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Autore: Adrienne Sunshine    03/06/2012    4 recensioni
"Dei due, l’uomo sembrava essere quello più a suo agio tra parole di circostanza e strette di mano appena accennate. Lei, al contrario, lo accompagnava con lo sguardo ad ogni complimento ricevuto per quella festa ben organizzata, ma senza mai prender parte attivamente alla conversazione.
Lo aveva detto a lui così come lo aveva ripetuto alla madre. Non aveva per niente voglia di festeggiare i suoi venticinque anni. Desiderava solo che quella giornata infinita giungesse agli ultimi rintocchi, annunciando così lo scadere di quella insostenibile agonia che era diventata il suo compleanno."
OS partecipante al contest "Keep calm and make me cry (or smile)" indetto da khika liz.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Grazie mille, davvero.

Se mi chiedessero cosa sia la vita, probabilmente risponderei come da manuale.
“L’esistere particolare di ciascun individuo, scandito dalla durata di tale esistenza e da come questo tempo venga impiegato.
Nessuna regola sul chi o cosa abbia diritto a scegliere il quando e il come.
Perché ci sono momenti nella vita di ciascuno di noi, in cui ogni più piccolo sforzo fatto per il raggiungimento di un obbiettivo viene vanificato da un cambiamento.
Può essere una piccola differenza, o una un po’ più grande.
Si tratta pur sempre di una differenza in un piano di vita organizzato alla perfezione, in anni di sacrifici e vittorie tanto attese.
I comuni mortali lo chiamano ‘destino’.
Ed è proprio a questo punto che mi verrebbe posta la seconda domanda.
“Cos’è il destino?”
La verità è che piacerebbe anche a me saper rispondere.
Invece, tutto ciò che posso fare, è raccontarvi di come questo Signor Destino riservò le sue particolari attenzioni ad una comune mortale.
Proprio come tutti noi.



 

Il salone dei ricevimenti situato nell’ala nord del The Plaza Hotel era illuminato da tante piccole lampadine di un tenue color sabbia che ricordavano la calura di una giornata estiva vissuta sulla spiaggia. Solo a tratti i toni erano smorzati da luci bianche e vivaci intrecciate ad alcune meno vistose di un leggero arancione.
Chiunque, entrando lì dentro, avrebbe notato l’evidente somiglianza con il cielo al tramonto, ma nessuno eccetto chi conosceva da vicino i protagonisti di quella elegante serata avrebbe saputo spiegare il perché di quello sfondo così particolare. 
L’ampio spazio era costellato da tavolinetti imbanditi delle più golose leccornie, da caviale ad aragoste appena pescate. I camerieri, al centro di quella frenetica serata, correvano trafelati da una parte all’altra del salone per soddisfare le richieste di questo o quell’invitato.
I partecipanti a quella festa non si potevano dire ricchi nobili o appartenenti ad una classe sociale tanto elevata da conoscere perfettamente il bon ton di quella che poteva essere a tutti gli effetti definita una serata di gala.
Eppure l’aria che si respirava era così elegante, il cristallo dei bicchieri che tintinnavano era un suono così leggero da indurre gli uomini a girovagare impettiti per quella sala mentre le donne si stringevano ancor più in quei corpetti attillati accompagnati da avvolgenti gonne lunghe.
Lo stesso non si poteva però dire della coppia seduta compostamente nel mezzo di quel trambusto.
Dei due, l’uomo sembrava essere quello più a suo agio tra parole di circostanza e strette di mano appena accennate. Lei, al contrario, lo accompagnava con lo sguardo ad ogni complimento ricevuto per quella festa ben organizzata, ma senza mai prender parte attivamente alla conversazione.
Lo aveva detto a lui così come lo aveva ripetuto alla madre. Non aveva per niente voglia di festeggiare i suoi venticinque anni. Desiderava solo che quella giornata infinita giungesse agli ultimi rintocchi, annunciando così lo scadere di quella insostenibile agonia che era diventata il suo compleanno.
Dal momento che loro non avevano voluto darle ascolto, trascinandola in quel luogo affollato da troppi sconosciuti, adesso non le restava altro da fare se non sperare che le ore corressero rapidamente sino alla mezzanotte.
Le uniche magre consolazioni in quella serata senza tempo erano la presenza di Luke e la sua assenza, questa volta più che giustificata.
Era forse per questo motivo che gli invitati, combattuti tra quale fosse il male minore, preferivano evitare di porgerle i loro auguri, affidando questi ai colorati ghirigori dei bigliettini allegati ai pacchetti regalo. E questo lei non poteva che apprezzarlo, vista la scarsa voglia di parlare che le attanagliava la gola.
 
