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Autore: njaalls    30/05/2012    11 recensioni
Uscimmo e guardai il cielo che poco prima era nero, ma che ora vedevo semplicemente blu. Tranquillo e sereno.

«Chissà per quanto andrà avanti così» disse una voce maschile accanto a me diversi minuti dopo, mi voltai sorridendo e notai il ragazzo, guardare oltre il vetro con la testa piegata di lato e un'espressione corrucciata sul volto.
«Io odio la pioggia» sussurrai.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Ciao, ti posso portare qualcosa?» un ragazzo di una bellezza mozzafiato e di qualche anno più grande di me - sicuramente - si era appena avvicinato al mio tavolo con una matita in una mano e un blocchetto nell'altra, era stato silenzioso, perché non l'avevo nemmeno sentito arrivare. Capelli corvini, un sorriso focoso su delle labbra piene e carnose e degli occhi scuri e profondi come pozzi, pronti a risucchiarti e a non lasciarti andare.
Di fronte e quella figura, imponente e ferma, mi senti minuscola e leggermente agitata, mi aggiustai il vestito a fiori nervosamente e cercai i suoi occhi, che poco prima avevo attentamente analizzato. Mi guardava, abbassato leggermente verso di me, in attesa - suppongo - di una risposta. Scossi la testa e prestai attenzione alla domanda che mi aveva appena posto con voce melliflua, cercando una risposta di senso compiuto nel mio cervello.
«Io-» borbottai impacciata, prima di sospirare affranta. «Potresti passare tra qualche minuto che guardo il menù? Il libro mi ha completamente distratta»
Rise, sfoggiando il sorriso più bello che avessi mai visto, di quelli perfetti per un pubblicità di dentifrici, e annuì, lasciandomi sola e in preda ad un attacco di nervosismo e vergogna, così lasciai perdere Shakespeare per un momento e mi concentrai sull'elenco di prelibatezze poggiato sul tavolo, optando per un caffè e una fetta di torta. In attesa che il cameriere tornasse, allontanai il libricino da me e guardai fuori, mentre stavo seduta su quella panca e dura. Il tempo era peggiorato e pioveva, che novità, eravamo a Bradford, cosa speravo? Che il sole spuntasse dalle nuvole? Che un po' di luce entrasse finalmente nella mia vita? Ridacchiai, riflettendo su quei pensieri e giocai con gli anelli che portavo alle dita. Ne facevo girare prima uno, poi un'altro.
«Chissà per quanto andrà avanti così» disse una voce maschile accanto a me diversi minuti dopo, mi voltai sorridendo e notai il ragazzo, guardare oltre il vetro con la testa piegata di lato e un'espressione corrucciata sul volto.
«Io odio la pioggia» sussurrai, ma cercando di farmi comunque sentire, mentre giravo di nuovo la testa verso il mondo fuori da quel bar del centro, quando tornai a lui, mi lanciò uno sguardo consenziente, prima di sorridermi.
«Allora, cosa posso portarti?» domandò gentilmente, battendo il tappo della penna su un blocchetto di carta, si morse un labbro e io trattenni il fiato. Quando alzò un sopracciglio, perplesso sul mio silenzio, gli dissi ciò che desideravo e lui si dileguò con un altro sorriso.
«Ecco a te» annunciò, diversi minuti dopo, interrompendo il mio silenzio e la mia lettura, poggiò il piatto con la fetta di torta sul tavolo e anche la tazzina bianca in ceramica.
«Grazie» sorrisi imbarazzata, vedendolo ricambiare.
«Shakespeare» mormorò poi, guardò il libro che tenevo tra le dita sfilate con amarezza e scosse la testa. «Credo di averlo studiato»
«Credi? Solitamente si sa quello che si studia» ribattei scherzosa, pentendomene subito dopo aver sentito il suo sguardo trapassarmi con interesse e le mie guance andare a fuoco.
«Le persone normali lo sanno» mi rimbeccò con un mezzo sorriso e picchiettando le dita sulla superficie fredda del tavolo.
«Tu non lo sei?» domandai, sentendomi una stupida. Stavo davvero flertando con un ragazzo che non conoscevo? Dov'era finita la ragazzina timida e insicura, sempre messa alle strette dai propri genitori? Intanto lui fece no con la testa e rise appena, mordendosi piano la lingua tra i denti. Il mio cuore perse un battito.
«La normalità è banale. Diciamo che io a scuola ero un ragazzo.. Indipendente» fece spallucce, con aria di chi la sapeva lunga e forse era davvero così. Oltre quella facciata da ragazzo pulito, aveva davvero qualcosa di curioso, non era soltanto il ragazzo che dava a vedere.
«Tradotto in parole povere: ti facevi i fatti tuoi e mandavi a quel paese tutti» buttai lì e ridemmo entrambi.
«Hai afferrato il senso» ammise, poi scosse la testa e il suo ciuffo nero rimase perfetto, all'insù, mentre il cuore andava avanti e indietro all'impazzata. Un cliente lo chiamò e lui si voltò con un'espressione stanca e scocciata sul volto, prima di tornare su di me.
«Devo tornare a lavorare» mi disse, facendo uno smorfia. «Buono studio.. Ah, dimenticavo, offre la casa» e ammiccò, mandandomi in iperventilazione.
Prima che potessi anche solo fiatare, era già lontano a servire l'ennesimo cliente, stretto in un paio di jeans aderenti e in un grembiule blu notte, mentre procedeva con un'andatura stanca, ma veloce.


