Crossover
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Autore: Siirist    02/06/2012    4 recensioni
Siirist Ryfon è un giovane ragazzo della città di Skingrad, figlio di benestanti agricoltori che sogna di entrare nella Gilda dei Guerrieri per ricevere onore e gloria. Ma non è una persona comune, discende da un'antica casata elfica, della quale fece parte millenni prima un Cavaliere dei draghi leggendario. Un giorno la sua vita cambierà drasticamente e verrà catapultato in un mondo di magia, tecnologia, intrighi politici, forze demoniache e angeliche, per poi affrontare la più grande crisi della storia di Tamriel. Questa fanfic è una crossover tra tre mondi fantasy che amo: Final Fantasy (di cui troviamo le ambientazioni, come Spira, Lindblum), "Il ciclo dell'eredità" di Paolini (di cui sono presenti molti dati, quale i draghi con i Cavalieri e il sistema della magia, ma l'ispirazione è molto libera) e The Elder Scrolls IV: Oblivion (di cui sono presenti le città). Oltre a questo ci saranno anche alcune citazioni di One Piece e di Star Wars. I personaggi principali sono tutti originali. Ci saranno alcune comparse da vari manga (Bleach, ad esempio) e in alcuni casi i nomi saranno riadattati (Byakuya), in altri saranno quelli originali (Kenpachi).
NB: il rating è arancione in quanto è adatto alla maggior parte della storia, ma in alcuni capitoli dove compaiono i demoni (non il primo che si incontra all'inizio, quello è ridicolo) gli scontri possono essere anche molto cruenti.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anime/Manga
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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LA CITTÀ PERDUTA

 

«Qui.» disse convinto Siirist.

Erano a settecento chilometri a sud ovest da dove il mezz’elfo aveva sondato il deserto. I draghi erano in volo e i Cavalieri sulle selle. Ryfon richiamò tutto il suo Flusso in entrambi i palmi, i Cerchi d’argento che brillavano, creando due correnti dalla forza di 500mila douriki ciascuna. Fece scattare le braccia verso l’alto e, in una violenta esplosione, la sabbia che egli aveva preso di mira fu sparata verso l’alto, e la grande colonna raggiunse i due rettili a trecento metri di altezza. Rorix si lamentò dei granuli che gli erano entrati nelle narici e negli occhi. Ridacchiando, il biondo si scusò. La colonna di sabbia continuò ad estendersi verso il cielo che si faceva sempre più scuro, trasportando tutti i detriti che avevano sommerso la mitica Ilirea. Dopo tre minuti, si era creata una profonda voragine larga abbastanza per permettere ai due draghi di discendere insieme. Erano a millecinquecento metri di profondità, che toccarono terra. Siirist non aveva problemi a vedere con le sue iridi rosse, ma gli occhi elfici di Glarald avevano smesso di essergli d’aiuto ottocento metri più in alto, perciò si era dovuto aiutare con un incantesimo organico misto a luce. Avevano davanti una porzione di un muro titanico: di marmo nero dei Beor, il portone a due ante era chiuso per metà, sabbia che ostruiva completamente il passaggio. Solo la barriera spaziale alimentata dal Flusso attorno all’indice destro che il mezz’elfo aveva eretto impediva alla sabbia di richiudere completamente il pozzo che aveva creato. Ora c’era la questione di come entrare nella città. Era chiaro che essa pure fosse completamente sommersa, e Siirist non voleva neppure pensare a dover creare gallerie su gallerie. In quel modo non avrebbero mai trovato la formula dell’Adamantio, che già sarebbe stato cercare un ago in un pagliaio anche se la città fosse stata in superficie. Il mezzo demone ringhiò infastidito; se non fosse stato in assoluta calma, avrebbe anche sprigionato ardenti fiamme. Richiamò tutto il suo Flusso nel palmo sinistro e a esso appoggiò il destro: in quel modo, avrebbe creato un incantesimo da dieci milioni di douriki, più che sufficiente per sbarazzarsi di tutta la sabbia nella città. Trattandosi questa volta di un incantesimo complesso, fu costretto ad articolarlo con le parole della Vera lingua dopo quasi un minuto di concentrazione.