Mentre Luke si intratteneva in una conversazione con il caporedattore del The New York Times, Mandy decise finalmente di alzarsi per andare ad assaggiare quei deliziosi manicaretti che nessuno sembrava intenzionato ad offrirle spontaneamente.
«Vado a fare quattro passi sul terrazzo. Ho bisogno di sgranchirmi le gambe»informò l’uomo prima di sollevarsi su quelle trappole mortali che la sorella si ostinava a chiamare décolleté.
«Vuoi che ti accompagni?»la dolcezza di quell’uomo l’aveva da sempre affascinata. Forse era quella la causa primaria dell’amore smisurato che provava nei suoi confronti.
«No, tranquillo. Torno subito»si allontanò con un leggero sorriso sulle labbra lucide per via del rossetto.
L’aria che si respirava all’esterno ghiacciava mani e testa, costringendo questa in una terribile morsa che le provocò una fitta. Tuttavia, solo una volta raggiunto l’ampio terrazzo, riuscì a percepire il suo corpo e la sua anima come entità per nulla astratte.
In fondo, il gelo di quella sera era giustificato dalla stagione invernale, essendo quello il ventisette Gennaio. A cosa poteva attribuire, invece, la causa di tanto malessere interiore? Chi, sarebbe stato meglio domandarsi.
Quando, poche settimane prima, sua madre le aveva spiegato l’idea che aveva per il suo venticinquesimo compleanno, lei aveva scosso la testa nel più assoluto diniego. Il veto si era poi imposto sulla lista degli invitati.
Non avrebbe mai permesso che lui rubasse di lei anche quell’attimo, dove i sensi sopiti dallo champagne le avrebbero permesso di godersi quello spettacolo di luci e paillettes senza troppo rimuginare sulle ombre del suo passato. Su di lui.
Inutile dire che le liti avute con la madre in quel periodo si fossero così intensificate, fino al punto di spingere Mandy ad annullare la festa in suo onore. E, come da schema, a quel punto era intervenuto Luke che con la calma tipica di un cielo dopo il temporale aveva sistemato ogni cosa.
Aveva convinto la ragazza ad accettare la proposta della donna, seppur invitando quest’ultima a lasciare maggior possibilità di scelta alla festeggiata che avrebbe tanto desiderato godersi attimi di pace in mezzo alla tempesta che imperversava nel suo cuore.
Il giovane medico conosceva bene la situazione in cui si trovava la famiglia della piccola Mandy e comprendeva quindi entrambi i punti di vista. Forse la sua imparzialità era leggermente sbilanciata verso la ragione della sua ragazza, ma non incolpava di certo la signora Grayson per aver desiderato la compagnia di una persona che con lei aveva condiviso molto.
Quelle che non riusciva ad ignorare erano le domande calzanti di Mandy, la quale desiderava sapere se tutto quello fosse giusto nonostante ciò che le avesse fatto.
Poteva sua madre, colei che l’aveva accolta e cresciuta in grembo per nove mesi, aver dimenticato otto anni di inferno?
Forse poteva. L’animo umano può tutto quando non vive in prima persona un passato come quello che aveva avuto come protagonista quella bambina di soli undici anni.
 
