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Autore: giambo    31/05/2012    7 recensioni
Un guerriero tormentato dai sensi di colpa.
Una cyborg incapace di lasciarsi alle spalle un passato di morte, dolore e follia.
Un mondo che cerca, dopo il Cell-Game, di ripartire.
Rabbia, dolore, sensi di colpa, amore, eros, follia.
Sono questi sentimenti che stanno provando gli eroi di questo mondo.
Sta a loro cercare un motivo per andare avanti e ricostruire questo mondo, oppure lasciarsi andare nell'oblio.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: 18, Altri, Crilin | Coppie: 18/Crilin
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Allora, so di essere in mega ritardo nell'aggiornare, ma i motivi li conoscete già tutti (maturità, studio eccetra eccetra). Quello che vorrei dirvi sono solo pochi punti importanti:

 

Punto numero uno: Questo capitolo, anche se non è un granché, è dedicato a SeaLight. In questo modo spero di farmi perdonare per tutte le promesse non mantenute sul fatto di recensire la sua bellissima raccolta su pairing Lunch/Tenshinhan (che consiglio a tutti di andare a leggere perché è davvero molto bella). Quindi, questo capitolo è dedicato a te SeaLight, con la speranza che sia abbastanza decente da meritarmi il perdono. Colgo questa occasione per farti tanti complimenti. Sei davvero brava come scrittrice! Io, alla tua età, sapevo a malapena scribacchiare qualche tema decente a scuola.

 

Punto numero due: in questo capitolo parlerò anche di un altro personaggio che non sono abituato a descrivere. Quindi, dichiaro subito che non so cosa ne sia uscito. Non vi dico il nome per non rovinarvi la sorpresa, ma spero che apprezzerete lo stesso il mio sforzo.

 

Punto numero tre: Siccome ormai ho forti dubbi di essere un appassionato di sadomaso, ho deciso di iniziare una terza long con Crilin protagonista. La storia si intitola “Ossessione” ed è ambientata in un universo parallelo in cui Baby ha sconfitto su Plant Goku, ed ha creato una società perfetta tra gli Tsufuru. Se andate a darle un'occhiata mi fareste solo che felice.

 

Bene, ho detto tutto. Spero che questo capitolo vi possa piacere al pari degli altri. Ringrazio in anticipo chiunque lo leggerà. :)

Un saluto! E buona lettura!

 

Capitolo 20

 

Crilin si portò la bottiglia di liquore alle labbra, finendola in un sorso solo. Successivamente, il terrestre la poggiò con forza sul tavolo ingombro di altre bottiglie simili, ormai vuote.

La luce che illuminava la cucina della Kame House era bassa. Una debole illuminazione che lasciava la stanza nella penombra. Tuttavia, gli occhi irritati del piccolo guerriero, mal sopportavano anche quel debole chiarore. Ragion per cui, l'ormai ubriaco Crilin, decise di risolvere la situazione a modo suo.

“Fanculo!” borbottò mentre, dalla sua mano sinistra, partiva un ki-blast giallo che distrusse totalmente la lampada. Subito dopo, l'intera stanza cadde in un buio fresco e silenzioso.

Crilin era distrutto. Tutto quello che l'aveva sempre caratterizzato era sparito del tutto. Un odio immenso, alimentato dall'alcool, aveva cominciato a dominargli il cuore. Un odio diretto verso tutto e tutti. Odiava tutto. Quel mondo crudele e spietato. Quel fottuto destino che si divertiva a distruggere ogni suo sogno o obbiettivo. Quegli dei a cui, da piccolo, si era votato anima e corpo.

“Puah! Gli dei...” le sue parole erano talmente pregne di disprezzo ed odio che sembrava stesse sputando più che parlando. “Sono...solo...una lurida massa di bastardi. Una schifosa congrega di fottuti figli di puttana che si divertono a distruggere ogni nostra speranza!” il piccolo guerriero concluse il suo discorso, rivolto al nulla, battendo un pugno sul tavolo.

In quel momento, Muten entrò dentro la stanza. L'anziano maestro aveva ascoltato il litigio tra il suo allievo e C18. Dopo che la cyborg se ne era andata dalla Kame House, Crilin si era chiuso in cucina, scolandosi, una dopo l'altra, tutte le bottiglie di liquore che c'erano in casa.