«Che tutta la sabbia che occupa Ilirea scompaia.»

Alle parole, unì il suo potere spaziale più potente, quello che utilizzava in uno dei suoi incantesimi predefiniti più pericolosi: il potere del Vuoto. Esso cancellava tutto ciò che vi entrasse in contatto, semplicemente annullando lo spazio. Era un incantesimo di Adamar che, però, egli non era in grado di utilizzare, data la mancanza di potere. Per farlo, avrebbe dovuto utilizzare svariati amplificatori e avere molte gemme cariche di energia da cui attingere forza. E lanciato un unico incantesimo, l’Anziano si sarebbe ritrovato completamente privo di forze. Questo, per fortuna di Siirist, non era il suo caso, e per quanto la complessità dell’incantesimo richiedesse un uso molto grande del Flusso, non consumava, come sempre, che un unico douriki energetico al suo lancio. Da oltre l’anta aperta, apparve il nero del Vuoto che consumava la sabbia che bloccava l’accesso alla città, scomparendo veloce come era apparso. E la via era libera.

«Quel tuo incantesimo è quasi terrificante.» disse tra l’impressionato ed il timoroso il Cavaliere corrotto.

«Sì, ma è difficile da controllare. Per usarlo così su larga scala, occorre, come hai visto, un lungo periodo di concentrazione, che non sempre mi posso permettere. Preferisco usarlo solo con il Confine assoluto o gli altri incantesimi predefiniti. Inoltre sono sempre costretto ad entrare in stato di calma assoluta prima di lanciare una magia spazio-temporale, spesso non conveniente se paragonato alle arti demoniache.» rispose con tono piatto.

Senza contare l’immenso dispendio energetico che richiedeva un incantesimo di Vuoto. Perché eliminare completamente dallo spazio un nemico quando poteva tranquillamente, e con un richiamo di Flusso incredibilmente minore, bruciarlo vivo? E anche in quel momento tutto il suo Flusso era impegnato solo a mantenere la barriera spaziale che impediva alla sabbia di ricadere, il Cerchio d’argento sul palmo destro che brillava talmente forte da trasformare la mano in una torcia. Sdoppiò il suo Flusso e lo incanalò attraverso il braccio sinistro, e anche l’altro Cerchio d’argento si illuminò.

«Che la Polvere di diamanti crei una barriera tra la città e la sabbia.»

Alzò la mano verso l’alto e da essa partì una potente folata di vento che portava con sé minuscoli frammenti di ghiaccio che in poco creò una cupola bianco-celeste a duecento metri d’altezza. Siirist sigillò anche la porta con il ghiaccio diamantino e annullò del tutto le barriere di spazio che aveva eretto, sia quella di Vuoto dentro Ilirea, sia quella di spostamento nel pozzo. Ed esso si riempì in appena dieci secondi, generando un grande boato che rimbombò per tutta Ilirea.

«Tanto per uscire userò la dislocazione.» spiegò.

Ampliando enormemente il suo occhio mentale, Siirist ebbe una panoramica generale dell’intera città, almeno venti volte più grande di Rivendell, e scelse diversi punti strategici in cui generare delle colonne di ghiaccio che fungessero da specchi, la più vicina a dove si trovava lui a solo un metro di distanza. Allora generò una sfera di luce che gli richiedeva 100 douriki costantemente impegnati per mantenerla, ma, avendola amplificata usando entrambe le mani, essa aveva ottenuto un potere di 10000 douriki. La mise accanto alla colonna di ghiaccio e da essa partì un potente raggio che andò ad incontrare la seconda colonna, poi la terza. Nel giro di un minuto, l’intera città  sotterrata era illuminata a giorno, complice anche la volta di ghiaccio diamantino che Siirist aveva in seguito modificato per renderla uno specchio gigante. Glarald batté le mani impressionato.