«Tutto bene, Mandy?»Jason, il più grande dei tre, si affacciò all’ampia vetrata che costeggiava la parete sud dell’ampio salone. «Se resterai ancora qui, ti prenderai un malanno».
Il suo gigante buono.
L’aveva rinominato così perché, nonostante la stazza che spesso tratteneva gli estranei dall’avvicinarsi per socializzare, Jason aveva un sorriso caldo per tutti e le parole adatte a qualsiasi situazione. Anche in quel momento, sebbene fosse a conoscenza della tormenta che imperversava nel suo animo, si era limitato ad avvicinarla e a posargli sulle esili spalle la sua pesante giacca nera.
«Ho bisogno di qualche altro minuto. Poi torno dentro, al caldo. Promesso»gli regalò un sorriso più simile ad una smorfia, nell’arduo tentativo di convincerlo a lasciarla ancora un po’ persa nel suo mondo di castelli di carta. Anche se era a conoscenza della rinomata caparbietà del fratello, impedendole così di rimanere stupita di fronte alla sua ferma obiezione.
«Sai quanto possa essere decisivo un altro minuto?»sottolineò, testardo. «Se fossero le 23.59 e io non ti avessi ancora fatto i miei auguri, tra un solo altro minuto sarebbe troppo tardi. Se non avessi attraversato la strada con il semaforo rosso quel giorno, mentre ti portavo in ospedale…»Jason tentennò, probabilmente sotto la forza dirompente di quel ricordo.
Sebbene quel ragazzo fosse tanto robusto fisicamente, Mandy sapeva quanto in cuor suo avesse sofferto nel vederla così vulnerabile senza poter far nulla per proteggerla. E soffriva ancor ora, consapevole che l’anima di sua sorella fosse stata irrimediabilmente spezzata tanto tempo prima.
«Hai vinto tu, Jay. Rientriamo»lo prese sottobraccio, accompagnandolo verso la grande porta a vetri. Si era ripromessa che non avrebbe mai più letto nello sguardo di suo fratello quel dolore così lacerante. Era stanca di soffrire per ciò che il destino le aveva riservato in passato, ma non poteva scappare da quei fantasmi. Per questo era intransigente quando si trattava della serenità della sua famiglia. Dei suoi fratelli, dato che la madre aveva deciso da sé.
 
Jason le scompigliò affettuosamente i capelli, lasciati scivolare in balia del vento da un’acconciatura semplice e scomposta.
«Sei bellissima, lo sai? Mi ricordo come se fosse ieri quando ti arrotolavi tra le coperte e spalancavi quegli enormi occhi nocciola quando rimanevi intrappolata».La sincerità disarmante di quei ricordi le procurò uno spigoloso nodo in gola, mentre il suo sguardo già minacciava tempesta di acque salate.
«Ero una bambina poco furba, allora»Mandy tentò di sfuggire a quelle vecchie memorie che provocavano in lei fitte di dolore all’altezza del petto.
La verità era che non aveva mai avuto la capacità di affrontare il prima, limitandosi a vivere passivamente il dopo giunto con i suoi vent’anni e la fuga da casa.
E ancora non si sentiva pronta a perdonare quel signore che con lei era stato tanto crudele. Il signor Destino, così si divertivano a chiamarlo gli ingenui.
Perché, in fondo, il destino altro non era che la catena di conseguenze ad opera dell’uomo stesso.
Altrimenti quale motivo avrebbe avuto il signor Destino di incaponirsi con una bambina di undici anni che ancora doveva scoprire il bianco e il nero di quel mondo adulto. Lei che ancora il mondo lo vedeva a colori.
«O amavi già allora sfidare te stessa».
La conversazione si concluse così, quando Jason riaccompagnò la sorella da Luke che l’accolse a braccia aperte come sempre.
Chiunque guardasse dall’esterno quei due ragazzi avrebbe potuto giurare che tra loro ci fosse molto più che semplice amore. I loro sguardi d’intesa, le carezze che scaldavano il cuore e la mente di entrambi, poche parole ma dai grandi significati.
Era da sempre così per Mandy e Luke, sin da quando si erano incontrati nell’ospedale dove lui svolgeva il tirocinio. Prima ancora di diventare uno dei più eccellenti medici della città.
Le circostanza non erano certo state delle migliori, come si possa immaginare dall’ambiente in cui si conobbero. Il tutto si aggrava se si pensi che il soggetto bisognoso di cure mediche fosse proprio Mandy, una necessità anche piuttosto urgente vista l’entità del danno riportato al braccio destro.
Una caduta di troppo che le era costato un osso spezzato, anche se forse, ad esserne maggiormente colpito, era stato il cuore.
Era stato quel momento a segnare la storia di Mandy, a spingerla ad allontanarsi sempre più da quella cruda realtà. Il culmine, poi, lo aveva avuto a vent’anni, quando aveva trovato finalmente la forza di abbandonare quella casa.
Il giovane tirocinante aveva deciso di assistere il primario in quella delicata operazione chirurgica, incantato dallo sguardo spaurito di quella ragazzina poco più che diciottenne.
Le cause di quell’incidente domestico avevano poi annientato ogni tentativo di protesta mosso dalla sua razionalità. Sarebbe stato il primo intervento vissuto in prima persona, ma questo non bastò ad allontanarlo da quegli occhioni lucidi e rassegnati. E così aveva fatto.
Si era preso cura di lei, mentre il bisturi la feriva per la vita; e dopo, quando Mandy dovette rimettere insieme i cocci della sua sofferta esistenza.
Così, tra un frammento di cuore e l’altro, si era intrufolato il nome di Luke. E da allora non c’era stato bisturi che tenesse.
 
