Serie TV > Sherlock (BBC)
Ricorda la storia  |      
Autore: Haibara Stark    28/05/2012    6 recensioni
John era furente. “Dio, Sherlock! Per colpa tua adesso sono in un ritardo mostruoso!” “Non è certo colpa mia se hai incontrato qualche ostacolo nel tornare puntuale” “L’unico ostacolo che ho incontrato sei tu!” || Spoiler sulla seconda stagione nel finale.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Autore: Haibara Stark
Titolo della fanfiction: I need more time.
Pairing: Sherlock/John.
Personaggi: Sherlock Holmes, John Watson.
Generi: Sentimentale, Malinconico.
Warnings: Slash, spoiler sulla seconda stagione nel finale.
Credits: I personaggi ovviamente non mi appartengono.
Note: Questa storia ha partecipato al contest Physicology indetto sul forum Collection of Starlight, classificandosi seconda.
I prompt utilizzati sono la citazione di Sigmund Freud A volte un sigaro è solo un sigaro e la formula per calcolare la velocità media.

 

I need more time.

Quello che si chiama felicità nel senso più stretto
corrisponde all'improvviso appagamento di bisogni accumulati e
per sua stessa natura può esistere soltanto come fenomeno episodico.


Sigmund Freud.
Il disagio della civiltà.


Il tempo scandiva svelto il suo scorrere ticchettando con le lancette dell’orologio da polso di John, il quale riteneva la cosa piuttosto a suo svantaggio. Le buste della spesa scricchiolavano fastidiosamente contro le sue gambe ad ogni passo fatto col puro intento di battere in velocità quel maledetto orologio, mentre il sole si spegneva dietro ai palazzi, testimone anch’egli di un ritardo ormai annunciato. Se Sherlock Holmes fosse stato un coinquilino comune probabilmente non solo il frigorifero non sarebbe apparso come un deserto innevato dell’Alaska, cosparso di oggetti alquanto discutibili e dalla dubbia provenienza, ma si sarebbe anche preso la briga di andar a fare la spesa per conto proprio invece di elargire brontolii e assurde scusanti, evitando a John quella corsa contro il tempo. Da quando aveva iniziato a scendere i primi gradini dell’appartamento, il dottore non aveva smesso un attimo di darsi dell’idiota poiché era pienamente cosciente che Sherlock gli aveva dato questo oneroso compito – parole sue – solamente per farlo arrivar tardi al suo appuntamento. Ma, purtroppo, per quanto potesse opporsi, alla fine cedeva sempre. Aprì frettolosamente la porta d’ingresso e in un batter d’occhio si trovò già a metà scala, inveendo a mezza voce contro il detective. Quando spalancò anche quella che dava sul soggiorno, però, si fermò di colpo. La stanza era interamente ricoperta da post-it gialli fittamente scritti. John ricongiunse le labbra, che aveva involontariamente dischiuse, e sbatté le palpebre un paio di volte per accertarsi che non fosse solo uno scherzo della sua immaginazione. Naturalmente non lo era e lui si ritrovò a sbuffare ad occhi chiusi. Possibile che non potesse lasciarlo solo un attimo?
“Sherlock?!” Chiamò, avanzando nella stanza. “Cosa diavolo è tutto … Questo?”
Posò le buste in terra e con due dita prese uno dei foglietti, sul quale, nella calligrafia stretta e storta del detective, vi era scritto “ V= d/t ”. [1] Lo rimise al suo posto e recuperò le buste per poi voltarsi verso la cucina. Sherlock stava seduto sul tavolo, le mani congiunte e le punte delle dita a sfiorare il mento, mentre guardava attentamente il muro di fronte a sé. John entrò a passo svelto nella stanza.