L'anziano maestro osservò, attraverso le lenti scure dei suoi occhiali, il pietoso stato in cui versava il suo allievo. Il suo volto era impassibile. Tuttavia, una forte preoccupazione traspariva dai lineamenti del suo volto.

“Sono le undici Crilin...” mormorò dolcemente Muten. “Non pensi che sia il caso di smetterla di bere?”

Davanti a quella risposta, l'uomo si girò di scatto. Sembrò mettere a fuoco a fatica la figura del suo maestro. Successivamente, quando parlò, il suo tono di voce era basso e carico di collera.

“Smettere eh?! E cosa faccio?! Cosa cazzo mi resta di fare in questa vita di merda?!”

Muten si avvicinò al suo allievo. Il suo cuore piangeva nel vedere colui che considerava come un figlio ridotto in quello stato disgustoso. Crilin era sudato fradicio. I suoi vestiti emanavano un puzzo di alcool stantio mentre i suoi occhi erano arrossati dalla recente sbornia.

“Crilin...lo so che può sembrare banale, ma devi farti forza! Piangerti addosso non ti servirà a niente!”

Sentendo quelle parole, il terrestre serrò i pugni così forte da conficcarsi le unghie nelle mani.

“Devo farmi forza eh?” mormorò con voce velenosamente dolce. “Devo farmi forza...ma vede Maestro, lei forse non ha capito una cosa. IO SONO STUFO DI DOVER MANGIARE MERDA SENZA FAR NIENTE!!!”

Con uno scatto, il piccolo guerriero si alzò. Rovesciando il tavolo e le bottiglie adagiate sopra di esso. Il rumore del vetro infranto echeggiò in tutta la piccola casa con la sua nota acuta ed argentina.

“SONO STUFO!” urlò a pieni polmoni l'umano. Successivamente, Crilin prese a sfasciare la cucina a pugni.

“SONO STANCO! MI SONO STUFATO DI TUTTO!!! 'NON IMPORTA CRILIN, VEDRAI, DEVI FARTI FORZA. PASSA TUTTO CON IL TEMPO'. NON PASSA UN CAZZO! HA CAPITO?! IO HO ANCORA QUI DENTRO TUTTO QUELLO CHE HO DOVUTO PASSARE IN QUESTI ANNI! TUTTI I SACRIFICI CHE HO FATTO PER QUESTO PIANETA DI MERDA!”

Durante il suo sfogo, il terrestre prese a distruggere, con furia animalesca, tutto quello che gli capitava sotto mano. Infranse interi servizi di piatti e bicchieri. Divelse credenze. Distrusse a suon di pugni gli elettrodomestici. Ridusse il piano cucina ad un ammasso contorto di ferraglia. Muten continuò a rimanere muto ed impassibile davanti alla furia cil eca del suo allievo.

“MI SONO ROTTO OGNI SINGOLO OSSO PER ALLENARMI E DIVENTARE PIU' FORTE! E' SERVITO A QUALCOSA? SONO MORTO DUE VOLTE PER QUESTO FOTTUTO PIANETA! SONO STATI SACRIFICI UTILI? HO COMBATTUTO OGNI SINGOLO, FOTTUTO PAZZO CHE VOLEVA CONQUISTARE O DISTRUGGERE L'UNIVERSO! HO SEMPRE FATTO TUTTO QUELLO CHE DOVEVO FARE! NON MI SONO MAI TIRATO INDIETRO! MAI! AVREI POTUTO FARLO PARECCHIE VOLTE, MA HO SEMPRE FATTO QUELLO CHE DOVEVO FARE! E ADESSO, QUANDO L'UNICO MIO DESIDERIO E' QUELLO DI POTER VIVERE IN PACE CON LA DONNA CHE AMO, QUANDO L'UNICA COSA CHE VOGLIO E' LA STESSA DI MILIARDI DI PERSONE, QUESTA MI VIENE NEGATA!! E ALLORA SA COSA LE DICO? CHE SIA MALEDETTO! CHE SIA MALEDETTO LEI, IO, L'UNIVERSO INTERO E GLI DEI! CHE QUEI LURIDI FIGLI DI PUTTANA BRUCINO TRA LE FIAMME DELL'INFERNO! CHE POSSANO SOFFOCARE CON LA LORO STESSA MERDA! CHE MUOIANO! CHE MUOIANO TUTTI!!!!”

