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Autore: xheybieber    02/06/2012    3 recensioni
Eccolo lì, perfetto come sempre, il ragazzo che mi aveva rubato il cuore.
Era diventato la mia droga, come se fosse la mia qualità preferita di eroina. Mi ero innamorata pazzamente di lui, eppure non lo conoscevo. Non conoscevo il suo nome, né tantomeno sapevo dove abitasse, avevo solo capito che quel paio di occhi nocciola avevano qualcosa di speciale tanto da catturare la mia attenzione.
Chi l’ha detto che non è possibile innamorarsi di un estraneo?
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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 18th birthday

Eccolo lì, appoggiato al vetro opaco della porta di ingresso, più bello che mai, più bello del sole.
La mascella perfettamente quadrata era piegata in un sorriso, ora. Sorrideva spesso, anche se non aveva un motivo ben preciso. Forse per il gusto di farlo o forse per mettere in mostra i suoi denti perfetti, con quei canini affilati come fosse un vampiro.
Eccolo lì, il fusto da 175 cm, con quella linea perfetta, invidiabile azzarderei per qualsiasi ragazzo della Stratford High School. Una folata di vento gli scompigliò i capelli color biondo scuro –quasi castano- tanto da coprirgli la visuale. Inspirai profondamente con un mezzo sorriso, come se il vento avesse portato il suo profumo –sicuramente meraviglioso- dentro le mie narici.
Eccolo lì, perfetto come sempre, il ragazzo che mi aveva rubato il cuore.
Era diventato la mia droga, come se fosse la mia qualità preferita di eroina. Mi ero innamorata pazzamente di lui, eppure non lo conoscevo. Non conoscevo il suo nome, né tantomeno sapevo dove abitasse, avevo solo capito che quel paio di occhi nocciola avevano qualcosa di speciale tanto da catturare la mia attenzione.
Chi l’ha detto che non è possibile innamorarsi di un estraneo?



 
Sentii un suono confuso e poco riconoscibile. Quel “driin” stava risuonando nei miei padiglioni da minuti, ma non avevo la forza di riuscire semplicemente a capire di cosa si trattasse.
“La sveglia” realizzai poco dopo.
Scalciando, mi liberai dal groviglio di coperte nel quale ero intrappolata e scesi le scale strisciando.
“Buongiorno papà”  sussurrai, ancora con la bocca impastata di sonno.  Era stiracchiato beatamente sul divano, mentre leggeva il quotidiano del giorno, accompagnato dal suo immancabile sigaro (spento).
“Buongiorno tesoro, dormito bene?”  chiese con quel suo entusiasmo da mettere allegria a tutti, ma non a me. Non adesso.
“Come no” ironizzai, versando del latte freddo su una ciotola presa a caso dentro la credenza. Vi infilai dentro un po’ di cereali al cioccolato, i miei preferiti, e iniziai a mangiare più lenta di un bradipo.
Papà ignorò la mia risposta. Si alzò e sparì in salotto.
Dopo aver finito la mia colazione, gettai la ciotola dentro il lavello, e prima di aprire l’acqua la mia attenzione cadde su un pacco a fianco al divano. La carta regalo verde smeraldo mi colpì molto; amavo i pacchi regalo, o meglio, amavo scartarli.
“E questo?” indicai il pacco con aria interrogativa rivolgendomi a mio padre, che era ritornato in cucina.
“Non ti dice niente il 25 maggio?” incrociò le braccia appoggiandosi al lavello, sorridendo.
Il giorno del mio compleanno. Da 3 anni a questa parte non avevo dato più molta importanza a questo giorno, quello che tutti aspettano per dare grandi festeggiamenti. Per me era diventato un giorno come tutti. Ogni anno, anzi, ogni giorno diventavo sempre più vecchia. Ogni giorno mi avvicinavo alla morte. Cosa c’è da festeggiare?
“Papà, non dovevi” lo rimproverai.
“Oggi sono diciotto anni, non potevo non farti un regalo” si giustificò.
“Diciotto anni” pensai, mentre scartavo il pacco. Ormai ero diventata un’adulta, proprio come papà. E avevo delle responsabilità. Con la coda dell’occhio lo fissai,  teneva ancora quell’aria compiaciuta sul suo volto.
“Un computer portatile nuovo!” esclamai, sì, me lo meritavo.
Lo abbracciai ringraziandolo, non mi sembrava vero. Da mesi tenevo dollari da parte per un nuovo computer.
“Spero che questo non ti distrarrà dagli studi” papà era un uomo molto severo riguardo la scuola, non lo volevo deludere. Lo amavo davvero tanto, era lui che copriva l’assenza della mamma.
Il mio sguardo cadde sull’orologio attaccato al suo polso sinistro: le 8:30 am. Dovevo sbrigarmi, altrimenti mi sarei beccata una ramanzina dalla professoressa di spagnolo.
“Adesso ho delle responsabilità” sussurrai, guardando il mio riflesso nello specchio del bagno, mentre mi pettinavo la lunga chioma dorata, che scendeva con dolci ondulazioni fino al fondoschiena.
Rabbrividii alla parola “responsabilità”.  Fidanzato, marito, figli, famiglia.
“Forse stai correndo un po’ troppo con la fantasia, Megan”  risi, rendendomi conto della sciocchezza che avevo appena pensato.  Scesi rapidamente le scale, l’orologio attaccato al muro giallino del salotto segnava le 9:00. “Posso ancora farcela” sospirai. Salutai papà con un rapido e sonoro bacio sulla guancia, mi misi lo zaino in spalla e mi incamminai verso la scuola.
                                                         
