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Autore: Mistral    19/12/2006    13 recensioni
…And through it all
She offers me protection,
A lot of love and affection
Whether I'm right or wrong,
She won't forsake me…

L’amore porta a fare cose incredibilmente stupide, ma molto spesso l’orgoglio fa anche di peggio… e questo rende tutto parecchio complicato. Perché mentire è una costante di base della condizione umana, l’unica variabile è riguardo a che cosa si mente.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Allison Cameron, Greg House
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prima di tutto una breve premess

Prima di tutto una breve premessa: è la mia prima fic su House MD, quindi perdonatemi se ambientazione e carattere del personaggi non sono perfettamente precisi e aderenti all’originale. In parte il distaccamento (sopratutto nella descrizione di House) è voluto, in quanto questo racconto è nato, come tanti altri miei scritti, da un’esperienza che ho vissuto e che mi ha segnato, e si è scritto praticamente da solo.

In secondo luogo vorrei ringraziare Sabu per l’aiuto nella caratterizzazione del nostro medico preferito, le mie beta reader Vale e Lety (che ha fatto di tutto perché io NON scrivessi questa fic! – Scherzo! XD) e, sì, ringrazio anche quello stronzo che mi ha involontariamente ispirato la trama di questa storia… se non vi dovesse piacere come si evolve la situazione, prendetevela con lui!

Da ultimo, un grazie ad Apple, Nathaniel e Diomache: non ci conosciamo, è vero, ma è leggendo i loro stupendi scritti che mi sono appassionata alle fic su Dr. House e mi sono convinta a scriverne una anch’io.

Infine grazie a tutti quelli che mi recensiranno o semplicemente leggeranno. Spero di aver fatto un buon lavoro.

 

19 dicembre 2006

 

 

 

Everybody Lies

(Tutti mentono)

 

Part 1

“Non se ne parla nemmeno, House! Si vede chiaramente che hai la febbre e non ho nessuna intenzione di lasciar girare per il mio ospedale un concentrato di microbi come te, quindi fila subito a casa!”

“Da quando in qua ti preoccupi per me, eh dottoressa Cuddy?”

“Non è di te che mi preoccupo, è dei miei pazienti”

“Oh, mi sento molto onorato per il tuo interessamento…” replicò House, con un sorrisetto ironico, facendo roteare il bastone “Va bene, vorrà dire che mi prenderò un paio di giorni di vacanza… di quelle ore di ambulatorio che mi hai rifilato si occuperà Foreman… bye bye Cuddy!” concluse, dirigendosi verso l’entrata del PPHT.

“House!” lo riprese inutilmente la donna. Sconsolata, trasse un sospiro e si passò la mano sugli occhi “Che uomo impossibile… Signorina, per favore” disse poi, rivolgendosi all’infermiera dell’accettazione “comunichi all’Ufficio del Personale che il dottor Gregory House ha preso due giorni di malattia… e che settimana prossima recupererà quelle sei ore di ambulatorio!”

 

“…e così House si è messo in malattia, eh?” domandò Chase ai suoi colleghi, entrando nell’ufficio con un caffé in mano e una cartellina sotto braccio.

“Già” replicò Foreman, senza alzare gli occhi dal giornale “E ha rifilato a me le sue ore di ambulatorio… che pensiero carino, vero?”

“E con i risultati delle analisi su quel paziente come la mettiamo?” proseguì l’Australiano, gettando il fascicolo sulla scrivania vuota del suo capo “Ormai il caso è risolto, quei test servono solo a soddisfare la curiosità di House… già quelli del laboratorio sono stati fin troppo gentili ad eseguirli, con tutti il lavoro che hanno, figuriamoci poi se gli chiediamo di tenere qui la cartella clinica finché lui non torna…”

“Come minimo ci strozzano… anzi, TI strozzano, caro Chase, visto che i test glieli hai commissionati tu” Questa volta il sorriso beffardo del nero emerse dalle pagine dello sport del New York Times.

“Sempre gentile tu, vedo…”

“Se volete, posso portare io quegli esiti ad House” intervenne Cameron, impegnata come sempre a fare le veci della segretaria del diagnosta “Pensavo di passare a trovarlo nel pomeriggio per vedere come sta…” aggiunse poi, con voce un po’ incerta.