Quando la stanza fu totalmente distrutta, Crilin si fermò di colpo. Il terrestre rimase fermo ed ansante in mezzo alle rovine di quella che era stata, fino a cinque minuti prima, la cucina della Kame House. Solo allora, quando ormai il piccolo guerriero era rimasto senza fiato, Muten parlò.

“Ti senti meglio? Pensi che distruggendo tutto il tuo dolore passerà?”

Sentendo quelle parole, l'umano perse il controllo di se stesso. Con un urlo disumano, infatti, Crilin si avventò contro suo maestro. L'uomo afferrò l'anziano guerriero per il colletto della maglia e se lo portò ad un centimetro dal suo volto.

“E ALLORA COSA DEVO FARE?! COSA CAZZO DEVO FARE?! ME LO DICA!!!”

Muten rimase immobile per un minuto intero. I suoi saggi occhi si incrociarono con quelli folli del suo allievo. Poi, lentamente, l'anziano maestro accarezzò dolcemente la guancia sinistra del terrestre.

“Crilin...basta con la disperazione e l'odio. Non capisci che esse ti porteranno solo verso il baratro della follia?”

Davanti a quelle parole, il piccolo guerriero sembrò folgorato. Per qualche secondo rimase immobile. Poi, improvvisamente, scoppiò in un pianto disperato.

“Non lo so Maestro...non lo so...io non so più niente ormai, niente!” disperato, Crilin affondò la faccia contro il petto del suo adorato maestro cercando, in quel dolce calore, la risposta al suo dolore ed alla sua disperazione.

 

“Mi dispiace infinitamente per aver distrutto la sua cucina Maestro.” borbottò il terrestre imbarazzato.

“Oh, non importa!” fece Muten con tono noncurante. “Non mi era mai piaciuto quel modello. Mi hai dato l'occasione giusta per prenderne una nuova.”

Crilin fece un sorriso amaro. Il piccolo guerriero apprezzò molto il tentativo di minimizzare la gravità delle sue azioni da parte del suo maestro.

Erano seduti sulle uniche due sedie che erano scampate alla furia del terrestre. Il piccolo guerriero era lucidissimo. Ogni traccia del disgustoso stato in cui Muten l'aveva trovato era sparito. Sembrava che piangere avesse avuto l'effetto di schiarirgli la mente ed il cuore.

Crilin era profondamente imbarazzato per quello che aveva commesso. Il terrestre teneva lo sguardo basso, incapace di guardare in faccia il suo maestro. Tuttavia, con suo immenso sollievo, fu quest'ultimo a tirare fuori la questione.

“Come ti senti?”

“Malissimo.” rispose, con un borbottio, il guerriero più giovane.

Le labbra di Muten, nascoste dalla folta barba bianca, si incurvarono in un flebile sorriso. L'anziano maestro si chinò e prese da terra una scheggia di vetro cominciando ad osservarla. Quest'ultima possedeva una forma che ricordava vagamente la punta di una lancia. Aveva dei bordi seghettati ed irregolari che donavano, all'oggetto, un aspetto vagamente irregolare. Muten la osservò a lungo. Poi, lentamente, ricominciò a parlare.

“Sai Crilin, fino a ieri io ho sempre pensato che, nonostante fossi mio allievo da quando eri un ragazzino, tu non avessi preso niente del mio carattere.” quelle parole fecero alzare lo sguardo a Crilin che, incuriosito dalle strane ed emblematiche parole dell'anziano guerriero, posò i suoi occhi scuri sulla figura tranquilla di Muten che, con voce pacata, continuò a parlare.

“Invece tu stasera hai fatto esattamente quello che io, quando avevo la tua età, ho sempre desiderato poter fare: urlare con tutta la mia forza che il mondo è ingiusto e che non ha senso sacrificarsi continuamente per esso.” l'anziano maestro fece cadere, con lentezza, la scheggia dalle sue mani. Quest'ultima andò ad infrangersi sul pavimento, facendo risuonare, nella silenziosa casetta, una debole nota argentina.

