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Autore: Morgana    03/06/2012    3 recensioni
Marianne Holmes appese l’angelo bianco sulla punta dell’albero e lo sistemò in modo tale che non cadesse entro i primi cinque minuti. L’angelo di pezza era stabile – come ogni cosa cucita dalle sue mani – ma, vivendo in quella casa, non si era mai certi di nulla.
Osservò l’abete addobbato di rosso e oro, poi sorrise, mesta. Non sapeva se, quell’anno, suo marito avrebbe fatto in tempo a tornare per festeggiare con la sua famiglia, nonostante le avesse promesso che avrebbe fatto l’impossibile per stare con i suoi figli.
Sperava solo che ci riuscisse: ormai Mycroft e Sherlock ricordavano a malapena il volto dell’uomo, che rincasava solo per dormire.
Il trambusto in cucina la riportò alla sua vita familiare.
- Mamma! Mycroft si sta abbuffando di biscotti alle nocciole.
Marianne sospirò. – Mycroft, lo sai che i biscotti ti fanno alzare i livelli del diabete!
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Mycroft Holmes , Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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14F

 

 

 

 

 

 

 

 

A Francesca,

perché apprezza il mio sarcasmo

più degli altri.

E perché il suo nickname

su twitter spaKKa.

 

 

 

 

 

 

 

 

         Sherlock posò la pianta di azalee sul sedile alla sua destra. Anche quella sera erano riusciti a trovare un taxi.

- È troppo ambire al posto di una pianta, vero? – commentò John, sedendosi di fronte a lui.

Sherlock non rispose; sorrise al display del suo cellulare e con dita veloci digitò un messaggio, per poi riporre l’apparecchio nella tasca del suo cappotto.

La pioggia fitta rendeva appena riconoscibile il profilo di Londra, le luci a intermittenza delle decorazioni natalizie erano lampi di colore su uno sfondo grigio. Sherlock passò una mano sul finestrino e tolse la condensa che vi si era formata sopra.

- Vorresti sederti alla mia destra? – si decise a domandare qualche minuto più tardi.

John non rispose, si limitò a far schioccare la lingua.

 

*

 

Marianne Holmes appese l’angelo bianco sulla punta dell’albero e lo sistemò in modo tale che non cadesse entro i primi cinque minuti. L’angelo di pezza era stabile come ogni cosa cucita dalle sue mani – ma, vivendo in quella casa, non si era mai certi di nulla.

Osservò l’abete addobbato di rosso e oro, poi sorrise, mesta. Non sapeva se, quell’anno, suo marito avrebbe fatto in tempo a tornare per festeggiare con la sua famiglia, nonostante le avesse promesso che avrebbe fatto l’impossibile per stare con i suoi figli.

Sperava solo che ci riuscisse: ormai Mycroft e Sherlock ricordavano a malapena il volto dell’uomo, che rincasava solo per dormire.

Il trambusto in cucina la riportò alla sua vita familiare.

- Mamma! Mycroft si sta abbuffando di biscotti alle nocciole.

Marianne sospirò. – Mycroft, lo sai che i biscotti ti fanno alzare i livelli del diabete!

 

*

 

John sollevò le azalee e con un calcio chiuse il portone. – Sherlock, hai intenzione di sorridere come uno scemo al cellulare per tutta la sera?

Sherlock non rispose e con un balzo saltò due scalini, per poi sedersi.

- Ti è partito un embolo, per caso? – domandò John.

- Prego?

- Dovremmo entrare, sai, ora che siamo davanti alla porta di casa tua.

- Non è casa mia.

- Hai capito quello che volevo dire.

Sherlock sollevò lo sguardo dal display del telefono e puntò gli occhi sulla porta verde scuro, scrostata in alcuni punti.

- Devo prima smettere di sorridere – spiegò.

L’altro annuì, come se quella fosse una spiegazione valida. – E perché sorridi? – disse, posando il vaso a terra.

Sherlock gli tirò il cellulare e John lo afferrò al volo.

- Per questo.

 

*

 

- Mamma, papà, la maestra ci ha fatto comporre una poesia per Natale – affermò Mycroft, facendo emergere le manine infantili dalle maniche troppo lunghe del maglione di lana grezza.

- Oh, che meraviglia – borbottò Edward Holmes, allungando una pacca goffa sulle spalle del figlio.

