno.
Sospiro e butto indietro la testa. Faccio correre le mani sulla sua schiena e poi, improvvisamente, gli sollevo la maglietta e gliela sfilo.
Inverto le nostre posizioni e gli rotolo sopra. Lo guardo e non posso trattenere un sorriso.
«Cosa c’è?»
«Niente. Solo che sei bellissimo. Ma non è un complimento molto virile»
«In effetti no. Però, se me lo dici tu…»
«Solo stavolta, così non ti monti la testa»
Lui sorride e mi tira verso di lui. Faccio scorrere le mani sul suo petto e poi giù verso il ventre e lui ansima e finisce di slacciarmi la camicia.
Mi sollevo un attimo mentre me la sfila delicatamente di dosso e ci guardiamo.
E io, stupidamente, arrossisco. Sono quasi imbarazzata a farmi vedere da lui senza vestiti. Ma lui rotola di nuovo sopra di me e mi bacia piano la fronte, le guance, il collo. Quasi è una tortura.
«Sei nervosa?»
«Emozionata. Molto. Tu?»
«Emozionato. Molto anche io»
Sembra perfettamente a suo agio, mentre mi accarezza e mi bacia, ma sento che vuole fare le cose con calma, per me.
«Sei così bella…»
Io arrossisco anche di più e mi manca il fiato per un attimo. Non mi sono mai sentita “bella”. E il fatto che me lo dica lui, con il suo sorriso, mentre mi guarda con quegli occhi scuri che adoro, mi fa sentire insieme fragile e potente e felice come mai mi è successo prima.
«Sembri incredula» mi sorride, accarezzandomi lo zigomo con il pollice.
«Un po’ lo sono»
«Perchè?» mi sussurra, mentre la sua bocca scende sul mio collo.
Affondo le mani tra i suoi capelli e lo stringo ancora più forte. Poi mi ricordo che devo rispondergli.
«Non lo so. Non mi sento molto io, ecco»
«Cosa?»
«Questa ragazza che dici di vedere tu. Questa Ginevra bella, forte…»
«Ma tu sei così»
«Ehm…»
Si ferma, perplesso.
«Non te lo direi, se non lo pensassi davvero Gin»
«Lo so. È solo che, non so… io non mi vedo così»
«Ma perchè?»
«Perché…perché…insomma, è un discorso lungo. Non stavamo facendo altro?»
Non mi sembra il caso di rovinare l’atmosfera del momento a suon di paranoie. Inverto di nuovo le nostre posizioni.
«Per esempio…» dico, e gli bacio il petto. Poi traccio una scia di piccoli baci fino al suo addome e lui geme e affonda le mani nella mia schiena.
Alzo la testa e i nostri occhi si incrociano. E i suoi sono più scuri che mai. Ha le guance arrossate e le labbra socchiuse e ansima piano. E vederlo così, vedere come mi guarda, mi dà una sensazione di forza che è davvero nuova per me.
«Sei stupenda» mi dice, risoluto «Cosa ho sbagliato?»
«Niente! Perché?»
«Sono io che non ti faccio sentire sicura?»
«No, sono io che sono stupida»
Lo bacio.
«Non sei tu, davvero. Io con te mi sento bene, come non mai»
Lui mi stringe.
«Ben…»
«Sì?»
«Non ti facevo così insicuro…» lo prendo in giro.
Lui fa un mezzo sorrisino, ma sembra quasi triste.
«Ti sbagliavi»
E all’improvviso mi sembra davvero insicuro, e fragile come me. E tanto forte è il desiderio di non turbarlo, di farlo stare bene, che mi siedo di botto e costringo anche lui a sedersi, per poi stringerlo e sussurrargli:
«Non devi. Non lo capisci che io ti adoro?»