“Ma vedi, devi capire che urlare e distruggere tutto non ti servirà a risolvere i tuoi problemi. Lo so che per te, in questo momento, è difficile da capire, ma l'unico modo che hai per risolvere i tuoi problemi è innanzitutto mantenere la calma. Tu hai avuto una vita dura e difficile Crilin. Una vita povera di soddisfazioni, ma non sei l'unico a questo mondo che soffre. Devi capire che tu non sei tu l'eccezione, ma Goku. Tu sei, purtroppo per l'umanità, la regola.”

Il terrestre accolse silenziosamente quelle parole. In cuor suo, il piccolo guerriero sapeva che il suo maestro aveva ragione. Aveva sbagliato a farsi trasportare dall'ira e dalla rabbia.

Sospirò. Radunò tutto il suo sangue freddo mentre, dentro di lui, esaminava ed osservava con estrema lentezza tutti i mezzi a sua disposizione per risolvere il suo problema.

“Pensa Crilin, pensa! Deve esserci una soluzione, un...un rimedio, un qualcosa!”

Ma nulla. Dopo aver esaminato a lungo ogni aspetto della questione, con calma e sangue freddo come gli aveva consigliato Muten, il terrestre si ritrovò ancora a mani vuote. Incapace di sopportare ancora quella situazione, il piccolo guerriero si alzò di scatto, dirigendosi successivamente verso la porta.

“Dove vai?” gli domandò Muten.

Crilin si fermò sulla soglia della cucina. Il terrestre stava fissando il pavimento mentre serrava i pugni in maniera così violenta che si conficcò le unghie nei palmi delle mani.

“A cercare una risposta.” dichiarò con un ringhio.

E detto questo, il piccolo guerriero uscì dalla stanza.

 

Silenzio. C'era silenzio. Un silenzio denso e pesante. Un silenzio carico di odio, dolore e rabbia. Un silenzio che veniva ancora più enfatizzato dall'aria pesante e dall'odore di sudore e sangue che impregnavano la stanza.

All'improvviso, il silenzio fu rotto dal sibilo di un pugno che fendeva l'aria. Successivamente, ne seguì un altro.

E un altro.

E un altro.

Vegeta si stava impegnando al massimo nei suoi allenamenti. Il sudore scorreva a fiotti dai pori della sua pelle. Ricoprendo il suo corpo mascolino sotto una patina scintillante che gli appiccicava la battle-suit alla pelle. I muscoli del principe dei saiyan erano gonfi e tesi dallo sforzo. Grosse vene risaltavano sulle spalle del guerriero mentre i crampi tormentavano senza tregua lo stoico principe.

Ad un tratto, il braccio del guerriero ebbe un cedimento, rendendo il movimento, fin lì preciso, fluido e letale, goffo e scoordinato. Vegeta digrignò i denti dalla rabbia. Il suo fisico non poteva abbandonarlo in quel modo, non poteva, maledizione!

Vegeta ignorò il segno di cedimento che il suo corpo aveva avuto, continuando, imperterrito, ad allenarsi con la massima intensità possibile. La gravita a cui si stava sottoponendo era circa settecento volte superiore a quella terrestre e ciò richiedeva, da parte del suo fisico, un sforzo continuo e sovrumano.

Tuttavia, quando anche il polpaccio destro lo tradì, non riuscì a trattenere la propria irritazione per quel contrattempo.

“Merda!” ringhiò a fior di labbra. Anche se la sua mente era ancora assetata di sudore, sangue ed allenamento, il suo corpo era allo stremo delle forze. Borbottando imprecazioni nella sua lingua natia, Vegeta andò ad abbassare la gravità al livello di quella del pianeta Terra. Successivamente, senza smettere di ringhiare, il saiyan uscì dalla Gravity Room per andare a farsi una doccia.

Durante il tragitto nei corridoio deserti della Capsule Corporation, il principe tentò in tutti i modi di trattenersi, di controllarsi. Strinse i pugni così forte da conficcarsi le unghie nei palmi della mani, digrignò i denti serrando la mascella, contrasse, nonostante il durissimo allenamento appena svolto, tutti i muscoli del corpo in un unico, feroce tentativo di controllare la propria mente e le proprie emozioni.

“Non ora, luride figlie di puttana! Non ora! Non osate! Non dovete osare!” pensò con la forza della disperazione mentre l'unico rumore che avvertiva era quello ovattato dei suoi stivali sul pavimento della casa.