- Mycroft, lo sai che il tuo doppio mento si tinge di rosso come la pappagorgia di un gallo quando sei felice?

- Sherlock! – esclamarono all’unisono Marianne ed Edward.

 

*

 

Anche sul viso di John Watson si delineò un sorriso.

 

Stasera ci sarà anche una mia amica, quindi evita di dire… quello che dici di solito.

 

Mycroft

 

- Tu cosa gli hai risposto?

- Che a Natale siamo tutti più buoni.

John si sedette accanto a lui. – E perché non entriamo in casa?

- Perché devo smettere di sorridere – ripeté Sherlock.

 

*

 

Uno dei tanti Natali che la famiglia Holmes aveva festeggiato era stato il peggiore di tutti.

Non perché Mycroft avesse mangiato il dolce di Natale la notte prima, durante un attacco di sonnambulismo.

Non perché Sherlock fosse riuscito a indovinare il contenuto dei pacchetti che si trovavano sotto l’albero e i loro prezzi, compresi quelli della carta da regalo e dei fiocchi.

Non perché Edward Holmes avesse lasciato il sigaro acceso vicino all’albero, che aveva preso fuoco dopo pochi istanti.

Non perché Marianne Holmes avesse messo lo zucchero nell’insalata.

Ma perché Adelaide Griffiths aveva deciso di passare il Natale con la famiglia della sua figlia maggiore.

- Edward, non i gomiti a tavola, per piacere.

- Marianne, stai per caso ruminando?

- Mycroft, tiene la testa alta, così fai vedere che non hai paura di nulla. E ti si vede di meno il doppio mento.

- Sherlock, tesoro della nonna, vuoi altro pane?

 

*

 

Sherlock bussò alla porta dei signori Holmes e attese, la pianta in una mano e il cellulare nell’altra. Fissò ostinatamente la scritta in ottone scurito dal tempo che campeggiava sulla porta di casa sua.

14F

Appena si aprì, John sobbalzò, ma Sherlock non se ne accorse e continuò a fissare la scritta in ottone.

Gli passò il vaso, assicurandosi che non cadesse.

Una donna bassa e mingherlina li accolse con uno sbuffo.

- Ah, sei tu. Entrate.

Li lasciò passare e poi chiuse la porta alle loro spalle.

John osservò l’appartamento piccolo ma accogliente. Nel soggiorno c’era un imponente camino acceso, le pareti erano piene di quadri raffiguranti paesaggi diversi e il pavimento era coperto dal parquet scuro.

- Immagino che tu abbia sentito tuo fratello, visto che sorridi come un cretino – domandò la donna a Sherlock.

- Mamma – iniziò lui, - io e Mycroft cerchiamo di sentirci il meno possibile. Per il bene di entrambi. E della Nazione.

La signora Holmes alzò gli occhi al cielo. – Quanto sei drammatico.

John mascherò una risata con un colpo di tosse e si voltò verso la donna.

- È stato molto gentile da parte sua invitarmi alla vostra cena di Natale.

Marianne inarcò un sopracciglio. – A dire il vero, è stato mio marito a invitarti. Io non sapevo nemmeno che esistessi.

John portò le braccia dietro la schiena e sorrise. – Avrei dovuto immaginarlo.

- Prego? – domandarono contemporaneamente madre e figlio.

- Niente. Dove poso le azalee?

 

*

 

- Sherlock, vieni a tavola e smettila di studiare!

Marianne posò il piatto con gli stuzzichini di pesce e si avviò nella stanza del figlio più piccolo.

Il ragazzo era steso sul letto e osservava la copertina del libro Geografia Astronomica con cipiglio frustrato.  La donna sospirò e si sedette accanto a lui, carezzandogli la testa riccioluta.

- Tesoro, lo so che la scomparsa della nonna ti ha sconvolto, ma lei adesso è in un posto migliore.

A dare ordini a Satana.

Marianne sorrise, di nuovo.

- Io non sono sconvolto – ribatté il figlio. – La sua morte non mi convince.

- Non ti convince un infarto?

Sherlock aggrottò le sopracciglia e sfiorò il suo Stradivari, che giaceva accanto a lui. – No.

Marianne sospirò e chiuse gli occhi, rilassandosi. Amava i suoi figli, certo, erano così bizzarri che a volte si chiedeva da chi avessero ripreso, ma era… tenero il modo in cui cercavano di dare una spiegazione a tutto. Sapeva che una volta diventati adulti – Mycroft era ormai alla fine della sua adolescenza – avrebbero fatto grandi cose e sarebbero divenuti uomini da cui prendere esempio.

