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Autore: Vitani    21/12/2006    3 recensioni
Una creatura centenaria, una creatura vecchia di cinque secoli, una creatura che può narrare la realtà dei fatti, come andarono allora. Lo racconterebbe, se qualcuno lo ascoltasse, lo racconterebbe se il suo potere gliene desse il tempo, lui che racchiude una memoria e una forza necessarie, necessarie per concludere il viaggio verso Ovest. A chi parlarne? A quel se stesso di cui non ha memoria? O a quel volto dai capelli dorati che è l'unica costante dei suoi ricordi? Lo ascolterebbero? Goku potrebbe mai riavere il suo potere, la sua forza, la sua memoria? Sanzo accetterebbe i sentimenti della creatura a cui tiene di più al mondo e quelli della creatura che non può abbandonare? Il Seiten troverebbe la possibilità di uscire alla luce senza perdere il controllo e divenire il mostro? Essere accettati... l'unica cosa che desiderano... dagli altri e soprattutto da se stessi. E Sanzo? Riuscirà a superare il passato? Riuscirà a superare lo spettro dei suoi crimini passati e del suo orgoglio? Che cosa vedrà nello specchio? Ipse Dixit.
Genere: Triste, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Genjo Sanzo Hoshi, Son Goku
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Trattenne il respiro e i suoi occhi si sgranarono, mentre sentiva Sanzo pronunciare quelle parole.

“Che cosa dici?” gli domandò, perplesso “Sai cosa significa guardare in quello specchio?”

Si scostò, sentendo che Sanzo non rispondeva, e lo guardò in viso. Il monaco aveva volto lo sguardo verso le pareti del corridoio, e stava immobile, forse pensando, o forse cercando di non pensare.

Lui chiuse i suoi di occhi, e sospirò stancamente, apostrofandolo con voce rassegnata, debole.

“Significa… rivedere i tuoi demoni, i tuoi spettri più profondi. Sei davvero sicuro di volerlo fare?”

Anche se Sanzo non lo guardava, lui poté quasi immaginare  le sue profonde iridi viola farsi più cupe ed intense, mosse da un desiderio forse assurdo, forse dettato da un momento di momentanea follia.

Ah, ma chi era lui per farlo desistere?

“Perché così all’improvviso?” incalzò allora.

Sanzo serrò gli occhi, le sue labbra divennero una smorfia acida.

“Non lo so… non so più nulla.”

Goku avrebbe desiderato confortarlo. Sentiva che stava provando dolore, lo sentiva distintamente. E gli faceva male, anche a lui. La sola cosa che fu in grado di fare, però, fu stringerlo un poco sperando di aiutarlo in qualche modo.

Lo prese per mano, delicatamente.

“Se veramente lo vuoi… andiamo…”

Ma non era convinto, non del tutto. C’era qualcosa di opprimente a pesargli sul cuore, la preoccupazione per Sanzo certo… ma non soltanto. E il fatto che non riuscisse a comprendere di cosa si trattava non lo rendeva più tranquillo.

Appena varcarono la maledetta soglia di quella stanza, la prima cosa che fece fu inalare il lieve odore di muffa e umido dell’aria. Poi guardò Sanzo, con gli occhi lucidi per la sofferenza. Mentre lo guardava sentiva il dolore farsi sempre più acuto. Batté le palpebre, e continuò a fissarlo comunque. Era in tempo per tornare indietro, ancora. Poteva evitare di rivivere i suoi incubi… incubi che una persona avevano il potere di distruggerla.

Guardò lo specchio, che era stato parte così integrante della sua venuta in quel mondo, e guardò ancora il monaco.

Lo vide avvicinarsi allo specchio, lo vide guardare. Poté misurarne ogni passo.

E chiuse gli occhi, cedendo.

Temeva che non sarebbe riuscito a guardare, ma alla fine il suo desiderio di aiutarlo ebbe la meglio. Lo avrebbe aiutato a superare il passato… o quantomeno ci avrebbe provato. C’erano cose che non si potevano dimenticare, no. Cose che ti segnavano all’infinito. Cose con cui o imparavi a convivere o ne uscivi pazzo.

Non seppe mai di preciso cosa Sanzo vide nello specchio quella volta. Non lo seppe mai e neppure glielo chiese. Ancora una volta, non aveva diritto di impicciarsi. Si sarebbe accontentato di stargli vicino, di tirarlo fuori da quell’incubo.

