Stringere gli occhi e durante il concerto controllare il cellulare, scrivergli, chiedergli come sta. Tentazione di dirgli dove sono. Non lo faccio, che senso avrebbe? Non posso più scherzare con lui delle mie fissazioni.
[Storia di MedusaNoir]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Parole
che esplodono nella testa, mi fanno male, sanguino.
Lo sento.
Andrea mi ha lasciata.
Paralizzata:
gli occhi di Medusa mi fissano, non ho paura,
resto impassibile. Il dolore interno è tremendo
perché è in silenzio. Cosa
aspetta? Perché non esce, perché non mi
aggredisce? Preferisce ridurmi a
brandelli dall’interno.
–
Finalmente li stiamo andando a vedere! Il nostro primo
concerto!
Un
sorriso. È vero: vedrò Gabriele, lo
sentirò cantare.
Quante volte gli avevo parlato di lui? I testi del musical appesi
all’armadio
della mia stanza a Viterbo, lo sguardo di Andrea quando pronunciavo il
suo
nome.
– È un bel ragazzo!
Non mi piace davvero, non fantastico su di lui, tranquillo. Io amo te,
dovresti
saperlo.
Stringere
gli occhi e durante il concerto controllare il
cellulare, scrivergli, chiedergli come sta. Tentazione di dirgli dove
sono. Non
lo faccio, che senso avrebbe? Non posso più scherzare con
lui delle mie
fissazioni.
–
E a salire sul palco questa volta sarai tu!
Scoppio
a ridere, mentre la canzone sbatte contro i vetri
della macchina e torna alle mie orecchie.
–
Al secondo concerto? Sarebbe bello, però…
–
Non ti sentiresti in imbarazzo?
–
Certo che mi ci sentirei, mi vergognerei un sacco!
Perché
tendere una mano verso di me? Perché farmi salire sul
palco? Vi sarò debitrice a vita: l’esplosione di
pochi giorni prima si attenua
nel ricordo, non ci sono più crisi isteriche sul letto,
parole accusatorie
rivolte a lui, pianti al telefono e incapacità di chiudere
la conversazione,
sapendo che sarà l’ultima. Non
c’è più Andrea, mi lascia sola questa
sera.
Guardo gli occhi di Gabriele, che altro potrebbe esserci?
Non
mi vergogno di fare una foto con lui, di sapere che la
mia cotta sia evidente. Non è niente di importante, voglio
solo dimenticare
Andrea, voglio concentrarmi su un ragazzo irraggiungibile: troppo
grande,
troppo bello, troppo poco simile a me. Troppo diverso da lui:
è quello che mi
serve ora.
Mi
ha cercata?
–
Non posso crederci, mi ha scritto!
Un
saluto, un riconoscimento. Sì, sono io la ragazza sul
palco accanto a te all’ultimo concerto. Che canzoni
interpreterete del musical?
Speravo faceste qualcosa del secondo atto. Non vedo l’ora di
ascoltare la tua
prima canzone, mi piace tantissimo!
–
Ma ti sei messa a piangere davvero?
–
Non mi aveva detto che avrebbero fatto quella, è
così
bella! E poi ero emozionatissima, è la prima volta che
sentiamo il musical…
–
Andiamo a fargli i complimenti?
Che
bravo sei stato. Non sono di Viterbo, ti correggo, lo
stavi dicendo a un tuo amico. Certo che verrò al tuo
compleanno, anche gli
altri saranno d’accordo.
Fra
poche ore ho un esame e seduta al bagno per non
disturbare la compagna di stanza tengo il libro sulle ginocchia e penso
a Gabriele.
Dovrei ripassare, ma pensarlo mi fa sorridere, mi piace abbandonarmi
alle
fantasie.
Cosa
faccio stasera? Non posso dirgli che ho invitato gli
altri a dormire da me, è l’ultimo giorno in cui i
miei sono in vacanza.
Verremmo
anche noi al concerto, la strada è lunga, potrei
farcela, il problema sarebbe il ritorno, guidare così tanto
di notte, ogni
tanto desidero avere una casa a Roma, sarebbe splendido se potessimo
dormire da
te, non vorrei disturbare, sento Lidia, prendiamo il treno, ti lascio
il mio
numero per qualsiasi eventualità, ci vediamo alla stazione
della metro, ora
corro a vestirmi.
