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Autore: Pwhore    30/05/2012    1 recensioni
Jack e Alex partono per una vacanza in una vecchia casa della famiglia Gaskarth e pian piano diventano sempre più affiatati, finché un vecchio ricordo non salta fuori dal cassetto e comincia a cambiare le carte in tavola per tutti.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Buonasera, vorrei ordinare due pizze"
Come al solito ero io a chiamare la pizzeria, mentre Jack spulciava qualche rivista sul divano o faceva zapping alla tv. A me non dava fastidio come compito, ma ogni volta che tornavo nell'altra stanza lo trovavo completamente assorto in qualche stronzata e niente, faceva tenerezza in una maniera assurda. Che poi si parla di Jack Barakat, farebbe tenerezza pure mentre mi scaccola, sempre che si scaccoli ancora. Non si può mai essere sicuri con uno come lui.
"Buonasera a lei. Ha già deciso quali desidera o vuole che le elenchi il nostro menu?"
Ormai il loro menu lo sapevo a memoria per tutte le volte che lo avevo scritto per Jack, per tutte le volte che avevo sbagliato a rispondere o per tutte le volte in cui ero stato costretto a farmi dare volantini per combattere la sua terribile e cronica indecisione. Che poi si trattava di una pizza, ma per lui era una specie di affare di stato che andava trattato con la massima serietà e che andava analizzato a lungo ogni singola volta, anche se alla fine sceglieva sempre la stessa solita cosa. Si può ben dire che sia un tipo strano.
"Ho già deciso, grazie"
"Perfetto, aspetti un attimo che prendo il quaderno delle ordinazioni"
Mi girai verso il salotto per dare un'occhiata al mio amico. Il chitarrista stava giocherellando con una ciocca di capelli mentre sognava ad occhi aperti su qualcosa che non m'interessa neanche approfondire. Aveva un'aria particolarmente carina, come al solito, e la luce della televisione ballava allegramente sul suo viso.
"Okay, proceda pure"
Scossi velocemente la testa e cercai di ricordarmi che pizza volesse.
"Due margherite e quattro birre, per favore"
Silenzio, poi una penna cominciò a scrivere freneticamente.
"Le pizze devo portargliele in quattro cartoni?"
"No grazie, non ce n'è bisogno"
Ancora silenzio, un silenzio gravoso e pesante. Stavolta era perché la cameriera pensava di star parlando con un alcolizzato o qualcosa del genere, ne sono certo, è sempre così quando ordino per me e Jack.
"Mi dia l'indirizzo, per piacere"
Okay, aveva superato la cosa e aveva deciso che non le importava, anche se continuava a comportarsi acidamente e come se fossi inferiore a lei. Le diedi il nostro indirizzo e lei m'informò che in una mezz'oretta sarebbe arrivato un suo collega fattorino e che dovevo dare i soldi a lui per ricevere le pizze. Manco fossi ritardato, cazzo. Le risposi mascherando l'irritazione e lei riattaccò bruscamente, neanche avesse appena finito di parlare con lo stronzo più stronzo del pianeta. Tirai il cordless sul tavolo senza fare rumore e respirai a fondo, liberando il fastidio che avevo in corpo e rilassandomi nuovamente. Era una cosa che facevo spesso quando ero arrabbiato, visto che mi seccava far sapere al mondo intero che mi giravano i coglioni, e devo dire che funzionava quasi sempre, se il motivo non era poi così importante. Scivolai in salotto e mi sedetti sul bracciolo del divano, rubando una patatina a Jack, che rimase in stato catatonico per un altro po' prima di accorgersene.
"Ehi" protestò, chiamandomi.
"Sì, Jackie?" risposi con voce dolce.
"Quella era mia" obiettò.
"Hai detto bene, era" commentai.
"Sei uno stronzo" constatò, alzando le sopracciglia e tornando alle sue patatine.