Non seppe cosa lui stesse rivivendo, ma certamente era qualcosa che per lungo, lungo tempo l’aveva segnato. Qualcosa che non s’era mai perdonato.

Non lo seppe mai, ma gli fu accanto come lo vide tremare, e accasciarsi in ginocchio a terra. Era come se stesse chiedendo perdono a qualcuno, senza vedere più nulla a parte quella proiezione della sua mente.

Lo sentì sussurrare una singola parola: “Maestro…”, e si inginocchiò accanto a lui abbracciando il suo corpo che fremeva.

Stava male, stava soffrendo insieme con lui.

Poi, mentre ancora le sue mani cingevano forte le spalle del bonzo, un guizzo nella superficie dello specchio attrasse la sua attenzione. Qualcosa che aveva captato con la coda dell’occhio, qualcosa che avrebbe potuto tranquillamente ignorare. Ma c’era in fondo al suo cuore una sensazione che gli guidò gli occhi verso l’alto, e le sue iridi di miele s’allargarono, con paura e indicibile dolore. Con rassegnazione, con consapevolezza.

Perché lui quel che stava vedendo in quello specchio lo sapeva bene, e altrettanto bene lo comprendeva. Ma non poteva impedirsi di star male.

C’era Sanzo, lui lo vedeva solo riflesso, in ginocchio, e vedeva le sue braccia che lo stringevano, sperando di aiutarlo anche solo con la sua presenza.

Però… quei capelli, quel volto, quegli occhi che lo guardavano in una sorta di cupa mestizia, con qualcosa che a lui parve tanto pietà, erano quelli dell’altro.

Era l’altro ad abbracciare Sanzo, non lui.

E lui lo sapeva, lo sapeva, lo sapeva, sempre l’aveva saputo, oh cielo dannato!

Si trovò a scuotere il capo, lentamente, con movimenti quasi intorpiditi, fissando con le labbra socchiuse le iridi del suo riflesso.

‘Non mi compatire… non mi compatire… non mi compatire…’

Tentò di fermare le lacrime. Ci provò, respirando quanto più a fondo i suoi polmoni gli consentissero, riuscendo solo ad emettere un rantolato lamento gutturale, interrotto da singhiozzi simili a convulsioni che gli provocavano dolore in ogni muscolo del petto.

Non riusciva ad abbassare lo sguardo, per quanto ardentemente lo desiderasse.

‘Non mi compatire…’

Solo guardarlo poteva, con gli occhi larghi e il respiro affannato per lacrime che gli scendevano fino in gola.

Non voleva avere pietà da lui. Era perfettamente cosciente di quale fosse il suo destino. L’aveva capito molto e molto tempo prima.

‘Della tua compassione non me ne faccio nulla… perciò… smetti, smetti, smetti di guardarmi!’

E in mezzo al dolore sovvenne un moto di rabbia, improvvisa e cieca come la gelosia, che si estinse nelle lacrime al pensiero di quanto inutile, effimero, penoso fosse stato tutto quel che aveva fatto fino a quel momento.

Quanto sarebbe stato meglio che mai, mai, mai si fosse avvicinato a Sanzo al punto da toccare quel suo corpo, al punto da sciogliere il legaccio dei suoi sentimenti fino a venirne soverchiato!

Perché ora, in confronto a quel dolore, tutto gli pareva minimo. Ogni cosa.

Riuscì a deglutire, e sentì come se quelle lacrime indecenti gli avessero infine bloccato perfino il respiro. Faticosamente distolse lo sguardo da quello dell’altro, voltò il capo e serrò gli occhi, le labbra contorte in una smorfia amara, poi respirò, più e più volte, profondamente, il corpo scosso da un unico tremito inarrestabile, preda ancora di quei maligni singhiozzi disperati.

E, alzando le braccia al cielo, urlò.

Urlò fino a non sentir più la sua voce, urlò fino a sentir vibrare ogni sua cellula, urlò fino a stordirsi, senza percepire più nulla.

E nelle urla, in quel momento si sentì morire, e sentì il peso soggiogante di quella sconfitta, e volle solo che il dolore lo inondasse, emergendo dentro di lui e dilaniandogli la mente, il corpo, il cuore, disintegrando perfino i pensieri. Orrendamente macellando tutto ciò che poteva rimanere di se stesso.