Come
è bello, come sono incapace di spiccicare parola. La
sua mano sul mio ginocchio, mi sprona a parlare, a cantare con loro in
macchina, ma mi vergogno, sono stonata.
È
una situazione così strana, non avrei mai immaginato di
essergli così vicino, di dormire da lui. Vedere casa sua.
Parlarci. Ho paura a
sorridergli.
Si
volta sotto il palco, mi guarda, ma non sopporto la calca,
il gruppo non mi piace. Per lui resterei, mi allontano solo un
po’ per parlare
con loro due, sono simpatici, aspetterò la fine del concerto
per stare con lui,
così vicini al palco non riusciremmo nemmeno a parlare.
Chi
è quella che ci sta provando con lui?
Perché
le prende la mano?
La
fa salire in macchina?
La
porta a casa con noi?
Non
so da dove sia arrivato il sonno, nell’altra stanza si
stanno spogliando.
Sono un’imbranata.
Ma
in fondo Gabriele non è niente per me, mi risveglio e
vederlo con lei non è così tanto fastidioso. Un
leggero pizzico.
Sarà
l’ultima volta che vedrò Andrea per caso, questa
è
l’ultima notte che passoa Viterbo: è
inutile continuare a pagare l’affitto, domani Simona parte
per l’Erasmus e io
non avrò più nessuno qui.
–
Sai, credevo che l’avresti presa peggio per lui. Mi hai
stupito.
Ho
salutato Andrea, sono scoppiata a piangere davanti ai
miei amici.
–
Non riesco nemmeno a prenderti in giro.
Come
è bello con quei capelli blu, sono passate tre
settimane dalla sera a Viterbo, ma Andrea è ancora
nell’aria. Non devo
pensarci, mi concentrerò su Gabriele. Non si fila la ragazza
dell’altra volta,
forse ho ancora qualche possibilità.
Mi
saluta, il tocco della sua guancia è ossigeno. Davanti a
lui Andrea sbiadisce, è il modo migliore per dimenticarlo;
devo solo
concentrarmi su Gabriele.
Sono
bellissima, ho comprato un vestito nuovo, scarpe nuove,
reggiseno nuovo, trucco fatto, spero mi guardi stasera, è un
mese che non lo
vedo.
Ha
i capelli neri, non sa cosa significhi per me. Non lo
sapeva nemmeno quando li aveva blu.
È
bellissimo, sono bellissima, non mi sento mai bella,
stasera potrei farcela.
Chi
è la ragazza con lui? Patetiche effusioni
d’affetto, la
botta allo stomaco dura solo pochi minuti. Non può veramente
stare con una bionda del genere;
no, sono io che non
posso soffrire perché è con lei. È
arrivato il momento di lasciarlo perdere.
C’è
anche Gabriele alla cena stasera, non l’ha portata con
sé. Non mi siedo davanti a lui apposta, non volevo essere in
fondo al tavolo,
sembra che l’abbia fatto per stargli vicino. Non devo pensare
a lui, non
importa se non riuscirò a parlare: non devo conquistarlo.
–
La collana di L.
Punto debole. Perché
conosci i manga?
–
La scena più bella è quella in cui Light gli lava
i piedi
prima di tradirlo.
Lo è anche per me.
In
macchina parla con Sara di Video Girl Ai, non l’ho mai
visto, andrò subito a comprarlo. Voglio avere qualcosa di
cui parlare con lui.
Ma non mi interessa più, sapevo che era solo un diversivo
per non pensare ad
Andrea, posso lasciarlo perdere facilmente.
Non
importa se siamo al laghetto con la chitarra e lui si
siede accanto a me. La mano sfiora la mia per caso. La sua voce
così vicina.
Canta quella canzone.
Non
importa, ma le stelle stasera sono così belle.
