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A Francesca,
perché apprezza il mio sarcasmo
più degli altri.
E perché il suo nickname
su twitter spaKKa.
Sherlock posò
la pianta di azalee sul sedile alla sua destra. Anche quella sera erano
riusciti a trovare un taxi.
-
È troppo ambire al posto di una pianta, vero? – commentò John, sedendosi di
fronte a lui.
Sherlock
non rispose; sorrise al display del suo cellulare e con dita veloci digitò un
messaggio, per poi riporre l’apparecchio nella tasca del suo cappotto.
La
pioggia fitta rendeva appena riconoscibile il profilo di Londra, le luci a intermittenza
delle decorazioni natalizie erano lampi di colore su uno sfondo grigio. Sherlock
passò una mano sul finestrino e tolse la condensa che vi si era formata sopra.
-
Vorresti sederti alla mia destra? –
si decise a domandare qualche minuto più tardi.
John
non rispose, si limitò a far schioccare la lingua.
*
Marianne Holmes appese l’angelo
bianco sulla punta dell’albero e lo sistemò in modo tale che non cadesse entro
i primi cinque minuti. L’angelo di pezza era stabile – come ogni cosa cucita dalle sue mani – ma, vivendo in
quella casa, non si era mai certi di nulla.
Osservò l’abete addobbato di rosso
e oro, poi sorrise, mesta. Non sapeva se, quell’anno, suo marito avrebbe fatto
in tempo a tornare per festeggiare con la sua famiglia, nonostante le avesse promesso
che avrebbe fatto l’impossibile per stare con i suoi figli.
Sperava solo che ci riuscisse: ormai
Mycroft e Sherlock ricordavano a malapena il volto
dell’uomo, che rincasava solo per dormire.
Il trambusto in cucina la riportò
alla sua vita familiare.
- Mamma! Mycroft
si sta abbuffando di biscotti alle nocciole.
Marianne sospirò. – Mycroft, lo sai che i biscotti ti fanno alzare i livelli
del diabete!
*
John
sollevò le azalee e con un calcio chiuse il portone. – Sherlock, hai intenzione
di sorridere come uno scemo al cellulare per tutta la sera?
Sherlock
non rispose e con un balzo saltò due scalini, per poi sedersi.
-
Ti è partito un embolo, per caso? – domandò John.
-
Prego?
-
Dovremmo entrare, sai, ora che siamo davanti alla porta di casa tua.
-
Non è casa mia.
-
Hai capito quello che volevo dire.
Sherlock
sollevò lo sguardo dal display del telefono e puntò gli occhi sulla porta verde
scuro, scrostata in alcuni punti.
-
Devo prima smettere di sorridere – spiegò.
L’altro
annuì, come se quella fosse una spiegazione valida. – E perché sorridi? – disse,
posando il vaso a terra.
Sherlock
gli tirò il cellulare e John lo afferrò al volo.
-
Per questo.
*
- Mamma, papà, la maestra ci ha
fatto comporre una poesia per Natale – affermò Mycroft,
facendo emergere le manine infantili dalle maniche troppo lunghe del maglione
di lana grezza.
- Oh, che meraviglia – borbottò
Edward Holmes, allungando una pacca goffa sulle spalle del figlio.
- Mycroft,
lo sai che il tuo doppio mento si tinge di rosso come la pappagorgia di un
gallo quando sei felice?
- Sherlock! – esclamarono
all’unisono Marianne
ed Edward.
*
Anche
sul viso di John Watson si delineò un sorriso.
Stasera ci sarà anche una mia
amica, quindi evita di dire… quello che dici di
solito.
Mycroft
-
Tu cosa gli hai risposto?
-
Che a Natale siamo tutti più buoni.
John
si sedette accanto a lui. – E perché non entriamo in casa?
-
Perché devo smettere di sorridere – ripeté Sherlock.
*
Uno dei tanti Natali che la
famiglia Holmes aveva festeggiato era stato il peggiore di tutti.
Non perché Mycroft
avesse mangiato il dolce di Natale la notte prima, durante un attacco di
sonnambulismo.
Non perché Sherlock fosse riuscito a
indovinare il contenuto dei pacchetti che si trovavano sotto l’albero e i loro prezzi, compresi
quelli della carta da regalo e dei fiocchi.
