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Autore: lady vampira    02/06/2012    0 recensioni
Non sono mai stato solo, eppure non mi sono mai sentito tanto solo. E’ un paradosso, ma d’altronde ci si può sentire soli anche in mezzo alla folla. Guardi gli altri e li vedi lontani anni luce da te… irraggiungibili… loro pensano che sia tu la stella, ma in realtà non è così. Sono loro. Milioni, miliardi di stelle che ardono e splendono, ognuna a modo proprio, e tu te ne stai a fissarle col naso in su, sapendo che non potrai mai toccarle.
Però non posso lamentarmi, me la sono cercata io. Ho fatto di tutto per arrivare fin qui… okay, tutto nei limiti del lecito, certo, ma comunque di tutto. Ho trascinato mio fratello e i miei amici nella mia follia e loro non hanno mai battuto ciglio, mi hanno seguito e basta, credendo in me.
Ma adesso vorrei solo tornare indietro.
Genere: Commedia, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Bill Kaulitz, Tom Kaulitz
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2



Porca miseria. Non avrei mai pensato che fare il barman fosse tanto difficile. Soprattutto per una ragazza. Sono le sette e mezzo del mattino, ho la schiena in due e dei crampi bestiali… E questa grandissima stronza continua a fissarmi di traverso, neanche volesse chiedermi di uscire… sì, per poi portarmi in qualche vicolo buio e farmi a pezzi, mica per altro. Se fossi stato al corrente di tutti questi retroscena quando ho accettato la proposta di Elettra, col cavolo che avrei detto di sì. Avrei preferito diecimila volte tornare a casa così e correre il rischio. E questo la dice lunga su quale sia il mio umore al momento. Fottuto ciclo. Non insinuerò mai più che quelle delle donne durante questo periodo del mese siano tutte scene. Mai più. Se tengo duro abbastanza da tornare uomo, ovviamente. Stamattina sotto la doccia ho avuto una mezza ricaduta: non è facile ritrovarsi con qualcosa in più da una parte, anzi da un paio di parti, e in meno da un’altra… ma dopo aver affrontato la sfida del tampone, penso di poter andare tranquillamente incontro a qualunque cosa. << Oggi mi sembri più rammollita del solito >>, commenta… come diavolo si chiama? Ah, sì, Martine. Be’, per quello che mi riguarda potrebbe chiamarsi anche Crudelia Demon, non farebbe granché differenza. << Si, lo so, mi spiace. Ho… sai com’è, le mie “cose” >>, spiego, pregando il cielo di non essere arrossito. Un conto è parlarne da uomo –con fin troppa leggerezza- e un conto è parlarne da donna cercando di renderne partecipe una stronza gelida che di sangue come minimo non deve averne neanche una goccia, in corpo. << Ancora con questa storia! Guarda, che se non te l’ha detto nessuno, ce l’abbiamo tutte sai? Ma mica ne facciamo un poema epico come te! >>. Stronza, stronza, stronza. Io le ho sempre odiate, le ragazze così. Quando avevo tredici anni, e andavo ancora a scuola, ce n’era una nella mia classe, e non esagero a dire ch’era persino più impopolare di me e mio fratello messi insieme. Una vera “Regina delle Nevi” , che quella di Narnia le faceva un baffo, al confronto. << Piuttosto, vedi che se non ti ha avvertito nessuno, oggi è il tuo turno >>, fa. E no che non mi ha avvertito nessuno, come avrebbero potuto? Non so nemmeno di cosa diavolo stia parlando. << Per cosa, scusa? >>. << Fai la finta tonta, eh? Per i bagni, ecco per cosa. Oggi devi pulirli tu, signorina cara. Non pensare di scampartela solo perché hai… “le tue cose” >>, fa, mimando le virgolette. Mi rivolge un sorrisetto glaciale, che le farei scomparire volentieri dalla faccia, se non fosse che nonostante ora potessi approfittarne, non riuscirei comunque ad alzare le mani su una donna. Tranne che su Elettra, però. Aspetti solo che mi capiti tra le mani… e questa me la paga. Con tutti gli interessi.