Sono
a Londra e penso ad Andrea, dovevamo andarci insieme;
il mio cellulare è rotto, e se dovesse mandarmi un
messaggio? Ho bisogno di
essere contattata, voglio tornare, voglio riavere un telefono. Nel
letto la
notte mi assale la tristezza, pensieri spaventosi mi assalgono mentre
fisso
immobile la metropolitana. Non sono così debole, posso
resistere, devo farmi
forza, c’è sempre un’alternativa, devo
seguire il consiglio della psicologa.
Torno
e c’è un concerto, posso pensare ad altro. Andiamo
via
presto, il tempo di vedere quella bionda fare la bionda.
Il
primo concerto in cui siamo solo io e Lidia, la giornata
più divertente; da maggio ho iniziato a conoscere persone
nuove, ci salutiamo
senza neanche esserci mai presentati. Gabriele arriva con lei, ci
saluta,
canta, io sono di nuovo sul palco.
Guardami, il tuo
ragazzo mi stringe al petto, mi accarezza i capelli, devo solo
illudermi che
non sia una canzone.
Prima
notte a Roma, alle due ho la psicologa a Viterbo;
passo all’università, incontro Andrea. Settembre
sta finendo e non lo vedevo da
luglio.
Ero
a Roma, ieri c’è stato un concerto, dimmi come
vanno le
cose, voglio sapere dei tuoi gatti, Pulce mi manca molto, facciamo un
pezzo di
strada insieme, fra poco inizio il tirocinio in biblioteca, ci vedremo.
–
Le dirai che mi hai incontrato? Parlerai male di me?
–
No, perché? Sto bene, sul serio. Ma le dirò di
averti
incontrato.
Non
le dico di averlo incontrato.
Il
dolore torna improvvisamente, forse non ho
lottato per lui.
–
Mi piace vestirmi così, però mi sento a
disagio… La
maglietta mi casca, non voglio restare nuda! E questa gonna
è troppo corta,
devo tirarla giù di continuo, è fastidioso.
Vedo
Gabriele e faccio un respiro profondo. Posso farcela.
Non
posso farcela. Mando un messaggio a Erica, lei mi
rassicura, ma non è qui, non può sapere.
Vado
a prendere qualcosa da bere, si avvicina al bancone,
parla con noi: ritrovo il sorriso.
Dopo
il concerto parliamo ancora, sento il suo sguardo sul
mio seno. Forse è questo il modo migliore per conquistarlo.
Bacia
Lidia prima di andare via, mi abbraccia. Perché
abbraccia solo me? Questo poncho è ridicolo, ma la
sensazione sul viso è
bellissima, voglio portarlo con me. Mi piace essere stretta da
Gabriele. Mi
piace anche il suo poncho ora.
–
Lorenzo ci ha invitate al suo compleanno, ma siamo a
Viterbo, non facciamo in tempo.
–
Scendi da me, ceniamo di corsa a casa mia, ti presto
qualcosa da mettere. Voglio vedere Gabriele, ti prego! Facciamo una
corsa,
arriviamo tardi, ma almeno lo vedrò!
Scelgo
qualcosa di scollato, ci proverò di nuovo.
Proverò a
essere un’altra.
Gli
sono seduta davanti ancora una volta; ogni tanto mi
volto verso Lidia, quando mi giro di nuovo lui ha lo sguardo sui miei
capelli.
Lidia dice che mi osserva spesso.
Perché
non il seno, perché i capelli? Che bella sensazione.
Vorrei
parlarci, non ci riesco. È così bello. Non mi
sembra
che mi guardi stavolta. Sembra arrabbiato. Avrà litigato con
lei?
Qualche
parola, ci incontriamo fuori dal bagno. Vorrei
metterlo in tasca e portarlo con me.
Dopo
Halloween c’è un altro concerto, lui canta Somebody to love e gli sguardi dei miei
amici sono puntati su me.
Non
trattengo l’insofferenza verso la bionda, voglio che si
lascino, cercherò in ogni modo di portarglielo via, lui deve
stare con me.
–
Gabriele viene con due amici. Daniela non c’è.
–
Corri, prestami una maglietta carina, anche scollata!
Bevo
perché sta tardando, forse non arriverà. E io
perché ho
cucinato? Perché ho questa maglietta?
C’è
e siamo seduti vicini, si allontana e faccio in modo di
stargli ancora accanto; ai ragazzi piacciono le pazze, bacio la mia
amica, sono
piena di panna sulla maglietta e tra i capelli.
