Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
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Autore: Evazick    29/05/2012    2 recensioni
Voleva urlare, spalancare la bocca per prendere aria, ma non ce la faceva. Li sentì raggiungere i suoi occhi e entrare nella sua testa, attraversare la sua pelle come se fosse aria per raggiungere le parti più nascoste di sé stessa, e lei rimase completamente immobile, paralizzata e senza poter far nulla per fermare quell’incubo. La parte peggiore, pensò quando divenne cieca e non riuscì più a sentire il crepitio dell’incendio, era sapere che nessuno l’avrebbe salvata.
Da qualche parte in lontananza, un corvo gracchiò.

*
Inghilterra, 1889. Pomeriggio del 13 aprile. In un bosco poco fuori Londra, una ragazza si risveglia. Non ricorda nulla di se stessa, e l’unica cosa che ha con sè è la collana che porta al collo. Vagando in cerca di un indizio sulla sua identità si rifugerà in una villa signorile, dove verrà accolta da uno spaventoso maggiordomo e da un ragazzo sfuggente e arrogante. La ragazza non sa di essere finita all’interno di una trappola tesa da un pericoloso e demoniaco ragno, e si ritroverà inconsapevolmente a far parte di un gioco che metterà in pericolo la sua stessa vita.  
Genere: Introspettivo, Mistero, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alois Trancy, Claude Faustas, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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XVIII. Intrappolata.


 

 
Al primo colpo ne seguirono molti altri, ognuno più violento e disperato del precedente. La porta tremava come durante un terremoto e dava l’impressione di poter cedere da un momento all’altro, ma in realtà resistette come se fosse di pietra. Lena non si diede per vinta, continuando a lanciare brevi urla di rabbia e a colpire la porta coi pugni finchè le dita non iniziarono a sanguinarle. Non si fermò nemmeno quando il sangue le colò fino al polso, e continuò anche quando le gambe iniziarono a tremarle violentemente sotto il peso degli avvenimenti. Non smise mai di provare a uscire dalla stanza, ma a un certo punto le sue urla si fecero più fioche e i suoi colpi più fiacchi, come se tutta la sua energia si fosse consumata. Colpì la porta un’ultima volta, poi le sue gambe cedettero e la fecero cadere in ginocchio sul pavimento, con la fronte ancora incollata alla porta. Se ne allontanò e si portò le mani al volto senza nemmeno cercare di calmare i tremiti che le scuotevano il corpo. Si impose di non piangere, ma dopo poco le lacrime scorrevano insieme al sangue nei suoi palmi.
Era difficile esprimere in una sola parola come si sentiva, dentro di lei c’erano così tante emozioni che era impossibile sceglierne una sola. La rabbia le sovrastava tutte, certo, ma al suo fianco c’erano la tristezza, il rimprovero verso sé stessa e, ultima ma non meno importante, quella lama chiamata tradimento affondata nel suo fianco che faceva male come una ferita vera. Era svuotata e sfinita, ma quell’acuta sensazione di essere stata tradita e abbandonata non voleva saperne di andarsene, e probabilmente sarebbe rimasta lì dov’era per il resto della sua vita. Dentro di sé si era immaginata che Alois si fidasse più di Claude che di lei, ma essere rifiutata e abbandonata così velocemente e freddamente l’aveva sconvolta più di quanto credesse. Ricordava ancora lo sguardo tagliente del ragazzo e le sue parole fredde come il ghiaccio, e si chiese se non fosse intrappolata in uno dei suoi incubi, uno più lungo e spaventosamente reale del solito. Tirando su col naso, diede un pizzicotto al suo braccio già pieno di lividi, e non si spaventò quando si accorse di essere sempre nella sua camera, sempre inginocchiata davanti alla porta, sempre prigioniera lì dentro. Non capiva ancora perchè era stata rinchiusa nella sua camera invece di essere scacciata per finire dritta nelle braccia di Andrè, ma pensare a tutte le possibilità che le si spalancavano davanti era troppo per lei. Guardò impassibile le immagini che le si formavano nella mente, cercando di controllarsi e di rispedirle da dove erano venute, ma prima che potesse riuscirci erano passati diversi minuti e la sua paura non era affatto diminuita. Anzi, se possibile era aumentata.