"Me lo dici spesso" mormorai, ma non come vera risposta visto che lui non mi stava più ascoltando. Lo guardai un attimo e mi alzai, dirigendomi verso la cucina. Mi appoggiai coi gomiti alla finestra e osservai la città dall'alto, mentre le luci delle case e delle macchine si accendevano e si spegnevano in continuazione. Sembravano tante lucciole che svolazzavano in un grande prato, alla ricerca di un compagno o di un posto adatto in cui riposare le ali. Erano un bello spettacolo da vedere, soprattutto perché il silenzio aleggiava ovunque e l'odore acre del mare mi riempiva le narici fino a farmi girare la testa. Mi piaceva il mare, quasi quanto quella città, ed ero felice di essere tornato lì, alle mie origini. Certo, ogni tanto ero tornato pure durante gli anni delle medie, ma non ero rimasto più di qualche giorno e soprattutto non avevo mai rivisto i miei vecchi amici, sempre che fossi stato in grado di riconoscerli. Effettivamente dovevano essere cambiati molto, proprio com'ero cambiato io. Forse si erano tinti, forse si erano tatuati qualcosa o forse si erano riempiti di piercing, oppure potevano aver lasciato la loro città natale anni prima. In ogni caso, non avrei potuto saperlo. Rimasi in contemplazione della notte per una ventina di minuti, quando il fattorino suonò nervosamente alla porta e fui costretto a spostarmi dalla finestra per andare ad aprirgli. Aveva una faccia stanca e stressata, e da come mi guardava si aspettava di vedermi esplodere in una qualche scenata patetica, tipica degli ubriachi persi e cronici. Non gli diedi questa soddisfazione e pagai velocemente, congedandomi appena possibile e portando la pizza in salotto, dopo aver controllato che fosse tagliata. Jack agguantò prontamente il suo cartone e mangiammo silenziosamente davanti alla tv, mentre migliaia di domande mi frullavano caoticamente per la testa.
Di chi era il diario? E chi aveva potuto lasciarlo qui, se non si fosse rivelato della mia famiglia?
Ma soprattutto, perché l'aveva lasciato così in bella vista da farlo trovare a una persona cecata come Jack?


Il giorno dopo mi svegliai col mal di testa. Mi tirai a sedere e mi stropicciai furiosamente i capelli, notando che ci eravamo addormentati sul divano e che la televisione mandava già i cartoni del sabato mattina. Controllai l'ora, confuso, domandandomi a che ora fossimo crollati la notte prima. L'orologio segnava che erano le otto e mezza circa, e la luce del giorno filtrava sul mio corpo dalla persiana semichiusa della porta-finestra, quella che dava sul terrazzo. Mugolai di stanchezza e mi diressi verso il bagno, mi lavai la faccia, mi vestii di corsa e scesi in cucina a controllare la situazione. Il chitarrista dormiva ancora -riuscivo a sentirlo russare flebilmente da lontano, così andai in cucina, apparecchiai per me e misi su la macchinetta del caffè. Aspettai che bollisse, lo versai in una tazza e ci aggiunsi latte e zucchero, poi tornai di là e lo posai sul tavolino, spegnendo la tv e spaparanzandomi sul divano. Presi un biscotto e lo morsi, contemplando la mia vasta collezione di dvd. Sentii dei versi stanchi e mi voltai verso il mio amico, giusto in tempo per vederlo aprire gli occhi e stiracchiarsi con un sonoro sbadiglio.
"Buongiorno Jack" lo salutai.
"'Giorno.. E' caffè quello?" biascicò.
"Caffè, latte e zucchero. Se lo vuoi è tuo, comunque" risposi, sporgendomi per prenderlo e passarglielo.
"Grazie" mormorò, portandosi la tazza alla bocca e bevendone un po'.
"E' da tanto che sei sveglio?" domandò.
"Una mezz'oretta circa" risposi.
"Ah" borbottò Barakat. Sbadigliò stancamente, posò la tazza e si stiracchiò di nuovo.