So di non essere stata mai granché credente, e di conseguenza nemmeno una grande praticante. Ma bisogna crederci, quando dico che adesso sto recitando tutte le preghiere che conosco, e forse anche quelle che non conosco. Tom, seduto davanti a me, che strimpella la chitarra… non avrei mai pensato che potesse essere una cosa così, così… così erotica, dannazione. Quelle dita “delicate e dure”, come ama definirle Kessi –facendomi venire l’ulcera- che accarezzano con dolcezza ma anche con intensità le corde, facendole vibrare fin nel profondo… ah… Devo aver fatto qualcosa di tremendo in una vita precedente, per meritarmi una punizione del genere. << Guten nacht! >>, sbotta all’improvviso, facendomi sussultare. Perfetto. Se finora avevo il cuore in gola, adesso sono stata ad un passo dal risputarlo. << Ma che cavolo fai! Mi hai fatto venire un colpo! >>. << Eh! E visto che non ne dai, almeno ne prendi qualcuno, e scusa! >>. << Ah ah, divertente. Sembri Kessi, quando fai così >>. << Chi? >>. Oh, merda. Stupida, stupida, stupida Elettra. Dai, inventa, veloce, inventa… << Ma sì, Kessi, la protagonista di quella serie tv, mannaggia, come si chiamava, me ne sono dimenticato… quella che era la maschiaccia della scuola col chiodo fisso… >>. << Guarda, non me lo ricordo, ma se questa aveva il chiodo fisso mi spiace solo di essermela persa! >>, ghigna, accordando lo strumento…ehm, la chitarra. Meglio evitare di dire cose che possano essere suscettibili di diverse interpretazioni, adesso. << Veramente ce l’aveva solo nel film, non penso che fosse così anche nella realtà >>. << Un vero peccato. Era figa, almeno? >>. << Ma che ne so! >>. Solo adesso mi accorgo di aver alzato la voce, e che mi sta fissando con gli occhioni sgranati, attonito. Lo so, sono una povera idiota, ma quando lo sento parlare così io… mi parte l’embolo, accidenti. << Scusa. Non volevo gridare >>. << Sai che sei strano forte? Se non sapessi come stanno le cose lì sotto, direi hai l’umor nero da mestruazioni >>. << Ma che dici >>. Veramente lo sarei, dato che sono puntuale come un orologio e probabilmente il mio cervello è ancora impostato in quella modalità, anche se il corpo è su un’altra lunghezza d’onda… Ossantocielo! Bill… oh, poveraccio. Se è quello che penso, appena mi ribecca mi ammazza, ne sono sicura. << Sì sì, fidati, basta che ti dico una cosa. Non so se a te è mai capitato, ma è la scusa più formidabile che hanno disposizione le ragazze dopo il mal di testa, se non te la vogliono dare >>. << Sinceramente no, e comunque, non pensavo tu avessi mai avuto di questi problemi, anzi… credevo fossi tu quello a dover trovare le scuse per contenere le richieste… >>, sbotto, maligna. Sarò sempre debitrice a Kessi per avermi allenata ad affilare la lingua. L’occhiataccia che Tom mi scocca in questo momento è uno di quegli istanti che non si scorderanno mai. Dar del filo da torcere a uno come lui è una soddisfazione pari a quello che immagino essere farselo dare a letto, da lui… Parlavo del filo da torcere, naturalmente. << Che fai, tiri fuori le unghie? Un’altra cosa dovresti tirar fuori… ma non con me, eh! >>. E scoppia a ridere. Inevitabilmente, il mio pensiero corre ad una “cosa” lasciata sospesa sul mio pc, a casa… okay, una storia. Alquanto particolare. In cui i protagonisti sono loro due spesso impegnati in scene di sesso. Tra loro due. E no, non ci sono ragazze. So che è una cosa da malati –come dice Kessi ma non posso farci niente. Il mio amore “morboso” per questo tipo di storie –“Twincest”, le chiamano, credo non serva spiegare il perché, per chi conosce un minimo d’inglese è evidente- è incontrollabile. Certo,adesso dovrò dir loro addio, anche perché ho qui davanti a me Tom Kaulitz Trümper in carne e treccine –le ossa, se ci sono, non si vedono ma non se ne sente la mancanza perché in compenso ci sono i muscoli in bella vista… e che muscoli. Per niente appariscenti, levigati, definiti, perfetti. Ci farei giocare la lingua a “campana”, sul suo addome scolpito. Ohhhhh… basta basta basta! Basta Elettra, calmati. Respira. Conta fino a dieci… fatto? Be’, contane altri dieci, sai, giusto per sicurezza. Appoggia la chitarra sul divano, s’alza e sfila la sottile maglia aderente, bianco panna, che se già lasciava poco spazio all’immaginazione adesso me l’ha bruciata del tutto. Coraggio, Ele, la tabellina del 136. Dai, ch’eri brava in matematica, è facile! 