«Didy?»
Aveva sempre odiato quel soprannome datole all’età di tre anni. Lui aveva sempre avuto la malsana fantasia di abbreviare i nomi in qualcosa di eccessivamente sdolcinato o estremamente imbarazzante. Nel suo caso, la seconda sembrava essere la spiegazione più adatta.
La sua unica fortuna era stata nascere per ultima, quando ormai tutta la buona fantasia era stata sprecata per nomi come Serendipity, sua sorella.
«Dimmi mamma»si separò svogliatamente dall’abbraccio di Luke per raggiungere la madre al tavolo degli aperitivi.
«Allora, che te ne pare?»allargò teatralmente le braccia, indicando il salone in festa. «E’ stata una fortuna avere la possibilità di prenotare il Plaza proprio in corrispondenza del tuo compleanno. Di solito i tempi di attesa sono estenuanti e io non sarei di certo stata disposta a…»
La signora Grayson tergiversava frenetica, la cadenza di una donna canadese e la verve di una europea. Sicuramente Mandy non aveva preso nessuno di quei tratti caratteristici dalla madre, se non l’innata eleganza con cui soleva ondeggiare.
Sembrava essere nata per portare calzature dagli stretti cinturini e abiti da sera tanto semplici quanto raffinati. Eppure preferiva indossare scarpe comode che non sommassero altri centimetri al suo già ottimo metro e settantacinque, sofisticatamente abbinate ad un paio di shorts e una camicetta nera.
Il bianco era sempre stato per lei sinonimo di pace interiore e di candore esteriore, due particolari troppo attenti per il suo umore altalenante ed un passato così tetro. Per questo motivo il suo armadio vantava tinte cromatiche dal rosso, colore del sole al tramonto, al marrone della sabbia bagnata dal mare. Il nero poi, con tutte le sue sfumature, era il colore da lei preferito.
Quella sera, però, sua madre non le aveva permesso di mimetizzarsi tra gli abiti austeri indossati dalle donne di quel salone. Lei doveva rilucere del proprio splendore e l’ecru pareva fare proprio al caso suo.
Così i suoi fianchi erano stati avvolti in una gonna lunga che le scivolava sulle curve morbidamente fino a terra, mentre il corpetto brillava al contatto con quelle piccole lampadine posizionate in gran parte dell’ampio spazio adibito a festa.
Le scarpe, invece, erano un’opera d’arte firmata Serendipity Grayson
 