Normalmente, non lo direi. Vorrei dirlo, ma mi morderei la lingua. Perché io sono sempre troppo entusiasta, troppo in anticipo e troppo sincera e lo so che questo, di solito, spaventa le persone. E rischia di farle allontanare. Ma pazienza. Lui non passerà un minuto a preoccuparsi di qualcosa, di qualunque cosa, se solo io posso evitarlo.
C’è un attimo di silenzio in cui lo sento sospirare e mi maledico mentalmente.
Se adesso si alza e si riveste, io sono ufficialmente la cretina più grande dell’universo.
Ma lui mi stringe forte e nasconde la testa tra la mia spalla e il collo. E mi sembra insicuro come un bambino piccolo.
«Ben, scusami…»
«Non devi scusarti» mi sussurra lui «Solo che forse siamo più simili di quanto pensassi»
«Guardami» gli bisbiglio.
E lui alza la testa e mi guarda con il sorriso di sempre. Quello che riserva a me, che mi fa sentire speciale.
Mi bacia ed è ancora più dolce di prima. È ancora meglio di prima, se possibile.
Rotoliamo per terra e, con le sue mani e le sue labbra su di me, smetto di preoccuparmi di qualsiasi cosa e di pensare razionalmente.
«Strano che nessuno ci interrompa, oggi» sussurra malizioso lui, mentre mi slaccia i jeans.

E non fa in tempo a finire di parlare, che sentiamo la porta aprirsi.

«Ciaosiamonoiiiii!!!»

Eh?

«Fra, ma stai calma! Magari non sono nemmeno a casa…»
«Dai, mi sento già abbastanza in colpa per essermi dimenticata il telefono. Che stupida…»
«Ma dai, che non ci sono. Ah. Ehm…non guardare per terra, dietro il divano»
Ecco. Meraviglioso.
Ben sospira e si lascia cadere sopra di me.
«Cosa stavo dicendo?»
«Ok, è ufficiale: io e te siamo sfigati!» sbotto io.
«Ma sì, non preoccupatevi, non fateci sentire in imbarazzo…» dice Tommaso, mentre Francesca si scusa, mortificata.
«Ho dimenticato il cellulare! Sono una stupida! Ma ho quel colloquio di lavoro e non sapevo come fare! Gin, scusa…»
«Tranquilla Fra. Succede»
«Non ci credo» mi bisbiglia invece Ben, afflitto.
 
Comunque, secondo me, ha ragione, detto tra noi: la sfiga ci segue tipo nuvola nera di Fantozzi.
 
Ma il tempo che passo con Ben è meraviglioso comunque, qualsiasi cosa facciamo. Dopo mezz’ora, siamo in cucina e io preparo il pranzo, mentre Ben mi gira attorno e cerca di evitare Tommaso e le sue battutine sparate a raffica.
Taglio la cipolla per il soffritto e lui mi abbraccia da dietro e mi bacia piano il collo. Rabbrividisco.
«Ehi…così mi affetto un dito» gli dico, scherzosa.
«Tranquilla, in caso ti curo io»
«Non mi fido per niente» rido.
«Bene, è bello vedere che la tua ragazza si fida così ciecamente di te» scherza Tommaso.
«Ma io mi fido di lui. Solo che non credo sia una buona idea dimostrarglielo tagliandomi un dito. E non credo che abbia i poteri magici per riattaccarmelo, in caso»
«Prince Caspian, senza poteri magici» scuote la testa Tommaso.
Ben gli lancia uno strofinaccio da cucina. E poi mi pizzica il fianco.
«E tu, principessa, sei una malfidata»
«E tu, tesoro, resti senza pranzo se insisti»

Ridiamo, ma ho un fremito a sentirmi chiamare “principessa”. L’ha fatto solo un’altra volta, quando l’ho portato sulle guglie del Duomo, a vedere Milano dall’alto. Mi stavo affacciando dietro una delle innumerevoli statue di marmo, quando improvvisamente mi sono sentita afferrare per la vita.
«Guarda che non hai le ali» mi ha detto.
Io mi sono appoggiata a lui.
«Volevo solo vedere quanto sono piccoli, quelli che camminano di sotto»
Lui mi ha baciata e mi ha sussurrato.
«Stai attenta, però, principessa»
E lì sono quasi caduta di sotto, davvero, ma per l’emozione.

Vorrei dire che quella è stata una delle giornate più belle che ho passato con lui, ma direi una bugia: tutto è spettacolare con lui, anche guardare la televisione insieme, abbracciati, sul divano.
 
