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Autore: MrEvilside    02/06/2012    8 recensioni
«Allora è il ghiaccio, hm? Interessante. Cosa sei, una specie di mago? Tipo Harry Potter?»
Il suono della sua voce lo lasciò interdetto. Dopo aver messo in chiaro la propria superiorità, non credeva che Tony avrebbe più aperto bocca, ma che avrebbe chinato la testa e obbedito come gli spettava.
Indubbiamente non credeva che avrebbe parlato di letteratura fantasy per adolescenti.
Tirò un sospiro, si passò una mano tra i capelli e gli rifilò un’occhiata penetrante. «Perché dovrei rispondere?»
«Così, per fare conversazione».
Ipotetico primo incontro tra Tony e Loki, ambientato durante il film Thor.
[ IronFrost ]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Loki, Tony Stark/Iron Man
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Sarebbe un what if...? del film "Thor", ma, poiché la trama si basa anche su una delle ultime scene di "Iron Man", in cui si vede Mjolnir, la posto in The Avengers e taglio la testa al toro XP
Mi sono innamorata del Frostiron, perciò sappiate che ci incontreremo (?) ancora sulle pagine di EFP <33 Intanto, se commentate mi rendete felice :D MOLTO felice :D E rendete felice anche Loki, naturalmente <3 (E chi è che non vuole renderlo felice? :D)

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Twenty Questions
 
Dopo aver abbandonato Thor in ginocchio, disperato, piegato come non aveva mai avuto prima la squisita occasione di vederlo, Loki si sistemò con cura il colletto dell’impermeabile a doppio petto e si stropicciò il volto, atteggiato a un’espressione triste, con una mano, come a volersi strappare di dosso una maschera.
Se qualcuno avesse potuto vederlo, negli interstizi tra le sue dita avrebbe scorto occhi ridenti e labbra increspate in un sorriso crudelmente felice.
Poiché però aveva deciso di passare inosservato, nessuno degli insetti che lo attorniavano avrebbe avuto il potere di sopraffare la sua volontà di essere divino e nessuno, pur camminandogli così vicino che avrebbe potuto sfiorarlo allungando una mano, prestava la minima attenzione alla sua presenza.
Stupido, stupido Thor.
Se fosse stato meno egocentrico e scapestrato, anche lui, ora, avrebbe potuto ricorrere senza difficoltà a quei piccoli accorgimenti che gli avrebbero permesso di evitare ogni fastidioso contatto con gli abitanti di quel mondo.
E invece – come sempre – era al centro dell’attenzione, ma – per una volta – non tutto era andato come lui avrebbe voluto.
Non avrebbe fatto la figura dell’eroe, non quella volta. Nessuno l’avrebbe osannato, nessuno l’avrebbe ammirato, nessuno gli avrebbe ricordato quanto era bello e bravo: avrebbe ricevuto solo occhiate stranite, strette di spalle e l’etichetta di folle.
Adesso, finalmente, era Loki a essere in vantaggio, non soltanto perché aveva il completo controllo di Asgard e anche dello stesso Thor, a sua insaputa, ma anche perché, quando Odino aveva stabilito che prendessero lezioni sulle altre dimensioni, lui aveva studiato assiduamente la Terra e coloro che vi dimoravano, mentre suo fratello andava a divertirsi a Jötunheimr con i suoi amici.
Era quasi sul punto di cedere a uno scoppio di risa incontrollabile, quando, con sua estrema sorpresa, qualcosa di duro urtò contro il suo fianco con tanta forza da scaraventarlo attraverso il corridoio di plastica, contro una delle sue pareti e oltre, a rotolare supino nel fango, sotto la pioggia battente, troppo confuso per concentrarsi sul mantenersi nascosto all’occhio umano.
Incredulo ma non sprovveduto, allungò entrambe le mani verso l’alto, alla cieca, e afferrò i polsi del suo assalitore. Attraverso la cortina d’acqua che gli annebbiava la vista, riusciva a intravvedere i contorni della sua figura, sebbene indistinti.
Udì una voce che sbraitava “chi diavolo sei?” a voce alta, per farsi sentire sopra al frastuono dei fulmini e dello scrosciare della pioggia, e una delle mani si liberò dalla sua presa e gli colpì lo zigomo con un pugno che lo lasciò stordito per qualche secondo.
Gli esseri umani erano pazzi.