«Buonasera a tutti. Mi chiamo Ryan e sono il fratello della neoventicinquenne»la voce del più piccolo degli uomini di casa Grayson risuonò nell’aria, amplificata dal microfono che teneva poco distante dalla bocca.
Mandy si guardò attorno, incontrando gli sguardi curiosi degli invitati che parevano volerne sapere di più tanto quanto lei. Solo in quel momento si accorse di due particolari non indifferenti.
La madre aveva terminato il suo monologo, drizzando le spalle e tendendo le orecchie verso l’incipit del figlio minore. Un fiero sorriso sulle labbra.
Anche Luke sembrava prestare molta attenzione a ciò che Ryan avesse da dire. Si era avvicinato a lei, probabilmente mentre era persa nel suo mondo di pensieri malinconici o, nel migliore dei casi, apatici.
«Questa sera siamo qui tutti riuniti per festeggiare il compleanno di Mandy, una donna capace di grandi cose che ha lasciato nelle nostre vite una piccola parte di sé. La migliore.
Inizialmente, quando mia madre mi ha proposto di tenere questo discorso, ho rifiutato perché non me ne sentivo all’altezza. Confrontarsi con Mandy non è mai stato semplice, figuriamoci tentare di raccontarla attraverso delle banali parole.
Poi, però, mi sono lasciato convincere dall’idea di essere uno dei pochi adatto a questo compito.
Mia sorella ed io siamo legati da una potente forza invisibile, così dicono. Così eccomi qui, a raccontarvi di lei quanto sia possibile attraverso delle frasi fatte e poco originali come le mie».
Gli occhi di Mandy cominciarono a pizzicare sin dalle prime parole. La voce impacciata di suo fratello era una delle emozioni più grandi che potesse vivere sulla sua pelle.
Lui, così come Jason e Luke, era stata la spinta utile ad andare avanti. Solo grazie a loro aveva potuto accantonare il passato, nasconderlo in un angolo remoto del suo cervello fino a qualche giorno prima.
«Posso dirvi di lei quanto ognuno di voi potrebbe scoprire standole accanto per poco tempo, dal momento che la sua abilità più grande è quella di nascondere sé stessa e le difficoltà che la circondano.
Ho vissuto con lei momenti di panico, attimi in cui l’ansia l’attanagliava e le graffiava la voce al punto da impedirle di urlare tutto il suo malessere.
Ho vissuto con lei i suoi sorrisi più rari, le sue emozioni più forti e positive. La sua voglia di vivere è diventata il carburante adatto al serbatoio della mia esistenza.
Ho condiviso con lei lacrime di gioia, sbattendo i pugni sul tavolo per quelle di dolore.
Ho vissuto con lei il suo primo amore, l’unico. La forza devastante di quella devozione, del bisogno di vivere accanto alla persona che si ama.
Ho vissuto così tanto con lei da stupire me stesso quando vi dico che di lei so ancora così poco.
Più di ogni altra cosa, però, ho condiviso con lei l’amarezza di essere privi di un punto di riferimento così importante nella vita di ogni bambino».
Ryan si costrinse a fare una pausa.
Tutto ciò che non voleva in quel momento era lasciarsi andare al pianto disperato di un ragazzino che ha affrontato mille difficoltà. Non ora che la loro maggiore preoccupazione li aveva lasciati; non ora che avrebbe dovuto affrontare il peggio e il meglio della serata. Le lacrime le avrebbe lasciate per dopo.
«Negli ultimi anni, però, posso dire con grande soddisfazione che le lacrime di dolore hanno lasciato sempre maggiore spazio a quelle di gioia e che gran parte del merito sia di Luke, il suo ragazzo.
Tuttavia c’è una persona che, in questo marasma di colpe ed emozioni sbagliate, ha voluto lasciare i suoi migliori auguri a Mandy.
Probabilmente non è ciò che si merita, non dopo aver macchiato il passato della magnifica donna che è oggi mia sorella. Eppure quel giorno, mentre lui pronunciava quelle parole, io ero dietro alla videocamera e potevo percepire l’amarezza e la sincerità di quelle frasi.
Chiedo dunque a tutti voi qualche istante di silenzio e tanta voglia di capire ciò che quest’uomo ha da dire. Anche se, e ne sono ben consapevole, il sacrificio più grande lo chiedo alla mia piccola Mandy».
Lo schermo retrostante Jason s’illuminò improvvisamente, lasciando Mandy senza fiato.
Indietreggiò lentamente, prendendo coscienza del suo corpo e di ciò che fosse in procinto di fare. Sentiva ogni più piccola fibra dell’organismo allontanarsi da quella immagine senza tempo, l’incubo più frequente per lei. Riusciva a tormentarla anche ora che se n’era andato.
«Ciao Mandy».Quella voce cupa e profonda la raggiunse in fondo alla sala, fin dove le sue gambe l’avevano spinta in quella folle fuga da un cattivo presagio. E il suo passo si arrestò di conseguenza.
«So che in questo momento starai puntando la porta come mai prima d’ora, il desiderio impellente di uscire fuori a prendere una boccata d’aria che non sappia di vomitevole quanto il sottoscritto.
E, malgrado il forte desiderio di contraddirti dicendoti che non merito un simile trattamento, non posso fare altro che trovarmi d’accordo con te.
Se ne avessi avuto l’opportunità, probabilmente ti avrei sgravata anche del peso di portare un cognome che io stesso ho reso tanto ignobile da non meritare di essere trascritto su documenti ufficiali così come in quelli ufficiosi».
Ad ogni parola il cuore della giovane donna sussultava. E, ad ogni affondo, Luke le stringeva calorosamente la mano.
L’aveva raggiunta in fondo al grande salone che li ospitava, sorridendole sinceramente preoccupato e cercando di infonderle tutto il coraggio che possedeva con la sola forza dello sguardo.
E i grandi occhi nocciola di Mandy sembravano urlare che ci stesse riuscendo.
«Non immagini quante volte io abbia anelato ad essere in grado di farti questo importante discorso. Eppure, ogni volta che ci provavo, le parole s’incastravano in gola e il peso schiacciante della vergogna lasciava a te il tempo di scappare.
Ad ogni modo, veniamo a questioni più pratiche.
Come recita ogni pellicola degna di nota, se in questo momento stai guardando questo video è perché sono tremendamente in ritardo alla tua festa di compleanno.
Ti chiedo scusa, ma questa sera mi è proprio impossibile fare di meglio. Dovrai accontentarti di questi auguri malconci sentiti con tutto il mio indegno cuore.
Sono passati già venticinque anni da quel ventisette Gennaio millenovecentonovanta.
I tempi sono cambiati. E tu con loro, trasformandoti nella donna meravigliosa che sei oggi. Non avrei mai preteso una fortuna tanto sfacciata, mi sarebbe bastato poter crescere e insegnare a mia figlia i valori della vita che tuo nonno ha insegnato prima ancora a me.
Eppure qualcosa non ha funzionato.
Ho ricordi offuscati di come tutto abbia preso forma quel giorno di tanto tempo fa. So per certo che avevi undici anni e che io fui tanto stupido da lasciare che i problemi mi portassero via una delle poche cose che un uomo possa desiderare dalla vita. L’affetto della propria bambina.
Mi vergogno così tanto, Mandy. Mi vergogno di ciò che ho fatto a te, ma non di urlare al mondo intero quanto io meriti il peggio che la vita possa oramai offrirmi.
Per sette anni della mia esistenza, sono diventato l’uomo più abominevole che potessi essere.
Ho provocato lividi violacei sulle braccia e gli zigomi del più grande dono che il cielo mi avesse fatto, lasciandomi governare dall’alcol e da una mente annebbiata da tanta cecità.
Per sette anni, non mi sono accorto che ogni ferita inflitta a lei fosse una pugnalata al mio cuore.
Il dolore che provo oggi per quello che sono stato capace di fare è indescrivibile, così come sono insufficienti le parole di scuse che io possa rivolgere a te. La mia piccola Mandy».
I singhiozzi prepotenti che scossero il corpo di Mandy vennero soffocati tra le braccia di Luke. Non c’era altro luogo, tempo o dimensione in cui avrebbe desiderato essere in quel momento.
Era preda della confusione più devastante, indecisa se credere o meno alle parole di quel padre tanto violento che le aveva rovinato l’esistenza. Perché lei, di quei lividi violacei, ne aveva ancora nel cuore.
Tra le copiose lacrime che le rigavano il volto, diventato ormai un miscuglio di colori senza forma per via del trucco, intravide i fratelli e la sorella, fino a quel momento risucchiata dalla frenetica supervisione della festa, avvicinarsi e stringerla a loro volta in un possente abbraccio.
In quel fragile quanto unito quadro familiare mancava solo una persona. Sua madre.
La signora Grayson sostava inerme dove poco prima l’aveva lasciata la figlia. Fissava lo schermo con uno sguardo indecifrabile, mentre quelle piccole gocce salate le deformavano l’espressione solenne, a tratti vivace, che era solita indossare in pubblico.
Mandy avrebbe tanto voluto sciogliere quel caloroso abbraccio in cui si erano raccolti Luke e i fratelli, ma non trovava la forza per farlo. Non si sentiva ancora pronta a perdonare la madre per lo strazio a cui l’aveva abbandonata in età preadolescenziale e oltre.
 