«Devo ammettere che mi stupisci sempre di più. Per quanto sia stato io a supervisionare i tuoi allenamenti e i tuoi studi, rimango sempre meravigliato. Hai completamente padroneggiato i segreti dei quattro Anziani più forti, bravo.»

«Non quelli di Eimir. Conosco tutti i suoi segreti sulla stregoneria, ma tutto ciò che riguarda le invocazioni mi è inutile se non trovo un portale per Oblivion.» rispose senza scomporsi, impassibile, il suo stato di calma assoluta ancora attivo.

Si mise in marcia percorrendo il lungo viale che un tempo doveva essere stato meraviglioso. Ai lati erano costruiti degli edifici dall’aspetto interessante, era evidente come l’architettura altmer e nanica si fossero influenzate a vicenda.

‹Non trovi ironico come due draghi stiano ora felicemente camminando nella città costruita proprio come difesa da noi?› ridacchiò Rorix.

‹Sì.› rispose il Cavaliere con tono piatto.

L’Inferno sbuffò: non sopportava il biondo quando era in stato di calma assoluta, perché tutto il suo senso dell’umorismo scompariva, concentrato com’era solo su ciò che era importante: trovare la formula dell’Adamantio, trovare un portale per Oblivion, rivedere Alea. Almeno l’elfa era ancora nei suoi pensieri, per quanto al terzo posto, e non era diventato un automa tutto dovere. Siirist si fermò di colpo, facendo fare lo stesso agli altri tre che lo seguivano.

«Che succede?»

Per tutta risposta, Ryfon attrasse a sé l’oggetto che aveva colto la sua attenzione, afferrando al volo l’ascia. La guardò attentamente, notando il colore indefinito della lama, le innumerevoli pieghe che erano state date al metallo, senza dubbio mithril, a giudicare dal colore, per contenere il Cristallo, ciò che le dava quell’aspetto spettrale, quasi trasparente, e qualcos’altro che non riuscì ad identificare. Era qualcosa di duro, qualcosa che gli pareva fosse organico. Cosa poteva essere così resistente da non decomporsi dopo tutti quei millenni? Il mezz’elfo rigirò l’arma che stava impugnando, notando la semplicità della fattura, esclusa la misteriosa lega che dava vita alla lama: il taglio di essa era quasi rettangolare, solo la parte del filo era appena più lunga e ricurva; l’asta che la reggeva era di acciaio ben temprato, e l’impugnatura era spoglia: un tempo doveva essere stata rivestita da pelle, molto probabilmente, ma ora si era dissolta.

«Questa è l’arma di un nano. La lama è... qualcosa che non ho mai visto. Sarà mica... Adamantio?» Glarald era estasiato.

Siirist non fiatò.

‹Rorix.›

‹Te lo scordi.›

‹Avvicina la zampa.›

‹Chiedi per favore almeno! E esci dal tuo stato di calma assoluta, mi dai suoi nervi e mi dai i brividi quando sei così apatico!›

Siirist fece come detto e si trovò improvvisamente orripilato da ciò che voleva fare al suo compagno.

‹No, avevi ragione, come tutte le volte che sei in quello stato. Solo il tuo modo di chiederlo non era molto gentile. Fai pure.› permise il drago rubino, porgendo la zampa anteriore destra.

Ryfon sorrise, felice di avere un compagno mentale così incredibile, e menò un colpo che penetrò senza il minimo problema la corazza invulnerabile costituita dall’intreccio di scaglie rubine. Il biondo non si era aspettato tanta facilità e ferì il drago più di quanto avesse voluto.

‹Ahi!› ringhiò l’Inferno.

‹Scusami tanto!›

Il mezz’elfo gettò via l’ascia di Adamantio e pensò a guarire la zampa di Rorix: l’ascia era arrivata fino all’osso, tagliando attraverso scaglie, carne e muscolo come Lin dur avrebbe tagliato un filo di seta. Guarito l’arto del drago, Ryfon si rimise in piedi e richiamò a sé l’ascia: non aveva nemmeno una traccia di sangue sul filo.

