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Autore: Bake di Cera    30/05/2012    2 recensioni
Stringere gli occhi e durante il concerto controllare il cellulare, scrivergli, chiedergli come sta. Tentazione di dirgli dove sono. Non lo faccio, che senso avrebbe? Non posso più scherzare con lui delle mie fissazioni.
[Storia di MedusaNoir]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tuesday

Maybe stories are just a stories.

Or maybe… We can make our life a story.

Richard Hardbeck, Skins

 

Mi ha lasciata.

Parole che esplodono nella testa, mi fanno male, sanguino. Lo sento.

Andrea mi ha lasciata.

Paralizzata: gli occhi di Medusa mi fissano, non ho paura, resto impassibile. Il dolore interno è tremendo perché è in silenzio. Cosa aspetta? Perché non esce, perché non mi aggredisce? Preferisce ridurmi a brandelli dall’interno.

– Finalmente li stiamo andando a vedere! Il nostro primo concerto!

Un sorriso. È vero: vedrò Gabriele, lo sentirò cantare. Quante volte gli avevo parlato di lui? I testi del musical appesi all’armadio della mia stanza a Viterbo, lo sguardo di Andrea quando pronunciavo il suo nome.

– È un bel ragazzo! Non mi piace davvero, non fantastico su di lui, tranquillo. Io amo te, dovresti saperlo.

Stringere gli occhi e durante il concerto controllare il cellulare, scrivergli, chiedergli come sta. Tentazione di dirgli dove sono. Non lo faccio, che senso avrebbe? Non posso più scherzare con lui delle mie fissazioni.

 

– E a salire sul palco questa volta sarai tu!

Scoppio a ridere, mentre la canzone sbatte contro i vetri della macchina e torna alle mie orecchie.

– Al secondo concerto? Sarebbe bello, però…

– Non ti sentiresti in imbarazzo?

– Certo che mi ci sentirei, mi vergognerei un sacco!

Perché tendere una mano verso di me? Perché farmi salire sul palco? Vi sarò debitrice a vita: l’esplosione di pochi giorni prima si attenua nel ricordo, non ci sono più crisi isteriche sul letto, parole accusatorie rivolte a lui, pianti al telefono e incapacità di chiudere la conversazione, sapendo che sarà l’ultima. Non c’è più Andrea, mi lascia sola questa sera. Guardo gli occhi di Gabriele, che altro potrebbe esserci?

Non mi vergogno di fare una foto con lui, di sapere che la mia cotta sia evidente. Non è niente di importante, voglio solo dimenticare Andrea, voglio concentrarmi su un ragazzo irraggiungibile: troppo grande, troppo bello, troppo poco simile a me. Troppo diverso da lui: è quello che mi serve ora.

 

Mi ha cercata?

– Non posso crederci, mi ha scritto!

Un saluto, un riconoscimento. Sì, sono io la ragazza sul palco accanto a te all’ultimo concerto. Che canzoni interpreterete del musical? Speravo faceste qualcosa del secondo atto. Non vedo l’ora di ascoltare la tua prima canzone, mi piace tantissimo!

– Ma ti sei messa a piangere davvero?

– Non mi aveva detto che avrebbero fatto quella, è così bella! E poi ero emozionatissima, è la prima volta che sentiamo il musical…

– Andiamo a fargli i complimenti?

Che bravo sei stato. Non sono di Viterbo, ti correggo, lo stavi dicendo a un tuo amico. Certo che verrò al tuo compleanno, anche gli altri saranno d’accordo.

 

Fra poche ore ho un esame e seduta al bagno per non disturbare la compagna di stanza tengo il libro sulle ginocchia e penso a Gabriele. Dovrei ripassare, ma pensarlo mi fa sorridere, mi piace abbandonarmi alle fantasie.

Cosa faccio stasera? Non posso dirgli che ho invitato gli altri a dormire da me, è l’ultimo giorno in cui i miei sono in vacanza.