«Mi piacerebbe provarci comunque, se a te non spiace.
Il rimorso per quello a cui ti ho costretta in quegli anni bui è così potente da spezzarmi. Sento le ossa fragili fremere al contatto con la verità di quei terribili ricordi.
Il cancro, quello che oggi non mi permette di essere lì a raccontarti tutto ciò in prima persona, è stato forse il mio migliore palliativo in quest’ultimo periodo della mia vita. Non mi sono mai chiesto perché avesse scelto proprio me, perché ne conoscevo già la risposta. Mi sono, però, domandato spesso perché il mio vicino di letto, in ospedale.
L’unica spiegazione che sono stato in grado di darmi è stata che un perché non esiste.
Questo è il primo e l’ultimo insegnamento che voglio lasciarti, per rimediare a quel vuoto enorme che la mancanza di un padre possa averti lasciato in tutto questo tempo trascorso ad odiarmi, come giusto che fosse.
Non perdere tempo a cercare un perché in ogni cosa. Molte volte non esiste o è così insignificante da prendere troppo spazio in una vita che, per quanto io possa augurarti essere duratura, sarà pur sempre effimera.
Godi dei giorni che ti sono donati, vivili giorno dopo giorno senza mai fermarti troppo a lungo.
Guarda dietro quando vuoi ricordare come si fa ad andare avanti. Guarda in avanti per ricordare cosa non eri ieri e cosa puoi invece essere domani.
Ama, mia dolce Mandy. Non commettere il mio stesso sbaglio. Io ho amato te, la mamma e i tuoi fratelli con la sola potenza del ricordo di quei giorni perfetti, prima che col cuore al presente.
Per ultimo, voglio portare con me un pezzetto di ciò che sarà la tua vita dopo di me.
Non voglio derubarti di qualcosa che non mi spetta. Vorrei solo avere la certezza che, nonostante il mio cattivo esempio e la mia deplorevole condotta, tu sia diventata la donna fantastica che ho avuto l’impressione di scorgere pochi giorni fa dietro alla vetrata della mia camera.
Poi me ne andrò del tutto, questa è una promessa».
Il trambusto creato nel suo cuore da quella richiesta di perdono aveva impedito a Mandy di notare un piccolo cambiamento nella disposizione degli invitati.
I fratelli si erano allontanati impercettibilmente, mentre la madre aveva mosso qualche passo nella sua direzione. Anche gli invitati avevano compiuto un mezzo giro su sé stessi, spostando così la loro attenzione sulla ragazza accanto alla porta in legno di ciliegio.
Tuttavia, il particolare più vistoso stava in quella strana posizione assunta da Luke, il quale puntava il suo sguardo liquido su di lei come se la vedesse per la prima volta.
Un ginocchio era poggiato a terra mentre l’altro era sospeso a mezz’aria, retto dal piede destro. Una posizione inequivocabile per chi si trovava lì intorno, ma non per lei.
Quella serata si era rivelata così intensa da averle annebbiato la mente e la vista, quasi fosse in procinto di perdere i sensi. La testa era pesante, la lucidità scarsa. Tutto ciò che le restava erano le gambe che, per qualche strana legge fisica, si reggevano ancora in piedi.
 
