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Autore: Glory Of Selene    03/06/2012    5 recensioni
"Allora, io la MALEDICO! Che lei non abbia volto! Che lei non abbia nome! Che lei per sempre non abbia identità, che lei non esista!"
Due grandi propositi di vendetta, una maledizione sempiterna, una nascita bastarda, mal voluta, pericolosa.
Quando un dio crudele ed invincibile scopre di essere vulnerabile, grazie alla forza di volontà di una donna morta nell'infamia e di una figlia inesistente agli occhi dell'intero mondo.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Molti anni fa

Eccola. Eccola lì.
Danzava leggiadra, come nessun’altra sapeva fare, i suoi passi delicati si susseguivano uno dietro l’altro, veloci ed aggraziati, quasi non toccavano il terreno. Quasi, nella sua bellezza, lei riusciva a volare.
La massa di capelli scuri e ricci ondeggiava dietro di lei al ritmo del suo ballo, nera come se fosse costituita della stessa materia degli incubi e dell’oscurità.
Lei rideva.
Lei rideva, le guance rosse per lo sforzo della danza continuata e per l’imbarazzo dei tanti occhi puntati su di lei.
Il suo sguardo era altrove, al terreno, seguiva i complicati disegni che i suoi piedi tracciavano sul selciato a ritmo di musica, ma lui lo conosceva bene – tutti gli uomini del paese lo conoscevano bene –. Se per caso avesse alzato gli occhi, e lo avesse guardato, lui vi avrebbe potuto scorgere quel verde brillante ed intenso che lo rendeva cosi magnetico.
Le curve sensuali del suo corpo, e il busto esile, erano fasciati all’altezza della vita da un rigido corpetto dello stesso colore del bosco, che poi si apriva in una lunga gonna che in lunghezza le arrivava alle caviglie. La doveva tenere alzata con le mani – bianche, piccole e delicate – per poter ballare senza inciamparci in mezzo. Era un abito modesto, come modesta era la sua condizione sociale, ma su di lei pareva il capo della più splendida tra le regine.
Lo sguardo di lui si riempì di disgusto, seppur velato dall’attrazione che provava per ogni sua movenza.
Avrebbe potuto darle tutto: soldi, potere, un titolo, delle terre. Ma continuava stupidamente a rifiutarlo. Oh, certo, lui capiva, era promessa. E, cosa davvero rara a quei tempi, era davvero innamorata di colui a cui era stata promessa.
Un uomo davvero fortunato.
Ma non per molto…
C’era una cosa che lei non riusciva a capire.
Si sentiva superiore, a causa della sua bellezza? A causa della sua personalità e della sua straordinaria sensualità, si sentiva autorizzata a comportarsi come se fosse qualcuno, come se il suo parere potesse contare davvero qualcosa?
C’era una cosa che lei non riusciva a capire, ed era che lui non poteva essere rifiutato. Mai.
Si voltò di scatto, e si allontanò dal prato dov’era stata allestita quella festa, al chiaro di luna. A lui le feste non interessavano. In quel momento, era un’altra la cosa che lui desiderava, e l’avrebbe avuta.