Verremmo anche noi al concerto, la strada è lunga, potrei farcela, il problema sarebbe il ritorno, guidare così tanto di notte, ogni tanto desidero avere una casa a Roma, sarebbe splendido se potessimo dormire da te, non vorrei disturbare, sento Lidia, prendiamo il treno, ti lascio il mio numero per qualsiasi eventualità, ci vediamo alla stazione della metro, ora corro a vestirmi.

Come è bello, come sono incapace di spiccicare parola. La sua mano sul mio ginocchio, mi sprona a parlare, a cantare con loro in macchina, ma mi vergogno, sono stonata.

È una situazione così strana, non avrei mai immaginato di essergli così vicino, di dormire da lui. Vedere casa sua. Parlarci. Ho paura a sorridergli.

Si volta sotto il palco, mi guarda, ma non sopporto la calca, il gruppo non mi piace. Per lui resterei, mi allontano solo un po’ per parlare con loro due, sono simpatici, aspetterò la fine del concerto per stare con lui, così vicini al palco non riusciremmo nemmeno a parlare.

Chi è quella che ci sta provando con lui?

Perché le prende la mano?

La fa salire in macchina?

La porta a casa con noi?

Non so da dove sia arrivato il sonno, nell’altra stanza si stanno spogliando.

Sono un’imbranata.

Ma in fondo Gabriele non è niente per me, mi risveglio e vederlo con lei non è così tanto fastidioso. Un leggero pizzico.

 

Sarà l’ultima volta che vedrò Andrea per caso, questa è l’ultima notte che passo  a Viterbo: è inutile continuare a pagare l’affitto, domani Simona parte per l’Erasmus e io non avrò più nessuno qui.

– Sai, credevo che l’avresti presa peggio per lui. Mi hai stupito.

Ho salutato Andrea, sono scoppiata a piangere davanti ai miei amici.

– Non riesco nemmeno a prenderti in giro.

Come è bello con quei capelli blu, sono passate tre settimane dalla sera a Viterbo, ma Andrea è ancora nell’aria. Non devo pensarci, mi concentrerò su Gabriele. Non si fila la ragazza dell’altra volta, forse ho ancora qualche possibilità.

Mi saluta, il tocco della sua guancia è ossigeno. Davanti a lui Andrea sbiadisce, è il modo migliore per dimenticarlo; devo solo concentrarmi su Gabriele.

 

Sono bellissima, ho comprato un vestito nuovo, scarpe nuove, reggiseno nuovo, trucco fatto, spero mi guardi stasera, è un mese che non lo vedo.

Ha i capelli neri, non sa cosa significhi per me. Non lo sapeva nemmeno quando li aveva blu.

È bellissimo, sono bellissima, non mi sento mai bella, stasera potrei farcela.

Chi è la ragazza con lui? Patetiche effusioni d’affetto, la botta allo stomaco dura solo pochi minuti. Non può veramente stare con una bionda del genere; no, sono io che non posso soffrire perché è con lei. È arrivato il momento di lasciarlo perdere.

 

C’è anche Gabriele alla cena stasera, non l’ha portata con sé. Non mi siedo davanti a lui apposta, non volevo essere in fondo al tavolo, sembra che l’abbia fatto per stargli vicino. Non devo pensare a lui, non importa se non riuscirò a parlare: non devo conquistarlo.

– La collana di L.

Punto debole. Perché conosci i manga?

– La scena più bella è quella in cui Light gli lava i piedi prima di tradirlo.

Lo è anche per me.

In macchina parla con Sara di Video Girl Ai, non l’ho mai visto, andrò subito a comprarlo. Voglio avere qualcosa di cui parlare con lui. Ma non mi interessa più, sapevo che era solo un diversivo per non pensare ad Andrea, posso lasciarlo perdere facilmente.

Non importa se siamo al laghetto con la chitarra e lui si siede accanto a me. La mano sfiora la mia per caso. La sua voce così vicina. Canta quella canzone.

Non importa, ma le stelle stasera sono così belle.