Si asciugò velocemente gli occhi e le guance con un lembo della camicia da notte e si alzò in piedi tremante, dirigendosi poi verso il letto sfatto che aveva lasciato quella che le sembrava un’eternità prima; era successo tutto così in fretta che sembrava che fossero successe altre cose che lei non riusciva a ricordare. Si infilò sotto le coperte, imbacuccandosi per bene per riscaldarsi, poi, dopo un breve attimo di riflessione, tirò le lenzuola fin sopra alla sua testa, avvolgendosi nella stoffa come in un macabro sudario. Si sdraiò su un fianco, si portò le ginocchia al petto e se le abbracciò, spaventata come una bambina. Chiuse gli occhi per cercare di addormentarsi, ma sapeva che sarebbe stato impossibile e che, se ci fosse riuscita, non avrebbe fatto altro che vedere la stessa scena di poco prima per tutta la notte. Scivolò piano nel sonno quasi senza accorgersene, e quando finalmente si addormentò sogno cose che al risveglio, fortunatamente, non avrebbe mai ricordato.
 

***

 
La mattina dopo, svegliandosi quando il sole già abbastanza alto entrò dalle finestre, Lena si accorse degli strani disegni a scacchi di luce e ombra sopra le lenzuola bianche. Si voltò verso le finestre con un piede ancora nel mondo dei sogni, e si svegliò del tutto quando vide le inferriate al di là del vetro e si ricordò perché si trovava lì. Si sdraiò sull’altro fianco, nonostante le ombre delle sbarre le ricordassero costantemente quello che non voleva vedere, e fissò un punto invisibile nel vuoto senza pensare a niente in particolare. I suoi pensieri vagavano leggeri per la sua testa senza un filo logico, e forse fu la sensazione che ci fosse qualcosa sotto il materasso a impedirle di impazzire del tutto. Si tirò su a sedere e alzò il materasso quel tanto che bastava per intravedere il suo quaderno; non appena lo vide lo afferrò e sfogliò velocemente le sue pagine, sentendo l’odore dell’inchiostro penetrarle a fondo nelle narici. Averlo tra le sue mani la faceva stare meglio, almeno avrebbe potuto sfogarsi in qualche modo durante la sua ‘reclusione forzata’ mentre attendeva il peggio. Scosse la testa con decisione come se volesse cancellare quelle ultime parole. No, non devi pensarlo. Pensa a qualcos altro, qualunque altra cosa. Pensa a come uscire da qui, piuttosto.
Uscire da lì? Le venne da ridere a quel pensiero. Era abituata a fuggire, lo faceva fin dal primo giorno in cui si era risvegliata, ma stavolta preparare una fuga non sarebbe servito. Sentiva che, anche se se ne fosse andata mille chilometri lontana dalla villa per non tornarvi mai più, avrebbero continuato a cercarla finchè non l’avessero trovata: aveva visto troppo, sapeva troppo, da viva sarebbe stata solo un intralcio. Tentare di fuggire equivaleva a un suicidio e a una dichiarazione di guerra di cui non poteva affrontare le conseguenze, rimanere lì era più sicuro, se quello era il termine giusto da usare.
Allora rimarrai qui senza fare niente?
No. Avrebbe solo aspettato il momento migliore per fare qualcosa.
Si tirò su a sedere spaventata e nascose il quaderno sotto le lenzuola non appena sentì il rumore della chiave che girava nella serratura, temendo che il peggio stesse già arrivando, ma si rilassò quando la porta si aprì e nella stanza entrò Hannah, da sola e reggendo il vassoio della colazione tra le mani. La porta si chiuse lentamente alle sue spalle e lei si diresse a testa bassa e a passi lenti verso il tavolino. Lena si toccò inconsciamente la benda quando vide la fascia che copriva l’occhio della donna, e subito dopo, mentre l’altra non le prestava attenzione, si voltò di scatto verso la porta, chiedendosi se fosse in grado di raggiungerla in fretta. Sì, forse con qualche passo veloce avrebbe potuto farcela senza farsi prendere, poi avrebbe imboccato il corridoio e se ne sarebbe andata, sarebbe fuggita ancora una volta, al diavolo tutto e tutti. Il suo corpo scattò in avanti, ma lei stessa si bloccò, rimanendo ferma a sedere: anche se la porta era chiusa, sentiva che c’era qualcuno in corridoio che stava aspettando che Hannah uscisse, e avrebbe potuto mettere la mano sul fuoco da tanto era sicura di sapere chi fosse. Se era davvero lui allora avrebbe dovuto rimandare i suoi progetti, da sola non sarebbe riuscita ad arrivare nemmeno in fondo al corridoio. Aveva bisogno che qualcuno la aiutasse a fuggire.