Il rumore dei suoi passi veloci lo raggiunse quasi subito, e lui inspirò a fondo.
Sì, sarebbe stata indubbiamente una grande notte…
Sembrava che fosse agitata, come se sapesse già che nel buio si nascondeva uno dei suoi incubi peggiori, ma ora che ci pensava forse era normale. Una donna, giovane e bella come lei, che camminava sola a quell’ora di notte lungo le vie strette e deserte della cittadina notturna… chi mai non se ne sarebbe approfittato?
I passi si interruppero bruscamente. Lo aveva riconosciuto.
Un lieve sorriso, quasi impercettibile, si delineò sul volto del predatore, che finalmente alzò gli occhi su di lei.
Il verde intenso del suo sguardo lo colpì in pieno – se fosse stato un uomo come tutti gli altri, forse avrebbe vacillato davanti ai quei suoi dardi –, gelido come il più rigido degli inverni. Stava dritta, il mento in alto, la sua era la dignità di una sovrana.
Ed era solo una bottegaia. Che spreco.
«Vi prego di lasciarmi passare, milord.»
La voce di lei era ancora più fredda e tagliente del suo sguardo.
Lui rise, e si avvicinò al suo corpo.
«So di attrarvi. Conosco il mio fascino, so che neanche voi ne siete immune.» le sussurrò, languido.
Le sue parole erano vere: in sensualità era certo d’eguagliarla. Avrebbe potuto avere tutte le donne che voleva. In effetti, lui aveva davvero avuto tutte le donne che voleva, tranquillamente, aveva trascinato le più fedeli nell’adulterio senza intoppo alcuno. Era forse colpa sua se adesso voleva l’unica donna che non era riuscito a trarre in tentazione?
«Voi attraete come attrae il male. Noi tutti siamo affascinati dal fuoco, ma se seguissimo fino in fondo il suo richiamo, bruceremmo.» fu la calma risposta di lei.
Le sue parole lo irritarono; forse perché ne riusciva a scorgere la verità.
Una smorfia si delineò sul suo volto, mentre si avvicinava a lei sempre di più. Ora riusciva ad ascoltarne il respiro, ma era inspiegabilmente regolare. Come se lei conoscesse già il suo destino, e l’avesse già accettato.
«Dunque, stanotte verrete bruciata. E non potrete fare nulla per evitarlo.»
L’afferrò con forza per i polsi, ma lei non si fece cogliere impreparata, con un gemito sommesso si divincolò e gli diede un forte calcio alle gambe.
Per un attimo la lasciò andare, ma fu solo per caricare il braccio e poterle tirare uno schiaffo con tutta la forza che aveva in corpo. E ne aveva molta.
Il rumore del colpo risuonò echeggiando nella notte, e lei cadde pesantemente a terra, trascinata da quella violenza prevedibile eppure inaspettata.
Rimase a terra, come tremante; ma quando rialzò lo sguardo su di lui, egli non vide nei suoi che una grande forza, e una fierezza senza pari.
«Non mi sentirete implorare pietà. Non sono in grado di impedirvi il vostro gesto, nessuno adesso lo è. Ma so che un giorno ve ne pentirete, non importa tra quanto tempo il peso della vostra azione tornerà a gravare su di voi. Ma un giorno ve ne pentirete.»
Ovviamente, lui non ascoltò una sola delle sue parole, e non ne venne minimamente colpito.
Lui non si sarebbe mai pentito di nulla: lui era un dio, e viveva perché quegli sciocchi mortali lo adorassero e lo appagassero.

Lui era un dio, era il dio del Caos e della Tenebra, era invincibile ed immortale. E nulla, mai, avrebbe potuto impensierirlo.

Men che meno i deliri di una donna che stava per essere distrutta e per sempre umiliata.
Sì, erano così deliziosamente rigide le regole a quei tempi…