Chiusi il libro e mi stropicciai gli occhi che bruciavano, mi alzai e riposi Shakespeare nella borsa. In piedi, mi aggiustai il cardigan e tirai un po' su i jeans dalla vita, misi la tracolla su una spalla e mi pettinai i capelli biondi e ribelli che mi cadevano sulle spalle in grovigli complicati. Lentamente avanzai verso la cassa e aspettai qualche secondo che arrivasse il ragazzo, per pagare la mia ordinazione. Non me ne sarei andata senza nemmeno provare a saldare il conto, era del tutto escluso per i miei principi.
Quando arrivò, tranquillo e con il capo chino, non mi guardò, perché troppo impegnato a leggere uno dei suoi fogli. Poi alzò lo sguardo e aggrottò la fronte. «Che ci fai qui?»
Alzai un sopracciglio, facendo un sorriso e stringendomi nelle spalle. «Vorrei pagare?»
«Offre la casa» rispose con tono scontato e un sorriso di sbieco, ricambiai e chiusi il portafogli, accettando l'idea di farmi offrire il pasto.
«Allora, grazie» sussurrai riconoscente, faci un passo indietro e piegai di lato il capo, guardandolo attentamente. «E ciao»
Lo osservai un'ultima volta con un sorriso e lui fece lo stesso, analizzando ogni dettaglio e ogni movenza cauta e attenta, prima di girarmi e uscire sotto la pioggia, con le gote accaldate.
Percorsi il marciapiede, alzandomi il cappuccio della cappotto nero sui capelli, prima di attraversare la strada allo scattare del verde, cercai un posto dove potermi riparare temporaneamente, ma poi qualcuno alle mie spalle urlò, facendomi arrestare di colpo.
«Dimmi solo come ti chiami» mi fermò tenendomi per un braccio e io mi voltai, sentendomi piacevolmente colpita dalla sua presa salda delle sue dita lunghe. Rimasi immobile quando lo vidi zuppo, starmi di fronte, in attesa di una risposta e lo sguardo corrucciato.
«Ariana» sussurrai appena, cercando di bere meno acqua piovana possibile.
«È bel nome» sentenziò, sorrise e annuì come per convincersene. «Ci rivedremo allora, Ariana»
Sorrisi, mentre bella mia mente la sua voce continuava a ripetere il mio nome, lui iniziò a correre verso il bar e io mi sentii sopraffare dall'ansia.
«Ma io non so il tuo!» gridai per farmi sentire sopra il rumore del macchine e della pioggia che batteva insistentemente sull'asfalto. Ormai lontano, si girò e mi sorrise, i capelli schiacciati e bagnati sulla fronte e gli occhi scuri puntati su di me.
«Zayn!» urlò in risposta, prima di ammiccare e scomparire dentro il locale poco prima abbandonato.