Vado
in bagno, nonostante il vino, la birra e lo sguardo
sfocato allo specchio vedo quello che sono.
Non è possibile.
Dovevo
solo dimenticare Andrea, perché sto facendo questo?
Io non indosso magliette scollate o minigonne che poco nascondono, non
mi
trucco così pesantemente, non mi comporto da scema. Io tengo
a ciò che le
persone presenti in questa casa pensano di me, e allora
perché sto facendo la
stupida davanti a loro?
Trattengo
le lacrime, meglio andare in cucina, forse in
frigo c’è un pezzo di cioccolata. Ho bisogno di
questo, mi tirerà su.
Apro
lo sportello e seduta scoppio a piangere.
Non si tratta più di
dimenticare qualcuno.
Io
non voglio fidanzarmi, io non voglio soffrire come ho
fatto mesi fa, io non voglio più fidarmi di nessuno. Non
posso perdere la testa
per lui, che mi farà sicuramente soffrire.
Braccia
mi stringono, c’è chi è accorso al mio
grido
silenzioso e forse voleva solo mangiare qualcosa; sento la voce di
Gabriele
venire dal corridoio, la sua risata.
–
Non ridere, non ridere!
Io
amo la sua risata.
Entra
in cucina anche lui, si siede davanti a me, fingo di
bere del succo d’arancia per spiegare perché mi
trovi davanti al frigo, ma sto
piangendo.
–
Cos’hai?
–
Non posso dirlo proprio a te.
Mi
guarda, respira profondamente, mi prende per mano e
andiamo in camera, chiude la porta e mi abbraccia.
Cos’è
questa sensazione? È tutto a posto. Non
c’è niente che
non vada. Il mondo gira ed è così bello, non ho
mai sofferto in questi mesi. Il
passato è sparito, non penso a un futuro,
c’è solo quel presente. Io guardo
sempre al passato, io agisco sempre in vista del futuro prossimo, devo
avere
tutto sotto controllo. Ma in questo momento la mia testa è
contro il suo petto
e il resto non conta. Lui è qui, mi accarezza i capelli.
–
Va meglio?
–
Sì…
Perché
dovrei stare male?
–
Noi non siamo amici, ci conosciamo, ma… Non possiamo dirci
amici… Perché lo stai facendo?
Si
allontana, si siede sul letto, le sue parole.
–
Hai detto che non potevi dirlo proprio a me.
Mi
avvicino, sono in piedi davanti a lui, mi guarda la
collana ed è tutta una favola, la sto vivendo davvero.
Quegli
occhi sono stupendi, ma non posso osservali così
spudoratamente, chiudo un momento i miei e l’istante dopo
sento le sue labbra.
Tutto
è così giusto.
Non
ho paura di guardarlo, fisso i miei occhi sui suoi e
sorrido, mi sorride di rimando. Continuiamo così, non ci
evitiamo, non ci
proviamo neanche.
Mi
chiamerà domani, ha detto. So che non lo farà.
Non
mi ha chiamata.
È
passato un giorno, mi ha scritto per scusarsi e mi ha
chiesto come stessi.
Dopo
una settimana me lo chiede ancora. È una follia
sperare?
Cancellare
dal mio corpo le tracce di Andrea, sentire altre
mani, ancora, ancora. Non importa di chi siano, le voglio addosso,
voglio le
mie sul suo petto; nemmeno un bacio, non è quello che cerco.
Voglio
cancellarlo, vorrei completamente avvertire altro dentro di me, fuori,
sulla
pelle.
Non
provo nessuna sensazione, il piacere è automatizzato, so
che devo reagire in un determinato modo e lo faccio, so che devo
lanciare
gemiti e lo faccio. Non provo emozioni, dopo mesi continuano a mancare.
Solo
quella sera le avevo provate.
Potrei
anche fare sesso, cosa importa? La prima volta dopo
Andrea, la seconda con chiunque. Niente amore, solo sesso.
Nemmeno
un bacio.
Gabriele
l’ha lasciata?
–
Non potevi darmi notizia più bella!