Nove mesi dopo

«Marie, bussano alla porta!»
Nel sentire l’urlo del marito, l’anziana ostetrica si lasciò sfuggire uno sbuffo di esasperazione. Certo che qualcuno bussava alla porta, non aveva bisogno di quell’uomo che sbraitava per capirlo.
Per un attimo le venne l’istinto di non andare, non aprire la porta di casa, solo per non ubbidire a quell’ennesimo ordine impartitole.
Sospirò, lasciò perdere il ricamo che stava facendo e si incamminò verso l’entrata.
Era troppo vecchia per certe cose, per certe sciocche ribellioni che non avrebbero portato a nulla. Aveva sopportato durante tutti gli anni della propria splendente giovinezza, non vedeva perché avrebbe dovuto cominciare a farsi rispettare quando ormai davanti aveva solo poco tempo di ricami e reumatismi, reumatismi e ricami.
Bah.
Avrebbe potuto andare peggio.
Armeggiò con il lucchetto e la catena per qualche attimo, poi aprì la porta con aria annoiata, senza neanche preoccuparsi di vedere chi potesse essere prima di spalancare così l’uscio di casa.
No, improbabile che fosse un bandito, era talmente malmessa quella piccola casetta a ridosso delle mura della città, che nessun ladro si sarebbe mai sognato di partire da quella per racimolare qualche soldo.
E infatti, non era un fuorilegge. Era una donna, chiaramente in difficoltà, si appoggiava alla parete esterna della casa per non crollare a terra.
Il volto era sporco e sudato, il respiro rotto, gli occhi lucidi ma terribilmente determinati. Quello che sorprese l’anziana donna fu il loro colore: un verde profondo, così profondo da toccare l’anima, un verde che sembrava ardere senza sosta, selvaggio ed indomabile. Quella tonalità così particolare veniva ancora più risaltata dal nero dei suoi capelli, ricci e scarmigliati in una massa scura e vaporosa.
Una mano si teneva il ventre, gonfio, enorme.
Gli occhi dell’ostetrica si riempirono di disprezzo, ma la fece entrare.
Con il suo lavoro ne aveva viste mille, di quelle. Certo, non belle come lei, ma alla fine erano sempre tutte uguali.
Puttane, donne senza orgoglio, che vendevano il proprio corpo in piazza come si potrebbe vendere una merce, che non conoscevano il significato di dignità. Si facevano mettere incinte, per guadagnare qualche sporca moneta, e poi venivano tutte da lei per mettere al mondo una progenie bastarda.
Eppure, lei non poteva rifiutare di aiutarle: era il suo lavoro, si sentiva come vincolata ad un giuramento.
«William, vattene nel retro, ho una donna incinta.»
L’uomo borbottò qualcosa di incomprensibile, ma si alzò subito e in meno di un attimo scomparve oltre una tenda di pesante stoffa rossa.
L’ostetrica aiutò la donna ad attraversare la stanza e la fece sdraiare delicatamente sull’unica branda della stanza.
Fu allora che cominciò ad urlare.
I dolori si fecero sempre più forti, e lei non riuscì più a contenerli, fu costretta a sfogarli in urla.
L’anziana signora non disse nulla, si mise invece davanti a lei e cominciò a fare il proprio lavoro.
Passarono ore.
Ore di profonda agonia, ore in cui il dolore invece di attenuarsi si accentuò.
«Ah, accidenti.» mormorò tra sé l’ostetrica.
«Che c’è?»
La voce di lei era roca e tremolante, ma rifletteva comunque tutta la sua forza di volontà.
La vecchia la guardò, ma non le rispose.
«Dunque, morirò.»
L’altra sospirò. Non era mai stata una campionessa di tatto, lo sapeva, e non le importava più di tanto.
«O tu o il bambino.»
A quelle parole, lei annuì, e la determinazione che brillava nei suoi occhi si trasferì anche sulla smorfia che le si delineò in viso.
«Bene. Fatelo nascere.» disse, tra i denti, e si preparò all’ultima, definitiva ondata di dolore lancinante.
L’ostetrica si prese un attimo per osservarla, prima di ubbidirle. Chissà perché, l’ammirava. Forse, perché in fondo sapeva che nessuna donna con quello sguardo negli occhi avrebbe mai accettato di vendersi sulla strada… forse, perché sentiva che quella che stava per uccidere era più di una cortigiana di basso rango.
Fu terribilmente faticoso, e terribilmente doloroso.
Ma quando vide nascere il neonato, e tutto il dolore scomparve, rimpiazzato da un torpore e da una debolezza che le chiedevano di chiudere gli occhi, lei sorrise. E fu un sorriso vero, il primo dopo tanto, troppo tempo.
«Ditemi, vi prego» ora, la sua voce era solo un debole soffio «…è un maschio?»
Nonostante sapesse benissimo cosa stava per accadere a quella giovane e bellissima madre sfortunata, l’ostetrica sorrise.
«È una femmina.»
La giovane madre rise, piano, era una risata debole e priva di reale divertimento.
«Hai sentito?» disse.
Naturalmente, non si rivolgeva all’ostetrica.
«Da qui comincerà la mia vendetta.»
L’anziana signora non le diede ascolto. Era ovvio che fossero i deliri di una moribonda.
«Come vuoi chiamarla?» le chiese, invece.
Un attimo di silenzio, poi la risposta.
«Il suo nome è...