«Ma non lo capisci proprio? Lo amo. Non mi interessa che a te non piaccia, non mi uscirò nemmeno con quello stupido, viziato, antipatico, figlio di papà che ti piace tanto solo per i soldi che hanno i suoi. È chiaro?!» gridai agitata, muovendo le mani e gesticolando come una forsennata. Cercavo di far capire a mia madre che non c'era niente da fare e che, se avessero continuato ad insistere, me ne sarei andata di casa, senza più ritorno, ma parevano essere assai restii dal credermi. Probabilmente perché ero stata sempre la figlia modello, apparentemente perfetta in ogni sua sfaccettatura, ma ero stufa di quella maschera e la verità era, che non mi era mai appartenuta.
«Will!» disse lei più alterata di me, con voce stridula. «Falla ragionare, per piacere!»
Mio padre fece la sua comparsa in camera mia, proprio mentre chiudevo la cerniera della valigia e mia madre disfaceva tutto quello che costruivo.
«Dove credi di andare?» chiese calmo, forse era convinto che non ne avrei avuto il coraggio. Probabile, ma avevo smesso mi essere la figlia perfetta che accontentava tutti, volevo essere Ariana, quella vera: brava sullo skate, quella a cui piaceva leggere e abbuffarsi contemporaneamente di ciambelle al cioccolato, quella con i jeans strappati alle ginocchia e i maglioni larghi a coprire i fianchi. Ero questo e non avrei mai più potuto sopprimerlo.
«Via di qui? Da voi?» domandai retorica, sentendo la rabbia montarmi dentro, ogni istante di più. Pensavo si capisse abbastanza, no?
«Quel ragazzo ti ha portata verso una brutta strada» continuò mia madre, lamentandosi e dondolandosi a ritmo regolare sul materasso della mia camera. Così mi fermai di colpo davanti a lei, con la valigia già in mano, e scoppiai a riderle in faccia, sentendo il nervosismo divorarmi.
«Ma dai, ma se non ci sei mai a casa, che ne sai tu?» riabbattei, poggiando le ruote del trolley per terra e mettendomi poi una mano sul fianco. «È vero, da quando l'ho conosciuto ho ignorato qualche coprifuoco, ho fumato degli spinelli e ho fatto sesso per la prima volta, ma mi ha portata via dal vostro mondo, fatto di fronzoli e facciate, e ne sono sinceramente contenta » sputai arrabbiata.
Senza averlo previsto cinque dita arrivarono sulla mia guancia provocando un forte dolore, bruciante sulle gote rosse, sembrava fuoco. Dopo l'impatto della mano di mio padre con la mia pelle, la testa si era voltata lateralmente e non aveva trovato più la forza di tornare a posto, sbarrai gli occhi e tentai di ricordarmi quando era stato l'ultimo schiaffo che avevo ricevuto dai miei: nemmeno lo ricordavo, segno che avevo sempre fatto tutto ciò che volevano.
«Pensi davvero che potrete andare avanti con una paga da cameriere, mentre tu studi? Hai solo diciotto anni, dici davvero, Ariana?" continuò lei, per niente scalfita dal gesto del marito. Mi ripresi subito dopo dei secondi di trance, scendendo le scale velocemente e facendo attenzione a non ruzzolare giù e rompermi il capocollo.
«Si dico davvero» confermai, mentre mi obbligavo con la forza volontà di non scoppiare a piangere e stringevo lo sguardo.
«Esci e non potrai tornare più» ululò mio padre ancora alla fine dei gradini, l'età era arrivata anche per lui e arrancava contro le fatiche.
Presi la giacca di pelle e mi voltai, mia madre era in lacrime, appoggiata alla sua spalla, mentre lo sguardo era furibondo puntato su di me.
«Credo che correrò il rischio» dissi però, non facendomi abbindolare dalle loro moine. «Papà, mamma.. Ciao»
Feci dei passi indietro e poi mi voltai, dandogli le spalle e chiudendo con un tonfo la porta di quella che fino a quel momento era stata anche mia. Uscii così in strada e cominciai a correre, correre verso lui, mentre il cielo diventava scuro, sia per l'orario ormai tardo, sia perché di lì a poco sarebbe piovuto. La gente mi guardava male, come se non avessero mai visto una persona disperata, correre per strada, con dietro un trolley, mentre io tentavo di ignorare quegli sguardi che parevano sapere tutto, ma che in realtà non sapevano niente. Un uomo mi venne di sopra e io gli rifilai una serie di insulti, lasciandolo spiazzato in un primo momento.
«Ragazzina, modera il linguaggio» mi urlò contro, indignato. Ma che ne sapeva lui di cosa stavo passando o di cosa stavo facendo? Che ne sapeva lui, che mio padre mi aveva appena schiaffeggiato e dato un avvertimento permanente? Non avrei potuto avere più una casa, per quello che mi riguardava, e quell'uomo non sapeva nulla di me. Per tutta risposta alzai il medio e andai avanti, infischiandomene.