“Hannah,” sussurrò con voce flebile guardandola. La donna si voltò verso di lei, stupita che l’avesse chiamata in tono così disperato, e le si avvicinò, in attesa che le dicesse qualcosa. Rimase ancora più sorpresa quando la ragazza si inginocchiò sul letto e le abbracciò la vita, nascondendo poi la sua testa nel grembiule. Quell’abbraccio improvviso la lasciò a bocca aperta e con una scintilla di stupore negli occhi. “Signorina…”
“Fammi uscire da qui,” la interruppe l’altra. Il suo corpo tremava e le sue dita le penetravano a fondo nella stoffa del vestito come per cercare un appiglio. “Ti prego, fammi uscire e aiutami a scappare. Ci deve essere un modo. C’è, non è vero?”
Hannah continuò a fissare in silenzio i capelli neri di quella ragazzina disperata e intrappolata senza alcuna via di fuga. Non sapeva perché Claude avesse voluto rinchiuderla nella sua stanza -  per divertimento personale, immaginava – ma era convinta che la cosa migliore per lei fosse scappare lontano da lì per non tornare mai più. Voleva davvero aiutarla, perché esisteva un modo, l’unico, per farla uscire da lì, ma non osava fare un contratto mentre l’altro demone la stava aspettando fuori dalla stanza. E poi quella ragazza era sotto la protezione degli Shinigami, se l’avessero ritrovata con un contratto in qualche punto del corpo si sarebbe scatenata una guerra che avrebbe potuto influire perfino sulla vita degli stessi umani. Quel contratto non le avrebbe dato alcun vantaggio e, per quanto volesse aiutarla, il gioco non valeva la candela. Dovette usare tutta la sua volontà per sciogliere il loro abbraccio, immaginando di dover lottare, ma Lena cedette subito e tornò seduta sul letto come se non fosse successo niente. La donna le rivolse un ultimo sguardo prima di uscire dalla stanza, come se già sapesse che non l’avrebbe vista mai più.
La ragazza ascoltò impassibile la chiave che girava di nuovo nella serratura e i passi che si allontanavano lungo il corridoio, e si alzò in piedi solo quando tornò il completo silenzio. Si avvicinò al tavolino e si sedette sulla sedia, osservando il vassoio che aveva portato Hannah: almeno per adesso non sarebbe morta di fame o di sete, e quel pensiero la consolò almeno in parte. Fece colazione lentamente e in silenzio, senza mai smettere di pensare a quello che le sarebbe successo in seguito: sarebbe rimasta lì per tutta la vita o l’avrebbero lasciata andare, prima o poi? Perché Claude non l’aveva mandata via subito? Aveva così tanta paura che lei potesse spifferare in giro quello che aveva visto da volerla tenere sempre sotto i suoi occhi come un uccellino in gabbia?
Sentì degli altri passi risalire il corridoio nella direzione della scalinata; in un primo momento non se ne curò molto, nonostante fosse ancora un fascio di nervi, ma il cuore iniziò a batterle più forte quando potè udirli meglio e si accorse del leggero ticchettio che producevano. Si alzò di scatto dalla sedia e raggiunse la porta nel momento in cui stavano per oltrepassarla. Schiacciò un orecchio e i palmi delle mani contro la porta e gridò: “Alois! Alois, ti prego, fermati per un momento!
I ticchettii continuarono ad avanzare, poi si interruppero bruscamente pochi passi più in là della stanza. Deglutì, contenta solo in parte che lui le avesse dato retta, poi continuò: “Dammi solo una possibilità di spiegarti tutto, ti prego, non ti chiedo molto. Il punto è che…” Fece una pausa. Come avrebbe dovuto continuare? “Non ho scritto io quella lettera, Alois, non sono mai stata la spia di Ciel Phantomhive. Te lo ricordi anche tu, non sapevo nemmeno chi fosse quando l’ho incontrato alla festa, come potevo essere dalla sua parte?” Quando sono sempre stata dalla tua. “Stanotte stavo vagando per la villa, è vero, ma sono solamente andata in cantina. È successo qualcosa lì, non è vero? È lì che tenevi quello che ti ha rubato quella sagoma nera parecchie notti fa. Sono scesa solo per vedere se riuscivo a capire cosa fosse, perché…” Volevo aiutarti. “Bè, credo che sia stata semplice curiosità, ecco. Ma dalla prima volta che sono scesa là sotto ho visto cose che ti faranno del male se non te ne vai via da qui. Se sono scesa là sotto è solo perché volevo…” Salvarti come tu hai fatto con me.