«Ha la caratteristica del Cristallo di rimanere sempre perfetta: non perde il filo e non si sporca, tanto che il sangue scivola via. Questa è una bella cosa, non so dire quanto odi dover sempre pulire e affilare le mie katana. Un conto è lucidare e prendersi cura di una spada, un conto è dover lavorare per mantenerla mortale come dovrebbe essere.» commentò il biondo.

«Questa sarebbe un’ottima arma da mettere sotto sigillo.» osservò l’elfo oscuro.

«Preferirei avere spade, ce ne saranno sicuramente, ma anche un’ascia può tornare utile. Basterà rivestire l’impugnatura e sarà come nuova. E bisogna trovare un portale per Oblivion, ti ricordo.»

«Mal che vada, andrai a Oblivion dopo essere ritornato a Vroengard.» rispose Glarald.

«Preferirei farlo prima, ma sì, al limite faccio così.»

I portali per Oblivion erano una cosa rara, Siirist sapeva che ce ne era uno a Rivendell, nel palazzo del principe, uno nelle sedi dell’Università Arcana di Imperia e Zanarkand e ad Arcadia, sia nell’Università che nel palazzo imperiale. Ma in tutti i casi avrebbe dovuto rivelare chi fosse, e questo gli avrebbe impedito di continuare a viaggiare in libertà. Continuarono a camminare, seguendo il grande viale, ed incominciarono a trovare sempre più armi sparse a terra: spade, asce, mazze, martelli, frecce, lance, flagelli, falci... Qualunque tipo di arma, in qualunque stile o dimensione possibile, che elfi o nani avessero mai forgiato, utilizzato o anche solo concepito era lì. Nella grande piazza, nelle strade che si diramavano da essa, negli edifici che i quattro andarono ad ispezionare. E il numero di armi aumentava più i quattro si avvicinavano a ciò che capirono essere stato il Palazzo dei Due Re, la residenza in cui erano vissuti i sovrani della città. Ilirea era stata una città stato, nata dalla collaborazione dei due popoli alleati ma poi separata dalla Yaara Taure e dai Beor. I due capi della città si erano chiamati re e avevano governato insieme. Siirist finalmente capì che cosa ci facevano tutte quelle armi a terra, e perché la città fosse improvvisamente caduta.

«C’è stato un massacro. Le due fazioni hanno preso le armi e si sono massacrate tra di loro.» spiegò.

«È quello che stavo pensando anche io. Ma perché?»

«Sappiamo che la guerra con i draghi è terminata quando gli elfi strinsero il patto che condusse alla nascita dei Cavalieri e i nani, offesi, si ritirarono nei Beor.»

«Forse Ilirea era ancora in piedi a quel tempo e quando i nani sentirono del tradimento degli elfi, si rivoltarono contro di loro.» azzardò l’elfo oscuro.

«E sono rimaste solo le armi perché i corpi dei loro possessori si sono decomposti da tempo.»

Arrivarono alle due porte del Palazzo dei Due Re. Esso era un edificio immenso, che pareva essere stato completamente ricavato da una montagna che continuava molto verso il basso, più in profondità di quanto Siirist potesse vedere. Loro quattro si trovavano su un ponte finemente scolpito, per quanto gli altorilievi fossero oramai indecifrabili, che collegava il palazzo al resto della città. E sotto di loro, un abisso nero. L’antica residenza delle due maestà aveva una facciata divisa in numerose figure, tutte perfettamente squadrate. Alcuni buchi la attraversavano, dove un tempo dovevano esserci state le finestre. Entrarono per le porte gemelle, i battenti scomparsi, ed arrivarono ad un cortile oramai morto. E fin da subito si notava la differenza in stile: a destra la parte altmer, a sinistra la parte nanesca. Per quanto gli edifici del resto della città fossero un po’ un misto dei due stili, era prevalente quello elfico, mentre nella parte sotterranea della città, accessibile da scale pubbliche o anche da alcune case che avevano intere sezioni nella zona del seminterrato, era più di spessore lo stile dei nani. Siirist sperava che la formula dell’Adamantio non fosse da qualche parte nella sezione sotterranea, poiché gran parte di essa era oramai crollata. E, comunque, era più probabile che si trovasse nel palazzo, ammesso che effettivamente esistesse ancora, motivo per cui ci erano andati.