“Mi sembra un’ottima idea, perfetto Cameron. Per fortuna che ci sei tu a trattare con quel bastardo misantropo di House!” esclamò Foreman soddisfatto, scambiando un'occhiata d'intesa con Chase.

“E se qualcuno ti fa storie perché porti fuori una cartella clinica, mi raccomando, sorridi e invitalo a cena… vedrai che si sistema tutto” le suggerì poi il biondino con un sorriso eloquente.

“Idioti…” sorrise Allison di rimando.

 

Nel suo appartamento, Greg House si stava godendo la compagnia rilassante della musica; era infatti seduto al pianoforte, completamente immerso nell’esecuzione di una vecchissima canzone di Frank Sinatra. Ogni volta che suonava quel pezzo gli tornava in mente Cameron:

…and then I go to spoil it all by saying something stupid like «I love you»… [1] canticchiò, alzando le dita dai tasti d’avorio “Già, sarebbe proprio da Cameron una cosa del genere…”

Si era appena rimesso a suonare, quando il trillo del campanello lo interruppe; finse di non aver sentito, ma il suo visitatore evidentemente doveva avere un gran interesse a rompergli le scatole, perché non desistette e scampanellò di nuovo.

“House, apri! Sono io, Cameron” si sentì, da fuori la porta “Avanti, lo so che sei in casa… il pianoforte non suona da solo!”

“Brillante deduzione, dottoressa Cameron…” constatò il diagnosta a mezza voce, senza però smettere di suonare “…non per niente fai parte del mio team”

“House!” lo chiamò ancora la ragazza “Non voglio disturbarti, ti ho solo portato i risultati dei test su quel paziente…”

“I risultati? Oh, allora questo cambia le cose…” Con fatica, House si alzò dal piano e si diresse alla porta. La aprì e sorrise alla giovane donna in attesa. “Benvenuta dottoressa Ca-… ma tu non sei la dottoressa Allison Cameron! Lei non si vestirebbe mai così!” esclamò, scostando con il bastone il cappotto della ragazza e indicando il maglioncino attillato e i jeans aderenti che indossava.

Alle parole del medico, anche Cameron rivolse la sua attenzione al proprio abbigliamento. “Cosa ci trovi di tanto strano? Comunque non eri stato proprio tu a dirmi che se avessi voluto attirare la tua attenzione avrei dovuto mettermi abiti del genere?”

Si stupì ella stessa della sua risposta, ma si stupì ancora di più della reazione di House, che sorrise e le disse: “Hai ragione, Cameron, 1 a 0 per te! E con questo ti sei guadagnata il diritto a scocciarmi per questo pomeriggio”.

Il diagnosta si spostò per farla entrare, ma la ragazza esitò un attimo sulla soglia: la decisione di andare a trovare House non era stata meditata, era più frutto di una classica palla presa al balzo – il problema era che adesso Allison non si sentiva più tanto sicura della sua scelta.

“Beh? Hai intenzione di rimanere lì tutto il tempo?” La voce di House, ironica come sempre, la riscosse.

Cameron entrò, trovandosi in un ambiente di medie dimensioni, rimpicciolito però dall’arredamento e dal gran numero di cose sparse ovunque: decisamente il suo capo non era molto ordinato. Si guardò intorno, incuriosita ma con discrezione, sentendosi una sciocca per la vaga emozione che provava nel trovarsi nell’appartamento dell’uomo che amava ormai da troppo tempo.

“Allora, vediamo un po’ questi esiti” andò dritto al punto House, sedendosi sul divano.

Nonostante non si aspettasse chissà quale accoglienza, Allison rimase un po’ delusa dalla freddezza di lui, ma cercò di non darlo a vedere. Si tolse il cappotto, posandolo su una sedia e poi diede la cartellina ad House. “Sì, dunque… questi sono i risultati… Con Chase e Foreman non li abbiamo esaminati, non sapevamo cosa cercare e oltretutto avevamo da smaltire un po’ di pratiche e…” Si interruppe, rendendosi conto che il diagnosta non le stava prestando la benché minima attenzione, concentrato piuttosto a seguire i movimenti del suo corpo mentre lei parlava “House?” lo chiamò, abbastanza imbarazzata “C’è qualcosa che non va?”