«Fermo!» Sciolse anche la stretta sull’altro braccio e levò in alto le mani in segno di resa: non era il caso di attirare troppo l’attenzione su di sé con un combattimento. «Sono un amico».
«Nah, impossibile» fu lo sbuffo scettico che ricevette in risposta. «Mi hanno già presentato tutto lo staff e sono sicuro di non averti mai visto… credo». Credeva? Loki lo lasciò parlare, massaggiandosi il mento – quantomeno aveva smesso di prenderlo a pugni. «Ma che diavolo ci facevi con il biondone isterico?»
“Biondone isterico”: Loki impiegò diversi istanti a collegare quell’interessante epiteto a suo fratello. Del tutto fuori di testa, quegli umani.
«Controllavo lo squilibrato in attesa che il signor Coulson tornasse a interrogarlo» mentì con una smorfia, ancora incerto se ucciderlo lentamente o dargli una morte rapida e fuggire prima che qualcun altro lo vedesse e si facesse troppe domande. Infilò una mano nella tasca interna dell’impermeabile, ne trasse un documento plastificato dello S.H.I.E.L.D., decorata da nome falso e fotografia di qualcuno che gli somigliava molto, e gliela sventolò davanti. «Vedi?»
Il suo misterioso aggressore gli strappò la carta di mano, la esaminò per un lungo momento e finalmente si decise a togliersi da sopra la sua cassa toracica e a porgergli un braccio perché si rialzasse.
«Okay, sembri a posto» commentò con il fare innocente di chi sia convinto di aver agito in modo impeccabile. «Ah, ovviamente mi scusi il pugno, vero? Stavo lavorando».
Loki non lo degnò di alcuna replica; si limitò a drizzarsi a sedere, ravviarsi i capelli e rassettarsi gli abiti, del tutto incurante della mano che quello ancora gli tendeva. Lo sconosciuto dovette capire in fretta l’antifona, perché lasciò perdere e si dedicò invece ad annunciare al capannello di agenti riuniti nei pressi del foro nella parete in plastica che aveva “commesso una piccola svista”.
Piccola svista – la guancia pulsava fastidiosamente e lui sentiva montare l’irritazione, ma se non altro l’assalitore stava allontanando gli altri membri dello S.H.I.E.L.D. e di conseguenza sviando da lui ogni sospetto.
Per la verità trovava strano che nessuno svolgesse ulteriori indagini, ma, considerando che poteva non essere la prima volta che l’uomo commetteva “una piccola svista”, ebbe l’impressione d’intuire il motivo della generale assenza di stupore. Forse, dopotutto, non tutti gli esseri umani erano folli, forse a lui era toccato uno dei peggiori.
Dopo che si fu alzato in piedi, l’aggressore gli restituì il documento falso e gli diede un amichevole colpetto sulla spalla. «Suvvia, un errore ogni tanto capita anche ai migliori, giusto? E se ti offro una doccia per fare ammenda?»
«No, grazie» si affrettò a rifiutare Loki e contemporaneamente si sottrasse al contatto con lui con uno scatto fulmineo di non troppo velato disgusto. «Ho molto da fare».
«Anche io ne ho ancora per un po’, non ho fretta».
«Oh, in realtà ho già finito e devo andare via subito» rettificò Loki, impaziente di scollarsi di dosso lo sconosciuto. Perché insisteva tanto? «Magari un’altra volta, grazie lo stesso».
«Ma che fortuna, il mio turno finisce proprio adesso» osservò l’aggressore in tono allegro dopo aver sollevato un polso, probabilmente per occhieggiare l’orologio.
E Loki comprese due cose.
La prima era che era in trappola e, se non voleva destare sospetti, avrebbe fatto meglio a cedere. La seconda era che, più o meno occultamente, l’altro lo stava prendendo in giro e che, malgrado le inappuntabili credenziali che gli aveva mostrato, non si era lasciato ingannare.
«Sì, che fortuna» gli fece eco, la mascella rigida e un sorriso forzato dipinto sulle labbra sottili.
L’uomo ammiccò in un gesto teatralmente cavalleresco alla fenditura che avevano provocato nella plastica, Loki si limitò ad assecondarlo, precedendolo con il suo incedere svelto e aggraziato, l’impermeabile che frustava l’aria con un sibilo a ogni passo.
Se si trattava di una sfida, non sarebbe stato lui a tirarsi indietro.