 

Sono a Londra e penso ad Andrea, dovevamo andarci insieme; il mio cellulare è rotto, e se dovesse mandarmi un messaggio? Ho bisogno di essere contattata, voglio tornare, voglio riavere un telefono. Nel letto la notte mi assale la tristezza, pensieri spaventosi mi assalgono mentre fisso immobile la metropolitana. Non sono così debole, posso resistere, devo farmi forza, c’è sempre un’alternativa, devo seguire il consiglio della psicologa.

Torno e c’è un concerto, posso pensare ad altro. Andiamo via presto, il tempo di vedere quella bionda fare la bionda.

 

Il primo concerto in cui siamo solo io e Lidia, la giornata più divertente; da maggio ho iniziato a conoscere persone nuove, ci salutiamo senza neanche esserci mai presentati. Gabriele arriva con lei, ci saluta, canta, io sono di nuovo sul palco.

Guardami, il tuo ragazzo mi stringe al petto, mi accarezza i capelli, devo solo illudermi che non sia una canzone.

Prima notte a Roma, alle due ho la psicologa a Viterbo; passo all’università, incontro Andrea. Settembre sta finendo e non lo vedevo da luglio.

Ero a Roma, ieri c’è stato un concerto, dimmi come vanno le cose, voglio sapere dei tuoi gatti, Pulce mi manca molto, facciamo un pezzo di strada insieme, fra poco inizio il tirocinio in biblioteca, ci vedremo.

– Le dirai che mi hai incontrato? Parlerai male di me?

– No, perché? Sto bene, sul serio. Ma le dirò di averti incontrato.

Non le dico di averlo incontrato.

Il dolore torna improvvisamente, forse non ho lottato per lui.

 

– Mi piace vestirmi così, però mi sento a disagio… La maglietta mi casca, non voglio restare nuda! E questa gonna è troppo corta, devo tirarla giù di continuo, è fastidioso.

Vedo Gabriele e faccio un respiro profondo. Posso farcela.

Non posso farcela. Mando un messaggio a Erica, lei mi rassicura, ma non è qui, non può sapere.

Vado a prendere qualcosa da bere, si avvicina al bancone, parla con noi: ritrovo il sorriso.

Dopo il concerto parliamo ancora, sento il suo sguardo sul mio seno. Forse è questo il modo migliore per conquistarlo.

Bacia Lidia prima di andare via, mi abbraccia. Perché abbraccia solo me? Questo poncho è ridicolo, ma la sensazione sul viso è bellissima, voglio portarlo con me. Mi piace essere stretta da Gabriele. Mi piace anche il suo poncho ora.

 

– Lorenzo ci ha invitate al suo compleanno, ma siamo a Viterbo, non facciamo in tempo.

– Scendi da me, ceniamo di corsa a casa mia, ti presto qualcosa da mettere. Voglio vedere Gabriele, ti prego! Facciamo una corsa, arriviamo tardi, ma almeno lo vedrò!

Scelgo qualcosa di scollato, ci proverò di nuovo. Proverò a essere un’altra.

Gli sono seduta davanti ancora una volta; ogni tanto mi volto verso Lidia, quando mi giro di nuovo lui ha lo sguardo sui miei capelli. Lidia dice che mi osserva spesso.

Perché non il seno, perché i capelli? Che bella sensazione.

 

Vorrei parlarci, non ci riesco. È così bello. Non mi sembra che mi guardi stavolta. Sembra arrabbiato. Avrà litigato con lei?

Qualche parola, ci incontriamo fuori dal bagno. Vorrei metterlo in tasca e portarlo con me.

Dopo Halloween c’è un altro concerto, lui canta Somebody to love e gli sguardi dei miei amici sono puntati su me.

Non trattengo l’insofferenza verso la bionda, voglio che si lascino, cercherò in ogni modo di portarglielo via, lui deve stare con me.

 

– Gabriele viene con due amici. Daniela non c’è.

– Corri, prestami una maglietta carina, anche scollata!

Bevo perché sta tardando, forse non arriverà. E io perché ho cucinato? Perché ho questa maglietta?

C’è e siamo seduti vicini, si allontana e faccio in modo di stargli ancora accanto; ai ragazzi piacciono le pazze, bacio la mia amica, sono piena di panna sulla maglietta e tra i capelli.