Non perché Edward Holmes avesse lasciato il sigaro
acceso vicino all’albero, che aveva preso fuoco dopo pochi istanti.
Non perché Marianne Holmes avesse messo
lo zucchero nell’insalata.
Ma perché Adelaide Griffiths aveva deciso di passare il Natale con la famiglia
della sua figlia
maggiore.
- Edward, non i gomiti a tavola,
per piacere.
- Marianne, stai per caso
ruminando?
- Mycroft,
tiene la testa alta, così fai vedere che non hai paura di nulla. E ti si vede
di meno il doppio mento.
- Sherlock, tesoro della nonna,
vuoi altro pane?
*
Sherlock
bussò alla porta dei signori Holmes e attese, la
pianta in una mano e il cellulare nell’altra. Fissò ostinatamente la scritta in
ottone scurito dal tempo che campeggiava sulla porta di casa sua.
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Appena
si aprì, John sobbalzò, ma Sherlock non se ne accorse e continuò a fissare la scritta in ottone.
Gli
passò il vaso, assicurandosi che non cadesse.
Una
donna bassa e mingherlina li accolse con uno sbuffo.
-
Ah, sei tu. Entrate.
Li
lasciò passare e poi chiuse la porta alle loro spalle.
John
osservò l’appartamento piccolo ma accogliente. Nel soggiorno c’era un imponente
camino acceso, le pareti erano piene di quadri raffiguranti paesaggi diversi e
il pavimento era coperto dal parquet scuro.
-
Immagino che tu abbia sentito tuo fratello, visto che sorridi come un cretino –
domandò la donna a Sherlock.
-
Mamma – iniziò lui, - io e
Mycroft cerchiamo di sentirci il meno possibile. Per
il bene di entrambi. E della Nazione.
La
signora Holmes alzò gli occhi al cielo. – Quanto sei drammatico.
John
mascherò una risata con un colpo di tosse e si voltò verso la donna.
-
È stato molto gentile da parte sua invitarmi alla vostra cena di Natale.
Marianne
inarcò un sopracciglio. –
A dire il vero, è stato mio marito a invitarti. Io non sapevo nemmeno che
esistessi.
John
portò le braccia dietro la schiena e sorrise. – Avrei dovuto immaginarlo.
-
Prego? – domandarono contemporaneamente madre e figlio.
-
Niente. Dove poso le azalee?
*
- Sherlock, vieni a tavola e
smettila di studiare!
Marianne posò il piatto con gli
stuzzichini di pesce e si avviò nella stanza del figlio più piccolo.
Il ragazzo era steso sul letto e
osservava la copertina del libro Geografia Astronomica con cipiglio frustrato. La donna sospirò e si sedette accanto a lui, carezzandogli la testa riccioluta.
- Tesoro, lo so che la scomparsa
della nonna ti ha sconvolto, ma lei adesso è in un posto migliore.
A
dare ordini a Satana.
Marianne sorrise, di nuovo.
- Io non sono sconvolto – ribatté
il figlio.
– La sua morte non mi convince.
- Non ti convince un infarto?
Sherlock aggrottò le sopracciglia
e sfiorò il suo Stradivari, che giaceva accanto a lui. – No.
Marianne sospirò e chiuse gli
occhi, rilassandosi. Amava i suoi figli, certo, erano così bizzarri che a volte
si chiedeva da chi avessero ripreso, ma era… tenero il modo in cui cercavano di dare una spiegazione a
tutto. Sapeva che una volta diventati adulti – Mycroft
era ormai alla fine della sua adolescenza – avrebbero fatto grandi cose e
sarebbero divenuti uomini da cui prendere esempio.
- Va bene,
Sherlock – gli disse. - Io vado a chiamare tuo fratello, cerca di farti trovare
a tavola il prima possibile.
Uscì dalla stanza
senza attendere la risposta del figlio, chiudendosi la porta alle spalle.
Appena il rumore di passi si fece
più lieve, Sherlock aprì il libro e lisciò una piega della pagina che vi era
all’interno. Pizzicò una corda del violino, la osservò vibrare e poi, come
obbedendo a un rimprovero interiore, tornò subito a leggere il referto medico
di sua nonna.