Non aveva nulla da temere da un umano qualunque soltanto perché, in un suo momento di distrazione, era riuscito a vederlo e a coglierlo alla sprovvista. Al contrario, avrebbe goduto nel sopraffarlo e servirsi di lui, manovrare senza pietà proprio colui che aveva tentato di raggirarlo a proprio piacimento.
Intimamente si compiacque d’essersi procurato un posto nello S.H.I.E.L.D. e di avere pianificato tutto molto prima di mettere in atto il proprio progetto e, a mano a mano che entrambi espletavano le procedure necessarie per lasciare l’organizzazione dopo la fine del proprio turno di lavoro, non si trattenne dal rifilare più di un’occhiata di sottecchi al suo misterioso assalitore, non soltanto perché senza la pioggia a ottenebrargli la vista poteva studiarlo, ma anche per cercare segni di delusione nella sua espressione, dal momento che la sua presenza in quel luogo non era affatto sospetta.
Con sua estrema delusione, però, il volto dello sconosciuto non mostrava altro che placidità.
Mentre completavano i minuziosi controlli necessari per essere liberi di uscire dal laboratorio dell’organizzazione, Loki notò per la seconda volta come, alla giustificazione “è stata solo una svista”, i colleghi dello sconosciuto si limitassero a scuotere stancamente la testa e persino a indirizzare a lui uno sguardo solidale, quasi fossero abituati a quel genere di incidenti con quell’uomo.
Quella reazione lo rassicurò – se non altro, era riuscito a mantenere la copertura senza danni.
Fuori dal perimetro protetto, si fece più cauto e circospetto nel seguirlo fino alla sua auto, fortemente consapevole del numero di persone che li circondavano, che calava a gran velocità di secondo in secondo.
Era probabile che l’uomo volesse attirarlo in un luogo dove sarebbero stati soli con l’intenzione di estorcergli informazioni e, eventualmente, di catturarlo.
Sfortunatamente per lui, se da un lato Loki era in netto svantaggio a causa del proprio fisico smilzo, contrapposto a quello robusto e possente dello sconosciuto, dall’altro poteva vantare un’intelligenza fuori dal comune e senza dubbio superiore alla sua – sempre ammettendo che ne possedesse una. Non aveva modo di stupirlo un’altra volta.
«Io sono Tony, comunque» fu lui a spezzare il silenzio, una mano intenta a rovistare in una tasca, probabilmente in cerca delle chiavi dell’auto. «Tony Stark».
«Eric» lo liquidò Loki, laconico, senza quasi degnarlo di uno sguardo.
Tony premette un pulsante sulla chiave elettronica che aveva estratto dai pantaloni e, a pochi metri di distanza, da una lussuosa macchina sportiva nera si levò uno squillo e in contemporanea si accesero i fari anteriori. «Prego» gli indicò con un cenno la portiera del sedile del passeggero.
Loki raccolse l’impermeabile con una mano per evitare che strusciasse sul terreno mentre si chinava, salì sull’auto e si chiuse lo sportello alle spalle; Tony lo imitò, infilò la chiave nel cruscotto, la girò con un agile scatto della mano e, una volta che il motore ebbe manifestato il proprio risveglio con un ringhio, prese il volante come se volesse accarezzarlo e si immise sull’autostrada deserta.
«Allora, Eric,» stese un braccio sulla spalla del proprio sedile e si volse a guardarlo con un sogghigno beffardo «ti dispiacerebbe dirmi il tuo vero nome?»
Loki scelse in fretta la strategia da usare: accontentarlo e fingere di essere messo in difficoltà dalla sua astuzia. «Il mio vero nome?» Dovette sforzarsi per non scoppiare a ridere e limitarsi a un sorrisetto nervoso. «Stai scherzando, ho già detto che…»
«Dai, basta stronzate» lo interruppe Tony con il fare benevolo di un padre indulgente. «Prometto di non farti troppo male, se mi dici chi sei e cosa ci facevi nel laboratorio con il gorilla».
“Il gorilla”: Thor, di nuovo.
Stava cominciando ad abituarsi al suo linguaggio primitivamente colorito.
Il sorriso abbandonò immediatamente l’espressione di Loki, sostituito da una rigidità che simulava preoccupazione e allarme. «Perché dovrei essere un nemico?» domandò, sfoggiando la propria migliore voce turbata.