Più nulla vide, né sentì se stesso crollare contro il pavimento simile a un burattino di legno coi fili strappati.

Volle solo la morte, con tutte le sue forze la chiamò, pregando per non dover sopportare più il peso di quella colpa che era stata, per lui, amare.

 

Fu nel buio e solo nel buio che per qualche istante vide gli occhi di un ragazzo.

Occhi azzurri come il cielo di primavera.

Occhi che lo guardavano come se capissero.

Non gli parlò né fece nulla.

E tornò il buio.

 

Inspirò, allargando appena le narici. E tornò ad espirare. Mosse appena le dita delle mani, e sentì un breve chiarore dietro le palpebre chiuse.

Seppe che era giorno, e seppe di essere su un letto avvertendo la morbidezza di un materasso dietro la schiena.

Allora non era stato esaudito… la morte non era infine sopraggiunta…

Allungò silenziosamente un braccio al suo fianco, e come s’aspettava trovò un’altra mano, identica alla sua, di un corpo che gli stava steso accanto.

Non volle guardarlo, anche se aprì gli occhi.

Non volle, perché sapeva che l’avrebbe odiato. E non voleva farsi ancora del male.

La testa gli doleva come se qualcuno gli stesse scavando nel cervello strappandoglielo a brandelli. Non riusciva neppure a pensare.

Chiuse gli occhi, quando ne captò l’odore. L’odore per lui inconfondibile di quel monaco che amava tanto.

Una volta di più fu certo di quanto fosse troppo, troppo tardi per tornare indietro.

Non avrebbe voluto sentirne la voce, ma prima che fosse in grado di impedirlo aveva già parlato: “Che è successo?”

“Sei svenuto.”

La solita, vaga, rassicurante inespressività di quella splendida voce. Si trovò a sorridere, suo malgrado, piccolo, ingenuo, immaturo ragazzino innamorato. Gli era parso di scorgere del sollievo nel tono di Sanzo. Sperò di aver visto giusto, perché ancora, testardo e orgoglioso, non s’arrendeva a una sconfitta inevitabile. Illuso.

“E tu? Come stai?”

Sanzo lo guardava, e non gli rispose nulla. A Goku bastò leggere il dolore nei suoi occhi, e non gli chiese più altro. Non se ne sentiva in diritto, anche se forse l’altro l’avrebbe fatto. Ma lui… lui no. Lui di quel mondo non era mai stato parte.

“Ho sognato…” sussurrò allora, ricordando “…ho sognato Hyaris…”

Vide Sanzo sgranare appena gli occhi, e sorrise. Sentiva il corpo molto debole, troppo, ma non ci diede alcun peso. Immaginò che fosse a causa dello shock di poco prima.

Non disse altro a Sanzo, non gli disse che anche negli occhi di Hyaris aveva letto la stessa pena che c’era in quelli di Goku.

Non glielo disse per non essere compatito anche da lui.

“Ora vorrei riposarmi un po’… se non ti dispiace. Mi fa male la testa.”

Sanzo annuì, lo lasciò solo, e Goku gliene fu grato.

Nel buio udì soltanto il suo respiro, e cercò la mano dell’altro.

“Il mio vero corpo…” sussurrò.

Sentì ancora quella rabbia sorda, e se ne avesse avuto le forze avrebbe pianto. Ignorò, scelse di ignorare quell’orrida sensazione.

Digrignò i denti.

“Maledetto…” mormorò al buio.

Ma non l’avrebbe odiato, no, mai. Non avrebbe odiato il suo cuore. Sapeva bene quanto sarebbe stato inutile anche quello.

Prima di potersene rendere conto, s’era addormentato.

Un sonno senza sogni, un sonno quieto, così totale… il sonno che avrebbero potuto fare i morti.

Il senso d’inquietudine tornò poi, quando il suo sonno si fece pesante, maligno, soffocante come piombo sul suo corpo.

I suoi occhi non s’aprirono. Non vollero aprirsi, le palpebre incollate l’una all’altra come da del cemento.

Ma lui era ancora così cosciente! E quella sensazione… ah, se la conosceva! Era la stessa, medesima sensazione di quand’era rinchiuso. Così inerme, così debole, così desideroso ma incapace di muoversi, incapace di qualunque cosa!

Fu nel silenzio che il giorno tornò, anzi era buio, notte in realtà, e i suoi occhi finalmente si schiusero di nuovo.