“Si può sapere cosa stai facendo?”
“Se non mi chiedono cosa sia il tempo lo so, ma se me lo chiedono non lo so” [2]
Il dottore si accigliò. “Prego?!”
Sherlock sbuffò e si voltò a guardarlo, visibilmente infastidito dalla situazione. “Sto studiando il tempo, John”
“Il tempo?”
“Sì, il tempo. E dimmi: era una vecchietta o una cassiera prolissa?”
“Una cassiera… Ma che diamine! Come ci sei arrivato -- ?”
“Hai impiegato più tempo del previsto a tornare. Quindi, o davanti a te hai trovato una povera vecchietta indifesa che per poter vedere e contare egregiamente i soldi ha bisogno di una lente d’ingrandimento, oppure hai beccato la cassiera che va lenta come un bradipo”
“Le tue parole nei loro confronti sono ingiuste. E poi cosa stavi facendo? Mi stavi monitorando? …” Quando finì di pronunciare quella frase, John si rese conto di aver centrato il punto. “Era un esperimento! Mi hai mandato a fare la spesa per un esperimento!!”
“Se vuoi chiamarlo così…” Mosse con noncuranza una mano.
John era furente. “Dio, Sherlock! Per colpa tua adesso sono in un ritardo mostruoso!”
“Non è certo colpa mia se hai incontrato qualche ostacolo nel tornare puntuale”
“L’unico ostacolo che ho incontrato sei tu!”
“Sei più suscettibile del solito. Questa Kimberly deve piacerti molto”
“Ti sbagli, sei tu che sei più insopportabile del solito. E poi posso sapere il perché di questo esperimento?”
“Volevo valutare la veridicità riguardo al fatto che il lavoro dura sempre quel tanto che è necessario a colmare il tempo disponibile per farlo” [3]
“E dovevi porti proprio stasera questa domanda?!”
“Oh no, me la sono posta qualche giorno fa. Ho approfittato del tuo appuntamento solo per confrontare i tuoi tempi di stasera con quelli usuali”
John si passò una mano sugli occhi. “Non posso crederci… Anzi no, ci credo eccome! Tu sei completamente folle”
“Il termine giusto è geniale, John” Quest’ultimo alzò gli occhi al cielo e fece dietrofront. “Comunque stai facendo una tragedia per un nonnulla. Quando sei arrivato eri ancora in tempo per arrivare in orario” Il dottore rispose con un brontolio indistinto, molto simile ad un grugnito, mentre afferrava con forza i manici delle buste ed immaginava che si trattasse del collo dell’amico. Rientrò velocemente in cucina e dispose tutto nel posto più appropriato sotto lo sguardo attento di Sherlock, il quale era sceso dal tavolo, ma non aveva accennato una sola volta ad aiutarlo. Non che John se lo aspettasse. Probabilmente l’Universo sarebbe imploso su se stesso nel caso in cui il detective avesse preso simili accorgimenti per l’altro. A compito fatto, corse nella sua stanza e si cambiò d’abiti il più velocemente possibile. Indossò due gocce di colonia e scese di nuovo in tutta fretta, incespicando su alcuni oggetti sparsi sul pavimento. Fu mentre cercava di indossare la sua giacca buona schivando il corpo inerme di un bulldog di peluche [4] – ma che diamine ci faceva lì?? – che lo notò. Era un post-it leggermente più grande degli altri ed era applicato, seminascosto, sul terzo cassetto del mobile. Quello che attirò l’attenzione di John, però, non fu nessuno di questi piccoli particolari, bensì quello che vi era scritto:

[5]

Lo staccò accuratamente e lo lesse un paio di volte, alquanto perplesso. Cosa ci faceva il suo nome in una formula fisica?
“Sherlock” Chiamò ancora una volta il compagno di avventure, come accadeva quasi ogni attimo della sua esistenza. “Cosa significa?” Si voltò, tenendo alto e in bella mostra il post-it. Holmes era rimasto tutto il tempo a guardarlo con falso disinteresse dalla poltrona senza muovere un solo muscolo, come solo lui sapeva fare.
“E’ una formula” Rispose con ovvietà.
“Questo lo vedo anch’io” Ribatté l’altro un po’ piccato. “E non hai risposto alla domanda che ti ho posto, Mr. So-tutto-io. Ti ho chiesto cosa significa, non di che cosa si tratta!”
“Sei più suscettibile del solito”
“Smettila con questa storia e non cambiare argomento”
“Non lo sto facendo”
“Ah no?”
“No. E se tu prestassi più attenzione a ciò che leggi” Poggiò i palmi sulle ginocchia e si alzò. “non avresti bisogno di perder altro tempo facendomi domande inutili” Gli si avvicinò.
“Ma davvero?” Chiese John con ironia e tornò a leggere il foglietto, incurante dell’eccessiva vicinanza che si era venuta a creare tra lui e l’amico. Rifletté per un po’, ripetendo la formula a mente.
“Assomiglia alla formula per calcolare la velocità media” Asserì infine. Sherlock annuì leggermente, con un sorriso compiaciuto.
“Cosa ne deduci?”
Il dottore alzò lo sguardo ed aprì la bocca per parlare, ma le sue labbra non ebbero il tempo di far uscire alcun suono poiché vennero taciute da quelle perfette e carnose di Sherlock. Sgranò gli occhi per la sorpresa e si aggrappò alle sue braccia con l’intento di respingerlo. Ma non lo fece. Il suo cervello venne inondato da una marea di emozioni, che portarono al definitivo spegnimento di esso e all’impossibilità di rispondersi alla domanda “perché non dovrei farlo?”. Muovere le labbra sulle sue gli parve la cosa più naturale al mondo, come se fosse sempre dovuto esser così. Allentò la presa e fece scorrere i palmi aperti lungo le sue braccia fino a giungere alle spalle, mentre con la lingua si prendeva più libertà e spazio. In quello stesso istante, Sherlock si allontanò da lui, provocandogli uno spontaneo mugolio di disappunto.
“E’ la velocità di un bacio” Soffiò sulle sue labbra, per poi voltarsi e tornare alla sua poltrona. “Ora sei ufficialmente in ritardo” Concluse, sedendosi.
John rimase un attimo interdetto, non capendo a cosa si riferisse. Le lebbra ancora umide pulsavano leggermente e sulle mani poteva ancora sentire il suo calore. Fu per questi motivi, probabilmente, che il cervello ci mise un po’ a rimettersi in moto e a fargli ricordare l’appuntamento con Kimberly. Guardò con orrore l’orologio. Le otto e venticinque. Aveva venti minuti di ritardo!
“Cristo!” Prese il portafoglio e le chiavi ed uscì di corsa fuori dall’appartamento. Fermò un taxi e gli diede le indicazioni per raggiungere il ristorante, ma, dopo aver percorso solo qualche chilometro, gli chiese di cambiar strada. Non riusciva a togliersi dalla testa Sherlock. Sherlock e quel bacio del tutto inaspettato, che il dottore si rese conto di aver inconsciamente da sempre aspettato. C’erano stati dei sintomi – se così si posson chiamare - che lui aveva prontamente glissato fino a quel momento, ma che adesso non poteva più ignorare. Perché adorare le mani di un uomo, il modo in cui brillano e cambian di colore i suoi occhi, l’ondeggiare leggero dei suoi capelli al vento, non eran certo cose che un etero convinto, come lui si era sempre dichiarato, avrebbe dovuto provare. Eppure il suo corpo vibrava nel guardare quei dettagli e nel petto gli irradiavano un calore mai provato. Aveva messo tutte quelle emozioni da una parte – forse anche lui aveva una specie di palazzo mentale come Sherlock – convincendosi che non c’era nulla di sbagliato in lui. Sbagliato? Provare qualcosa per un altro uomo era sbagliato? No. Provare qualcosa per Sherlock Holmes? Sì. Lui non era come le altre persone. Non provava emozioni di ogni tipo ed era il suo migliore amico. Ma se la faccenda delle emozioni era vera, perché lo aveva baciato? Un altro esperimento, senza dubbio.
Vagò per Londra fino ad ora tarda, senza curarsi troppo dei numeri del tassametro che aumentavano inesorabili. Quando rientrò al 221B, i post-it erano completamente spariti ed il detective stava sdraiato sul divano ad occhi chiusi. John fece qualche passo nel salotto, togliendosi la giacca. Sulla punta della lingua una domanda insidiosa.
“Sherlock?” Chiamò esitante, col timore che fosse uno di quei casi in cui era caduto addormentato.
“Sai, giornalmente dici in media venticinque volte il mio nome” Rispose invece l’altro.
John sorrise. “Davvero? Non me ne sono mai reso conto”
“Come potresti”
Il dottore sorvolò su quell’ultima osservazione e si avvicinò ancora al divano.
“Non sei andato all’appuntamento” Constatò Sherlock, senza nemmeno aprire gli occhi.
“No, è vero”
“Perché?”
“Ero in ritardo ed avevo altro in testa. Non sarei stato una buona compagnia”
Calò il silenzio e Watson decise che era arrivato il momento di togliersi ogni dubbio.
“Cosa è stato … quello che avvenuto prima che uscissi?”
“Sono abbastanza sicuro che si chiami bacio e mi sconcerta il fatto che tu non lo sappia”