Tony levò gli occhi al cielo ed emise un teatrale sospiro di sopportazione. «Non fare il difficile. Stavi parlando con quella Barbie con troppa peluria, ti ho visto: il problema è che nessun altro vedeva te. Non sei il primo tipo strano che incontro, sai?» Il suo viso si aprì in un sorriso che non aveva nulla di rassicurante – o almeno così avrebbe dovuto essere, se Loki fosse stato davvero il nemico indifeso e impotente che stava interpretando. «E io non sono qualcuno che tu possa rigirarti come vu…»
Squisito.
Loki dovette quasi ammettere con se stesso che era valsa la pena di finire nel fango con un livido violaceo sullo zigomo. L’espressione di Tony era impagabile, ora: quel sorrisetto sardonico gli era morto sulle labbra e il suo corpo si era teso come quello di un animale sotto attacco.
«Vedo che non sei stupido come sembri» commentò, la voce improvvisamente cambiata, non più ansiosa ma placida, vellutata, come di un gatto che si lecchi i baffi prima di divorare il topolino.
La sua mano, sinuosamente scivolata sino alla gamba di Tony, ne aveva sfiorato la coscia con la punta delle dita e quel contatto effimero era stato sufficiente perché l’arto fosse stretto in una morsa di ghiaccio.
Poiché Tony non si muoveva e per una volta taceva, Loki si prese quanto più tempo possibile per esaminare il cassetto del cruscotto e ogni altro possibile nascondiglio per un’arma, che tuttavia non trovò.
«Sprovveduto. No, mi correggo, superbo,» riprese a parlare, scandendo ogni sillaba con studiata calma, un sogghigno divertito a sfregiargli il volto «ma non troppo stupido».
Appurato che la vettura non nascondeva nulla che potesse essere usato a suo svantaggio, i suoi occhi incrociarono quelli di Tony, li incatenarono nella loro prigione di ghiaccio e sarcasmo. «Posso fare peggio di così. Posso farti morire congelato in un istante, se me ne dai motivo. Altrimenti, possiamo fare le cose nel modo più semplice. Portami da te, se l’offerta della doccia è ancora valida».
Un informatore gli avrebbe fatto comodo, non avrebbe dovuto correre il rischio di fare ritorno al laboratorio e avrebbe avuto l’opportunità di monitorare Thor tramite altri occhi, al sicuro ad Asgard.
Tony non ribatté nulla, si limitò a schiacciare l’acceleratore, gesto che Loki interpretò come un muto assenso. Compiaciuto della buona riuscita del suo progetto, si rilassò contro lo schienale e indulse pigramente nell’ammirare il profilo scultoreo del suo compagno di viaggio, alla ricerca del punto debole di quel fisico muscoloso, cullato da quel silenzio delizioso.
Stava studiando con attenzione il leggero rigonfiamento all’altezza del cuore, incuriosito, nel momento in cui, di nuovo, Tony Stark decise di aprire bocca.
«Allora è il ghiaccio, hm? Interessante. Cosa sei, una specie di mago? Tipo Harry Potter?»
Il suono della sua voce lo lasciò interdetto. Dopo aver messo in chiaro la propria superiorità, non credeva che Tony avrebbe più aperto bocca, ma che avrebbe chinato la testa e obbedito come gli spettava.
Indubbiamente non credeva che avrebbe parlato di letteratura fantasy per adolescenti.
Tirò un sospiro, si passò una mano tra i capelli e gli rifilò un’occhiata penetrante. «Perché dovrei rispondere?»
«Così, per fare conversazione».
«La conversazione tra noi non è strettamente necessaria».
«Oh, sì invece». Tony azzardò un sorriso beffardo. «Altrimenti perché saresti ancora qui, se non per farmi delle domande?»
Loki inarcò le sopracciglia e lo fissò, facendosi immediatamente serio e intento. «Domande cui sei intenzionato a rispondere?»
Tony finse di riflettere sulla richiesta, poi scosse il capo con fare di scusa. «Non esattamente» replicò, enigmatico. Loki dovette attendere il tempo di una delle sue pause da attorucolo prima che si decidesse a soggiungere: «Ma potrei farlo, se tu accettassi una sfida».
Loki aggrottò la fronte. «Non ho tempo da sprecare in giochi infantili».
«Nessun gioco infantile» lo rassicurò Tony con fare innaturalmente grave. «Ti propongo una sfida a Twenty Questions».