                                                                                                                                                            * * *
Arrivai a scuola con il fiatone, le 9:15 am, giusto in tempo per posare i libri nell'armadietto e indossare l'uniforme negli spogliatoi. Erano riservati solo a quelle iscritte al corso di ginnastica, ma io ne approfittavo grazie ai miei piani super diabolici. Odiavo indossare l'uniforme e non avevo intenzione di uscirci di casa, nemmeno per andare a scuola.
Fuori, nel cortile, non c'era nessuno. Strano, di solito tutti restavano altri cinque minuti dopo il suono della campana, soprattutto in belle giornate come quelle, forse il mio orologio era indietro. Mi accorsi che nemmeno Alexis, la mia migliore amica, c'era. Di solito mi aspettava sempre, forse sarà rimasta a casa, oppure ero proprio in estremo ritardo?
Scesi dal muretto nel quale mi ero seduta, forse era meglio entrare, la scuola stava per finire e dovevo dare il meglio di me.
-Sorpresa!- urlò in coro una grande folla, non appena aprii il grande portone rosso, mi ci volle un po' per realizzare.
L'androne era popolato da tantissimi studenti, anche quelli a me sconosciuti, che cantavano all'unisono gli auguri per me.
Avevano organizzato una festa a sorpresa a mia insaputa e c'era di tutto: dalle caramelle alla pizza, bevande di tutti i tipi e dolci vari.
"Chi ha organizzato tutto questo?" chiesi entusiasta, Alexis venne ad abbracciarmi. "Visto che tua nonna è la preside della scuola, ho pensato bene a farti questa sorpresa, che ne dici?" domandò euforica, è sempre stata così quando ci sono feste di mezzo. Ho già detto che odiavo i festeggiamenti, ma questo proprio non me lo aspettavo.
"E' meravigliosa" affermai. Si avvicinò al mio orecchio, sussurrandomi qualcosa. Qualcosa che avrei voluto sentire nel momento in cui ho messo piede a scuola. Il mio cuore perse un battito.
"c'è anche lui".
Lo cercai con lo sguardo tra la folla, impresa impossibile, ma non troppo. Non è difficile riconoscere l'intruso, qualcuno troppo perfetto per essere umano.
"Adesso invito a salire sul palco, la mia fantastica nipote!" La folla iniziò ad applaudire. Io? Sul palco? E se mi vedesse lui? E se facessi una figura di merda cadendo e slogandomi una gamba?
Tanti pensieri in quel momento occupavano la mia testa, ma che importa? O la va, o la spacca.
Salii i tre scalini che mi portarono sul palco, guardando la folla, cercando tra la folla.
"Vuoi dire qualcosa?" domandò nonna, porgendomi il microfono grigio: era quello che anche lui utilizzò qualche giorno prima per le prove della sua band, lo strinsi forte.
"Volevo solamente ringraziarvi per avere organizzato tutto questo. Sono un tipo che non ama festeggiare i compleanni, ma oggi mi avete resi molto felice. Ringrazio in particolare mia nonna -rivolsi lo sguardo verso di lei-  nonchè preside della scuola che ha permesso di organizzarla e la mia migliore amica, Alexis che ha avuto questa splendida idea. Ringrazio anche voi di aver partecipato. Grazie a tutti e divertitevi!" si scatenò un urlo e partì la musica: roba forte, l'ho sempre odiata.
La sete mi stava uccidendo: la corsa che mi ero fatta per venire a scuola è stata micidiale, se mio padre mi avesse regalato la sua macchina invece di un pc nuovo sarebbe stato molto meglio.
Mi dirissi verso il banco delle bibite. "Un bicchiere di aranciata, grazie" chiesi, guardando tutte le bibite esposte.
Alzai lo sguardo, rimasi pietrificata.
Lui.
Mi porse il bicchiere con l'aranciata che afferrai, sfiorando la sua mano.
Restai a guardarlo come una stupida davanti il bancone, non mi importava della lunga coda che imprecava dietro di me, quelle in confronto al suo magnifico 'ecco a te' erano solo brutti rumori.
La testa iniziò a girarmi, quando mi persi nei suoi occhi color nocciola: mi ero scordata di respirare, di nuovo.
  
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