«E ora?» domandò al Cavaliere più anziano.

«Bella domanda. È ugualmente possibile che si trovi nella metà elfica come in quella nanica.» rispose incerto.

«Se solo sapessi cosa cercare, sarebbe tutto più semplice. Ma la formula potrebbe essere incisa su una lastra di pietra o direttamente nella roccia delle pareti, in una targa di metallo, o, Obras ce ne scampi, scritta su un foglio di carta. In quel caso potremmo anche andarcene.»

‹Puoi cominciare dalla supposizione della roccia: puoi sentire su tutto il palazzo se ci sono delle incisioni.›

‹Ci vorrà un’eternità e chi sa quante altre scritte troverò? Immagino che il palazzo sia protetto da innumerevoli incantamenti.›

‹Hai un’idea migliore?›

Siirist odiava quando Rorix aveva ragione quasi quanto il drago odiasse lui in stato di calma assoluta, che per ovvie ragioni assunse. La sua espressione cambiò, gli occhi che diventarono quasi morti, mentre la sua percezione dell’ambiente circostante cresceva esponenzialmente. Si mise su un ginocchio e appoggiò la mano nuda a terra. Anziché attivare un incantesimo, il mezz’elfo optò di inserire direttamente il suo Flusso nella pietra del palazzo, e in quel modo ebbe una idea migliore di ciò che stava accadendo. Dopo cinque minuti che restava immobile, vide qualcosa di così scioccante da farlo uscire dal suo stato di calma.

‹Che succede?!› si allarmò il drago.

‹Non te lo posso dire, devi vederlo con i tuoi occhi.› rispose alzandosi e entrando nel palazzo.

Siirist aveva raggiunto un perfetto controllo dei suoi poteri mentali e neppure Alea nuda lo avrebbe potuto distrarre dal suo stato di calma assoluta. Ma quello che aveva visto aveva risvegliato qualcosa di sopito dentro di lui, qualcosa che stuzzicava la sua vera essenza come niente mai in tutta la sua vita. Era come gli aveva detto la Volpe Grigia: prima di essere un guerriero o un mago, egli era un ladro. E questa volta non si trattava di combattere come un ladro, questa volta si trattava di ciò per cui una persona diventa un ladro. Sorrideva come poche altre volte nella sua vita, bava che gli cadeva dalle labbra per essere andato in iper salivazione. Era troppo bello. Il cuore gli batteva forte, quasi non riusciva a respirare e tremava dall’eccitazione. Non riusciva a smettere di sorridere come un idiota, un risolino ebete che gli saliva di tanto in tanto dalla gola.

‹Si può sapere che accidenti hai visto?!›

‹Aspetta, aspetta... Ci siamo quasi... hehehe...!›

Più che stuzzicato, si sentiva come se quello che aveva visto lo avesse sbattuto sul letto, gli avesse strappato i calzoni e avesse incominciato a fargli un pompino. E arrivarono alla sala del trono. Essa era grande e completamente spoglia se non per numerose armi e due maestosi troni che si trovavano accanto ad una grande colonna squadrata al centro della sala. Uno era completamente nero, scolpito nel marmo dei Beor, dalle forme precise, lineari, squadrate, come era tipico dei nani, decorato con diamanti neri, bianchi e zaffiri di varie forme e dimensioni; quello accanto era una meraviglia di oro giallo, rosso, bianco e verde, il primo e l’ultimo i più prevalenti, dalle forme più morbide e tondeggianti. Accanto ai troni vi erano quattro oggetti meravigliosi: una grande ascia a due mani ma ad una lama, la quale aveva una forma più aggraziata delle solite arme naniche, la lama leggermente ricurva e, nella sua parte più lunga, cinquanta centimetri. La parte non letale dell’ascia era di oro nero e argento, con numerosi diamanti neri incastonati, un grande zaffiro infondo. Accanto vi era una splendida corona dall’aspetto pesante e massiccio, di oro nero e onice, con zaffiri, perle nere e diamanti bianchi a decorarla. Ai piedi dell’altro trono, invece, vi era una spada a due mani, l’elsa prevalentemente di oro giallo, bianco sulla parte dell’impugnatura e un po’ di oro nero sulla guardia a croce che si mischiava a quello giallo. Due diamanti bianchi erano incastonati infondo ai bracci della guardia, uno splendido diamante verde sul pomolo. Accanto, vi era una corona, molto più elegante e leggera di quella dei nani, di oro giallo, bianco, verde e rosso, con incastonati diamanti bianchi, smeraldi, rubini e turchesi. Rorix capì.