Scoprì di far fatica a tenerli aperti, ma aveva anche la sensazione di non potere chiuderli, troppa era la paura improvvisa di non svegliarsi mai più! La fatica era insopportabile, ma si impose di non cedere, di non dormire.

Che oscuro, terrificante risveglio era mai quello?

Tentò d’alzare un braccio. Nulla, neanche quello gli era concesso.

Se avesse voluto aprire la bocca per parlare, non avrebbe potuto farlo se non dopo uno sforzo che gli pareva immenso, e tutto ciò che gli fu possibile emettere fu un flebile e lamentoso uggiolio.

Doveva calmarsi, e concentrarsi. Non era ancora morto. E mai, mai aveva sentito così forte il desiderio di vivere ancora un po’. Lo chiamò, e sentì il suo potere, la sua energia spirituale affluire con forza, riscaldandogli i tessuti, percorrendogli la carne ed irrorando di vita i suoi muscoli.

Mai gli era accaduto di doverlo fare, prima.

Mai era stato così sofferente, prima.

Quel corpo fasullo si stava forse degradando?

No, poteva dirlo con certezza: ne sentiva ogni fibra, ogni cellula, ed erano tutte meravigliosamente vive.

Finalmente poté tornare a respirare, quando quello stato di malessere parve attenuarsi. Inalò la fresca aria notturna con sollievo, e quando finalmente i suoi polmoni ne furono inondati si levò a sedere, ignorando la leggera fitta di dolore che gli aveva scosso lo stomaco.

“Che sta succedendo?” si chiese.

La risposta gli giunse chiara come la luce, dopo qualche secondo di attenta riflessione. Probabilmente, se il suo corpo era a posto, stava accadendo qualcosa a chi quel corpo gliel’aveva dato.

S’alzò in piedi lentamente, scoprendo per sua fortuna di riuscirci quasi senza sforzo.

Neppure ci pensò, ma corse immediatamente verso la camera di Sanzo. Poco importava che stesse dormendo, cosa quasi certa vista l’ora. Era importante. Era importante che lo facesse.

Aprì la porta, che non era chiusa a chiave, ed entrò.

Sanzo…” sussurrò.

Lo vide che dormiva, e trattenne il fiato. Era così bello, così bello! E lui… che cosa gli avrebbe detto?

Osservò quella figura distesa, pallida contro la luce della luna che filtrava dalla finestra, e sentì il suo cuore arso riscaldarsi.

Sorrise, poi arrossì un poco.

Ah… si sarebbe dato del coglione. Aveva finito per innamorarsi come un bambino ma, si ripeté, il suo cuore non l’avrebbe maledetto. Anche se sarebbe finito soffrendo, e anche di questo era certo.

S’avvicinò al letto e si stese sopra Sanzo, stando bene attento a non svegliarlo, poi sfregò una delle sue guance calde contro la sua fronte e gli baciò le labbra.

Chiuse gli occhi e lo tenne stretto, ancora per un po’. Non voleva altro, in quel momento. Nient’altro se non potersi cullare in quell’amore in eterno.

Ormai non sarebbe riuscito a lasciarlo, il solo pensiero era in grado di terrorizzarlo. Sarebbe stato ucciso dal dolore.

S’alzò e fece per allontanarsi dal letto. Poteva solo allontanarsi, scappare. Ancora pochi passi e sarebbe stato fuori della stanza.

Ma il suo piede non toccò mai la terra, e ancora i suoi occhi videro solo il buio.

 

- continua -

 

N.d.A. Bene… posso tirare un sospiro di sollievo avendo finito questo capitolo che mi ha fatto venire un magone atroce. Nel prossimo capitolo, il venti, la vicenda del Seiten arriverà a una conclusione. Ma più che di questo mi interesserebbe parlare un po’ del rapporto fra lui e Goku, su cui ho incentrato questo capitolo. Il Seiten vuole bene a Goku come parte di se stesso, ma al contempo prova una gelosia inarrestabile e anche abbastanza ovvia. Sa bene, in ogni caso, di non poter competere con lui ed è questo che lo fa soffrire più di tante altre cose… il sapere che per quanto lo ami, Sanzo non potrà mai essere completamente “suo”. Questo ovviamente perché lui non comprende di essere una cosa sola con Goku

Arrivederci al prossimo capitolo!

 

 

   
 
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