Loki lo squadrò, il volto imperturbabile, ma dentro di sé era meravigliato e – sebbene non volesse ammetterlo nemmeno con se stesso – ammirato. Nonostante avesse avuto una prova del suo potere, che in meno di tre secondi gli aveva quasi congelato la coscia, quell’uomo non lo temeva. Non si piegava. Dietro alle sue proposte apparentemente puerili si celava un avversario ben più temibile di quanto apparisse.
«Twenty Questions?» gli fece eco, senza riuscire a reprimere un moto di scetticismo.
«Modificando un po’ le regole» specificò Tony, quasi fosse quello il dubbio più naturale a riguardo. «Una domanda per ciascuno al giorno, non di più. E le risposte devono essere sincere».
Loki tacque per un lungo istante, soppesò la proposta con attenzione, gli occhi chiari socchiusi, due lame di ghiaccio vitreo che trafiggevano il profilo del suo interlocutore, intento a scrutare la strada immersa nella notte. «Come si vince?»
Tony levò le mani a palmo in su per un secondo prima di riafferrare il volante. «Non si vince in tutti i giochi. In questo no, per esempio. Diciamo che ci facciamo favori a vicenda?»
L’affermazione gli strappò un sorriso, il suo sguardo scivolò dal viso dell’altro a un punto imprecisato di fronte a sé, oltre il parabrezza. «Perché suggerire una cosa del genere?» volle sapere dopo un’altra pausa di silenzio in cui ponderò con cura l’idea in cerca di una falla, di qualcosa che potesse dimostrarsi un ostacolo per lui in qualsiasi modo. Non trovò niente. «Che cosa ci guadagneresti?»
Un sorriso sfrontato piegò le labbra di Tony. «Soddisfo la mia curiosità, tutto qui».
Sembrava la verità. Pur impegnando ogni singolo anfratto della propria mente nella ricerca di un punto a suo sfavore in quel suggerimento, non individuava alcuna minaccia. Tony non sapeva niente di lui e non poteva sospettare nulla più che avesse un legame con Thor – e in ogni caso Loki avrebbe sempre potuto eludere i quesiti più pericolosi.
«Come vuoi, Stark» si decise infine ad accettare, si volse per ricambiare il suo sorriso e scoprì che l’uomo si era girato a propria volta, quasi simultaneamente. Rimasero a squadrarsi, entrambi preda di una strana sensazione, fino a che Loki non si rese conto che era la prima volta che pronunciava il suo nome. “Stark”. «Ma, se dovessi tentare di prendermi in giro…»
«Mi spari un freeze ray come Gru di Cattivissimo Me, è chiaro» lo interruppe Tony con una scrollata di spalle, Loki si limitò a rifilargli un’occhiata turbata.
A volte aveva l’impressione che parlasse una lingua molto diversa dalla sua.
«… Sì» scelse di assecondarlo. «Precisamente».
«Okay, comincio io» tergiversò Tony, nient’affatto turbato dalla prospettiva di essere ucciso. «Qual è il tuo nome? Quello vero, voglio dire».
Non era niente di più che un gioco infantile, come aveva sospettato. Avrebbe dovuto piegare quell’umano alla propria volontà, non indulgere in simili sciocchezze che mettevano a rischio il progetto di una vita. Eppure non riusciva a impedirselo.
«Loki».
«Avevo detto quello vero».
Loki non batté ciglio, al contrario parve persino offeso dall’incredulità del suo interlocutore. «Loki».
Tony era sul punto di commentare con un’altra battuta, ma la serietà di Loki lo convinse che non lo stava prendendo in giro. «Okay. Loki». Quel nome gli suggeriva qualcosa, ma non riusciva a ricordare cosa di preciso. «Tocca a te».
Sulla destra, sul ciglio della strada, incontrarono uno degli sparuti alberghi che si trovavano su quella autostrada. Rispetto agli hotel di New York era piccolo e poco curato, ma senza dubbio il meglio che si potesse trovare in quel luogo sperduto e Tony Stark non si accontentava mai di niente di meno del meglio. Finché avesse continuato a studiare il martello piovuto dal cielo, la suite di quell’albergo gli sarebbe bastata.
Tony svoltò nel vialetto dal quale si accedeva a un piccolo parcheggio, tirò la leva del freno e spense il motore.
«Qui?» Loki arricciò il naso, palesemente poco entusiasta.
«O in macchina. Cosa preferisci, Harry Froster?»