Dall’altra parte della porta continuò ad esserci silenzio ancora per qualche minuto, poi la voce di Alois rispose fredda: “Claude mi sta cercando, non devo farlo aspettare. Vai a raccontare le tue bugie a qualcun altro.”
Il sangue le si ghiacciò nelle vene. “No! Alois, non devi fidarti di lui! Non è quello che sembra, vuole soltanto…”
Il ragazzo colpì la porta con forza, facendo sobbalzare Lena. “Tu menti! Tu non eri con me durante quei giorni, tu non sai cos’ha fatto per me! Non può tradirmi, rimarrà con me per sempre!
Avrebbe voluto replicare, urlargli che era lui che si sbagliava e stava mentendo a sé stesso, ma quando fu sul punto di farlo il rumore dei suoi tacchi se ne stava già andando, allontanandosi il più velocemente possibile da lei e dalle sue bugie. Lo chiamò un paio di volte in tono disperato, poi colpì la porta a sua volta e imprecò. La sua espressione si intristì e lei tornò a sedersi sul letto a testa bassa, odiandosi per non essere riuscita ad avvisare Alois come voleva. Lo sguardo le cadde sul lembo del quaderno che faceva capolino da sotto le coperte; lo afferrò e ne sfogliò distrattamente le pagine, osservando distaccata i suoi appunti. In un raptus di rabbia e tristezza, afferrò tutte le pagine che aveva scritto e le strappò via, appallottolandole e gettandole nel camino spento. Osservò la nuova pagina bianca davanti a sé e seppe subito cosa doveva farne.
Aprì il cassetto del comodino e ne tirò fuori la penna e il calamaio, appoggiando entrambi sul mobiletto. Intinse la penna nell’inchiostro e iniziò a scrivere seduta sul letto, fermandosi soltanto per intingere la penna in quel liquido scuro e denso come sangue. Scrisse come non aveva mai fatto in quei giorni, una lunga lettera indirizzata ad una sola persona, la stessa che l’aveva prima salvata e poi gettata in quella prigione. Si confidò e si aprì in quelle pagine come non aveva mai fatto davanti a lui, dicendogli tutto quello che non aveva mai avuto il coraggio di dirgli in faccia. Lasciò che le sue parole assumessero significati rabbiosi, tristi, rassegnati, felici, in modo che esprimessero tutto quello che provava nei confronti di Alois. Fu lì che scrisse per la prima volta quello che non aveva mai ammesso nemmeno a sé stessa, per paura di un rifiuto o di mostrarsi debole ancora una volta. Continuò a scrivere per ore intere, fermandosi di tanto in tanto solo per far asciugare l’inchiostro, scrivendo di getto per non far divagare di nuovo i suoi pensieri, che adesso erano ordinati e logici come non erano mai stati prima di quel momento. Quando finì, tracciando le lettere che componevano il suo nome dentro l’ultima riga della lettera, si sentì più leggera, come se il peso che aveva sostenuto per tutti quei giorni fosse scomparso. Non rilesse quello che aveva scritto per paura di cancellare tutto e nascose di nuovo il quaderno sotto il materasso, accarezzando la copertina un’ultima volta prima di lasciare quella lettera al suo destino.
I lunghi sguardi che Claude le lanciò quando entrò nella stanza con prima il pranzo e poi la cena – evidentemente doveva essere venuto a sapere di quello che era successo con Hannah, perché lei non si fece più viva – le fecero capire che in qualche modo lui era a conoscenza dell’esistenza del suo quaderno e della lettera che aveva scritto. Erano dei sguardi che le mettevano i brividi, ma entrambe le volte sostenne con coraggio la vista di quegli occhi dorati, come se non avesse paura di nulla. In realtà il terrore si era impadronito di lei, e il maggiordomo lo sapeva bene.
Non fu un caso se scelse quella notte stessa per agire.
