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Autore: Sheylen    02/06/2012    8 recensioni
(Fa parte della serie "Ties")
Ecco a voi una raccolta di episodi fra padri-madri e figli-figlie :) Ho scritto delle mie coppie genitore-figlio preferite, alcune tendenti all'umoristico, altre invece un po' tristi, ambientate in periodi diversi.
Dopo il 4° capitolo ho iniziato a raccogliere i suggerimenti di tutti coloro che hanno seguito la storia, ed ora proseguo la serie con le loro coppie preferite :) Quindi avanti, se avete proposte siete i benvenuti!!
Spero che vi emozioni, vi faccia ridere o vi commuova... se non sarà così riempitemi pure di pomodori marci e recensioni critiche u.u In alternativa cioccolata e muffin sarebbero graditi xD
Ecco un elenco delle coppie che prendo in considerazione, così se ve ne interessa anche solo una potete andare direttamente a quella:
-Ermes e Luke "Addio"
-Ares e Clarisse: "Boars of Fire!"
-Mr.Dare e Rachel: "Deliziosa"
-Zeus e Dioniso: "Punizione"
-Crono e Chirone: "La vera famiglia"
-Apollo e Lee: "Life, poetry and war"
-Nemesi e Ethan: "L' alfiere"
-Afrodite e Silena: "Segui il tuo amore"
-Zeus e Talia: "Vita di Pino"
-Ade e Nico: "Inadeguato"
Hope you enjoy!
Bye!
Genere: Demenziale, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Quasi tutti
Note: AU, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ties'
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"Boars of Fire!"

La ragazza si sistemò una ciocca di capelli sotto la fascia di spugna, asciugando nel frattempo una goccia di sudore che le imperlava la tempia.
Notò con disappunto che l’elastico del polsino si stava allentando. Doveva ricordarsi di comprarne uno nuovo.
I secondi passarono lentamente, il timer del tabellone che faceva scorrere i numeri di pixel.
Peter ripeté per l’ennesima volta la formazione da tenere e gli schemi da seguire, mentre Clarisse lo guardava quasi con compassione.
Era un ometto sulla cinquantina, le guance scavate tentavano di nascondersi invano sotto ad una barbetta  ingrigita. A grandi linee, poteva pesare sì e no sessanta chili, distribuiti miseramente nel fragile corpo. Volendo, Clarisse poteva prenderlo per il bavero e scagliarlo dall’altra parte del campo di gioco senza neppure modificare il ritmo del respiro, invece di stare a sentire i suoi stupidi consigli.
-… se la loro Ala tenta lo schema del Primo Tempo, voglio che la blocchiate prima della metà campo. Guardando il Play dovreste capire che intenzioni hanno, quindi sempre occhi aperti. Clarisse…- continuò il coach, rivolgendosi alla ragazza –hai già quattro falli, e manca ancora mezzo Tempo. Vedi di non farti buttare fuori.-
Clarisse sbuffò, incurvando le labbra in un sorriso seccato.
Essere buttata fuori per cinque falli era ormai una cosa normale per lei, come faceva quello stupido vecchio di Peter a credere che sarebbe riuscita a trattenersi in una partita come quella, la finale di campionato?
Le sue compagne la guardarono intimorite, prevedendo il peggio.
Almeno doveva cercare di non fare un fallo Tecnico, o la squadra ci avrebbe rimesso anche come punteggio: le avversarie avrebbero avuto il diritto di avere due tiri liberi a campo vuoto, e la numero 18 aveva una mira infallibile. Inoltre, giocare senza il Capitano in campo non era proprio una bella faccenda, soprattutto se la giocatrice in questione era una come Clarisse!
-Basta che non mi rompino le scatole.- borbottò la ragazza, lanciando occhiate di fuoco al timer.
Finalmente l’arbitro fischiò, segnando il termine del Time Out.
La squadra delle “Boars of Fire” si schierò rapidamente in campo, seguita dall’avversaria “Blue Tornado”.
Punteggio: 47 a 51.
Clarisse si sistemò vicino alla ragazza che doveva marcare, il Capitano dell’altra squadra. Era una sedicenne che sfiorava i due metri, peso complessivo stimato: centoventi chili suonati di muscoli, forse qualche grammo di cervello. Sebbene fosse molto prestante fisicamente, non era in grado di calcolare bene la disposizione delle sue compagne in campo, quindi gli schemi che chiamava non erano tanto efficaci come quelli che sceglieva Clarisse.