Gli scagliò una maledizione a denti stretti, esasperato dalla sua passione per i soprannomi idioti, ma scese dalla vettura e lo seguì all’interno della locanda.
L’ingresso era vuoto, il banco della reception deserto, da dietro una porta socchiusa provenivano lampi di luce – forse una televisione – e grida concitate di uomini ubriachi; Loki si strinse nelle spalle, ormai ansioso di ripulirsi dal fango che gli appiccicava i vestiti al corpo e i capelli alla nuca, e si accodò a Tony, che salì le scale fino all’ultimo piano, dove si trovava un solo battente – quello che dava sulla suite.
L’appartamento era di gran lunga migliore di quanto lasciava immaginare la prima impressione che l’hotel dava di sé – d’altra parte, le sistemazioni dei dipendenti dovevano essere approvate dallo S.H.I.E.L.D., che di solito garantiva pulizia e sicurezza, se non altro perché gli elementi con cui gli impiegati entravano in contatto non si disperdessero in un ambiente lurido dove avrebbero potuto fermentare e diventare qualcosa di pericoloso.
Era costituito da un ampio soggiorno, una camera da letto spaziosa, una piccola cucina e un bagno scintillante. La soglia si affacciava sul salotto, dove il pavimento era lucido e riflettente, come uno specchio, e un’intera parete era occupata da una vetrata che mostrava il deserto avvolto dai tentacoli dell’oscurità; il mobilio era dei più classici che si potessero trovare in un albergo, un sofà di pelle, un tavolino basso, una televisione a schermo piatto e un piccolo frigobar, uno sfizio concesso a chi occupava la suite per un prezzo che – ipotizzò tra sé Loki – doveva essere di gran lunga superiore a quello per una stanza comune.
Profondamente irritato dalla consistenza dura dei suoi capelli intrisi di fango e dalla sporcizia sui suoi indumenti, si ritirò in bagno senza una parola.
Tony osservò la sua figura alta e snella sparire oltre l’uscio del bagno, si soffermò più a lungo del dovuto a scrutare la porta che scivolava sui cardini alle sue spalle e si rese conto che essa non si chiudeva del tutto, ma rimaneva socchiusa – una svista dell’occupante della stanza.
Loki. Un nome assurdo e un incontro ancora più improbabile.
Forse, se avesse chiesto informazioni a Fury, avrebbe trovato qualche risposta, ma per il momento decise di evitare di coinvolgerlo: Nick poteva diventare straordinariamente invadente e petulante quando c’era di mezzo un potere disumano come quello di cui Loki gli aveva dato un assaggio in macchina.
D’istinto, mentre si chinava ad aprire il frigobar e prendere una lattina di birra fresca, si sfiorò la gamba, laddove si era stretto il morso di ghiaccio, e un lieve brivido lo attraversò da capo a piedi.
Era stato pericoloso, molto pericoloso.
Se non fosse stato capace di attirare l’attenzione di Loki al punto che l’uomo aveva posticipato il suo omicidio, sarebbe già morto.
La lattina si aprì con un sibilo, Tony la sollevò alla bocca e bevve un lungo sorso. La birra ghiacciata gli rinfrescò la mente, provata dall’insopportabile calura di quel luogo, che persisteva malgrado l’acquazzone di quella sera.
Fino a quel mattino era stato impaziente di tornare alla Stark Tower. L’avevano costretto a venire in quel deserto in culo al mondo e non gli permettevano neppure di sfiorare il martello, l’unico elemento che l’aveva indotto ad accettare di presenziare agli studi. Se però non volevano lasciarlo studiare – Nick poteva diventare anche molto infantile quando veniva toccato qualcosa che riteneva gli appartenesse, specialmente se veniva toccato da una persona speciale come Iron Man –, non vedeva alcuna ragione di rimanere.
Poi era apparso Loki.
Tony non aveva idea di come fosse possibile, ma l’uomo si era mosso tra gli agenti dello S.H.I.E.L.D. come fosse trasparente, quando invece lui lo vedeva senza difficoltà.
Per il momento, aveva messo da parte la fretta di tornare a New York.
Lo scroscio dell’acqua che all’improvviso taceva attrasse la sua attenzione, si voltò verso il battente dischiuso e attraverso lo spiraglio intravvide Loki che si avvolgeva un asciugamano intorno alla vita.