‹Quelle due spade e quelle corone devono valere, sia per il loro effettivo valore che per la loro importanza storica, almeno mezzo milione di monete d’oro ciascuna! Ora capisco perché ti sei eccitato tanto!›

‹Che, per quella robetta?›

Rorix guardò sconvolto il suo Cavaliere. Questi si avvicinò alla colonna dietro i troni e premette una delle pietre, facendo scomparire uno dei suoi lati nel pavimento, rivelando una serie di scale a chiocciola.

‹Non dirmi che...!›

‹Hehehe...!›

Siirist corse giù per le scale, obbligando gli altri tre a seguirlo, i draghi che si fecero grandi quanto merli che scendevano volando. Volavano quanto i Cavalieri correvano, e passarono circa venti minuti in quel movimento centrifugo che avrebbe fatto girare la testa a chiunque: ma non a Siirist, troppo concentrato sul suo obiettivo.

‹Quanto manca ancora...?› chiese Rorix con la nausea.

Scesero, scesero e scesero ancora, per quella che parve un’ora, quando, finalmente, le scale si interruppero e la strada si fece di nuovo piana. Siirist si prese un secondo per riprendersi, e poi seguì il lungo corridoio, mentre Glarald si appoggiò ad una parete per evitare di cadere e i draghi si schiantarono a terra.

«Muovetevi o non vi aspetto!» disse tra l’impaziente, l’eccitato, il nervoso e l’arrabbiato Ryfon.

Gli altri tre emisero un grugnito infastidito, ma fecero come detto. E dopo tre minuti, arrivarono ad una porta. Siirist si fermò e fece dei respiri profondi.

«Sappiate che ho attivato un incantesimo oltre questa porta che illumina l’intera stanza. E fidatevi, è enorme. Il soffitto arriva fino a poco sotto il pavimento della sala del trono, quindi capite da soli quanto è alto.»

E aprì la porta. Di fronte a loro apparve la massa più grande e vasta di ricchezze che si fosse mai vista prima, con montagne di oro di vario colore, argento e pietre preziose che arrivavano così in alto da arrivare quasi a toccare il soffitto. Lingotti, monete, statue, piatti, bicchieri, vassoi, anelli e monili vari, armi e armature decorative. Tutto ciò che poteva essere fatto usando i vari metalli e pietre preziose era lì. Siirist rideva come un bambino a cui era stato dato un giocattolo nuovo, in quel caso un giocattolo davvero bello, mentre gli altri tre erano a bocca aperta e senza parole.

‹Quanto dicevi che potevano valere quelle armi e quelle corone di sopra?› chiese con aria curiosa a Rorix.

Come un papero in un lago, Siirist si buttò di testa nel mare di ricchezze, affondando come tra sabbie mobili. Allora richiamò il suo sangue demoniaco, e i suoi occhi diventarono rossi. Usando il suo potere di volo, si tenne “a galla” e fece finta di nuotare, prima a stile libero, poi a dorso. Si immerse e ne riuscì, alcune monete in bocca, e le sputò, facendole levitare, e dando l’impressione di sputare un getto d’acqua durante una spensierata nuotata. Ridendo come mai in vita sua, si sollevò in aria, roteando in avanti su se stesso, salendo sempre più in alto e rimanendo sulla stessa asse. La sua risata da pazzo era così forte da riecheggiare in tutta la sala.