"Io.. credo che andrò a cambiarmi" m'informò.
"Ricorda, alle nove e quarantacinque qui" gli ricordai. Lui annuì distrattamente, si tirò in piedi e barcollò verso le scale, salendole con passo da elefante. Portai la tazza in cucina e finii di mangiare, misi tutto in lavastoviglie, buttai i cartoni delle pizze, pulii rapidamente la stanza e poi tornai in salotto, acchiappando il telecomando. La mattina c'era una grande varietà di cartoni, quindi mi misi comodo e le nove e quarantacinque arrivarono piuttosto velocemente.
"Sei pronto, Lex?" mi chiamò il chitarrista dall'attico, sistemandosi la maglietta.
"Eh? Oh, sì, arrivo" risposi, spegnendo la tv e controllando di avere le chiavi in tasca.
"A proposito, le tue chiavi sono saltate fuori?"
"Non ancora, questo pomeriggio dobbiamo cercarle per bene"
Annuii e uscimmo, chiudendoci la porta alle spalle e arrivando dal ferramenta nel giro di pochi minuti. L'uomo ci salutò cordialmente e ci disse che era andato tutto bene, che avevamo le chiavi e che la piccola sarebbe stata sicuramente molto felice di poter riaprire il suo diario così in fretta. Lo ringraziammo, pagammo e uscimmo velocemente.
"Cazzo, ti rendi conto, abbiamo le chiavi!" esclamò Barakat appena fuori.
"Aspetta, le metto nel portafogli così non le perdiamo alla prima occasione" lo avvertii.
"Cavolo, non vedo l'ora di leggere" continuò a gongolare.
"Quando lo apriamo? Eh, eh, eh?"
"Non lo so, Jack, in un momento di calma?" proposi, alzando le sopracciglia.
"Sì, va bene, okay, ma quando più precisamente?"
"Ah bho, che ne dici di stasera?"
"Ma come, stasera? Non sei curioso di sapere che c'è scritto?"
"Bhe, veramente non così tanto" ammisi.
"E' pur sempre il diario di uno sconosciuto" mi giustificai.
"E poi pensa se il proprietario tornasse a cercarlo e ci trovasse con la copia delle chiavi in una mano e il diario aperto nell'altra. Sarebbe una cosa tipo troppo imbarazzante, non credi?"
"Oddio ma ti pare? Ma manco nei filmi" 
"Bho sì, ma se-"
"Maddai, ti senti quando parli?"
"Okay, hai ragino, ma pprova a vederla da sotto questo punto di vista; se ce lo leggiamo stasera saremo soli e non ci sarà nessuno che potrà interromperci, impicciarsi o comunque disturbarci, giusto? Mentre invece se lo leggiamo ora lo faremmo di fretta e, peggio ancora, potremmo addirittura rischiare di perderlo"
"Okay, okay, mi arrendo, aspetterò" mi concesse.
"Però mi devi promettere che stasera lo leggeremo sul serio"
"Massì, certo, ti pare? Sennò che le abbiamo prese a fare, le chiavi?"
"Tu promettilo" ribatté.
"Okay, lo prometto. Va meglio ora?"
"Decisamente" sorrise.

Ci avviammo in giro per il paese a far baldoria e rimanemmo fuori fino alle nove e mezza circa, quando Jack decise che la sua pazienza era agli sgoccioli e che era ora di tornare a casa. Mangiammo un boccone al volo e rientrammo, io tranquillamente e lui correndo le scale a rotta di collo; ma appena fu arrivato alla fine il chitarrista si bloccò improvvisamente.