Mi
preoccupo di sapere che verrà al mio compleanno, deve
esserci: tentare di passare più tempo e in sua compagnia e
di farmi piacere da
lui. E continuo con magliette corte e gonne corte e cervello corto.
Che
imbarazzo, non so di cosa parlare, non ho argomenti,
tiro fuori soliti discorsi. Non mi filo gli altri. Sociopatia alle
stelle. Mi
vergogno, non ringrazio giustamente per i regali.
Andate via tutti,
tornate uno alla volta.
Non
posso stare con due persone nello stesso momento, non so
parlare, ho bisogno di restare sola. La mia testa esplode, ma non
voglio che
vada via.
Resta, resta sempre.
Ho
trovato il coraggio, gli sto chiedendo di uscire.
In
questo momento è un po’ strano, se uscissimo
probabilmente si ubriacherebbe, finiremmo a letto e il giorno dopo non
mi
richiamerebbe perché non saprebbe come comportarsi.
Ringrazio
gentilmente, è stato schietto, lo apprezzo. Non so
perché lascio perdere così facilmente.
Rivederlo
è difficile, respiro profondamente, mi volto e una
battuta, la sua espressione per scherzo offesa.
–
Guarda attentamente nel mio sguardo.
Lo
sto facendo, non c’è bisogno che me lo dica.
Né che ti
avvicini e punti gli occhi su di me, il sorriso, mentre canti la prima
strofa.
Mi guardi. Mi guardi. Mi guardi. Cosa fai? Mi guardi.
–
Venite a bere qualcosa con noi?
Come
dire di no, veniamo sicuramente, di corsa dietro di
lui, al suo passo, quella è una ragazza nuova, ci parla, il
suo braccio sulla
schiena mentre cammina, la saluta, non ha posto in macchina, non lo
dice, ma è
evidente, ci accompagna, resta un po’ con noi.
La
risata nel piccolo appartamento. Ho paura a stare nella
stessa stanza; mi sdraio accanto a lui, racconta, è
divertente, è simpatico,
non ci sono solo i suoi occhi, non c’è solo il suo
sorriso. La sua mano sulla
mia schiena, la accarezza piano, per ore così.
–
Questi sbalzi di umore sono sintomi di una crisi
ansioso-depressiva.
Dovrei
sentirmi sollevata, finalmente ho una risposta; non
lo sono, non posso esserlo, dovevo capirlo. Momenti in cui il mondo
è perfetto
si alternano a pensieri spaventosi, la metropolitana di Londra, le
gambe che
tremavano.
C’è
ancora Andrea nella mia testa? No, non credo. Lo vorrei
accanto, però: poterci parlare mi farebbe tornare ai tempi
in cui potevamo
essere noi stessi o qualcosa di simile. Non voglio più avere
un ragazzo non
perché tema il momento in cui soffrirò, ma
perché non sopporterei perdere
un’altra volta una persona con cui condividevo molto.
Scommettere e perdere, all in.
Dormiremo
da Gabriele stanotte, spero non ci sia una donna.
Chissà come sarebbe passare del tempo con lui. Cosa faremo?
Rimaniamo
soli qualche momento, siamo imbarazzati. Devo
lasciarlo perdere, è evidente, questa fissazione non
porterà niente di buono;
ma quelle braccia…
Devo
lasciarlo perdere, e intanto mi guarda per caso.
Devo
lasciarlo perdere, me lo ripeto in macchina, lo
annuncio a Lidia a casa; lui esce dal bagno senza maglietta.
Devo
lasciarlo perdere; si accorge che il divano è scomodo,
ci dice di dormire nel suo letto con lui.
Devo
lasciarlo perdere; entro in camera e trovo due libri di
Harry Potter sul comodino.
Devo
lasciarlo perdere; li legge, imita i personaggi.
Devo
lasciarlo perdere; nel sonno posa un braccio sulla mia
schiena.
È
solo un caso, uno sbaglio. Se ne accorge, lo toglie
delicatamente; poco più tardi, lo fa di nuovo. Mi volto, mi
sfiora il seno e
ritrae la mano: cercava ancora la mia schiena. Cambio posizione, mi
solleva
leggermente e la mia testa è sul suo petto, mi stringe,
l’altra mano accarezza
i capelli.