 

***

 
Lena sentì il primo lieve ticchettio a notte fonda, quando ormai tutta la villa era addormentata e persino lei era crollata nel mondo dei sogni. Aprì leggermente gli occhi e li richiuse quasi subito, convinta di essersi sognata tutto, ma cambiò idea quando lo sentì di nuovo, stavolta più vicino e rumoroso. Si mise a sedere di scatto sotto le coperte e rimase immobile, aspettando di sentire altri rumori. Rimase a lungo in quella posizione senza notare nient’altro di strano, ma, quando fu sul punto di sdraiarsi di nuovo per riaddormentarsi, il ticchettio si spostò da qualche parte sopra di lei. Alzò lo sguardo ma non vide niente, e notò qualcosa di insolito solo quando spostò il suo sguardo sul camino spento: in quel momento qualcosa di piccolo e leggero come una piuma le cadde sulla spalla, iniziando poi a muoversi sulla stoffa. La ragazza si voltò e vide disgustata un piccolo ragno che si stava dirigendo velocemente verso la sua mano; troppo spaventata per poterlo schiacciare, lo scacciò via con un pizzicotto, facendogli fare un lungo volo per poi farlo atterrare sul pavimento poco più in là. Ebbe la strana sensazione che uno dei suoi incubi fosse diventato realtà, e quando alzò nuovamente lo sguardo ne ebbe l’inquietante conferma.
Il tetto del baldacchino adesso era illuminato dalla luce della luna che riusciva a passare attraverso le inferriate, e sulla superficie del legno c’era una moltitudine di ragni che si muovevano come se fossero una cosa sola. Lena dovette soffocare a fatica un urlo e scese lentamente dal letto senza mai distogliere lo sguardo dai ragni e dalle ragnatele che avevano già iniziato a tessere negli angoli. Indietreggiò verso la porta con il cuore sul punto di esplodere, e in un solo momento tutti gli incubi di quel lungo mese le affollarono la testa, sovrapponendosi in una macabra accozzaglia di immagini spaventose che l’avevano sempre svegliata nel cuore della notte con i sudori freddi. Pensò che avrebbe potuto anche resistere per una notte, ma cambiò drasticamente idea quando si accorse che il baldacchino non era l’unica cosa ad essere infestata.
Erano dappertutto. Tra le pieghe delle tende, negli angoli del soffitto, sul tavolino, sul tappeto, dentro il camino – non c’era centimetro che non fosse invaso. Alcuni si erano addirittura arrampicati sullo specchio, aggiungendo un loro gemello alla già vasta folla, e altri fecero capolino dalle coperte in cui Lena aveva dormito fino a poco prima. Dovette farsi forza per non vomitare o urlare, ma il suo corpo tremava in preda al terrore. Si terrorizzò ancora di più quando notò che tutti i ragni, nessuno escluso, si stavano dirigendo verso di lei, esattamente come avevano fatto nel suo primo incubo, quello che aveva sognato la notte in cui era arrivata alla villa. Poteva già sentirli entrare dentro di lei per divorarla dall’interno e non lasciare niente del suo corpo, come se non fosse mai esistita, e a quel pensiero le gambe le cedettero, facendola cadere sul pavimento con un tonfo. Non trovava nemmeno la forza di piangere tanto era sconvolta, e il suo ultimo pensiero razionale fu Se aveva intenzione di farmi morire d’infarto, ha scelto il modo giusto per farlo.
I ragni erano a pochi centimetri dai suoi piedi, e lei non riusciva a muoversi, paralizzata dall’orrore. Sentiva che sarebbe morta in quella stanza senza alcuna possibilità di difendersi, ma improvvisamente ci fu un rumore sul balcone. I ragni non si fermarono, ma Lena riuscì a ricordare nel delirio di aver già sentito quello strano rumore assordante e tagliente. Quando i primi aracnidi le salirono sui piedi le furono chiari il dove e il quando: era stato forse un paio di settimane prima davanti ad una cattedrale, e un sorriso affilato le tornò alla mente insieme alla fonte di quel rumore. Sbarrò gli occhi, incredula, poi la portafinestra si spalancò, finalmente libera dalle inferriate, e due figure familiari entrarono dentro la stanza, calpestando involontariamente i ragni. La persona sulla sinistra lanciò un urletto schifato. “Odio i ragni, odio i ragni! Ronald, prendi la ragazza prima che queste bestiacce ci salgano addosso!”