136… 272… 400 e qualche co…sa… << Sei pronto? Perché Gus ci sta già aspettando in studio e Georg arriverà a momenti. Proviamo “Let me down”, oggi >>. Batto le palpebre, attonita. So che non dovrei, far finta di sapere sempre tutto eccetera eccetera, ma una canzone con un titolo così triste… Una canzone che non so cantare, soprattutto. Avrò voglia a sentirmi triste… da mania suicida, ci scommetto. << Sono pronto >>. Non è vero, non lo sono e non lo sarò mai. Ma mi tocca. << Un attimo che mi cambio >>. Ecco, bel vizio del cavolo. Prima ti chiede se sei pronto e poi ti fa aspettare. Certo che… è davvero un bel tipo, Tom. In tutti i sensi. Senza più scambiare parola –più che altro, non ho la minima idea di cosa poter dire senza mettermi nei casini più di quanto non sia già- saliamo in auto. Lui chiude la portiera, accende il motore e mi lancia un’occhiata di sottecchi. << Che c’è? >>. << Io? Niente, perché? >>. << Perché di solito quando vedi che mi dirigo dal lato del guidatore pianti un casino. Odi il mio stile di guida, e preferisci rischiare di spezzarti un’unghia guidando tu stesso piuttosto che farti venire un infarto… sono parole tue, eh, mica me le sto inventando >>. << Ma no, è che non mi sento molto bene… >>, mento ma non troppo, serrandomi le braccia al busto… non ho ancora superato lo shock del trovarmi piatta come una tavola. Non che sia una fanatica delle mie tette, ma insomma, un cambiamento così, chiaro che ci vuole un po’ a mandarlo giù. E anche uno così… Tom che mi passa lentamente una mano sulla fronte, prima dal palmo tenero, poi dal dorso vellutato. Se non ce l’avevo, la febbre, adesso mi è salita sicuro. << Sei freddo >>, osserva, e quasi mi verrebbe da ridere se non fossi troppo impegnata a non dimenticarmi di respirare. Io… fredda? Qui? Adesso? Con lui? Naaah, non penso proprio. Se mi facessero un prelievo ora penso che dalle vene aspirerebbero lava incandescente. Ma per fortuna non sto andando a fare le analisi ma semplicemente a provare una canzone… ossignore.In tutta la mia vita non avrò mai cantato più di cinque o sei volte, nel coro della chiesa e in qualche recita scolastica. Di sicuro non è quello che si può definire “una solida preparazione”. Sono spacciata, lo so. Scendiamo, io fisso la porta a vetri davanti a me e non so che fare. Vorrei filarmela alla velocità della luce ma non penso sarebbe una buona idea. << Senti, se proprio non ce la fai la proviamo un paio di volte e ce ne torniamo a casa, okay? Così ti metti a letto e te ne stai al caldo. Non puoi rischiare di perdere di nuovo la voce >>, mi mormora Tom, cingendomi fraternamente le spalle con un braccio e trascinandomi dentro l’ascensore. Aiutooo… << Potreste sempre prendere un altro cantante… >>, mormoro anch’io, abbassando impercettibilmente il tono. Magari mi venisse la raucedine, sarebbe una scusa perfetta. << Ma io non potrei certo prendere uno che non fosse mio fratello… >>. Oh santo cielo. Ma ho capito bene, o l’indigestione di ormoni a farmi sentire cose che non esistono?! << Abbiamo cominciato insieme, finiremo insieme. Se ne esci tu sono fuori anch’io, te lo ricordi? >>. Ahaaaaaaa! Meno male, parlava del gruppo. Pfiuuuuu… << Veramente no. Davvero ti ho fatto promettere una cosa del genere? >>. << No, sei stato tu a dirmelo, non te lo ricordi più? Quando ho passato quel periodo… sai, dai che lo sai. Non voglio credere che te lo sei dimenticato >>.D’un tratto si volta, mi prende le mani e mi fissa… i suoi occhi sono quelli di un agnellino che ha appena visto avvicinarsi il boia con la scure. << Bill, non te lo sei dimenticato, vero? >>. Ma no, certo che no… semplicemente, non so di cosa stai parlando, Tom. E a giudicare da quello che sembra, avrei preferito continuare a non saperlo… << No, Tom. Non potrei mai >>. E’ una bugia che mi costa cara, questa. Mi abbraccia, mi solleva appena un po’. << Grazie, fratellino. So di poter sempre contare su di te >>. Le porte argentee si aprono, lui ne esce per primo lasciando me ad arrancargli dietro, sconvolta. Cazzo, è più complicato di quanto credessi, essere Bill Kaulitz. 