- Va bene, Sherlock – gli disse. - Io vado a chiamare tuo fratello, cerca di farti trovare a tavola il prima possibile.

Uscì dalla stanza senza attendere la risposta del figlio, chiudendosi la porta alle spalle.

Appena il rumore di passi si fece più lieve, Sherlock aprì il libro e lisciò una piega della pagina che vi era all’interno. Pizzicò una corda del violino, la osservò vibrare e poi, come obbedendo a un rimprovero interiore, tornò subito a leggere il referto medico di sua nonna.

 

*

 

Un lieve bussare interruppe la chiacchierata di Marianne con suo figlio. John sospirò di sollievo, poiché l’argomento principale di quei dieci minuti era stato lui. La donna aveva fatto domande, incuriosita dal fatto che Sherlock avesse un amico; John, dal canto suo, non si era scomposto minimamente e aveva risposto a tutte le domande che gli erano state rivolte. Quando, poi, Marianne aveva incominciato a scrutarlo, forse perché le risposte di John non la convincevano, si era sentito un po’ a disagio. Forse per colpa degli occhi così simili a quelli del figlio, forse.

O, molto probabilmente, era a disagio per via del coltello che la donna brandiva.

Sembrava a suo agio a parlare con un’arma in mano, a gesticolare come se quella fosse una penna; era così disinvolta da farla sembrare una cosa naturale.

Sempre con il coltello fra le dita, Marianne aprì la porta e accolse Mycroft con un sorriso.

- Ciao tesoro! – esclamò, poi si voltò verso la donna un po’ troppo formosa che accompagnava il figlio e disse: - Tu devi essere Brittany!

- Ehm – Mycroft fulminò la madre con uno sguardo, - Cherise, mamma.

Marianne parve in imbarazzo. – Oh, beh, c’ero vicina! – si giustificò.

Cherise non lo ricambiò: la sua attenzione era tutta rivolta al coltello, così pericolosamente vicino al suo petto.

 

*

 

- Sono così contenta che mi abbiate invitato alla vostra cena di Natale!

Marianne si chinò verso Sherlock e, facendo finta di prendere il cestino del pane, gli sussurrò all’orecchio: - Com’è che si chiama questa?

Il figlio incurvò appena le labbra. – Abbie.

 Marianne tornò a guardare la ragazza seduta di fronte a lei, sorridendo. – Figurati, Abbie!

Mycroft emise un impercettibile sospiro di sollievo e tornò a parlare con suo padre, il quale annuiva a ogni sua affermazione. Non che lo stesse veramente ascoltando, ma nessuno aveva avuto mai il coraggio di dire al ragazzo che suo padre non capiva nulla di politica.

- Purtroppo non sono riuscita a trovare un volo per il Texas, - continuò Abbie, - e Londra diventa magica a Natale!

- Già – concordò il signor Holmes, appigliandosi a uno dei pochi spunti di conversazione che gli risultasse comprensibile dall’inizio della cena.

- Quindi, Addie, come mai hai lasciato il Canada? – domandò Marianne qualche minuto dopo.

- Mamma! – Mycroft spalancò la bocca, indispettito.

- Che c’è? Cosa ho fatto? – domando, guardando in volto tutti i presenti.

 Poi si voltò verso Sherlock, che adesso ghignava apertamente, e comprese.

 

*

 

- Perdona mia madre – borbottò Mycroft. – Non è un asso con i nomi.

Cherise annuì e sorrise, imbarazzata.

John spostò il peso da un piede all’altro, in attesa di esser presentato.

- Cherise, ti presento John Watson. È un collega di mio fratello.

La donna tese la mano verso di lui e gliela strinse. Il palmo era sudato, sicuramente a causa dell’accoglienza di Marianne.

- Piacere di conoscerla – disse John.

- Piacere mio. Mycroft mi ha detto che lei e Sherlock siete dei… uhm, consulenti investigativi – affermò, dubbiosa. Evidentemente Mycroft le aveva riferito il lavoro del fratello, ma non il proprio; d’altronde, per un uomo che lavorava per il Governo, era consigliabile mantenere un certo riserbo a proposito del proprio ruolo professionale.