*
Un
lieve bussare interruppe la chiacchierata di Marianne con suo figlio. John
sospirò di sollievo, poiché l’argomento principale di quei dieci minuti era
stato lui. La donna aveva fatto domande, incuriosita dal fatto che Sherlock
avesse un amico; John, dal canto suo, non si era scomposto minimamente e aveva
risposto a tutte le domande che gli erano state rivolte. Quando, poi, Marianne
aveva incominciato a scrutarlo, forse perché le risposte di John non la
convincevano, si era sentito un po’ a disagio. Forse per colpa degli occhi così
simili a quelli del figlio, forse.
O,
molto probabilmente, era a disagio per via del coltello che la
donna brandiva.
Sembrava
a suo agio a parlare con un’arma in mano, a gesticolare come se quella fosse
una penna; era così disinvolta da farla sembrare una cosa naturale.
Sempre
con il coltello fra le dita, Marianne aprì la porta e accolse Mycroft con un sorriso.
-
Ciao tesoro! – esclamò, poi si voltò verso la donna un po’ troppo formosa che
accompagnava il figlio e disse: - Tu devi essere Brittany!
-
Ehm – Mycroft fulminò la madre con uno sguardo, - Cherise, mamma.
Marianne
parve in imbarazzo. – Oh, beh, c’ero vicina! – si giustificò.
Cherise
non lo ricambiò: la sua attenzione era tutta rivolta al coltello, così
pericolosamente vicino al suo petto.
*
- Sono così contenta che mi abbiate
invitato alla vostra cena di Natale!
Marianne si chinò verso Sherlock e,
facendo finta
di prendere il cestino del pane, gli sussurrò all’orecchio: - Com’è che si
chiama questa?
Il figlio incurvò appena le labbra.
– Abbie.
Marianne tornò a guardare la ragazza seduta di fronte a lei,
sorridendo. – Figurati, Abbie!
Mycroft emise un impercettibile sospiro
di sollievo e tornò a parlare con suo padre, il quale annuiva a ogni sua affermazione. Non
che lo stesse veramente ascoltando, ma nessuno aveva avuto mai il coraggio di
dire al ragazzo che suo padre non capiva nulla di politica.
- Purtroppo non sono riuscita a
trovare un volo per il Texas, - continuò Abbie, - e
Londra diventa magica a Natale!
- Già – concordò il signor Holmes, appigliandosi
a uno dei pochi spunti di conversazione che gli risultasse comprensibile
dall’inizio della cena.
- Quindi, Addie,
come mai hai lasciato il Canada? – domandò Marianne qualche minuto dopo.
- Mamma! – Mycroft
spalancò la bocca, indispettito.
- Che c’è? Cosa ho fatto? – domando,
guardando in volto tutti i presenti.
Poi si voltò verso Sherlock, che adesso
ghignava apertamente, e comprese.
*
-
Perdona mia madre – borbottò Mycroft. – Non è un asso
con i nomi.
Cherise
annuì e sorrise, imbarazzata.
John
spostò il peso da un piede all’altro, in attesa di esser presentato.
- Cherise, ti presento
John Watson. È
un collega di mio fratello.
La
donna tese la mano verso
di lui e gliela strinse. Il palmo era sudato, sicuramente a causa
dell’accoglienza di Marianne.
-
Piacere di conoscerla – disse John.
-
Piacere mio. Mycroft mi ha detto che lei e Sherlock
siete dei… uhm, consulenti
investigativi – affermò, dubbiosa. Evidentemente Mycroft
le aveva riferito il lavoro del fratello, ma non il proprio; d’altronde, per un uomo che lavorava per il Governo, era consigliabile
mantenere un certo riserbo a proposito del proprio ruolo professionale.
- Esattamente – confermò lui.
Cherise
sorrise, incerta. – Deve essere un lavoro interessante.
-
Pericoloso – la corresse Sherlock.
La
donna contenne a malapena la sorpresa. – Be’, sì, avrei dovuto immaginarlo.
Un
sonoro bussare interruppe la conversazione.
John aprì la porta e si fece da parte per far passare un uomo tarchiato, sulla
sessantina; i suoi movimenti erano notevolmente impacciati a causa delle buste
che portava in braccio e qualche fiocco di neve si era
posato su quei pochi capelli bianchi che aveva.