Tuttavia, quando fu sotto il getto d'acqua calda della doccia, le due immagini che da più di un anno lo tormentavano, riuscirono a prendere il controllo della sua mente.

 

Kakaroth che, sorridente come sempre, gli salvava la vita.

 

Trunks, suo figlio, quel ragazzo che aveva sempre voluto conoscere suo padre che, agonizzante, sputava un fiotto di sangue nero come la morte prima di esalare l'ultimo respiro.

 

Vegeta chiuse gli occhi. Assaporò il getto di acqua calda mentre, dentro di lui, ribolliva ciò che rimaneva del suo orgoglio.

Certe volte, durante la notte, si svegliava di soprassalto vedendosi davanti suo figlio e Kakaroth. Allora, incapace di trovare di nuovo quiete, il principe usciva dalla Capsule Corporation e vagava a zonzo per la Città dell'Ovest per il resto della notte.

Vegeta non riusciva a darsi pace. Qual era ormai il suo scopo nella vita? Era arrivato ad un punto morto. Tutto ciò che aveva sempre sognato fin da quando era un ragazzino si era avverato. La morte di Freezer, diventare un super saiyan, diventare libero di poter decidere il proprio destino. Ci era riuscito. Aveva realizzato tutti i suoi sogni e raggiunto tutti gli obbiettivi che si era posto molti anni prima.

Eppure, ora che li aveva completati, non era felice. Non si sentiva soddisfatto e realizzato come aveva sempre pensato che sarebbe stato. Anzi, si sentiva grigio e vuoto. Privo di un nuovo scopo.

Il principe dei saiyan strinse i pugni con rabbia mentre una collera cieca affiorava violentemente dentro di lui. Kakaroth! Era tutta colpa di Kakaroth! Da quando aveva conosciuto quell'infimo saiyan di terza classe, la sua vita era stata solamente un fallimento dietro l'altro.

Digrignò i denti. Era stanco. Stanco di quella situazione. Quella vita non era quella che aveva sempre sognato. Si era ridotto a fare da marito ad una misera terrestre e la cosa, francamente, lo irritava moltissimo. Eppure, nonostante tutto, nonostante il suo orgoglio, o meglio ciò che ne restava, gli urlasse che quella non era la vita del grande Vegeta, lui rimaneva là. A sfinirsi in allenamenti inutili e disumani. Per provare a superare un rivale che non c'era più.

Uscì dalla doccia. Si allacciò un asciugamano alla vita mentre, noncurante dell'ora tarda, uscì dal bagno infischiandosene di non provocare rumore. Se anche quel moccioso si fosse svegliato, ci avrebbe pensato sua madre. Lui non aveva tempo da perdere con quel moccioso petulante di suo figlio.

Suo figlio. Probabilmente era iniziato tutto con l'arrivo di quello sporco mezzosangue dal futuro. Era stato in quel momento che aveva deciso di rimanere a vivere da Bulma. Non aveva potuto tollerare che ci fossero due super saiyan in circolazione. Diventarlo non era più un sogno, era una questione di principio. E Bulma, con il suo intelletto, lo poteva aiutare.

Dal vivere sotto lo stesso tetto e condividere il letto di notte il passo era stato breve. La scienziata infatti, noncurante del fatto di avere un saiyan in astinenza sotto il suo tetto, aveva continuato a litigare con lui ed a vestirsi in maniera provocante. Finché Vegeta, stufo di quella situazione, se l'era scopata di forza. Un gesto che Bulma, dopo la rabbia e lo stupore iniziale, aveva accettato.

E lì, proprio quando Vegeta era convinto di aver vinto, in realtà aveva cominciato a distruggersi da solo.

Bulma era diventata una droga per lui. Per quanto si sforzasse, per quanto cercasse di vederla sempre e solo come un oggetto per soddisfare le sue voglie, il principe non aveva potuto fare a meno di cominciare vedere la scienziata come una cosa di sua proprietà. Era diventato geloso, possessivo, ossessionato da lei. Da una donna. Una donna che aveva cominciato ad amarlo con passione sempre crescente.