E comunque, mangiamo tutti insieme e poi Tommaso e Francesca escono di nuovo. Sono quasi tentata di sbarrare la porta con il catenaccio e costruirci dietro una barricata, casomai venisse loro in mente di rientrare senza preavviso.
Ma lascio perdere, quando vedo Ben tentare di soffocare l’ennesimo sbadiglio.
«Stanco?»
«No…» mi dice poco convinto «Solo che ieri avevo una riunione, ma è finita tardi»
«Tardi quanto?»
«Le due»
«Le due??» esclamo scandalizzata «Ma stamattina hai preso l’aereo…a che ora? Le nove?»
«Mmm» Ben annuisce, stropicciandosi gli occhi con la mano «Ma tranquilla, ci sono abituato»
«Ma no, dai! Non potevano abbreviare la riunione, visto che stamattina avevi il volo? Dovevano proprio farti fare così tardi?»
«Non potevo rimandare, perché altrimenti sarei dovuto tornare a Londra. E loro volevano farla oggi, ma io oggi volevo venire da te» dice lui, semplicemente.
Io resto senza parole per un attimo. Lo guardo e lui mi sorride e si alza.
«Ok, lavo io i piatti che tu hai cucinato»
«Non pensarci proprio. Fila a letto»
«No, dai. Facciamo squadra: tu cucini e io lavo. Per forza, perché se cucino io…»
Gli do un bacio.
«Oggi facciamo che io cucino e lavo e poi tu pareggi e mi porti a cena, che dici? Così vai a stenderti che si vede che muori di sonno»
Lui fa per protestare, ma all’improvviso mi abbraccia.
«Sicura? Ti porto a mangiare quello che vuoi stasera»
«La pizza!!!» esclamo subito io e lui ride.
«È inutile: ti porterei dovunque e tu vuoi andare sempre e solo nello stesso posto!»
«Ma lì si mangia benissimo!»
«Lo so, ma non puoi mangiare sempre la pizza…» mi guarda e sospira «Capito, pizza»
«Ma anche a te piace la pizza, Ben!»
«D’accordo, ma potremmo anche cambiare…» si interrompe per sbadigliare e poi mi prende per mano.
«Vieni a letto anche tu?»
«Ti raggiungo subito»
Lui esce e, mentre lavo i piatti, rimugino sulle sue parole e mi illumino quando mi viene un’idea.
Appena finito corro in camera e lo trovo disteso sul letto, che lotta per tenere gli occhi aperti. Allunga una mano verso di me e io mi tuffo su di lui.
«Ahi!»
«Ben, mi è venuta un’idea!» dico, tutta contenta.
«Mmm?» dice lui, mentre si gira sul fianco, verso di me, e mi abbraccia.
«Allora, facciamo così: stasera ti organizzo io una serata. Ti porto in qualche posto speciale. Una serata solo noi due. Io decido e ti stupisco, che ne dici?»
Lui fa un sorriso sonnacchioso.
«Ma tu mi stupisci praticamente sempre»
«Ma stasera di più! Niente pizza, per cominciare! Ti porto in un posto bellissimo…che dici? E domani tocca a te»
«Tocca a me portarti fuori? Non vale: io Milano quasi non la conosco. Dove ti porto? Siamo andati insieme in tutti i posti che conosco!»
«Ma il bello è che devi farti venire un’idea! Un’idea speciale! Dai, ti prego! Tipregotipregotiprego!!!»
«Va bene» sospira lui «Allora domani tocca a me. Intanto, resti qui con me? Non riesco più a dormire bene se non ti sento vicina…»
Sprofonda nel sonno praticamente subito, mentre io gli accarezzo i capelli. Gli bacio la fronte e allungo la mano per coprirlo con il plaid leggero che è in fondo al letto.
«Anche io dormo male, se non ci sei tu» gli sussurro.
Lui mi si accoccola più vicino, come un gattino. Come un bimbo.
E mentre lo guardo dormire, penso che potrei passare l’eternità così, tranquillamente.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

   
 
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