“Cameron, toglimi una curiosità…” le rispose invece lui, fissandola con un sorriso indecifrabile “…com’è che proprio questo pomeriggio ti sei vestita così?”

“Ma cosa stai dicendo?!” esclamò la ragazza, paralizzata dall’imbarazzo.

Il sorriso del medico si allargò, facendosi ancora più enigmatico. “A-ah Cameron, non si risponde ad una domanda con un’altra domanda… e comunque è colpa tua se sono distratto: non dovevi vestirti in modo così provocante…” tacque per un istante, poi riprese “Oho, ho capito! L’hai fatto apposta! E così la dolce e remissiva dottoressa Cameron vuole provare a sedurre il suo capo, eh?”

«A che gioco stai giocando, House?» si chiese Allison, trovando incomprensibile il comportamento del diagnosta. Diversamente dalle altre volte, però, trovò – volle trovare - da qualche parte dentro di sé il coraggio di rispondergli a tono. “Ti dispiacerebbe?”

Per un solo, brevissimo istante, House sembrò sorpreso da quella reazione. Ma fu solo un istante, poi la sua corazza riprese il sopravvento. “Potrebbe essere molto interessante… certo, e quella mise è già un ottimo inizio, ma dovrai impegnarti parecchio per avere successo, mia cara”

“Quando mai con te le cose sono state facili?”

House finse di riflettere per un attimo. “Mai, credo…” concluse infine “Ma è questo che mi piace di me!”

“Già, è questo che piace anche a me di te… sei imprevedibile e l’imprevedibile ha un indubbio fascino”

“Ma io non ti piacevo perché sono merce avariata e sollecito il tuo istinto di crocerossina?”

Quelle parole riaccesero in Cameron il ricordo dell’occasione in cui erano state pronunciate e, per un momento, la malinconia si impadronì di lei. Sorrise, con fare un po’ triste. “No House, tu mi piaci per come sei… indipendentemente da tutto. Io amo il cinico bastardo manipolatore che è mio superiore al Princeton, io amo te…”

“Suvvia, dottoressa! Non scadermi in queste dichiarazioni melense… sei qui per sedurmi, non per propormi un melodramma strappalacrime alla Romeo e Giulietta!” scosse la testa “E poi, se finissimo a letto assieme sarebbe pur sempre un punto di partenza, no? Quindi datti da fare, piccola Cameron”

La donna spalancò gli occhi. Decisamente House quel pomeriggio aveva qualcosa di strano…

Avrebbe tanto voluto sapere cosa gli stava passando per la testa, ma sapeva benissimo che lui non gliel’avrebbe mai detto e oltretutto aveva anche paura di dar voce alle sue domande.

Lei non era il tipo che giocava in quella maniera con doppi sensi e allusioni, anzi, dubitava persino di esserne capace, e, benché il suo cervello le suggerisse di tirarsi fuori da quella situazione al più presto, per una volta volle mettere a tacere quella voce e decise di lasciarsi guidare dall’imprevedibile medico in quel gioco dalle regole a lei quasi del tutto sconosciute. Come sempre, tra loro era lui che conduceva le danze…

Ormai aveva preso la sua decisione. Lo fissò negli occhi con aria di sfida e sorrise: “Cosa ti aspetti che faccia?”

“Vedi Cameron, il cervello umano è molto complesso, forse più del cuore… e anche se io sono un genio, non posso sapere tutto. Quindi, considerando i fatti, perché non fai semplicemente quello che desideri davvero?”

“Mi stai provocando?”

“Curioso, pensavo che tu stessi provocando me… ma ammettiamo che il provocatore sia io: ebbene, cosa faresti?”

“Sai benissimo cosa provo per te e, visto che dici di conoscermi così bene, dovresti anche sapere che cosa vorrei fare”

Il diagnosta fece un cenno di approvazione con il capo. “Vedo che hai imparato bene la lezione… ma ti sei dimenticata di una cosa fondamentale: tutti mentono. Quindi anche tu potresti avermi mentito quando mi hai detto di non mentire mai… non trovi?”