- Esattamente – confermò lui.

Cherise sorrise, incerta. – Deve essere un lavoro interessante.

- Pericoloso – la corresse Sherlock.

La donna contenne a malapena la sorpresa. – Be’, sì, avrei dovuto immaginarlo.

Un sonoro bussare interruppe la conversazione. John aprì la porta e si fece da parte per far passare un uomo tarchiato, sulla sessantina; i suoi movimenti erano notevolmente impacciati a causa delle buste che portava in braccio e qualche fiocco di neve si era posato su quei pochi capelli bianchi che aveva.

- Buon Natale a tutti – bofonchiò, entrando.

- Buon Natale anche a te, papà – sorrise Mycroft. - Lei è Cherise – aggiunse, indicandola al suo fianco.

Il signor Holmes alzò lo sguardo e fece una smorfia che forse era un sorriso. – Scommetto che mia moglie ti ha già battezzato in un altro modo.

Cherise ridacchiò. – Sì, lo ha fatto.

Edward Holmes scaricò i sacchetti sulla tavola e sbuffò.

- Io sono John Watson – si presentò John, tendendo la mano verso l’uomo, ma quello lo abbracciò e gli batté qualche pacca energica sulla schiena.

- È un piacere poterti finalmente conoscere, John!

John sorrise, imbarazzato, e cercò di districarsi dalle braccia dell’uomo. – Mmh, sì, il piacere è tutto mio.

- Sono felice per mio figlio, ha trovato un compagno!

 

*

 

Mycroft osservò con malcelata tristezza tutti i cibi che sua madre aveva posto in tavola. Soprattutto il misto di mare, il suo preferito.

Sherlock si servì una porzione di antipasto, guardando soddisfatto i gamberetti nel suo piatto. Infilzò un pezzo di polipo, mentre con l’altra mano vi versava un po’ di succo di limone.

Mycroft deglutì.

Marianne osservava il figlio maggiore, cercando di non distogliere mai lo sguardo, nervosa e attenta.

Edward si gustava il suo piatto, ignaro della battaglia che si stava svolgendo alla sua tavola.

- Mamma… - iniziò Mycroft, ma la donna lo interruppe: - No, non puoi mangiare l’antipasto, solo il primo e un po’ di contorno.

Suo figlio apparve così triste che un crampo le strinse lo stomaco. O forse era solo fame.

Si servì altro antipasto di mare.

- Mamma – piagnucolò,  qualche minuto dopo.

Marianne sbuffò e sbatté la forchetta sul piatto. – Mycroft, finiscila! Vuoi dimagrire sì o no?!

Un singulto la costrinse a prestare maggiore attenzione al secondogenito.

- Sherlock, qualcosa non va?

- Assolutamente no. Un leggero singhiozzo.

La donna, soddisfatta della risposta, tornò a guardare Mycroft. – Hai intenzione di farmi mangiare in pace o no?

Lui annuì e abbassò lo sguardo sul suo piatto vuoto.

Le guance di Mycroft ripresero colore solo quando il padre gli passò, sotto il tavolo, un gamberetto. E poi un altro ancora.

E altro, nei giorni a venire.

 

*

 

Il rumore di posate faceva da sottofondo alle chiacchiere che riempivano l’aria. Tutti sembravano andare d’accordo.

Sembravano.

Mycroft era concentrato sul suo piatto e fingeva di non notare gli sguardi inquisitori che Sherlock lanciava a Cherise.

John commentava i piatti che gli venivano serviti e cercava di non fissare Mycroft, visibilmente inviperito verso il fratello.

Cherise provava a non far sudare anche l’incavo dei gomiti, oltre che le mani.

I coniugi Holmes erano così abituati a quelle scene che ormai non ci facevano più caso.

Sherlock, in realtà, canticchiava mentalmente Für Elise”, ignorando tutti e tutto.

- Allora, Cherise, sei di Londra? – domandò Edward.

La ragazza annuì. – Sì, nata e cresciuta qui, anche se ultimamente sono stata nelle Filippine per qualche anno. A costruire scuole – sorrise.

Marianne borbottò qualcosa, ma nessuno osò chiederle delucidazioni; nemmeno Cherise, che, dopo aver notato l’espressione della donna, era tornata a spiluccare la sua cena.

Quando fu il momento del dolce, i commensali si alzarono dalle sedie per andare a sedersi sul divano e le poltrone.