«Intuisco tu sia felice di questa scoperta. Complimenti, sei ora l’uomo più ricco di tutta Tamriel. Non abbiamo contatti con gli altri continenti, ma azzarderò a dire anche che sei il più ricco di tutta Gaya.»

«Ma non capisci?!» Siirist gli volò incontro, rimanendo ad un metro da terra, la sua faccia vicina a quella dell’elfo oscuro perché aveva il corpo quasi perfettamente orizzontale.

«Che c’è da capire oltre al fatto che sei ricco? Certo, molte di queste gemme possono essere così pure da contenere svariati quantitativi energetici, ma a parte questo, non vedo che altro ci sia di stupefacente in questa trovata.»

«Che cos’è che i nani amano più delle loro barbe?» domandò con il tono da presentatore di un quiz a premi in sferovisione.

Glarald si illuminò, capendo finalmente. E anche lui sorrise enormemente. Non quanto Ryfon, è chiaro, ma comunque ci andava vicino.

«Portando loro in dono anche una minima parte di questo immenso tesoro, apriranno subito le loro porte, e se glielo chiedo anche i loro culi, e riporteranno le loro brutte facce barbute in superficie. Non sarà la mossa più onorevole di questo mondo, ma è un modo come un altro per unirli alla causa contro gli Scorpioni!»

«Realizzando così la profezia dell’unione di tutte le razze! Siirist, sei un genio!»

«Per quanto lo sappia benissimo e ami dirmelo da solo, è sempre bello sentirlo da altri. E poi sì, certo, sono ricco! Hahaha!» e ricominciò a ridere.

‹Fai poco il gradasso, che hai pensato ai nani solo dopo. Il tuo sguardo di sopra quando sei uscito dal tuo stato di calma assoluta poteva solo essere “soldi” o “fica”, non “bipedi bassi e pelosi”.› lo riprese Rorix.

‹Ah, dettagli!› gli rispose infastidito il Cavaliere biondo.

«Va beh, adesso torniamo alle questioni più alla mano.»

Riacquistò il suo stato di calma assoluta e si mise nuovamente con la mano appoggiata a terra. Dopo un’ora e mezzo aveva sondato millimetro per millimetro l’intero Palazzo dei Due Re, se non per un punto che aveva trovato inaccessibile. Riferì ciò agli altre tre e questi concordarono che poteva essere un luogo protetto da sigilli anti-magia che probabilmente custodiva la formula segreta. D’altronde i guardiani di quel palazzo avevano trovato più importante proteggere quel luogo misterioso che il loro immenso tesoro: qualcosa sotto doveva esserci. Con la dislocazione, Siirist riportò se stesso e gli altri al piano “terra”, in una stanza non molto distante dalla sala del trono, e con un incantesimo di Vuoto fece sparire una parte della parete che impediva di essere ispezionata, scoprendo così altre scale discendenti. Ma per la felicità di tutti, erano dritte e non a chiocciola, e non andavano più giù di dieci metri. Quando le ebbero percorse tutte, arrivarono, dopo altri tre metri, ad una pesante porta di mithril, percorsa da varie rune di protezione.

«Pare servano le chiavi. Queste rune sono potenti, difendono le porte da qualsiasi tipo di magia, e ho il sospetto che ci siano le stesse a ricoprire anche le pareti della stanza che c’è dall’altra parte.» disse Glarald, un po’ alterato.

«Per fortuna ho la magia del Vuoto, che niente può fermare.» disse soddisfatto Siirist, creando la sfera nera attorno alla mano destra dopo essere entrato in stato di calma.

L’elfo oscuro scosse la testa.

«No, se leggi bene, gli incantamenti sono scritti in modo da repellere qualsiasi forma mistica. Sebbene non si fossero immaginati un incantesimo potente come il tuo Vuoto, i maghi che hanno inciso queste rune hanno fatto in modo di proteggersi da qualsiasi cosa un potenziale invasore potesse utilizzare.»