Aprii la porta e il campanello sulla mia testa suonò, lui si girò e il suo sorriso sincero mi fece dimenticare tutti i problemi, le perplessità e i timori che mi attanagliavano lo stomaco.
«Ariana» mi chiamò soavemente, si avvicinò e mi lasciò un bacio sulle labbra con le sue piene e carnose. «Arrivo, tu siediti»
Obbedii e mi sedetti su una delle panche del locale, mentre lui guardava interrogativo prima me e poi la valigia, per poi tornare ad ascoltare distrattamente il cliente da servire. Ogni tanto tornava con lo sguardo a me e, sapevo, che aveva già capito tutto, come sempre, voltai ugualmente lo sguardo verso il mondo fuori dalla vetrata per attirare meno la sua attenzione sulla mia figura e aspettai in attesa il momento d'esser sua. Per essere quasi le sette, vicino all'orario di chiusura, c'era parecchia gente, quindi mi chiesi quando avrei potuto parlargli tranquillamente e senza andare di fretta, tra un ordine ed un altro, ma mi sbagliai, perché poco dopo arrivò e si sedette accanto a me, stringendomi con un braccio.
«Che succede? Dimmi che non l'hai fatto» disse lanciando un'occhiata corrucciata alla valigia al mio fianco. Presi fiato per spiegargli la situazione, ma la mia pancia brontolò. Rise di gusto, per smorzare la tensione che si era venuta a creare e io gli diedi uno schiaffetto affettuoso sul braccio, sentendolo fremere. «Ti prendo qualcosa da mangiare?»
Tornai seria, lasciando che le mie dita giocassero con l'orlo della sua camicia, e dissi di no, mordendomi un labbro.
«Ti ascolto» mi incitò, svitando e avvitando il tappo dello zucchero, con fare nervoso.
«Sono andata via di casa e ho litigato con i miei» spiegai.
«Immaginavo. E penso di sapere pure chi sia il soggetto della discussione» mormorò colpevole, strofinando con il viso nei palmi delle mani. «Non avresti dovuto»
«Perché non avrei dovuto? Tu non li hai sentiti parlare» protestai.
«Ma sono i tuoi genitori e hanno maledettamente ragione. Che ti posso dare io? Niente, sono un cameriere di un bar che non è nemmeno andato all'università e che guadagna pochi soldi" sbottò alzando la voce.
«A me non me ne frega niente di loro! E non mi interessa che tu-» gli occhi tornarono a pizzicare e mi girai verso la strada, lontana da Zayn, per non dare troppo spettacolo. «Voglio solo stare con te» sussurrai.
Poi sentii le sue labbra poggiarsi sul mio collo e le sue mani trovare le mie, sotto il tavolo, mi diede un bacio delicato sotto l'orecchio e mi accarezzò con la punta del naso impercettibilmente.
«Non sarò mai il tipo di tua madre e tuo padre non mi guarda nemmeno negli occhi, se fossi in loro fare lo stesso. Mi chiederei, dove va la mia bambina con quel ragazzo pieno di problemi» mormorò piano. «Ma per te cambierò, perché se ti perdo non ci sarà più luce e niente cieli sereni»
Mi voltai verso di lui e lo obbligai a guardare i miei occhi, il cuore impazzito mi mozzava le parole sul nascere, ma non mi sarei fermata per nulla al mondo.
«Ti amo» sussurrai avvicinandomi a lui e baciandolo, premendo le mie labbra piene contro le sue altrettanto formose. Era bello, era da togliere il fiato ed era mio.
«Ora andiamo a casa» mi disse dopo esserci staccati, mi aiutò ad alzarmi dalla sedia e poi poggiò le sue grandi mani sui miei fianchi.
«Casa tua, vero?» mi preoccupai un po', ma non mi avrebbe mai costretta a tornare dai miei, ero fiduciosa in lui al cento per cento.
«Nostra» sorrise e prese la mia valigia come un gentiluomo, mi condusse fuori dal locale e mi cinse le spalle con un braccio.
«Sembra che il brutto tempo ci abbia ripensato» commentai, guardando il cielo con le sopracciglia aggrottate e provocando così la sua risata.
«È il nostro amore» mi sussurrò all'orecchio facendosi d'un tratto serio, mi stringeva così forte, che non saremmo più stati in grado di separarci, ma non me ne lagnai. Anzi, saperlo così vicino, mi fece sentire più leggere, capace di affrontare un esercito o un branco di leoni, perché con lui diventavo nel mio piccolo invincibile. «Comunque, ti amo anch'io»








Sono tornaaaata.
Lo so, rompo. Ma mi è venuta così, dal nulla. Anzi, da una fatastica recensione, di una fantastica lettrice della mia altra ff.
Nonhounnome, ti sarò debbitrice. Ahahaha, grazie. Sei fantastica!
Spero che vi sia piaciuto, perchè io amo Bruno Mars. Alcune delle battute di Zayn sono, appunto, di it will rain, che io trovo una canzone meravigliosa.
Grazie per aver letto, aspetto qualche recensione (?) ç.ç

Lot of love,

Georgia



  
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