E poi era arrivato lui, Trunks. Quel figlio assolutamente non voluto che era entrato, nonostante avesse cercato in ogni modo di impedire a Bulma di farlo, prepotentemente nella sua vita. Era diventato padre, padre di un figlio che nelle sue vene, per metà, scorreva il sangue di una delle razza che odiava e disprezzava di più in assoluto.

Mentre si asciugava e si rivestiva con degli abiti puliti, il principe continuò a pensare a cosa fare. Cosa gli rimaneva da fare? Rimanere per allenarsi? E per cosa? Quale motivo lo spingeva a sfinirsi ogni giorno in quella stanza gravitazionale? Ma anche se non avesse voluto rimanere sulla Terra, che cosa fare? Dove andare? Freezer era morto, il suo impero si era dissolto, tutto quello che lo legava alla sua vecchia vita da mercenario era sparito. Cosa gli rimaneva?

Domande, domande ed ancora domande che gli riempivano la mente di dubbi e il cuore di rabbia.

Mentre si preparava, seppur controvoglia, ad andare a letto, per cercare di accantonare per qualche ora i suoi problemi, il saiyan sentì, all'improvviso, un'aura familiare. Appena la percepì, la sua irritazione crebbe a dismisura.

“E questo cosa diavolo vuole?!” pensò digrignando i denti.

Il guerriero rimase immobile mentre sentiva avvicinarsi, a passi tranquilli, l'indesiderato visitatore.

“Che cosa vuoi?” domandò rimanendo impassibile. Immediatamente, i passi dell'altro cessarono.

“Sapevo che ti avrei trovato ancora in piedi.”

“Senti, se stai cercando Bulma dovrai aspettare domani. Ora sparisci.” dichiarò cominciando ad allontanarsi.

Tuttavia, dopo aver percorso appena due passi, il saiyan si ritrovò davanti l'altro. Davanti a quella mossa, l'irritazione del principe crebbe ancora di più.

“Vuoi morire?” domandò con un ringhio di pura collera. Non aveva nessuna intenzione di sopportare un solo secondo di più quell'infimo individuo.

“Non credere di farmi paura. In quest'ultimo periodo, sono passato attraverso esperienze molto peggiori della morte. Non la temo.”

“Tsk! Fa un po' come ti pare! Io non ho tempo da perdere con te!” dichiarò il guerriero superando il visitatore.

“Vegeta...ti prego aspetta. Io ho bisogno di parlarti.”

Il saiyan si fermò un attimo. L'aveva supplicato. Non si sarebbe mai aspettato che uno come lui lo supplicasse. Rimase immobile per alcuni secondi. Secondi che passarono lenti e densi di dubbi per entrambi i guerrieri. Alla fine, con un ringhio di esasperazione, Vegeta si diresse verso l'uscita della Capsule Corporation.

“Tsk! Se devi proprio disturbarmi fallo fuori di qui! E soprattutto fallo in fretta!”

Crilin sorrise. Un sorriso che sembrò ringiovanirlo di parecchi anni. Era sicuro che Vegeta lo avrebbe aiutato.

 

“Allora?! Che cosa vuoi?!”

Crilin buttò la testa indietro, osservando le fredde e pallide stelle bucare lo spesso manto della notte. Per un attimo, il terrestre assaporò i rumori, pieni di vita, che lo circondavano. Tuttavia, Vegeta lo riportò bruscamente alla realtà.

“Beh?! Ti vuoi decidere a dirmi perché mi hai portato qui?!”

Erano seduto ad un tavolino all'aperto di uno dei tanti bar notturni che affollavano la Città dell'Ovest. Era appena mezzanotte, e la metropoli brulicava di gente, specialmente giovani, che volevano godersi i piaceri notturni che la città offriva loro.

Il terrestre osservò, con una punta di divertimento, che il saiyan sembrava a disagio in mezzo a tutta quella folla. Si guardava spesso intorno con un'espressione di irritazione stampata sul volto, mentre dalle sue labbra uscivano fioche imprecazioni borbottate nella sua lingua natia.

“Non sembri molto a tuo agio qui in mezzo alla gente.”

“Tsk! Figurati! Sai quello che mi importa di questi moscerini!” dichiarò con fare sprezzante il principe. “Comunque ti conviene parlare in fretta. Sai, la tentazione di farti fuori non mi è ancora passata.” concluse il guerriero con un ghigno feroce stampato sulle sue labbra sottili.