«Come ben sai, non sono mai stato bravo con le parole. Per questo motivo, e per evitare che la voce mi si spezzi nel momento più importante, sarò breve» Luke si schiarì la voce, alzando poi nuovamente lo sguardo sulla ragazza che aveva di fronte. «Conosco di te ogni più piccolo dettaglio, tanto da poterti dipingere ad occhi chiusi se solo fossi capace di disegnare un cerchio perfetto come Giotto o il viso di una donna come Leonardo. Forse potrei addirittura suonare di te, se avessi il dono della musica come Beethoven o Mozart.
Ciò che provo per te sconfina oltre ogni barriera del suono, corre più veloce della luce. Supera limiti geografici e temporali, perché la vecchiaia senza te al mio fianco non sarebbe degna di essere vissuta.
Ti ho vista sorridere tra le lacrime, imprecare per la fine di un libro. Ti ho vista con i capelli spettinati e con la maglietta del pigiama. Ti ho tenuta tra le mie braccia mentre la febbre ti rendeva fiacca e nervosa.
Tutto questo però non mi basta.
Ti considero mia, vorrei poterti considerare ancor più mia. Vorrei poter condividere con te il mio cognome, i successi e i fallimenti, la vita e, in un futuro spero molto lontano, la morte».
Luke fece scivolare la mano nella tasca destra della giacca, estraendone poco dopo una scatoletta di velluto blu.
La chiusura scattò, lasciando in balia di mille sguardi curiosi il prezioso gioiello che vi riposava dentro. Un piccolo brillante, semplice come semplice era la graziosa Mandy, incastonato su di una montatura d’oro bianco. Elegante e raffinato, come l’amore che univa i due giovani.
Tu sei l’unica, la sola che io abbia mai cercato nello sguardo di ogni passante ancor prima di incontrarti.
Se ti promettessi di amarti e onorarti finché morte non ci separi ancor prima che all’altare, mi concederesti di ripetere questa formula ancora una volta, con voce tremante e una fede da portare al dito?»
Le parole le si incastrarono in gola, mentre al loro posto le lacrime si facevano largo sui delicati lineamenti di Mandy.
La trepidazione in attesa della risposta intanto cresceva vistosamente, passando sui volti provati da tante emozioni di tutti i presenti.
«E tu lasceresti alla morte questo privilegio? Io preferisco i Per sempre». E fu festa grande.
Luke sollevò la sua futura sposa in uno slancio di indescrivibile gioia, roteando con lei tra le braccia fino a sentire la testa girare vorticosamente.
«Ti amo. Ti amo. Ti amo» ripeteva, mentre le lasciava baci dolci su tutta la superficie del viso.
«Anch’io, Luke. Ti amo anch’io, immensamente».
 