<< Ele! Sei tu? >>, domanda Kessi dalla cucina. << No, sono Bill Kaulitz >>, sbotto. Mi piacerebbe che ci credesse, anche se in questo momento mi sento di tutto tranne che Bill, porca miseria ladra e infame. << Sì, certo, e io sono Madonna >>, ribatte lei sarcastica, armeggiando davanti ai fornelli; e comincia a canticchiare “Like a virgin”… ha una voce discreta ma è chiaro che non ha la minima idea di come si faccia a cantare, e questo lo dico come uno che un po’ se ne intende. Ma non è questa la cosa inquietante… piuttosto, è il modo in cui si muove, voltandosi e strusciandosi sensualmente contro la cucina, che mi fa paura. Ovviamente non parlo della classica paura da film horror, è la paura che ti prende quando non riesci a tenere a bada gl’impulsi… sarà che non faccio sesso da un po’, sarà che ancora devo assestarmi in questo mio nuovo corpo, ma… mi sento stranamente su di giri. Sì, eccitato, insomma. E quando si scioglie i capelli passandosi poi una mano tra i seni riesco per un soffio a fermarmi prima di buttar un occhio alla cerniera dei jeans. La forza dell’abitudine. << Okay, okay, basta, abbiamo capito, stai buona altrimenti prendi fuoco >>, dico, accennando col mento ai fornelli accesi. Lei si lascia cadere su una sedia, tira indietro i capelli e gli lega con la solita matita; poi mi guarda e fa: << Troppo tardi, sto già ardendo da un pezzo… sto ancora aspettando che qualcuno venga a salvarmi, e a spegnere questo fuoco che mi brucia dentro… >>. Mi strizza uno dei suoi indecifrabili occhi verdi, si rialza e torna davanti alla cucina. Certo che per essere strana è strana forte, come direbbe Tom. Sarei proprio curioso di sapere come se la caverebbe lui, se fosse qui al posto mio… << E comunque, io ti ho dimostrato di essere Madonna, ora tocca a te dimostrarmi di essere Bill Kaulitz! >>, riprende, staccandomi dai miei pensieri. Le sorrido appena. << Guarda, non ti offendere se te lo dico, ma non è che tu sappia tanto cantare… >>. << Appunto! Perché, Madonna sa cantare? >>, sbotta lei, divertita invece che offesa. Infila in bocca un cracker e salta a sedersi sul piano di marmo del mobile… vedendola così quasi non ci credo, che abbia davvero ventiquattro anni. << Spiritosa >>. << Perché, non è che neanche Bill sia tutto ‘sto granché… cantava meglio quando aveva quindici anni! >>. D’impulso inarco il sopracciglio. Ma sta parlando sul serio? << Tu dici? >>. << E certo! E’ un vero peccato che abbia cambiato voce… >>. << Be’, ma mica è dipeso da lui, eh! >>. Non è una gran difesa: tutto quello che riesco ad abbozzare senza arrossire. L’occhiata maligna che mi lancia Kess mi fa persuadere ch’è troppo tardi. << Speriamo almeno ne sia valsa la pena! >>. << Che intendi dire, scusa? >>. << E’ semplice! Perché cambia la voce nei ragazzi? Per via dello sviluppo. Le corde vocali s’ispessiscono, fiorisce la barba, spuntano i peli sul corpo… >>. Infila le mani in tasca con aria noncurante. << E soprattutto… diventano più prestanti… >>. Non so cosa guardare per evitare di fissarla. Questa ragazza ha un che d’inquietante. << Non capisco dove vuoi arrivare >>. << Che spero per lui che non sia stata solo la voce a ingrossarsi… >>. Okay, ora sto letteralmente prendendo fuoco io. Ho le guance in fiamme e temo di rialzare lo sguardo dalle mie mani… o meglio quelle di Elettra. << E che almeno lo usi come si deve, dato che ha dovuto rimetterci la voce d’angelo che aveva! Ammesso che lo usi… >>. << E tu che ne sai? Magari lo usa, e anche bene! >>. Kessi mi guarda allibita. E scoppia a ridere. << Ammazza quanto fervore! Ma poi, a te che interessa difendere Bill? Hai già abbastanza da fare a difendere Tom… perché a me la