La luce del lampadario in soggiorno, insieme alle tenebre in cui al contrario era immerso il bagno, disegnavano arabeschi di chiaro-scuro sulla sua pelle nuda, così chiara, quasi translucida. Su di essa le ciocche color dell’inchiostro apparivano frustate, l’azzurro degli occhi, per quanto pallido, sembrava a un tratto un cupo blu notte in confronto al candore di quella carnagione.
Tony provò uno strano miscuglio di sensazioni che impiegò qualche secondo a classificare.
Assenza di salivazione, sudorazione, fremiti involontari, tensione muscolare: sintomi di un inaspettato aumento di produzione di testosterone. Attrazione sessuale.
Loki alzò il capo, lo vide, i loro sguardi si inabissarono l’uno nell’altro. Loki capì.
Un sorriso affilato si disegnò lentamente sulle sue labbra sottili, la sua voce si levò melodiosa e beffarda. «Che cosa stai guardando, Stark?»
Sebbene colto in fallo, Tony mutò subito espressione in una canzonatoria e tronfia. «Mi dispiace, hai già oltrepassato il tuo limite di una domanda al giorno» gli fece notare in tono placido, vuotando la lattina in un altro sorso.
Loki batté le palpebre, perplesso. «Cosa?»
«Prima, in macchina, mi hai chiesto se ci saremmo fermati qui» gli ricordò Tony, divertito nel vedere come cambiava il viso di Loki di istante in istante, a mano a mano che si accorgeva del suo errore. «Hai sprecato la tua domanda, per oggi».
Se uno sguardo avesse potuto uccidere, Tony sarebbe morto. In una smorfia che gli scoprì la dentatura, Loki sibilò un “bastardo” e sbatté la porta, che Tony temette sarebbe andata in pezzi.
Il battente resistette all’urto, lui sorrise.
Aveva tanto tempo per tornare alla Stark Tower.
Nonostante l’impulso omicida che gli fece accarezzare l’idea di torturare Tony Stark nelle peggiori maniere possibili per averlo ingannato, vinse l’orgoglio e Loki tornò da lui, la sera dopo, perché non poteva esistere umano – in nessuna dimensione – capace di averla vinta contro di lui.
La notte successiva fu molto più oculato nella scelta della sua domanda.
Aveva sbagliato a sottovalutare quel gioco, Tony ne aveva approfittato: semplice, lineare. Ma poteva fare ammenda facilmente a quel piccolo errore.
«Allora, Stark, che cosa ti rende così speciale da averti fatto finire nello S.H.I.E.L.D.?»
Erano seduti sul divano, Loki con le gambe elegantemente allungate e accavallate, Tony, stravaccato, brandiva un bicchiere di whisky. Prima di rispondere, quest’ultimo bevve un lungo sorso e rifletté sulla replica.
Loki attese con pazienza, la sua domanda era troppo precisa perché si potesse escogitare una trovata per eluderla.
Alla fine Tony afferrò il manico della valigia di metallo al suo fianco – la portava con sé ovunque anche la sera precedente, ricordò Loki, inarcando un sopracciglio –, se la pose in grembo e ne sollevò il coperchio, che rivelò una serie di pezzi di metallo rosso e oro e, in un angolo, una piccola tastiera che si accese con un ronzio.
«Signore?»
Loki si affrettò a mascherare il suo sussulto di stupore nel rendersi conto che quella voce metallica – eppure, al tempo stesso, straordinariamente umanoide – proveniva dalla valigia.
«Tranquillo, Jarvis» lo rassicurò Tony con fare quasi affettuoso – Loki non l’aveva ancora mai visto manifestare qualcosa di diverso dall’autocompiacimento. «È tutto okay».
Sollevò poi lo sguardo dalla valigetta a quello curioso di Loki e spiegò, dando un colpetto amichevole a uno dei frammenti dorati: «È un’armatura ad alta tecnologia che ho costruito io stesso». Era tornato all’autocompiacimento, ma perlomeno quello era un atteggiamento che Loki aveva imparato a prevedere. «È per questo che Nick mi vuole nello S.H.I.E.L.D. Manie di controllo, fondamentalmente. Dovrebbe prendersi più camomille». Fece una pausa, quasi fosse meditabondo a riguardo, prima di cambiare argomento. «E tu? In che rapporti sei con il gorilla biondo?»
Loki aggrottò la fronte. «È mio fratello».
Tony sembrava sinceramente stupito e Loki non seppe se considerarlo o meno un complimento. «È un pazzo isterico, non sai quanti casini ci sta procurando al laboratorio».