I festeggiamenti si protrassero fino a notte fonda, tra un calice di champagne e le congratulazioni ai neofidanzati.
E, in tutto questo tempo, l’immagine del signor Grayson rimase lì inerme, ad aspettare con un sorriso dipinto sul volto. Solo verso le tre, quando ormai gran parte degli ospiti aveva lasciato il Plaza, Mandy si ricordò del padre e di ciò che avrebbe avuto ancora da dirle.
Così prese in mano il telecomando e premette il tasto Play, lasciando che gli ultimi fotogrammi scorressero per lei e per la sua famiglia. La vecchia e la nuova.
Il sorriso del signor Grayson si scongelò, lasciando trasparire la grande emozione che aveva provato in quel momento, girando il filmato.
«Congratulazioni, bambina mia.
Sono sicuro tu abbia fatto la giusta scelta, per te e per la tua felicità.
Luke è un ragazzo speciale, è quello che avrei voluto essere io per la mia famiglia. Per te, per Jason, Ryan e Serendipity. Per vostra madre.
Adesso forse potrò trovare un po’ di pace a quell’irrefrenabile senso di colpa che mi attanaglia da tempo.
D’ora in poi Luke ti aiuterà a rimarginare quelle ferite ancora fresche ed io farò del mio meglio per sorvegliare che nessun mostro della mia specie si avvicini ancora a te.
Fai buon viaggio, mia piccola e dolce Mandy».

 

Non so, spero convinca almeno voi perchè io non lo sono neanche un po'. La frase da utilizzare era "Tu sei colui/colei che cercavo" dal film "La sirenetta".
Adesso scappo, torno a quella tesina per la maturità che mi sta risucchiando ogni energia e che continuerà a farlo almeno fino a inizio Luglio. Non vedo l'ora che sia tutto finito, davvero!

Un bacione,
Adrienne

  
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