La mezzosangue sogghignò, incominciando a correre non appena la palla venne rimessa in gioco.
Aveva provato tanti sport nella sua vita, non accontentandosi mai dell’attività fisica che le proponeva il Campo. Come se la vita di un Semidio non fosse già abbastanza movimentata naturalmente!
Ma lei aveva bisogno di misurare la sua forza e le sue doti, di dimostrare a tutti quanto fosse in grado di eccellere in ogni disciplina. Aveva frequentato per diversi anni i corsi di Atletica, dove aveva superato ogni record di Lancio del Giavellotto e del Peso, mentre era stata espulsa dalla federazione del Football Americano Femminile per aver mandato sei ragazze in ospedale con il 45% delle ossa rotte. Ovviamente, discipline come la danza o la ginnastica artistica (che secondo lei non erano nemmeno degne di essere chiamate “sport”) erano state eliminate in partenza dalla lista.
Negli ultimi due anni si era dedicata al Basket, imparando in pochi mesi quello che le altre ragazze impiegavano anni ad apprendere, ed ora si ritrovava nel girone delle Eccellenze, a giocarsi il titolo di Campionesse Regionali con quelle bestie della “Blue Tornado”.
Ma lei, Clarisse, Figlia di Ares, non si sarebbe arresa facilmente, anche se al Quarto Tempo era sotto di quattro punti.
Lanciò rapidamente un’occhiata alle tribune affollate, cercando con lo sguardo la sagoma tanto conosciuta.
Chris era là, le mani strette alla ringhiera, che gridava il suo nome.
Clarisse gli sorrise, approfittando di un momento di distrazione di una giocatrice avversaria per rubarle la palla e correre al canestro.
Terzo tempo. Salto. Canestro.
La ragazza esultò insieme alle compagne, mostrando il pollice alzato al suo ragazzo, quando si accorse di un’altra figura vicino al figlio di Ermes.
Le “Blue Tornado” rimisero la palla in gioco, smarcandosi a turno per ricostruire il gioco.
La numero 18 corse oltre la metà campo, aspettandosi però che Clarisse la raggiungesse da un momento all’altro per marcarla, ma quando si accorse che era completamente libera chiamò la palla e si posizionò dietro la riga dei tre punti.
Era praticamente scontato che non sbagliasse la tripla: era un cecchino.
E, come volevasi dimostrare, le “Blue Tornado” salirono ad un totale di 54, staccando di cinque punti le avversarie.
Alcune mani le toccarono le spalle e la schiena, probabilmente le sue compagne che le domandavano come mai aveva lasciato libera la 18. Un angolo del cervello di Clarisse realizzò che Peter le stava urlando addosso tutti gli insulti che aveva imparato in cinquant’anni di vita, commentando le abitudini e lo stato psicologico di tutti i suoi parenti fino ad arrivare ai cugini di terzo grado. La stessa parte di cervello rispose mentalmente al coach che forse gli conveniva rimangiarsi tutto quello che aveva detto, perché uno dei parenti poteva non gradire molto la lista di appellativi che erano appena stati vomitati dalla bocca di un lurido mortale…
Chris sembrò accorgersi solo allora di chi gli stava al fianco, e trattenne a stento un sobbalzo.
Improvvisamente Peter sembrò essere preso da uno strano malessere, perché iniziò a rotolarsi sul palchetto del campo tenendosi le mani strette intorno al collo.
Uno dei medici di guardia si avvicinò interdetto al loro coach, che adesso stava gattonando per il campo emettendo suoni simili a grugniti. La scena si poteva giudicare quasi comica, a quel punto.
Clarisse riportò l’attenzione alle tribune, accorgendosi che la figura di prima era scomparsa.
La ragazza si assicurò che nessuno la stesse osservando, quindi si avviò verso l’uscita.
Subito fuori dalla palestra c’era un’ampia sala da cui partivano diversi corridoi che portavano agli spogliatoi e le scale per salire sulle tribune, oltre all’uscita principale del palazzetto. Un omaccione con gli occhiali da sole stava litigando con la macchinetta delle bibite che era posizionata in un angolo della sala, a disposizione degli spettatori.