-
Buon Natale a tutti – bofonchiò, entrando.
-
Buon Natale anche a te, papà – sorrise Mycroft. - Lei
è Cherise – aggiunse, indicandola al suo fianco.
Il
signor Holmes alzò lo sguardo e fece una smorfia che forse era un sorriso. –
Scommetto che mia moglie ti ha già battezzato in un altro modo.
Cherise
ridacchiò. – Sì, lo ha fatto.
Edward
Holmes scaricò i sacchetti sulla tavola e sbuffò.
-
Io sono John Watson – si presentò John, tendendo la mano verso l’uomo, ma quello
lo abbracciò e gli batté qualche pacca energica sulla schiena.
-
È un piacere poterti finalmente conoscere, John!
John
sorrise, imbarazzato, e cercò di districarsi dalle braccia dell’uomo. – Mmh, sì, il piacere è tutto mio.
-
Sono felice per mio figlio, ha trovato un compagno!
*
Mycroft osservò con malcelata tristezza
tutti i cibi che sua madre aveva posto in tavola. Soprattutto il misto di mare,
il suo preferito.
Sherlock si servì una porzione di
antipasto, guardando soddisfatto i gamberetti nel suo piatto. Infilzò un pezzo
di polipo, mentre con l’altra mano vi versava un po’ di succo di limone.
Mycroft deglutì.
Marianne osservava
il figlio maggiore, cercando di non distogliere mai lo sguardo, nervosa e attenta.
Edward si gustava il suo piatto,
ignaro della battaglia che si stava svolgendo alla sua tavola.
- Mamma…
- iniziò Mycroft, ma la donna lo interruppe: - No,
non puoi mangiare l’antipasto, solo il primo e un po’ di contorno.
Suo figlio apparve così triste che
un crampo le strinse lo stomaco. O forse era solo fame.
Si servì altro antipasto di mare.
- Mamma – piagnucolò,
qualche minuto dopo.
Marianne sbuffò e sbatté la
forchetta sul piatto. – Mycroft, finiscila! Vuoi
dimagrire sì o no?!
Un singulto la
costrinse a prestare maggiore attenzione al secondogenito.
- Sherlock,
qualcosa non va?
- Assolutamente
no. Un leggero singhiozzo.
La donna, soddisfatta della risposta, tornò
a guardare Mycroft. – Hai intenzione di farmi
mangiare in pace o no?
Lui annuì e abbassò lo sguardo sul
suo piatto vuoto.
Le guance di Mycroft
ripresero colore solo quando il padre gli passò, sotto il tavolo, un
gamberetto. E poi un altro ancora.
E altro, nei giorni a venire.
*
Il
rumore di posate faceva da sottofondo alle chiacchiere che riempivano l’aria.
Tutti sembravano andare d’accordo.
Sembravano.
Mycroft
era concentrato sul suo piatto e fingeva di non notare gli sguardi inquisitori
che Sherlock lanciava a Cherise.
John
commentava i piatti che gli venivano serviti e cercava di non fissare Mycroft, visibilmente inviperito verso il fratello.
Cherise
provava a non far sudare anche l’incavo dei gomiti, oltre che le mani.
I
coniugi Holmes erano così abituati a quelle scene che ormai non ci facevano più
caso.
Sherlock,
in realtà, canticchiava mentalmente
“Für
Elise”, ignorando tutti e tutto.
-
Allora, Cherise, sei di Londra? – domandò Edward.
La
ragazza annuì. – Sì, nata e cresciuta qui, anche se ultimamente sono stata
nelle Filippine per qualche anno. A costruire scuole – sorrise.
Marianne
borbottò qualcosa, ma nessuno osò chiederle delucidazioni; nemmeno Cherise, che, dopo aver notato l’espressione della donna, era
tornata a spiluccare la sua cena.
Quando fu il momento del dolce, i commensali si alzarono dalle
sedie per andare a sedersi sul divano e le poltrone.
- Quindi sei un architetto – commentò Marianne, invitando Cherise a sedersi vicino a lei con un colpetto della mano
sul sofà.