I minuti successivi furono piuttosto confusi, e Lena avrebbe ricordato soltanto che l’altra figura aveva annuito con convinzione prima di attraversare la stanza insieme a un altro strano oggetto e di afferrarle la mano per sollevarla dal pavimento. Non avrebbe mai ricordato con precisione come avevano fatto a riattraversare la stanza, ma dopo poco erano di nuovo sul balcone a respirare l’aria notturna. Il ragazzo chiamato Ronald le disse con una voce familiare di tenersi stretta al suo collo e di non urlare, poi si gettò di sotto seguito dal suo compagno, mentre Lena nascondeva il suo volto nella spalla di lui per non mettersi a piangere, urlare, vomitare o fare tutte e tre le cose contemporaneamente. Nascose il suo volto per tutto il tempo che corsero a una velocità folle, poi, quando si fermarono, fu Ronald stesso a staccarla dal suo collo e a lasciarla cadere sull’erba. La ragazza si mise a sedere e si guardò intorno, sorpresa di ritrovarsi in una radura nel bosco in cui si era rifugiata la notte della sua fuga, poi alzò lo sguardo sui suoi salvatori e indietreggiò non appena li riconobbe. Erano loro, senza ombra di dubbio, li avrebbe riconosciuti perfino in una stanza affollata.
L’uomo con i lunghi capelli rossi alla sua destra le sorrise, mettendo in mostra ancora una volta i suoi denti affilati. Teneva la sua strana arma in spalla con aria soddisfatta mentre la lama tornava di nuovo ferma. “Finalmente ti sei lasciata prendere, ragazzina. Pensavo che ti avremmo dovuta rincorrere per il resto dell’eternità.”
Lei non replicò, troppo scioccata da tutto quello che era successo nell’ultimo quarto d’ora. Il suo sguardo saltò ancora una volta dal rosso al biondo e viceversa, poi disse lentamente: “Io vi ho già visti. Siete quelli che ho incontrato mentre fuggivo da Londra e quel giorno alla cattedrale.”
Ronald, il ragazzo biondo che aveva incontrato quasi un mese prima nel bosco, sorrise ironico. “Vedo che riesci a ricordarti qualcosa, allora. Pensavamo che la tua memoria se ne fosse andata del tutto.”
Fece per dire È così, ma qualcosa le diceva che loro lo sapevano di già. La sua collana si fece di un blu più chiaro e lei la afferrò: anche se erano passati giorni da quella notte, sapeva che doveva proteggere quel ciondolo anche a costo della sua vita. È l’unico modo che ho per poter tornare a casa, pensò ancora una volta senza sapere cosa significasse. Indietreggiò ancora e lanciò uno sguardo di sfida ai due uomini. “Non ti fidi di noi?” le chiese Ronald.
“Avete cercato di uccidermi più di una volta,” sibilò fingendo una sicurezza che non aveva. “Perché dovrei fidarmi di voi?”
I due si lanciarono un’occhiata perplessa, poi l’uomo coi capelli rossi scoppiò a ridere, mentre l’altro si limitò a un sorriso divertito senza mai toglierle gli occhi di dosso. Il rosso si asciugò gli occhi sotto lo sguardo stupito di Lena e, dopo un’ultima risata, sorrise di nuovo con quei suoi denti affilati e le disse: “Ucciderti? Mia cara, perché dovremmo uccidere qualcuno che è già morto?”


















Indovinate un pò? Anche stasera sono un cencio, come diciamo qui in Toscana D: Tra scuola, ultimi compiti, allenamenti e prove per l'imminente spettacolo di teatro è un miracolo se la sera riesco a sedermi davanti al computer per scrivere. Dico tutte le volte la stessa cosa, ma è così. Già già.
E dopo essermi resa insieme a Claude una grandissima stronza nello scorso capitolo, torno all'attacco più sadica che mai! Adoro tenere i miei lettori col fiato sospeso, si vede tanto? *LOL*
Ormai mancano solo altri due capitoli alla fine. Che tristezza ç___ç
MadLucy: ho voluto infilarci a tutti i costi "L'intento del ragno". Giuro che non ho mai visto un OAV che mi ha ucciso più di quello. 10 minuti di puro e solo dolore, indescrivibile.
AnnyChan: benvenuta nella mia scassata ciurma! Sono contenta che la mia storia e il mio OC ti piacciano, è difficile far entrare un personaggio originale in un fandom dove quasi tutti gli altri OC sono Mary Sue insopportabili .-. Grazie mille per aver messo la mia storia tra le preferite! *inchino profondo*

xoxo
Eva
  
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