Vado in bagno, nonostante il vino, la birra e lo sguardo sfocato allo specchio vedo quello che sono.

Non è possibile.

Dovevo solo dimenticare Andrea, perché sto facendo questo? Io non indosso magliette scollate o minigonne che poco nascondono, non mi trucco così pesantemente, non mi comporto da scema. Io tengo a ciò che le persone presenti in questa casa pensano di me, e allora perché sto facendo la stupida davanti a loro?

Trattengo le lacrime, meglio andare in cucina, forse in frigo c’è un pezzo di cioccolata. Ho bisogno di questo, mi tirerà su.

Apro lo sportello e seduta scoppio a piangere.

Non si tratta più di dimenticare qualcuno.

Io non voglio fidanzarmi, io non voglio soffrire come ho fatto mesi fa, io non voglio più fidarmi di nessuno. Non posso perdere la testa per lui, che mi farà sicuramente soffrire.

Braccia mi stringono, c’è chi è accorso al mio grido silenzioso e forse voleva solo mangiare qualcosa; sento la voce di Gabriele venire dal corridoio, la sua risata.

– Non ridere, non ridere!

Io amo la sua risata.

Entra in cucina anche lui, si siede davanti a me, fingo di bere del succo d’arancia per spiegare perché mi trovi davanti al frigo, ma sto piangendo.

– Cos’hai?

– Non posso dirlo proprio a te.

Mi guarda, respira profondamente, mi prende per mano e andiamo in camera, chiude la porta e mi abbraccia.

Cos’è questa sensazione? È tutto a posto. Non c’è niente che non vada. Il mondo gira ed è così bello, non ho mai sofferto in questi mesi. Il passato è sparito, non penso a un futuro, c’è solo quel presente. Io guardo sempre al passato, io agisco sempre in vista del futuro prossimo, devo avere tutto sotto controllo. Ma in questo momento la mia testa è contro il suo petto e il resto non conta. Lui è qui, mi accarezza i capelli.

– Va meglio?

– Sì…

Perché dovrei stare male?

– Noi non siamo amici, ci conosciamo, ma… Non possiamo dirci amici… Perché lo stai facendo?

Si allontana, si siede sul letto, le sue parole.

– Hai detto che non potevi dirlo proprio a me.

Mi avvicino, sono in piedi davanti a lui, mi guarda la collana ed è tutta una favola, la sto vivendo davvero.

Quegli occhi sono stupendi, ma non posso osservali così spudoratamente, chiudo un momento i miei e l’istante dopo sento le sue labbra.

Tutto è così giusto.

 

Non ho paura di guardarlo, fisso i miei occhi sui suoi e sorrido, mi sorride di rimando. Continuiamo così, non ci evitiamo, non ci proviamo neanche.

Mi chiamerà domani, ha detto. So che non lo farà.

Non mi ha chiamata.

È passato un giorno, mi ha scritto per scusarsi e mi ha chiesto come stessi.

Dopo una settimana me lo chiede ancora. È una follia sperare?

 

Cancellare dal mio corpo le tracce di Andrea, sentire altre mani, ancora, ancora. Non importa di chi siano, le voglio addosso, voglio le mie sul suo petto; nemmeno un bacio, non è quello che cerco. Voglio cancellarlo, vorrei completamente avvertire altro dentro di me, fuori, sulla pelle.

Non provo nessuna sensazione, il piacere è automatizzato, so che devo reagire in un determinato modo e lo faccio, so che devo lanciare gemiti e lo faccio. Non provo emozioni, dopo mesi continuano a mancare. Solo quella sera le avevo provate.

Potrei anche fare sesso, cosa importa? La prima volta dopo Andrea, la seconda con chiunque. Niente amore, solo sesso.

Nemmeno un bacio.

 

Gabriele l’ha lasciata?

– Non potevi darmi notizia più bella!

Mi preoccupo di sapere che verrà al mio compleanno, deve esserci: tentare di passare più tempo e in sua compagnia e di farmi piacere da lui. E continuo con magliette corte e gonne corte e cervello corto.