storia del viagra preso per aumentare la disponibilità di prestazioni mica mi convince! >>. Oddio. << Non capisco perché ce l’hai tanto con loro. Ma che t’hanno fatto? >>. << Che m’hanno fatto? Che non m’ha fatto, casomai! Ho subito tanti di quei traumi negli ultimi anni che è un miracolo, se mi funziona ancora il cervello! >>. << Dici? Io ho qualche dubbio >>. << No, no, fidati, ne ho subiti eccome >>. << No, parlavo del cervello >>. << Ah ah, divertente! Dobbiamo ricominciare a discutere di quando si è fatto crescere la barba? O meglio ancora dei piercing? Di quello tremendo al naso? O di quello alle labbra, totalmente pleonastico dacché ne aveva già uno sulla lingua… per sorvolare su quello che si dice abbia nelle parti intime… cioè, solo uno davvero malato va a farsi bucare in un posto del genere! E a che gli serve poi? Secondo me gli fa da impalcatura, così regge meglio quando si tira su… >>. << Kessi! >>. Sono… esterrefatto. Per la prima volta nella mia vita ho perso le parole. Sarà dura andare avanti così. Dannazione.

Sera. Finalmente. Dopo tutta una mattinata buttata ad azzardare tentativi –vani, fra l’altro- di azzeccare un attacco che andasse bene, più che parlare riesco a stento a gracchiare come una cornacchia. Ma ho comunque bisogno di sfogarmi con qualcuno. Sono stanca, nervosa, e soprattutto spaventata e piena di dubbi… E dopo aver affrontato la doccia, sono più a terra di prima. So di non aver fatto nulla di male, in realtà, però mi sento in colpa lo stesso. Una volta uscita da sotto il getto rovente non ho resistito alla tentazione di guardarmi nuda davanti allo specchio… certo che ha davvero un gran bel corpo, Bill. Slanciato, levigato, sembra avorio puro. E tutti quei tatuaggi non fanno che renderlo ancora più sensuale… E invece di tirarmi su di giri mi è venuta la depressione. Lui è quello che io non sarò mai… cioè, non un uomo, chiaramente. Perfetta. Chissà quanto lo cura, per mantenerlo così. Io non avrei né il tempo, né i soldi, né la pazienza e nemmeno la base da cui partire, naturalmente. Eppure nonostante tutto non riesco a scacciare dalla mente il pensiero che ogni rosa più è bella, più spine affilate e taglienti nasconde sotto il capolino. Non ci riesco a stare così, con questo tarlo che mi corrode quel poco di cervello rimastomi. Prendo il cellulare, compongo il mio numero. Ha un che di assurdo. Eppure è così. << Oh, ciao. Non mi aspettavo che mi chiamassi >>. << Puoi parlare? >>. << Sì, Cassandra è appena andata a prendere le sigarette, possiamo parlare. Allora, come vanno le cose da quelle parti? >>. << Così così. Penso tu ti sia beccato un’influenza bestiale, Bill… >>. << Be’, è un bene, così non sarai costretta a cantare, dato che penso che tu non sappia farlo… o sbaglio >>. << Sbagli >>, sbotto, sospirando rassegnata. << Perché, sai cantare? Ma guarda >>,. << No, sbagli a dire che non sarò costretta a cantare… perché è già successo, oggi >>. Silenzio. << Oh, misericordia… e che t’hanno fatto cantare? >>. << ”Let me down”… posso farti una domanda? Ma quanti bicchierini di vodka avevi mandato giù, quando hai scritto quella canzone? Perché solo un depresso cronico sbronzo all’ultimo stadio può aver scritto una roba del genere, è peggio di una lametta, la ascolti e le vene ti si aprono da sole! >>. Altro silenzio. Ops, mi sa che l’ho offeso. Poi, una lieve risatina. << Quella non l’ho scritta io, l’ha scritta Tom! >>. << Tom?! Quel Tom? Tuo fratello? Ma mi prendi per il culo? >>. << Nein, spiacente. L’ha scritta proprio lui… è stato durante un periodo un po’ particolare, una cosa che sappiamo soltanto lui, io, David e il dottor Heinz… >>. Mi viene meno il fiato, sentendo nominare