Davanti a quel ragionamento cristallino e impeccabile nella sua illogicità, il cervello di Cameron decise di dare forfait. La ragazza non ce la faceva più a sopportare il torrente di parole che House stava riversando su di lei. “House, ti prego, smettila… dove vuoi arrivare?”

L’uomo non si diede neanche la pena di rispondere, ma proseguì come se lei non avesse parlato. Si alzò in piedi, sempre appoggiandosi al suo bastone e la fissò dritto negli occhi, sorridendo. “In fin dei conti, niente è mai come sembra e sotto la superficie delle cose si nasconde una realtà completamente diversa, che cambia a seconda di come noi interpretiamo l’apparenza e del significato che vogliamo attribuire agli eventi…” abbassò per un attimo gli occhi e poi li riportò su di lei, sollevando contemporaneamente anche il bastone “Prendi il mio bastone, ad esempio… il fatto che io lo usi, apparentemente dice che non posso camminare bene, ma se in verità fosse tutto un condizionamento del mio cervello? Se in verità la mia gamba fosse sana?”

“Ma cosa…” provò ad intervenire Cameron. Di nuovo, lui non le prestò attenzione; fece un passo avanti e fece scendere la distanza tra loro sotto quel limite implicito che nessuno dei due aveva mai oltrepassato.

“Potremmo fare una piccola prova, che ne dici? Adesso io lascio cadere il bastone e vediamo se riesco a camminare da solo… tanto, se non dovessi farcela, c’è qui una crocerossina pronta a sostenermi, no?”

“House, non…” Allison non fece in tempo a finire la frase: fu interrotta dal suono sordo del bastone che cadeva a terra e subito la sua attenzione si concentrò sul diagnosta. Incredibilmente, sembrava riuscire a reggersi sulle sue gambe e già un sorriso di trionfo si stava allargando sul suo viso; poi improvvisamente una smorfia di dolore cancellò quel sorriso e in un istante Cameron si trovò a dover sostenere il peso del suo capo, che le era caduto addosso.

Inaspettatamente, il diagnosta rise, allontanandosi un poco da un’imbarazzatissima Allison, ma senza staccarle le mani dalle spalle. “A quanto pare ogni tanto anche il geniale House sbaglia”

La donna scosse la testa, cercando di calmarsi, con il cuore che le batteva a mille. “Tu sei pazzo… adesso mi spieghi come la sbrogliamo questa situazione? Io non riesco a chinarmi per recuperare il tuo bastone…” disse poi, gli occhi che saettavano continuamente dalle mani di House al suo viso.

“Ma di cosa ti preoccupi? Non sei tu quella che si sente realizzata nell’aiutare gli altri? Ebbene, adesso hai uno zoppo da aiutare! Sarai tu il mio bastone, che ne dici?”

“House io non credo che…”

“Non credi cosa? Che sia una buona idea? Avanti, ammettilo che non aspettavi altro!”

Cameron a quelle parole arrossì violentemente. “Ma cosa stai dicendo?! Devi avere la febbre talmente alta da sragionare…” così dicendo, gli toccò appena la fronte con la mano, ritraendola subito, quasi temesse di bruciarsi “…infatti! Sei bollente… vieni, devi stenderti!”

Il diagnosta, davanti all’imbarazzo palese di lei, rise di nuovo. “Come fai a dire che ho la febbre, se non mi hai nemmeno sfiorato? E poi lo sanno anche i bambini che non ha senso sentire la temperatura sulla fronte… oh, santo cielo, devo proprio insegnarti tutto! Vieni qui…” mentre parlava, strinse il polso di Allison e portò la sua mano sul proprio collo, guidandola in una lieve carezza. “Ecco, senti? Non ho la febbre”

La ragazza, il braccio ancora stretto nella presa dolce ma decisa di House, quasi tremava. Si impose di riacquistare un minimo di controllo e di uscir fuori da quella situazione assurda al più presto. “Sì, sì… va bene… però è meglio che ti stendi lo stesso per un po’. Dopotutto Cuddy ti ha dato dei giorni di malattia, quindi vuol dire che non stai bene… avanti, dimmi dov’è la camera da letto che ti ci accompagno”

“Camera da letto? Wow, come corri dottoressa Cameron!”