Che imbarazzo, non so di cosa parlare, non ho argomenti, tiro fuori soliti discorsi. Non mi filo gli altri. Sociopatia alle stelle. Mi vergogno, non ringrazio giustamente per i regali.

Andate via tutti, tornate uno alla volta.

Non posso stare con due persone nello stesso momento, non so parlare, ho bisogno di restare sola. La mia testa esplode, ma non voglio che vada via.

Resta, resta sempre.

 

Ho trovato il coraggio, gli sto chiedendo di uscire.

In questo momento è un po’ strano, se uscissimo probabilmente si ubriacherebbe, finiremmo a letto e il giorno dopo non mi richiamerebbe perché non saprebbe come comportarsi.

Ringrazio gentilmente, è stato schietto, lo apprezzo. Non so perché lascio perdere così facilmente.

Rivederlo è difficile, respiro profondamente, mi volto e una battuta, la sua espressione per scherzo offesa.

– Guarda attentamente nel mio sguardo.

Lo sto facendo, non c’è bisogno che me lo dica. Né che ti avvicini e punti gli occhi su di me, il sorriso, mentre canti la prima strofa. Mi guardi. Mi guardi. Mi guardi. Cosa fai? Mi guardi.

– Venite a bere qualcosa con noi?

Come dire di no, veniamo sicuramente, di corsa dietro di lui, al suo passo, quella è una ragazza nuova, ci parla, il suo braccio sulla schiena mentre cammina, la saluta, non ha posto in macchina, non lo dice, ma è evidente, ci accompagna, resta un po’ con noi.

La risata nel piccolo appartamento. Ho paura a stare nella stessa stanza; mi sdraio accanto a lui, racconta, è divertente, è simpatico, non ci sono solo i suoi occhi, non c’è solo il suo sorriso. La sua mano sulla mia schiena, la accarezza piano, per ore così.

 

– Questi sbalzi di umore sono sintomi di una crisi ansioso-depressiva.

Dovrei sentirmi sollevata, finalmente ho una risposta; non lo sono, non posso esserlo, dovevo capirlo. Momenti in cui il mondo è perfetto si alternano a pensieri spaventosi, la metropolitana di Londra, le gambe che tremavano.

C’è ancora Andrea nella mia testa? No, non credo. Lo vorrei accanto, però: poterci parlare mi farebbe tornare ai tempi in cui potevamo essere noi stessi o qualcosa di simile. Non voglio più avere un ragazzo non perché tema il momento in cui soffrirò, ma perché non sopporterei perdere un’altra volta una persona con cui condividevo molto. Scommettere e perdere, all in.

 

Dormiremo da Gabriele stanotte, spero non ci sia una donna. Chissà come sarebbe passare del tempo con lui. Cosa faremo?

Rimaniamo soli qualche momento, siamo imbarazzati. Devo lasciarlo perdere, è evidente, questa fissazione non porterà niente di buono; ma quelle braccia…

Devo lasciarlo perdere, e intanto mi guarda per caso.

Devo lasciarlo perdere, me lo ripeto in macchina, lo annuncio a Lidia a casa; lui esce dal bagno senza maglietta.

Devo lasciarlo perdere; si accorge che il divano è scomodo, ci dice di dormire nel suo letto con lui.

Devo lasciarlo perdere; entro in camera e trovo due libri di Harry Potter sul comodino.

Devo lasciarlo perdere; li legge, imita i personaggi.

Devo lasciarlo perdere; nel sonno posa un braccio sulla mia schiena.

È solo un caso, uno sbaglio. Se ne accorge, lo toglie delicatamente; poco più tardi, lo fa di nuovo. Mi volto, mi sfiora il seno e ritrae la mano: cercava ancora la mia schiena. Cambio posizione, mi solleva leggermente e la mia testa è sul suo petto, mi stringe, l’altra mano accarezza i capelli.

Un sorriso sorge automatico, mi sento così bene.

Per la seconda volta sono bella, il mondo è splendido, gli uccelli cantano e la primavera mi aspetta a dicembre.