-Stupida macchina, come sarebbe a dire che non accetti le dracme? Non sono mica false, posso giurarlo sullo Stige! Quindi dammi questa disgraziata lattina!- stava urlando l’uomo, cercando invano di far entrare una dracma dorata nella fessura delle monetine.
Clarisse rimase imbambolata davanti alla scena, incapace di reagire in una maniera decente.
L’uomo tentò ancora per qualche secondo di inserire la dracma, poi ringhiò esasperato e tirò un pugno al vetro della macchinetta, mandandolo in mille pezzi ed afferrando con aria vittoriosa una lattina di Coca-Cola. Si allontanò dalla macchinetta e la aprì come se nulla fosse, vuotandola in un solo sorso.
-Di… divino padre?- chiamò debolmente Clarisse, torcendosi la divisa in imbarazzo.
Ares si voltò subito verso la figlia, alzando le sopracciglia come se non si fosse accorto della sua presenza.
-Oh! Eccola qui, la mia cinghialetta!-  esortò, accartocciando con una mano la lattina e avvicinandosi alla ragazza.
Clarisse arrossì, sforzandosi invano di mantenere un certo contegno davanti al dio.
-Questi dannatissimi distributori automatici! Mi fanno saltare i nervi ogni volta.- si lamentò ancora Ares. Il dio sorrise come se gli fosse appena venuta in mente un’idea fantastica, guardò per un momento la lattina accartocciata che teneva ancora in mano e la lanciò contro la macchinetta.
Clarisse si limitò ad osservare con un po’ di imbarazzo il distributore che veniva distrutto da quella che suo padre aveva trasformato in un proiettile di fuoco.
-Così impari a non accettare le dracme.- concluse Ares, palesemente soddisfatto.
La ragazza si finse molto interessata alla punta delle sue scarpe da ginnastica, cercando il coraggio di chiedere al padre cosa ci facesse lui alla sua partita, dato che in sedici anni non si era mai preoccupato di venirla a vedere giocare. Con qualsiasi altra persona (e qualsiasi altro dio) non avrebbe mai avuto di che questi problemi: sarebbe stata la solita arrogante, presuntuosa e sfacciata Clarisse. Ma con suo padre le cose erano un po’ diverse…
Ares sembrò intuire l’indecisione della figlia, e riempì la sala con una delle sue potenti risate.
-Ti stai chiedendo cosa ci fa il tuo adorato paparino in questo palazzetto, non è così? Beh, potrei dire che sono stato interpellato da quello stupido del tuo allenatore… a proposito, hai visto come grugnisce bene? Potrei trasformarlo davvero in un cinghiale, magari in uno di quelli per poggiarci i piedi sopra, così impara ad inveire contro la mia adorata cinghialetta!- commentò Ares, mettendo una mano sulla testa della figlia e facendole l’occhiolino.
Clarisse bofonchiò qualcosa, incredula.
Suo padre era lì, alla sua partita, alla sua finale di campionato. Aveva appena distrutto un distributore automatico per una lattina di Coca-Cola, ma in qualità di dio poteva anche permetterselo.
-Ti vedo particolarmente eloquente oggi!- rise Ares, appoggiando i pugni sui fianchi. Indossava il classico completo da motociclista, e sulle braccia si riconoscevano centinaia di tatuaggi di armi, soldati e cinghiali.
-Oh, giusto prima che mi dimentichi: devo consegnarti un pacchetto da parte di tua zia…- continuò imperterrito, estraendo da una tasca una scatola incartata.
Clarisse fece una smorfia alla vista dei numerosi cuoricini di glitter che erano stati utilizzati per decorare il pacchetto: si giocava un braccio che la zia in questione era Afrodite.
Prendendo il pacchetto, lanciò un’occhiata sbieca al padre.
-Efesto non vi ha beccati insieme, vero?-
Ares si strinse nelle spalle con aria innocente, ma si premurò di ammiccare alla figlia come se fosse una sua complice.
-Ma che cosa vai blaterando, cinghialetta mia? Piuttosto, tua zia ha pensato che fosse giusto che tu lo avessi, dopo quello che hai fatto per sua figlia…-
Clarisse serrò i denti, controllando le lacrime che minacciavano di salire al ricordo di Silena.
Guardò il pacchetto, la fronte aggrottata, e trovò il coraggio di aprirlo.