Cherise
sorrise e, felice come un innocente che stava andando al patibolo, si accomodò
accanto alla donna.
-
Sì, sono un architetto – le rispose. – Purtroppo volevo fare medicina, ma è
così difficile essere ammessi in quella facoltà!
Marianne
sorrise, come se sapesse quali test sottoponessero e, con un cenno della mano,
indicò Sherlock.
-
Volevo che Sherlock facesse medicina, ma purtroppo lui non ha voluto – sospirò,
portandosi una mano sul petto.
John
sorrise e osservò come la madre del suo collega recitasse in modo impeccabile.
-
È sempre stato un bimbo sveglio e si preoccupava molto per gli altri…
Edward
guardò accigliato il fuoco che scoppiettava nel camino.
-
…Si prendeva cura degli animali feriti che trovava
per strada…
Mycroft
si schiarì la gola.
-
… E, soprattutto, capiva sempre le persone. Sai, cosa gli piacesse, cosa
volessero e cose
simili. Insomma, si preoccupava molto.
Sherlock
si alzò e si sfregò le mani, pregustando il momento in cui sua madre gli
avrebbe dato il via libera.
Cherise
annuì. – Sì, posso immaginare, anche Mycroft è così.
John
cominciò a tossire forte, cercando di mascherare la risata.
-
Bene – disse Marianne. – Scommetto che però non è come Sherlock. Lui è davvero
speciale. – Fece un segno al figlio minore, piegando la testa.
-
Cherise – iniziò Sherlock, sedendosi accanto a lei e
accavallando le gambe lunghe. – Davvero fai l’architetto?
Lei
si imporporò tutta e guardò Mycroft, cercando aiuto,
ma lui era troppo sorpreso per poter dire qualsiasi cosa.
-
Ehm, sì – rispose con voce flebile.
-
Io non penso. Sai, hai delle unghie molto lunghe e lo smalto. Alcuni smalti
lasciano tracce sui fogli da disegno e dubito che non ti importi nulla. E poi
hai delle dita sottili, ben curate e nessuna delle prime tre dita delle mani –
pollice, indice, medio – sembra reduce da anni di disegno.
Cherise
boccheggiò e Marianne le diede una pacca di incoraggiamento.
-
In più, prima, mentre accennavo alle Pilipinas e alla situazione che dovranno affrontare a
Gennaio, per il freddo, non hai dato idea di sapere di cosa stessi parlando.
Eppure ci sei stata, nelle Filippine. Se vuoi il mio parere, tu non sei un architetto… Fai la massaggiatrice o qualcosa di simile,
vero?
Cherise
non rispose, ormai era sotto shock.
-
Ho anche notato che ti massaggi la spalla, più volte. Di solito, un architetto
che disegna tutto il giorno, ha dolore alla parte bassa della schiena o al
trapezio, non a una spalla. Inoltre, il tuo cellulare ha i tasti consumati, e
non è per usura, il modello che hai è uscito da poco tempo, quindi il tuo
cellulare viene a contatto con creme o oli. In ultimo, ma non
meno importante, ti siedi sempre e cerchi di stare poco in piedi, e una volta
seduta stendi le gambe, come se si stancassero subito, perché, evidentemente,
il tuo lavoro non ti permette di riposarti molto.
Dopo
le parole di Sherlock calò un imbarazzante silenzio.
Marianne si alzò e allargò le braccia, sorridendo come una
perfetta padrona di casa: - È mezzanotte! Vogliamo scartare questi regali sì o
no?
***
Note:
Il
riferimento al libro di Geografia Astronomica prende spunto alla puntata dove
John accusa Sherlock di non sapere nulla in materia.
E,
cosa meno importante, questa ff è stata ispirata alla
battuta di Mycroft quando dice a John che può
immaginare il Natale a casa Holmes.
Ringraziamenti:
Per
prime ringrazio le mie personali allevatrici di lamantini bete: Venenum e poison spring. Vi lovvo all’infinito.
La
mia Consulente Narrativa alias Anpuccia. Ti voglio
bene, anche se sei piatta (ti dovevo insultare u.u)
<333
E
Francesca che l’ha letta senza vomitare, che mi sopporta, che capisce il mio
umorismo sottile come un baobab. Loviù.
Bye.