Crilin continuò a sorridere tranquillamente. Non sapeva spiegarsene il motivo, ma la vicinanza con Vegeta lo tranquillizzava. Il saiyan era un individuo scontroso e dal carattere irascibile, non proprio il tipo di persona ideale da frequentare, eppure, lui e Vegeta avevano una cosa in comune. Una perdita che colpiva entrambi in una maniera diversa rispetto a tutti gli altri.

Goku.

Il saiyan aveva significato, per loro due, molto più di un semplice amico e rivale. Aveva significato tutto. Per entrambi, il loro obbiettivo era stato quello di raggiungere Goku. E se Crilin poteva ammettere, in tutta onestà, che forse il suo era solo un vecchio desiderio infantile, per Vegeta, battere Goku, era stato molto più che un semplice obbiettivo. Era stata un'ossessione, una droga. Un mantra che aveva tormentato la mente del principe per cinque lunghi anni.

"Sai Vegeta, ho deciso di rivolgermi a te per un motivo semplice.” iniziò il piccolo guerriero, osservando in faccia il suo stoico compagno. I loro occhi, entrambi neri e profondi, si incrociarono trovando, con profonda sorpresa, nello sguardo dell'altro le stesse emozioni che tormentavano loro: dubbio, odio, paura, disperazione e rabbia.

“E il motivo è questo.” proseguì l'uomo con voce tranquilla. “A te non importa niente di me. Non ti importa che io viva o muoia, che sia felice o disperato. Per te, io non sono nulla.”

Vegeta accolse impassibile quelle parole. Il volto del saiyan era una maschera di granito impenetrabile, il muscoli erano rigidi e tesi, le braccia erano tenuto conserte davanti al petto. Nulla di quello che il terrestre aveva detto sembrava averlo toccato.

“Quindi, sono sicuro che tu, quando io ti domanderò qualcosa, non mi mentirai perché a te, farmi soffrire o meno, non ti cambia nulla.”

Silenzio. Vegeta continuò a rimanere impassibile mentre osservava, con occhio assente, la gente che passeggiava sui marciapiedi illuminati dalla luce artificiale dei lampioni.

“E sentiamo, quale sarebbe questa domanda così terribile?” domandò ad un tratto con tono sarcastico.

Crilin lo osservò con un'espressione strana dipinta sul volto.

“Se Bulma fosse immortale, tu vivresti lo stesso con lei come se nulla fosse?”

Davanti a quella domanda, perfino lo stoico principe non riuscì a nascondere le sue emozioni. Il guerriero inarcò il sopracciglio sinistro, mentre rivolgeva un'occhiata perplessa al terrestre. Davanti a quell'occhiata, il piccolo guerriero rimase zitto. Si limitò ad osservarsi i lacci degli stivali mentre, con ansia e timore allo stesso tempo, attendeva la risposta del saiyan.

“E' per il rottame che tu ti ostini a chiamare donna?”

Davanti a quella domanda, Crilin si sorprese di non provare rabbia od odio nei confronti di Vegeta. Ciò che provava nel suo cuore era solo una grande tristezza.

“Già, proprio lei.” dichiarò con un sorriso amaro.

Dopo aver avuto conferma dal terrestre, il principe dei saiyan non rispose subito. Vegeta indirizzò il suo bruciante sguardo in direzione delle stelle. Rimase a lungo ad osservare i lontani globi infuocati che, durante la sua vecchia vita, aveva a lungo attraversato. Erano così lontani quegli astri! Lontani...come Kakaroth. Ormai solo un'ombra della sua mente. Uno spettro indecifrabile che continuava a rodergli lo spirito come un tarlo.

“Dove sei Kakaroth? Dove sei?” pensò mentre un senso di frustrazione crescente si impadroniva della sua mente.

Sapeva già la risposta. Kakaroth era andato in un posto che lui non poteva raggiungere. Non lo avrebbe mai più rivisto. Non avrebbe più potuto affrontarlo per quella rivincita che per anni aveva desiderato con tutto sè stesso. Non avrebbe più potuto avere un rivale degno di questo nome.

Lentamente, il suo sguardo cadde sull'uomo che aveva seduto davanti a sè. Davanti alla figura di Crilin, Vegeta si domandò cosa spingeva quel misero guerriero a voler vivere a tutti i costi con un essere così vuoto come un androide. Non lo capiva. Non che gli importasse qualcosa, ma non riusciva a capire quali erano i motivi che determinavano le azioni del terrestre.