Un bacio sulla fronte, va via.

 

Anche stanotte dormiremo da lui, dopo due settimane; sto male, però, e ho un brutto presentimento.

Male, male, male dolore fisico, male dolore invisibile vedendoli insieme. Chi è lei? La ragazza di un mese fa. Cosa vuole? Amarlo, forse.

– Come state?

Lidia dice che non gli ho risposto, ma mi sono voltata; lui mi ha guardata, a me cosa importava? Ero corsa a vomitare. Due dita in gola è il segreto. Avevo la nausea.

Due canzoni, cerco di resistere, non riesco. Il bagno è dietro di me: alla seconda sono dentro, sollevo la maglietta, graffi, graffi, graffi. Fa male, ma almeno non penso, mentre la sua voce mi invade la testa.

Esco, sorrido inaspettatamente anche per me; avverto la schiena in fiamme, scotta. È questo il dolore?

Inizia il giro: una canzone un video, una canzone la pelle massacrata. Tocco anche i seni, lascio le braccia a posto, non posso rischiare che il dolore si veda; devo sorridere. Se passo una mano sulla schiena la sento squamosa.

 

Si avvicina a Lidia che balla, le chiede perché sono in disparte. Sta male, gli risponde. Vengono verso di me.

Sdraiato sul divano, sopra le mie gambe, accarezza ancora i miei capelli; lei è poco lontano, ma non lo vede. In fondo mi sta solo accarezzando i capelli, lo sguardo perso rivolto al soffitto.

In macchina sono diversa, loquace, riesco a fare battute anche quando arriviamo a casa, lei è stata riaccompagnata. Comincio a dubitare che sia la sua ragazza.

Salutala pure sotto il portone, non dormirà con te.

È bello parlare con Gabriele, mi sembra quasi di avere qualcosa in comune. Sono a mio agio.

Leggiamo come l’altra volta, dura poco, abbiamo sonno. A luce spenta si avvicina, lo vedo muoversi sul cuscino, rendere meno distanti i nostri visi, il suo naso si scontra con il mio, mi allontano, si avvicina, il suo naso si scontra con il mio, lo bacio, mi bacia.

Mani, dita, schiena, seno, petto, lingua, bocca, gambe, Gabriele, Gabriele, Gabriele.

Per la terza volta la depressione non esiste, provo emozioni.

Provo emozioni intense.

Sono innamorata di te. Sono innamoratissima di te. Ti amo. Ti amo, ti amo!

Non mi chiedo se sia vero: la mia mente non è lucida.

Lo amo mentre mi stringe, lo amo per il bacio sulla fronte, lo amo per il bacio impacciato dato sul collo durante la simulazione d’amore, lo amo per il bacio sulla mia pelle, lo amo per il braccio che mi stringe e lo bacio.

 

Non mi vuole, lo so. Non mi vuole, è evidente. Non mi vuole.

Perché non riesco a lasciarlo perdere?

Andrea è scomparso dalla mia mente, c’è solo lui.

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Vorrei chiedere un favore ai futuri (spero che ci siano!) recensori: commentate la storia, la trama se volete, soprattutto lo stile, non parlate direttamente a me. Facciamo finta che a narrare la storia sia un personaggio, come quando Pansy Parkinson diventa il mio alter ego nelle storie che scrivo. Ho pubblicato questa storia qui, e non direttamente nel mio account principale, perché non volevo fosse trovata da persone che si possano sentire chiamate in causa (Andrea? "Gabriele"?); avrei potuto tenerla per me, in fondo era solo uno sfogo scritto a gennaio, ma ho ritrovato queste pagine proprio ieri e mi sono piaciute. Volevo condividerle, mi piace lo stile che ho usato, anche se... Beh, sì, è abbastanza confusionario. Non biasimo i lettori che non capiranno molti passaggi, come ho detto era una "storia" scritta per restare nel mio computer; tuttavia, non ho voluto modificare niente, spiegare nel testo o aggiungere note qua. Mi piace così.

Grazie a tutti quelli che la leggeranno, ♥


Medusa

   
 
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