"Che c'è Jack?" domandai. Lui indicò la porta con un cenno del capo, tacendo. Era socchiusa. Mi sentii gelare il sangue nelle vene e deglutii, guardando in faccia il mio amico e perdendomi nei suoi occhi scuri, senza avere la minima idea di cosa fare. M'infilai una mano in tasca e tirai fuori un accendino, che l'altro mi prese dalle mani con fare sicuro. Le luci erano spente, quindi non potevamo sapere se ci fosse ancora qualcuno in casa, così Jack aprì lentamente la porta e scivolò dentro senza fare rumore, facendomi cenno di seguirlo e di andare a controllare in cucina. Mi feci strada con la torcia del telefono e notai che non c'era nessuno a parte me nella sala, quindi tornai di là alla ricerca del mio migliore amico e sperai che non avesse trovato niente. Nel salotto il buio era nero come la pece e sentii il peso sul mio cuore ingrandirsi a dismisura mentre m'inoltravo, lentamente, nella stanza. Sentii un rumore di passi provenire da di sopra e mi bloccai, terrorizzato. Sibilai il nome di Jack ma non udii risposta, quindi deglutii e mi avvicinai alle scale, cercando di salirle il più silenziosamente possibile per non dare nell'occhio. Una volta di sopra, mi fermai e respirai un paio di volte per recuperare un minimo di calma, poi mi diressi verso il bagno e tesi le orecchie. Sentii di nuovo un rumore di passi, quindi acchiappai la cosa più vicina a me e spalancai la porta, accendendo in contemporanea la luce e gridando a quel qualcuno di fermarsi, qualunque cosa stesse facendo, e di mettere le mani in alto.
"Alex?" mormorò il qualcuno.
"Sì?" risposi, col fiato corto.
"Sei un coglione" constatò il chitarrista. Rimasi in silenzio, mentre lui accendeva la luce sul corridoio e dava un'occhiata di sotto, per vedere se fosse venuto fuori qualcuno, con tutto quel trambusto.
"Niente.. evidentemente se n'erano già andati" commentò. Tirai un sospiro di sollievo e mi appoggiai al muro, chiudendo gli occhi e rallentando il respiro.
"Scusa Jack" mormorai.
"Fa niente, aiutami a vedere se manca qualcosa piuttosto" ribatté lui, scendendo velocemente le scale. Entrai in camera da letto e aprii i cassetti, poi andai nella camera degi ospiti e di nuovo nel bagno, ma fortunatamente non sembrava mancar nulla.
"Hanno preso qualcosa, da giù?" gli domandai, raggiungendolo.
"Niente" rispose, scuotendo la testa pensieroso.
"Però ho ritrovato le mie chiavi" disse, mostrandomele.
"Assurdo, vero?"
Annuii. Completamente e decisamente assurdo. Sembrava che il ladro fosse tornato per riportarcele.
"Chiudi la porta e vediamo di evitare altri contrattempi" borbottò il ragazzo, lanciandole nella fruttiera.
"Oh, e accendi tutte le luci. Ora come ora, non mi sento per niente al sicuro" ammise, mettendo a fuoco le mie paure. Annuii nuovamente e salii di sopra, prendendo delle coperte e dei cuscini e chiudendo tutte le porte bene a chiave dopo il mio passaggio, quindi raggiunsi il chitarrista in salone.
"Vuoi leggere il diario?" domandai. Lui annuì.
"Magari così riusciamo a rilassarci un po'" spiegò, stringendosi le mani.
"Vuoi aprirlo tu?" gli proposi, tirandolo fuori dalla tasca dei pantaloni e passandoglielo.
"D'accordo" acconsentì, infilando la chiave e girandola.
"E' davvero un diario.." mormorai, stupito.
"Non c'è scritto il nome" osservò il chitarrista, controllando la prima e l'ultima pagina.
"Se è per questo, è anche un po' sbiadito" aggiunsi, notando delle pagine mezze cancellate.
"Significa che abbiamo tra le mani qualcosa di antico?" chiese Jack.
"Bhe, antico non direi, ma vecchio o malconservato sì"
"Capisco" annuì. Poi mise il diario in mezzo e cominciò a leggere.
   
 
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