“House!”

“Dai, adesso non ricominciare a fare la timida… in ogni caso la camera è di là” e indicò il corridoio alle sue spalle, in cui si intravedevano alcune porte chiuse.

“Chiedere aiuto a te è come chiederlo a un muro…” sbuffò Cameron “Dai, andiamo…” La donna accennò a muoversi, ma subito si bloccò, rendendosi conto che nella posizione in cui si trovavano era praticamente impossibile fare un passo.

“Beh, che c’è?” le domandò House, chinando la testa su una spalla e fissandola.

“È che non so come fare a muoverci in questa posizione…”

“Tutto qui? Ma è così semplice!” esclamò il medico, stringendo la presa sulle braccia di Cameron e spostandosi di mezzo giro, in modo da mettere lei con le spalle al corridoio “Andiamo!” concluse poi, iniziando a camminare, appoggiandosi alla ragazza e spingendola contemporaneamente all’indietro.

Dal canto suo, Allison era troppo confusa e imbarazzata da quella situazione, che – se ne rendeva perfettamente conto – le era sfuggita di mano, per tentare una qualsiasi reazione; semplicemente si lasciava manovrare da House come una marionetta, temendo e insieme desiderando vedere cos’altro quell’uomo imprevedibile avesse in serbo per lei. Si sentiva fragile e vulnerabile, ma, pur essendo completamente nelle mani di House, non aveva paura.

Mentre lui la spingeva lentamente nel corridoio, lasciato semibuio dalla sera calata troppo presto, Cameron cercava di guardarsi un poco attorno, per cogliere qualche istantanea dell’abitazione; poi, inaspettatamente, la sua schiena urtò contro una porta chiusa e la aprì, immergendola nell’oscurità di una stanza. Disorientata, la ragazza si guardò rapidamente in giro, non riuscendo a distinguere che pochi dettagli, ma sufficienti a farle capire che House l’aveva davvero condotta nella sua camera.

Cameron trattenne il fiato per un istante. “House, ma dove mi hai portato?”

Lui, ancora fermo nel corridoio, le sorrise. “Non avevi detto tu che mi volevi portare in camera da letto? Ebbene, eccoci qui!”

Allison aprì la bocca per ribattere, ma il diagnosta non gliene diede il tempo: si mosse nuovamente e la fece indietreggiare fino alla sponda del letto.

La spinse con tutto il suo peso.

Cameron non riuscì a bilanciarsi e le gambe le cedettero.

Caddero entrambi sul materasso, lei distesa sotto di lui, gli occhi sgranati per la sorpresa.

 

La ragazza non riusciva a capacitarsi di quel che stava succedendo: era sdraiata sul letto del suo capo, il peso di lui che le gravava addosso, rendendole difficile respirare… o forse non dipendeva solo da quello? Nel frattempo, House aveva sollevato leggermente la testa e ora la guardava con un sorriso indecifrabile, i suoi magnetici occhi azzurri a pochi centimetri dal suo viso.

Cameron cercò disperatamente di calmare il battito impazzito del suo cuore e di razionalizzare la situazione, ma la vicinanza di Greg e il suo profumo, che pervadeva ogni cosa attorno a lei, la stordivano. Chiuse gli occhi e trasse un respiro profondo, rendendosi conto forse solo in quel momento dell’aderenza quasi perfetta tra i loro corpi; nella caduta, istintivamente si era stretta ad House e ancora le sue braccia gli circondavano la schiena, mentre lui non aveva mai lasciato la presa sulle sue spalle. La ragazza assaporò la sensazione quel contatto, più unico che raro – lo sapeva, sentendosi invadere da un grande calore… ora sembrava lei quella con la febbre, al contrario del diagnosta, che invece appariva tranquillissimo, come se ciò che stava accadendo tra loro fosse assolutamente normale.

D’un tratto House si girò su un fianco, spostandosi da sopra di lei, ma senza interrompere il contatto fisico tra loro né sciogliere la morsa in cui i suoi occhi avevano stretto quelli di Cameron; si mise accanto a lei, puntellandosi su un gomito e bloccandole il braccio destro contro il corpo. Da quella nuova posizione, poteva osservarla meglio, vedere il suo petto che si alzava e abbassava, al ritmo frenetico del suo respiro.