Loki si strinse nelle spalle. «Fratello adottivo».
«Ah».
Non fu la loro ultima sera insieme.
Loki era sempre più preso da quel loro gioco: Tony era astuto, più astuto della media degli esseri umani, e la sfida lo coinvolgeva più di quanto lui stesso fosse disposto ad ammettere. Non si trattava più soltanto di monitorare Thor, come si ostinava a ripetere persino a se stesso. Non si trattava più soltanto di togliersi lo sfizio di schiacciare Tony Stark come un moscerino.
C’era dell’altro.
C’era l’espressione di Tony quando riusciva a coglierlo alla sprovvista, priva, anche se solo per pochi momenti, di tracce di altezzosità.
C’era il sorriso ammiccante di Tony quando ammetteva di essere stato sconfitto, per una volta.
C’era il guizzo d’interesse che aveva scorto nel suo sguardo che scrutava il suo corpo.
Sebbene le domande venissero meno, notte dopo notte, Loki non riusciva più a considerarla una ragione abbastanza pregnante per interrompere il loro – il loro cosa? Gioco? Scontro tra menti? Legame?
A poco a poco i quesiti presero a vertere su un argomento ben diverso dai rispettivi poteri: la loro vita privata. Loki chiedeva di Tony per scoprire le sue debolezze, Tony chiedeva di Loki perché ormai aveva soddisfatto ogni curiosità circa il suo coinvolgimento con Thor e lo S.H.I.E.L.D. Così, almeno, avevano preso l’abitudine di ripetersi.
Tony fissò il liquido ambrato che colmava metà del bicchiere trasparente. «Continuo a domandarmi da dove tu venga. Quando arrivo qui ci sei sempre, quando esci scompari… Siamo nel deserto, non ci sono molti altri hotel in giro».
«Asgard» fu la laconica risposta.
«Asgard?»
«Asgard».
«Va bene» si arrese Tony. Da quando gli aveva chiesto il suo nome, aveva smesso di sorprendersi riguardo la sua identità. «Prego, a te».
Non aveva idea di che cosa avrebbe voluto sapere, dopo che l’ultima volta gli aveva dato anche una dimostrazione pratica del funzionamento dell’armatura, ma senza dubbio, tra tutte le possibili curiosità, non era preparato a quella.
«Hai una donna?»
Loki si accorse subito che esitava a rispondere, sgomento, e arricciò le labbra in un leggero sorriso.
«Beh…» C’era Pepper. Si ostinava nel suo atteggiamento ritroso, ma era soltanto questione di tempo prima che si decidesse a soccombere al suo fascino. Fino a poche settimane prima era stata uno dei suoi pensieri più ricorrenti. «Si chiama Pepper Potts. È… beh, è circamenoquasi la mia ragazza, diciamo così».
Nonostante lo conoscesse da poche settimane – in realtà lo conosceva meglio di molti altri – Loki riconobbe senza difficoltà l’incertezza nella sua voce. Il sorriso si ampliò di qualche millimetro.
«Davvero?»
«E tu?» gli ritorse la domanda Tony.
Loki scrollò le spalle con noncuranza. «No. Le donne non fanno per me». Gli riservò un’occhiata penetrante, le palpebre socchiuse che gettavano un’ombra nera sulle iridi di cielo. «Ora però mi spetta un’altra domanda». Prima che Tony potesse ribattere alcunché, si allungò su di lui con un’aggraziata torsione del busto e indugiò a pochi respiri di distanza dalla sua bocca. Il sorriso – adesso apertamente malizioso – si mescolava alla sua smorfia incredula. «Vuoi…?»
La sua voce accarezzò voluttuosamente le labbra di Tony nel porgli quel nuovo quesito, si esacerbò in una delle sue risatine, sibilanti, intriganti, quando Tony lo afferrò poco delicatamente per la nuca e lo costrinse ad annullare quei pochi centimetri che ancora li separavano, e infine si spense quasi del tutto in ansiti e sospiri sommessi.
«Alla fine ho capito chi sei».
«Ah, sì?»
«Loki di Asgard. Il dio dell’inganno e della discordia, nella mitologia norrena».
«… Vuoi parlarne ora?»
«Ci tenevo solo a precisare che spero tu non abbia quell’elmetto. Voglio dire, senza offesa, ma le corna sono passate di moda da— da sempre».

  
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