Siirist diede un’occhiata alle scritte elfiche degli incantamenti e ringhiò infastidito, costretto a dare ragione al Cavaliere corrotto.

«Se non posso intervenire direttamente sulle porte e i muri, posso provare con lo Sconvolgimento spaziale e influenzare indirettamente lo spazio in cui si trovano.»

Glarald scosse ancora la testa.

«Potrebbe funzionare, ma sarebbe correre un rischio troppo grande. Ammesso che possa superare le difese degli incantamenti, rischieresti di rovinare qualunque cosa sia all’interno di questa stanza. Metti che la formula è incisa direttamente su una parete: se la rompi con lo Sconvolgimento spaziale, come la mettiamo poi?»

L’elfo aveva ragione, e Siirist si imbestialì ulteriormente, uscendo dallo stato di calma e ringhiando forte, i suoi occhi che ancora si tingeva di rosso. E sorrise.

«Se è in grado di divorare il marmo nero dei Beor, queste semplici porte di mithril incantate saranno un giochetto.»

Richiamò la più alta forma di energia demoniaca attorno alla sua mano sinistra, e sul palmo comparve una fiamma nera. Era un potere difficile da controllare, non uno che gli piaceva molto usare perché gli mieteva la riserva energetica.

«Tsukuyomi!»

La fiamma prese la forma di una katana e si solidificò, permettendo al mezzo demone di impugnarla propriamente. Con tre rapidi colpi di ittouryuu, il biondo dagli occhi rossi creò un varco nelle porte, e la porzione metallica tagliata cadde a terra con un pesante clang. La spada nera ritornò ad essere fiamma e si dissolse nel nulla.

«Fatto.»

«Effettivamente nessun incantamento può resistere ad un potere divino.» ammise Glarald.

Il mezz’elfo creò una sfera di luce e la lanciò verso il soffitto, dal quale illuminò l’intera stanza. E lì, su una lastra di pietra, erano incise delle parole, da un lato nella lingua degli elfi, dall’altra in quella dei nani. Ma Ryfon non se ne curò nemmeno, superandola per raggiungere quattro pilastri ricoperti di rune elfiche posizionati in modo tale da formare un quadrato inscritto ad una circonferenza tracciata da altre rune. Siirist aveva già visto quella costruzione e sapeva bene cosa fosse. La prima volta era stato a Vroengard, durante il suo terzo anno di addestramento, assieme ad Alea, Gilia, Evendil e Althidon. E accanto una seconda lastra di pietra incisa, più piccola, che riportava dieci righe, ognuna composta da cento quarantaquattro parole. Siirist le lesse tutte, imprimendole a fondo nella sua mente.

«Sì, è questa, è la formula!» esultò Glarald dopo aver letto le prime righe.

«Lasciala perdere e vieni qui.» rispose Siirist.

Sorrideva soddisfatto, già pregustando la sfida che lo aspettava, il suo sangue demoniaco che ribolliva, gli occhi rossi avvolti da un’aura azzurra che sprigionava scintille. Una fiamma azzurra si generò dal palmo sinistro del mezzo demone, che fu estinta dalla sua mano chiusa in una morsa determinata.

«Questo è un portale per Oblivion!» disse incredulo Glarald.

«E questi sono i sigilli per domare gli Esper.» aggiunse il biondo, indicando la lastra che aveva memorizzato.

 

 

~

 

 

Il prossimo capitolo si intitola IL VERO NOME. In uno dei piani di Oblivion Siirist farà la conoscenza di un essere particolare che avrà qualcosa di interessante da rivelare a lui e al suo drago.

Si tratta di uno dei due capitoli che io abbia odiato scrivere di più in assoluto, quindi se sembra sbrigativo (specie quando appaiono gli Esper), lo so, ma non ho potuto fare altrimenti per tante ragioni (sia inerenti al mondo della storia che a me come scrittore).

  
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