Un
sorriso sorge automatico, mi sento così bene.
Per
la seconda volta sono bella, il mondo è splendido, gli
uccelli cantano e la primavera mi aspetta a dicembre.
Un
bacio sulla fronte, va via.
Anche
stanotte dormiremo da lui, dopo due settimane; sto
male, però, e ho un brutto presentimento.
Male,
male, male dolore fisico, male dolore invisibile
vedendoli insieme. Chi è lei? La ragazza di un mese fa. Cosa
vuole? Amarlo,
forse.
–
Come state?
Lidia
dice che non gli ho risposto, ma mi sono voltata; lui
mi ha guardata, a me cosa importava? Ero corsa a vomitare. Due dita in
gola è
il segreto. Avevo la nausea.
Due
canzoni, cerco di resistere, non riesco. Il bagno è
dietro di me: alla seconda sono dentro, sollevo la maglietta, graffi,
graffi,
graffi. Fa male, ma almeno non penso, mentre la sua voce mi invade la
testa.
Esco,
sorrido inaspettatamente anche per me; avverto la
schiena in fiamme, scotta. È questo il dolore?
Inizia
il giro: una canzone un video, una canzone la pelle
massacrata. Tocco anche i seni, lascio le braccia a posto, non posso
rischiare
che il dolore si veda; devo sorridere. Se passo una mano sulla schiena
la sento
squamosa.
Si
avvicina a Lidia che balla, le chiede perché sono in
disparte.
Sta male, gli risponde. Vengono verso di me.
Sdraiato
sul divano, sopra le mie gambe, accarezza ancora i
miei capelli; lei è poco lontano, ma non lo vede. In fondo
mi sta solo
accarezzando i capelli, lo sguardo perso rivolto al soffitto.
In
macchina sono diversa, loquace, riesco a fare battute
anche quando arriviamo a casa, lei è stata riaccompagnata.
Comincio a dubitare
che sia la sua ragazza.
Salutala pure sotto il
portone, non dormirà con te.
È
bello parlare con Gabriele, mi sembra quasi di avere qualcosa
in comune. Sono a mio agio.
Leggiamo
come l’altra volta, dura poco, abbiamo sonno. A
luce spenta si avvicina, lo vedo muoversi sul cuscino, rendere meno
distanti i
nostri visi, il suo naso si scontra con il mio, mi allontano, si
avvicina, il
suo naso si scontra con il mio, lo bacio, mi bacia.
Per
la terza volta la depressione non esiste, provo
emozioni.
Provo
emozioni intense.
Sono innamorata di te.
Sono innamoratissima di te. Ti amo. Ti amo, ti amo!
Non
mi chiedo se sia vero: la mia mente non è lucida.
Lo
amo mentre mi stringe, lo amo per il bacio sulla fronte,
lo amo per il bacio impacciato dato sul collo durante la simulazione
d’amore,
lo amo per il bacio sulla mia pelle, lo amo per il braccio che mi
stringe e lo
bacio.
Non
mi vuole, lo so. Non mi vuole, è evidente. Non mi vuole.
Vorrei
chiedere un favore ai futuri (spero che ci siano!) recensori:
commentate la storia, la trama se volete, soprattutto lo stile, non
parlate direttamente a me. Facciamo finta che a narrare la storia sia
un personaggio, come quando Pansy Parkinson diventa il mio alter ego
nelle storie che scrivo. Ho pubblicato questa storia qui, e non
direttamente nel mio account principale, perché non volevo
fosse trovata da persone che si possano sentire chiamate in causa
(Andrea? "Gabriele"?); avrei potuto tenerla per me, in fondo era solo
uno sfogo scritto a gennaio, ma ho ritrovato queste pagine proprio ieri
e mi sono piaciute. Volevo condividerle, mi piace lo stile che ho
usato, anche se... Beh, sì, è abbastanza
confusionario. Non biasimo i lettori che non capiranno molti passaggi,
come ho detto era una "storia" scritta per restare nel mio computer;
tuttavia, non ho voluto modificare niente, spiegare nel testo o
aggiungere note qua. Mi piace così.