John questa volta si indispettì.“Sai benissimo che non era questo a cui mi riferivo! Smettila di fare il saccente e dimmi chiaro e tondo quello che volevi dimostrare!”
Sherlock aprì gli occhi e voltò il capo nella sua direzione. “Dimostrare?”
“Sì, dimostrare! Qualunque cosa tu faccia, c’è sempre dietro un qualche esperimento o roba simile a giustificarla. Quindi, se anche questa volta è così, dillo e basta”
Il cuore gli martellava all’impazzata contro le costole, rimbombando fino ai timpani. Si rese conto di aver paura. Una paura matta di sentirsi dire che aveva ragione, che era solo un capriccio dettato da un esperimento. Conosceva troppo bene Holmes per poter escludere questa possibilità. Sherlock, dal canto suo, era rimasto impassibile, con gli occhi di ghiaccio puntati sulla figura del dottore. Voltò nuovamente il capo, osservando il soffitto.
“Era un esperimento” Soffiò.
In quel momento qualcosa in John si incrinò. Si sentì uno sciocco nell’aver sperato, anche solo un poco, in una cosa impossibile. Sorrise amaramente ed aprì la bocca per parlare, ma Sherlock proseguì.
“Sono mesi ormai che quando mi addormento sogno di baciarti. Volevo saggiare cosa si prova e cercare di scoprire cosa significa”
Il dottore riusciva a stento a credere a ciò che aveva udito. Ingoiò a vuoto.
“E ci sei riuscito?”
“No”
Calò di nuovo il silenzio.
“A volte un sigaro è solo un sigaro” [6] Disse John.
“Sono d’accordo” Il detective si voltò a guardarlo, con negli occhi una luce nuova. “Ma perché tutto questo? Cos’è che lo rende speciale?”
Watson sospirò leggermente, sorridendo, ed andò a sedersi sul bordo del divano accanto a lui.
“Perché a volte non si può vivere solo di emozioni, così da non dover per forza capire?” [7]
Sherlock lo squadrò per un periodo che parve infinito.
“Hai ragione” 
Il dottore era stupito. “Ho ragione?”
“Sì”
“E cosa ti porta a dire una simile rarità?”
L’altro parve pensarci su. “E’ stato bello”
John sorrise di cuore e si sporse verso di lui per lasciare un leggero bacio a fior di labbra, ringraziando Dio – o chi per lui – che gli stava dando quell’opportunità …
“Venticinque pounds”
Con un battito di ciglia il ricordo si spense. La voce della cassiera riportò John alla realtà, a quell’orrendo presente. Pagò la spesa e lasciò il supermarket con passo lemme, come se l’uscire di lì avesse implicato il dimenticare quell’evento. Che assurdità. Non c’era alcuna probabilità che si potesse scordare di quel giorno e non era certo che la cosa fosse un bene. Si ritrovò in strada senza neanche accorgersene. Il pensiero di quel bacio aveva ancora tutta la sua totale attenzione. Qualcuno una volta disse che la vera felicità è la realizzazione del tutto inaspettata di un bisogno ed è un avvenimento del tutto occasionale. [8] Lui non poteva essere più d’accordo, poiché quell’episodio, per John, fu il più felice della sua intera esistenza, ma fu anche l’unico. Non ci furono più baci né emozioni da capire. Solo una caduta. [9] E il nulla.
Erano ormai passati due anni da allora – più precisamente due anni, tre mesi, diciotto giorni, sette ore e trentadue minuti – e il dottor John Hamish Watson si era arreso da tempo alla crudele verità: che il mondo andava avanti anche senza Sherlock Holmes, ma che lui non era il mondo e non riusciva a farsene una ragione. Aveva frequentato altre persone, andando cercando di quella stessa felicità, ma fallendo. Il suo cuore era chiuso in una scatola e l’unica chiave per aprirla era precipitata nel vuoto insieme a lui. E si dava dello sciocco , John, per essersi negato quella gioia che aveva sempre avuto sotto gli occhi, ma che il suo orgoglio lo aveva portato ad ignorare. Avrebbe voluto avere più tempo.
Ora era lì, che camminava lentamente verso casa, che rimuginava sulla sua stupidità e su alcuni strani sogni ricorrenti che faceva durante il sonno. Uno in particolare – tra i più fortunati, in cui non vi era il Barts – Sherlock si presentava alla sua porta e gli raccontava di come si fosse in realtà fatto beffe del mondo e avesse vissuto tra la Francia e l’America aspettando il momento giusto per tornare. Il dottore lo trovava in assoluto il più strano di tutti e riusciva a ricollegarvi solamente un desiderio inconscio – ma non troppo – che Holmes fosse sempre in vita. Ed era proprio in quelle occasioni in cui si ricordava di quel felice giorno e della loro conversazione. Perché a volte un sigaro è solo un sigaro. Ed un sogno può rivelare più cose che la realtà stessa. Ma questo John Watson non poteva ancora saperlo, mentre camminava ignaro verso casa, sotto lo sguardo vigile di due occhi di ghiaccio.


Note:

[1] Formula della velocità. Essa si ottiene dividendo la distanza per il tempo impiegato (d/t)
[2] Affermazione di S. Agostino.
[3] Northcote Parkinson.
[4] Omaggio a Gladstone.
[5] E’ sulla base della formula per calcolare la velocità media. Per essere precisi, i nomi dei nostri beniamini sarebbero dovuti essere le appendici di s, ma ho ritenuto che fosse più di impatto così strutturata.
[6/ 7] Sigmund Freud.
[8] Rielaborazione della citazione all’inizio della storia.
[9] The Reichenbach falls (2x03).

  
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Haibara Stark