- Quindi sei un architetto – commentò Marianne, invitando Cherise a sedersi vicino a lei con un colpetto della mano sul sofà.

Cherise sorrise e, felice come un innocente che stava andando al patibolo, si accomodò accanto alla donna.

- Sì, sono un architetto – le rispose. – Purtroppo volevo fare medicina, ma è così difficile essere ammessi in quella facoltà!

Marianne sorrise, come se sapesse quali test sottoponessero e, con un cenno della mano, indicò Sherlock.

- Volevo che Sherlock facesse medicina, ma purtroppo lui non ha voluto – sospirò, portandosi una mano sul petto.

John sorrise e osservò come la madre del suo collega recitasse in modo impeccabile.

- È sempre stato un bimbo sveglio e si preoccupava molto per gli altri…

Edward guardò accigliato il fuoco che scoppiettava nel camino.

- …Si prendeva cura degli animali feriti che trovava per strada…

Mycroft si schiarì la gola.

- … E, soprattutto, capiva sempre le persone. Sai, cosa gli piacesse, cosa volessero e cose simili. Insomma, si preoccupava molto.

Sherlock si alzò e si sfregò le mani, pregustando il momento in cui sua madre gli avrebbe dato il via libera.

Cherise annuì. – Sì, posso immaginare, anche Mycroft è così.

John cominciò a tossire forte, cercando di mascherare la risata.

- Bene – disse Marianne. – Scommetto che però non è come Sherlock. Lui è davvero speciale. – Fece un segno al figlio minore, piegando la testa.

- Cherise – iniziò Sherlock, sedendosi accanto a lei e accavallando le gambe lunghe. – Davvero fai l’architetto?

Lei si imporporò tutta e guardò Mycroft, cercando aiuto, ma lui era troppo sorpreso per poter dire qualsiasi cosa.

- Ehm, sì – rispose con voce flebile.

- Io non penso. Sai, hai delle unghie molto lunghe e lo smalto. Alcuni smalti lasciano tracce sui fogli da disegno e dubito che non ti importi nulla. E poi hai delle dita sottili, ben curate e nessuna delle prime tre dita delle mani – pollice, indice, medio – sembra reduce da anni di disegno.

Cherise boccheggiò e Marianne le diede una pacca di incoraggiamento.

- In più, prima, mentre accennavo alle Pilipinas e alla situazione che dovranno affrontare a Gennaio, per il freddo, non hai dato idea di sapere di cosa stessi parlando. Eppure ci sei stata, nelle Filippine. Se vuoi il mio parere, tu non sei un architetto… Fai la massaggiatrice o qualcosa di simile, vero?

Cherise non rispose, ormai era sotto shock.

- Ho anche notato che ti massaggi la spalla, più volte. Di solito, un architetto che disegna tutto il giorno, ha dolore alla parte bassa della schiena o al trapezio, non a una spalla. Inoltre, il tuo cellulare ha i tasti consumati, e non è per usura, il modello che hai è uscito da poco tempo, quindi il tuo cellulare viene a contatto con creme o oli. In ultimo, ma non meno importante, ti siedi sempre e cerchi di stare poco in piedi, e una volta seduta stendi le gambe, come se si stancassero subito, perché, evidentemente, il tuo lavoro non ti permette di riposarti molto.

Dopo le parole di Sherlock calò un imbarazzante silenzio.

Marianne si alzò e allargò le braccia, sorridendo come una perfetta padrona di casa: - È mezzanotte! Vogliamo scartare questi regali sì o no?

 

 

 

***

 

 

 

 

Note:

 

Il riferimento al libro di Geografia Astronomica prende spunto alla puntata dove John accusa Sherlock di non sapere nulla in materia.

E, cosa meno importante, questa ff è stata ispirata alla battuta di Mycroft quando dice a John che può immaginare il Natale a casa Holmes.

 

Ringraziamenti:

 

Per prime ringrazio le mie personali allevatrici di lamantini bete: Venenum e poison spring. Vi lovvo all’infinito.

La mia Consulente Narrativa alias Anpuccia. Ti voglio bene, anche se sei piatta (ti dovevo insultare u.u) <333

E Francesca che l’ha letta senza vomitare, che mi sopporta, che capisce il mio umorismo sottile come un baobab. Loviù.

 

 

Bye.

 

 

 

   
 
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