Vivi la vita appieno se hai la fortuna di farlo.
AMAR, IL BAMBINO SOLDATO
Amar viveva nel
villaggio di Kalamankara nell’estremo nord della regione del Darfur, in Sudan. Era
un piccolo raggruppamento di capanne, dove tutti erano devoti all’anziano
stregone Kafrà. Lui era un sostenitore della guerra e con la sua capacità di
suggestionare le persone aveva spinto molti uomini ad arruolarsi negli eserciti
dei ribelli. Un giorno i ribelli
occupano e distruggono il suo villaggio mentre lui accompagnava la sorella
Mariam al pozzo per prendere l’acqua. Amar ha solo sei anni.
Il villaggio è un cumulo di macerie, ci sono i miei amici per terra,
non giocano, non ridono, non si muovono, sembra che dormono ma hanno gli occhi
aperti. Cosa è successo? Mariam lascia cadere l’anfora dell’acqua quando vede
nostra madre a terra con la piccola Karime.
-Mamma! Karime! Parlatemi!- urlo disperato
-Stai zitto Amar se ci trovano uccidono anche noi- sibila Mariam
-Ma chi è stato? E cosa vuol dire uccire?-
-Uccidere testa di una capra, non uccire-
-Ma chi?-
-I ribelli-
-Ma Kafrà dice che fanno il bene! Non ti credo bugiarda!-
-Tutto ciò che dice quel vecchio rimbambito di Kafrà non è la legge e
soprattutto non è la verità. Solo uno stolto pende dalle sue labbra come fai
tu!-
-Io non ti permetto di insultare Kafrà, lui è il più anziano e va
obbedito e rispettato!- detto questo mia sorella mi dà un potente schiaffo
-E’ morto, ora la più anziana sono io e vedi di stare zitto una litigata
ora non è ciò che spero, cerchiamo qualcosa da mangiare-
Così facciamo, di capanna in capanna, di cortile in cortile in cortile,
cerchiamo da mangiare, ma le uniche cose che troviamo sono polvere, terra e
persone senza spirito della vita. Sollevo una pietra, sotto c’è uno
scarafaggio, lo prendo e lo mangio, Mariam fa la stessa cosa. Ci rincamminiamo
verso il pozzo a prendere dell’altra acqua, mi fanno male i piedi, la terra
rossa scotta, il sole brucia e il sentiero è brullo.
Arriviamo al pozzo beviamo e riprendiamo il cammino. Ci spingiamo a
ovest, verso il confine. Camminiamo finché il sole bacia i monti e va a dormire.
Dormiamo anche noi.
Amar e Mariam
camminano nel deserto del Sahara per cinque giorni, sopravvivendo come meglio
possono alla fame, alla seta, ai serpenti e alle tempeste di sabbia. Il loro
obiettivo è raggiungere il confine a 238 chilometri dal loro villaggio, lì non
c’è la guerra civile e Mariam lo sa.
Stiamo camminando, ancora, quando vediamo una tendopoli e delle cose
con quattro ruote che non ho mai visto e degli uomini. Mariam urla e corre via.
Poi uno scoppio e cade. L’uomo con il mano un tubo lungo, forato, con un mirino
posizionato sopra, ghigna poi mi vede.
-E tu? Che hai intenzione di fare?- non rispondo, non ne avevo idea
-Vieni con me!- ringhia l’uomo e mi porta in una tenda.
Amar in quella
tenda imparò a usare il fucile, a obbedire al capo e ad uccidere.
C’è un ragazzetto, mi guarda.
-Forza prendi il coltello e puntalo sul cuore qui- dice l’uomo indicandomi
un punto leggermente a sinistra rispetto al centro del torace del ragazzo.
Capisco ciò che vuole: che io lo uccida.
Ad Amar non viene
spiegato il motivo per cui vogliono che uccida il ragazzo, undicenne. Era un
modo per legarlo all’esercito psicologicamente e allo stesso tempo la punizione
per il ragazzo che aveva tentato la fuga.
L’uomo urla di fare ciò che mi ha ordinato, allora lo faccio. È un
attimo: la punta del pugnale affonda nel petto del ragazzo e subito la estraggo
stupito e inorridito per il mio gesto, il ragazzo si piega in due e sputa ai
miei piedi del sangue, trattengo un conato di vomito. Avevo appena ucciso una
persona, un ragazzo, come me. Giuro a me stesso che non lo farò mai più.
L’immagine di quel ragazzo mi tortura, sia di notte che di giorno, sono
passate due settimane dal fattaccio. Faccio qualunque cosa per tenermi
occupato: lavo i piatti, pulisco le automobili e i fucili, monto e smonto le
tende, ci muoviamo continuamente, noi bambini a piedi, loro, gli adulti in
automobile.
Ripercorriamo la strada che io e Mariam abbiamo fatto per arrivare al
campo base dei ribelli, spesso penso che aveva ragione, che ora non c’è più e
come mi sarebbe piaciuto sentirmi dire te l’avevo detto da lei. Non ho più
nessuno, mamma, papà, il nonno, Mariam e Karime sono tutti morti e gli altri
bambini non sono come i miei amici del villaggio: sono silenziosi, terrorizzati
e sottomessi, come me. Sembriamo fantasmi.
I ribelli si
stavano spostando verso est, dovevano affrontare l’esercito nemico per l’occupazione
della zona orientale di quella piccola zona del Sudan. Amar si fa coraggio e
fugge, non sopporta l’idea che presto potrebbe uccidere delle altre persone.
Non lo notano.
Cammino da due giorni e tre notti, non mi cercano, e se lo fanno non mi
trovano, sono fortunato. Ho trovato una roccia che può ripararmi dal freddo della
notte nel deserto e dalle tempeste di sabbia, mi nascondo e dormo.
Il sole non si è ancora svegliato, sento le esplosioni. Stanno
combattendo e non sono lontani. Mi alzo, corro, non penso, corro e basta. Ho
paura non voglio morire, non voglio tornare indietro, voglio andare dove voleva
andare Mariam, perché Kafrà aveva mentito a tutti? La guerra è terribile, non è
bella.
BAAAM!
Era una mina
antiuomo, l’arma che miete molte vittime in questa regione dell’Africa, un
ordigno che l’uomo ha creato con l’unico scopo di uccidere, chiunque, amici,
nemici, animali… qualunque cosa si posi sul terreno sopra ad essa innesca un’esplosione
e la morte è molto frequente. Amar è stato fortunato, se si può dire, è morto
subito senza soffrire, ma è morto. Aveva solo sei anni.
SPAZIO
AUTRICE
CIAO
RAGAZZI QUESTA E’ LA MIA SECONDA ONE-SHOT, SPERO CHE VI PIACCIA ANCHE SE A ME SEMBRA
UN TOTALE SGORBIO.
CON
QUESTA STORIA VOLEVO PERO’ FARVI CAPIRE CHE NON TUTTI VIVONO COME NOI E NOI NON
CI ACCONTENTIAMO DI TUTTO CIO’ CHE ABBIAMO SENZA PENSARE CHE BAMBINI E RAGAZZI
MUOIONO TUTTI I GIORNI PER QUESTI CONFLITTI O ALTRE RAGIONI.
SPERO
DI RICEVERE MOLTE RECENSIONI E VI
RINGRAZIO PER AVER LETTO ANCHE SE NON RECENSITE.
@SuperCannaGirl_