“Non ho risposte da darti. Ma se sei convinto di tenere a lei, allora dovresti goderti il tempo che il destino ti ha dato con lei.” dichiarò con voce monocorde. Subito dopo, desideroso di rimanere da solo, il principe dei saiyan si alzò e se ne andò, scomparendo in breve tempo tra la folla.

Crilin rimase immobile. I suoi occhi scuri osservarono, fino a quando non la perse di vista, la figura del principe dei saiyan. All'improvviso, la mente del terrestre fu invasa da una marea di ricordi. Gli scontri con Napa e Vegeta la prima volta che il principe era atterrato sulla Terra, l'incontro, assieme a Gohan, su Namek, la loro improbabile alleanza per sconfiggere la squadra Ginew e, successivamente, per resistere a Freezer, gli scontri con i cyborg e Cell. Ricordi di anni di scontri ed incomprensioni, di flebili alleanze e contrasti. Anni duri e difficili, anni in cui era complicato capire di chi potevi fidarti e di chi no, eppure, il terrestre si accorse, in quel momento, che Vegeta, nonostante avesse sempre detto di essere un tipo senza alcuna morale, raramente gli aveva traditi, forse solo durante lo scontro con Cell, ma per il resto, dopo il loro primo scontro, Vegeta era sempre stato un valido alleato. Un guerriero su cui, anche se a malincuore, Crilin e i suoi compagni avevano potuto contare.

“Vegeta...” pensò con un moto di affetto per il burbero, e scontroso, principe dei saiyan. “Grazie di cuore. Per tutto.”

Successivamente, il piccolo guerriero si alzò. Si mischiò tra la folla, dirigendosi nella direzione opposta rispetto a quella presa dal padre di Trunks. Forse, anzi probabilmente, non aveva risolto i suoi problemi. Eppure, per qualche motivo a lui sconosciuto, l'uomo si sentiva più motivato. Era convinto che sarebbe riuscito a superare anche quella prova.

“Muten aveva ragione.” pensò con un sorriso. “Basta con la disperazione! È tempo che io reagisca!”

E, rinvigorito da questo incoraggiante pensiero, il terrestre si mischiò tra la folla notturna.

 

Camminava tra le strade deserte della notte. I suoi passi erano pesanti e rumorosi. Un rumore che gli sembrava lo scandire di tutto il tempo che stava buttando via in inutili e stupidi pensieri.

Era da più di due ore che Vegeta camminava, senza meta, per le strade della metropoli. Mani in tasca, e sguardo truce, il principe dei sayan aveva pensato a lungo a cosa fare. Arrivando alla conclusione che non poteva permettersi di rimuginare all'infinito su quei problemi.

All'improvviso, il guerriero si ritrovò davanti alla maestosa costruzione della Capsule Corporation. Davanti a quell'edificio, che doveva ammettere che era diventato la sua nuova casa, Vegeta, nonostante tutto quello che si era detto, rimase a pensare a lungo.

Penso alla sua vecchia vita da mercenario, pensò a Kakaroth, pensò a tutte le volte che era stato sconfitto in quei ultimi tempi.

Una grande rabbia prese corpo dentro di lui. Una rabbia feroce e letale. Una furia antica come la sua razza. Una collera che un giorno, e di questo ne era sicuro, avrebbe sfogato contro il suo rivale di sempre. L'essere che odiava con tutto se stesso.

“Kakaroth!” pensò con rabbia, mentre digrignava i denti e si conficcava le unghie nei palmi delle mani. “Ti conviene allenarti a dovere nell'aldilà! Perché io un giorno ti affronterò di nuovo! E quando arriverà quel giorno, assaggerai di nuovo la morte per mano mia!”

Sì, ne era certo. Un giorno avrebbe avuto la sua vendetta. Fino a quel giorno, che tutti pensassero pure che era cambiato, che era diventato un debole padre di famiglia. Lui avrebbe pazientato.

Perché, quando il giorno della sua vendetta sarebbe arrivato, l'universo intero sarebbe annegato in un bagno di sangue.

E lui ne avrebbe gioito.

 

CONTINUA

  
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