Dentro c’era il braccialetto di Silena, quello che aveva testimoniato il suo lavoro di spia per Luke.
Clarisse guardò suo padre, che fece spallucce. –Non ne so nulla- si limitò a rispondere il dio.
Amica mia… invocò Clarisse, come se parlando a quel bracciale i suoi pensieri potessero anche arrivare a Silena.
-Ehm, sbaglio o hai una partita da concludere, cinghialetta? Ah, forse devo far tornare normale quel ritardato del tuo coach…- ragionò Ares, che ebbe appena il tempo di vedere schizzare Clarisse verso il campo.
Il dio guardò ancora il punto in cui la ragazza era sparita, poi sorrise, orgoglioso di sua figlia.
 
Peter si sistemò il colletto un attimo prima che Clarisse tirasse, come se la maglia stesse minacciando si strozzarlo.
Meno di due minuti alla fine della partita e, contando il canestro appena realizzato dal capitano delle “Boars of Fire”, un punteggio di 51 a 54.
Clarisse controllò la situazione sulle tribune, notando con soddisfazione che il pubblico era molto caldo. Suo padre stava agitando in aria uno striscione con su scritto “Vai cinghialetta mia!”, cosa che la mise non poco in imbarazzo davanti alle sue compagne.
-Ehy, tuo papà dovrebbe venire più spesso a fare il tifo! Uno così mette proprio la carica giusta per giocare…- commentò una sua compagna, che come tante altre aveva guadagnato grinta da quando Ares si era messo a gridare inni alquanto originali per la loro squadra.
-Eh, è un po’ complicata come situazione.- rispose Clarisse, tornando a concentrarsi sulla partita.
Avrebbero vinto, sarebbero diventate le Campionesse. Per suo padre.
L’attacco avversario fu piuttosto debole. Le Tornado davano la partita già per vinta, quindi non si impegnavano più di tanto nella costruzione delle azioni. Cosa che rodeva particolarmente a Clarisse: se doveva vincere, preferiva farlo contro una squadra forte e grintosa ma ,volendo, poteva anche accontentarsi.
Una sua compagna riuscì ad intercettare un passaggio e a correre a canestro, ma una delle avversarie si piazzò all’ultimo davanti a lei, toccandole un braccio mentre faceva il terzo tempo.
Nessun fischio.
Clarisse non ci vide più.
-Arbitro! Ehy, dico a te! Ma sei capace a fischiare?! O hai solo bisogno di un paio di occhiali?!-
Peter si rosicchiò quel poco di dita che gli rimanevano, facendole segno di stare zitta, ma la ragazza era ormai partita: –Quanto li hai pagati quelli della commissione per farti dare il patentino? Devo spiegarti io cosa significa la parola “fallo”?  Ti faccio lo spelling, se vuoi: F-A-L-L-O…-
L’arbitro portò il fischietto alla bocca, come per chiamare il Tecnico (chi poteva vide chiaramente Peter sbiancare, ed in molti temettero che si rimettesse a quattro zampe a grugnire), ma improvvisamente i suoi occhi si appannarono. Si girò verso il tavolo, muovendo le dita delle mani in una serie di gesti. Poi stese il braccio destro ed indicò la giocatrice numero 23 delle “Blue Tornado”, quella che aveva appena fatto il fallo, ed infine alzò l’indice ed il medio della mano destra. Nel linguaggio del Basket, quei gesti volevano dire: -Fallo in difesa del numero ventitré, due tiri liberi a favore della squadra delle “Boars of Fire”-.
Clarisse strabuzzò gli occhi, girando poi la testa verso suo padre. Ares fischiettava innocente, facendo finta di niente.
Papà!” lo rimproverò mentalmente la ragazza, mentre la sua compagna si preparava ai tiri.
Primo libero: mancato.
Il pubblico fischiò insoddisfatto, alcuni dei tamburi della tifoseria avversaria iniziarono a rullare con decisione.
Clarisse prese fiato, dando una pacca di incoraggiamento all’amica.
Secondo libero: la palla roteò per un paio di volte sul ferro, poi cadde nella retina con fare quasi svogliato.
I percussionisti aumentarono il ritmo, mentre il tempo scorreva sul timer del tabellone appeso in fondo alla palestra.
27 secondi.
Le squadre di scontrarono, cercando avidamente il possesso del pallone.