Fino a quel momento, nessuno dei due aveva ancora detto una parola. Fu House a rompere il silenzio: “Beh, che c’è? Non eri tu che mi avevi detto di stendermi un momento?”

“Sì, ma…” boccheggiò lei.

Gli occhi di House scivolarono dal suo viso alla sua figura, fermandosi un attimo su quei pochi centimetri di pelle lasciati scoperti dal maglioncino di cachemire color perla, sollevatosi un poco quando la ragazza era caduta sul letto. “Ehi, Cameron! Da quando sei così scostumata?” la provocò, stuzzicandole la pancia con un dito.

Allison, che era appena riuscita a riassumere una parvenza di colorito normale, subito tornò ad imporporarsi. Non sopportando oltre quel gioco che si stava facendo pericolosamente spinto, con la mano libera, afferrò quella del diagnosta e cercò di bloccarlo; ma lui le restituì il favore e con un rapido movimento invertì le parti, afferrando saldamente il polso esile della ragazza.

“Ehi! Cos’è questa insubordinazione? Non si fa così, dottoressa…” la ammonì scherzosamente, prima di liberarle il braccio, che lei lasciò stancamente cadere a fianco a sé.

“Smettila, House… ti prego, basta…”

“Basta? Ma non era questo che volevi?” House la guardò perplesso per un attimo, poi i suoi occhi furono attratti da altro “Oh, ma che bella cintura! Posso provare a slacciarla…?” Sfiorò per un attimo la fibbia decorata, poi accennò ad aprirla. Cameron spalancò gli occhi, questa volta presa da una paura irrazionale, e colpì violentemente la mano del diagnosta, allontanandola da sé.

“Smettila! Perché continui a prendermi in giro, giocando con i miei sentimenti?!”

House la fissò, stupito. “Pensavo fosse quello che volevi… e comunque io non ti ho ingannata, lo sai benissimo quello che provo per te”

Gli occhi di Cameron si riempirono di lacrime: non riusciva a credere a quello che sentiva… allora per lui era… era tutto un… gioco…

“Ti stavi solo divertendo con me… mi stavi provocando…” la voce le si incrinò e non riuscì più a continuare.

Lui sembrò riflettere un attimo. “Se la vuoi mettere su questo piano… sì, ti stavo provocando”

Il cuore di Cameron perse un battito. Poi, come ebbe realizzato la portata di quelle parole, la ragazza si sollevò a sedere di scatto, facendo finire il diagnosta disteso sul letto. “Sei solo un bastardo senza cuore!” urlò, ferita “Ti odio, Gregory House! Ti odio!”

Scappò fuori dalla stanza, senza preoccuparsi di nascondere le lacrime, afferrò il cappotto e si allontanò di corsa, sbattendo violentemente l’uscio dietro di sé.

Rimasto solo, House si rimise faticosamente seduto e restò per un istante immobile, a contemplare la porta da cui era scomparsa la donna.

Poi abbassò gli occhi azzurri, ora colmi di qualcosa di indefinibilmente triste, e si lasciò sfuggire un sospiro. “Tutti mentono, Allison, ricordatelo… e anch’io faccio parte di quei «tutti»…”

 

 

Who would have thought
That you could hurt me the way you've done it?
So deliberate, so determined…

 

You don’t even know the meaning of the words «I’m sorry»
I’m starting to believe

It should be illegal to deceive a woman’s heart [2]

 

 

…to be continued…

 

 


 

[1] “E poi andrò a rovinare tutto dicendoti qualcosa di stupido come «Ti amo»”

È un verso di Something Stupid di Frank Sinatra.

 

[2] La canzone è Illegal di Shakira e Carlos Santana

“Chi avrebbe mai pensato

Che avresti potuto ferirmi così?

Con decisione, con intenzione…

Tu nemmeno conosci il significato delle parole «Mi dispiace»

Sto cominciando a credere

Che dovrebbe essere proibito ingannare il cuore di una donna”

   
 
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