un medico. << Basta, non voglio sapere niente. Kessi aveva ragione a dire di non fidarsi della faccia da bravi ragazzi, tutte le rockstar hanno torbidi segreti… >>. Eh! Alcol, droga e sesso. La ricetta di ogni tizio nelle loro stesse posizioni e condizioni. << Ma che film ti stai facendo?! Guarda che se pensi male hai sbagliato proprio >>, mi rimbrotta lui, quasi trattenendo una risata. << In poche parole, circa un anno e mezzo fa giocando a basket Tom si provocò delle microfratture alle dita di entrambe le mani; il dottor Heinz, stimatissimo chirurgo di fama internazionale, lo visitò e disse che solo con molto riposo e una lunga fisioterapia le sue mani sarebbero tornate ad essere quelle di prima. Lui temeva di non riuscire più a suonare e… così gli dissi che se usciva lui, dal gruppo, lo facevo anch’io. D’altronde, quando io ho avuto il terrore di non poter più cantare dopo l’intervento alle corde vocali, lui mi disse la stessa cosa >>. Triplo sospiro di sollievo. Quella malfidata di una Cassandra… per colpa sua a momenti mi prendeva un infarto. << Meno male >>. << Già. E comunque, dì alla tua coinquilina che non è che soltanto perché qualcuno è famoso, necessariamente dev’essere un drogato o un delinquente… >>. << Ah, penso che faresti prima a dirglielo tu. Ma tanto lei da quell’orecchio non ci sente… è troppo impegnata a pensare di te tutto il male possibile >>. << Me ne sono accorto >>. << Ma fa così solo perché è pazza di te. In realtà ti adora >>. << Non ne sarei tanto sicuro! Ad ogni modo te lo devo dire: sei un’eroina, Elettra. Tra la tua coinquilina, la stronza di ghiaccio che hai come collega e tutto il casino di contorno, per me è un mistero come tu riesca a sopravvivere… >>. << Ahahahahahahah! Hai conosciuto Martine, allora! Che ne pensi? >>. << Che la detesto. Oggi mi ha costretto a pulire i bagni, quella stramaledetta! >>. << Dai, un assaggio di realtà non fa mai male >>, replico che sto ancora ridendo. << Canti perché te la sei scampata, vero? >>. Mi porto d’impulso una mano alla fronte. << Non osare nominare quel verbo, Kaulitz, ti prego. Spero di alzarmi con la febbre a cinquanta, domani mattina! >>. << Pensi ti serva come alibi? Io sono andato a lavorare nonostante il ciclo, pensa un po’ te! >>. Ed è adesso che comincio a ridere tanto da rotolare sotto il tavolo. << Sì, ridi, ridi. Davvero divertente, no? >>. << Povero… mi spiace davvero tanto! >>. << Non si direbbe proprio >>. << Semmai usciamo da questo casino, ricordami che ti devo un favore >>. << Più di uno! Ehi, devo chiudere, è tornata Kess. Trattamelo bene, mio fratello, okay? >>. << Okay. ‘Notte >>. << Anche a te >>. Chiude la conversazione, lasciandomi nel buio e nel silenzio assoluti. Tom è uscito, non ho avuto il coraggio di dirglielo; soprattutto, non ho avuto il coraggio di ammettere che, se dipendesse da me, lo tratterei più che bene. Fisso di nuovo il quadretto ch’è di fronte a me. A furia di rileggerle all’infinito nelle ultime tre ore, quelle brevi righe le ho imparate a memoria ormai.

“Signore,
Dammi la forza di cambiare quello che posso cambiare,
il coraggio di accettare quello che non posso cambiare,
e la saggezza per distinguere tra quello che posso cambiare
e quello che non posso cambiare.”.


Bella, questa non c’era tra tutte quelle che ho recitato stamattina. Ma penso che mi convenga mettercela, la prossima volta. Me ne servirà parecchia, di forza. Ma soprattutto di coraggio. Perché ancora non ho ottenuto la saggezza necessaria a comprendere se questa situazione potrà mai cambiare… O se invece resterò per sempre così. 
Santo cielo. Non ci posso pensare.
  
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