Sulle tribune, Ares rischiava di slogare la spalla ad un Chris alquanto imbarazzato e dolorante.
Vedere padre e fidanzato vicini diede ancora più energia a Clarisse, che si sentì potente ed invincibile.
Sono la figlia del dio della guerra: provate a fermarmi, deboli mortali! urlò nella sua mente, afferrando il pallone.
17 secondi ed un campo intero da percorrere.
Clarisse strinse i denti, ignorando le fitte alla milza. Per Chris, per papà…
A quattro secondi dallo scadere del tempo, Clarisse si piazzò dietro la linea dei tre punti e tirò, facendo luccicare il braccialetto di Silena che ora ciondolava dal suo polso.
La palla sembrò rallentare, durante la sua parabola. Restò sospesa per quelli che parevano diversi secondi, poi entrò docile nel cerchio di ferro, con un leggero ciuff.
Il silenzio del palazzetto fu sostituito in pochi istanti da un’ovazione assordante.
Le trombette della loro squadra spaccarono i timpani a molti spettatori, mentre l’intera società delle “Boars of Fire” invadeva il campo subito dopo il suono della sirena che annunciava la fine della partita. Risultato: 55 a 54. Le “Boars of Fire” avevano conquistato il titolo.
Lo stendardo del cinghiale dal manto di fuoco fu innalzato al centro del campo, mentre la squadra urlava a pieni polmoni il suo grido di battaglia.
Clarisse stava tentando si sciogliersi dal soffocante abbraccio delle sue compagne quando si accorse di una strana sagoma rossa che correva per il campo.
Sollevando un sopracciglio, la ragazza si accorse che il cinghiale del loro stendardo aveva preso vita e stava trottando vittorioso per il campo. Anzi, non solo aveva preso vita, si era anche moltiplicato.
Almeno venti cinghiali di fuoco avevano invaso il campo da gioco, osannati dalla tifoseria che era convinta che fosse tutto un trucco organizzato dalla società.
Clarisse alzò gli occhi verso il dio, stendendo le braccia mentre urlava il nome della sua squadra.
Avevano vinto, erano diventate le Campionesse. Per suo padre.
Ares ammiccò, poi indicò con il mento i cinghiali come per dire: “Carini, non trovi?”
La ragazza si mise a ridere, commentando in silenzio “Carini, papà”.
Il dio annuì, soddisfatto, poi iniziò a brillare.
Clarisse spostò gli occhi, per evitare di restare incenerita.
Lo sguardo le cadde su uno degli animali, il quale stava raspando con la zampa il palchetto. E di solito, quando i cinghiali raspano per terra, ci sono due possibilità: o cercano radici e carrube, o tentano di coprire qualcosa di poco simpatico. Clarisse scosse la testa, desolata.
Carini, per carità, però potevi anche evitare che ci insozzassero il campo di escrementi infuocati…
 
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Piccolo angolo dell’autrice
Ciao a tutti!! Scusate per l’immenso ritardo ma è stata una settimana pienissima fra compiti ed interrogazioni! Abbandonando il terribile argomento scuola… un po’ diverso ‘sto capitolo dall’altro, eh? xD Dovevo variegare un po’, in fondo u.u Clarisse che gioca a Basket ed Ares che fa il tifo come un matto è una vignetta che ho disegnato durante una noiosissima ora di matematica, poi mi son detta: “Mh, perché no?” ed ecco la nascita di questo capitolo ;)
Scusate per il linguaggio forse un po’ troppo specifico, all’inizio figuratevi che volevo ambientarlo in un campo da Rugby perché mi sembrava che si addicesse di più, ma quando sono andata su Wikipedia a cercarmi il regolamento stavo impazzendo! XD quindi, dato che ho giocato a Basket per parecchio tempo, ho preferito andare sul sicuro J.
Ora, volevo ringraziare tutti coloro che hanno letto ed apprezzato il capitolo precedente (in rigoroso ordine alfabetico):
-Aelle Amazon, AleJackson, Alicape99, cestista_pazza, Dafne Rheb Ariadne ed  Emily Dickinson per aver recensito (grazie ragazze!);
-Alexiel94, giulietta10, pepo e Pseudopigna per averla messa tra le preferite.
Grazie a tutti, siete stati gentilissimi! :D
Quindi, a voi la linea, come al solito le recensioni sono ben accette (positive o critiche che siano u.u)
  
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