Cinque anni dopo

«Fratello, le tue condizioni stanno peggiorando.»
Il dio del Caos si sedette per terra, a fatica. Il volto contratto esprimeva sofferenza, i denti erano serrati in una morsa così come i suoi pugni. La carnagione pallida era imperlata di sottili goccioline di sudore e i lunghi capelli corvini, sempre perfetti, erano ora spettinati e incolti.
Il suo sguardo d’argento si posò sull’uomo che aveva appena parlato, e fu un’occhiata colma d’odio e di risentimento.
«Risparmiami la tua compassione, dovresti godere delle mie condizioni invece. La tua bontà ti rende patetico.»
Il dio della Luce si inginocchiò di fianco al fratello, senza curarsi delle sue parole.
Erano identici, stesso viso, stessa corporatura. Ma la sua carnagione era ambrata e i suoi lunghi capelli erano bianchi come la neve. La compassione e il dispiacere tanto disprezzati dal dio della Tenebra si rispecchiavano palesi nei suoi occhi color dell’oro.
«Io vorrei aiutarti» gli disse.
L’altro rise.
«Aiutarmi! Non me ne faccio nulla del tuo aiuto, vattene.»
A quella risposta, lo sguardo dorato si fece duro e il dio si alzò, guardando ora il fratello dall’alto in basso.
«Ti facevo malvagio, ma non stupido.»
«Infatti, non sbagliavi. I nostri poteri si equivalgono: se io non posso aiutare me stesso, nemmeno tu puoi fare qualcosa.»
L’altro annuì.
«Hai ragione, ma io conosco la causa della tua malattia.»
Una scintilla di febbrile interesse si accese nello sguardo argentato del dio del Caos, tanto quanto la preoccupazione ardeva negli occhi d’oro del suo gemello.
«Dimmela!»
Il dio della Luce tornò inginocchiato di fianco a lui, osservandolo grave.
«Hai compiuto un gesto contro natura. Il tuo compito è quello di distruggere, il mio è quello di creare: è sempre stato così.»
«E noi abbiamo sempre fatto così.»
«Non più.»
Calò il silenzio tra di loro.
«Io non ho creato proprio niente.»
Il fratello lo scrutò in volto con sguardo indagatore, ma per una volta non vi trovò traccia di menzogna. Con un sospiro si rialzò e cominciò a camminare avanti e indietro, come se non avesse pace. Evidentemente, il suo incosciente gemello era davvero inconsapevole di ciò che aveva scatenato.
«Cinque anni fa nacque una bambina. Nacque da te, fratello.»
Il dio della Tenebra rimase senza parole.
Aveva sedotto molte donne, moltissime, prima di allora, ma mai nessuna gli aveva dato un figlio. Non pensava potesse essere cosa possibile.
Nel sentire il suo silenzio, l’altro continuò a spiegare.
«Credo che sia lei la causa di tutto. Inconsapevolmente, tu hai dato origine ad una vita… ma è una cosa sbagliata. È innaturale. Per questo, ora, la sua vita ti sta uccidendo.»
Il dio del Caos fu invaso dall’ira. Lo sguardo d’argento si riempì di una furia incontrollabile che lo fece scattare in piedi, nonostante le sue condizioni.
«Sta’ tranquillo. Non vivrà per molto.»
Fece per correre via, ma fu bloccato da una stretta al braccio.
Si voltò verso il gemello, che ancora lo tratteneva, lo guardò irato.
«Ti consiglio di non metterti sulla mia strada.» gli intimò.
«Non puoi ucciderla!»
Il dio gli rise in faccia una seconda volta, sprezzante.
«Sei veramente ridicolo. Sei mosso a pietà perché è una bambina?»
«La pietà non c’entra: tu non puoi ucciderla. Dentro di lei scorre il tuo sangue, non ti è permesso farlo… Accadrebbe la stessa cosa che è accaduta quando hai tentato di uccidere me.»
Il dio del Caos si divincolò dalla stretta del gemello con un gesto rabbioso, ma non se ne andò.
Ricordava bene l’episodio: quando la lama della sua spada aveva trapassato il cuore del fratello, aveva sentito uno squarcio aprirsi anche nel proprio. L’uno era lo specchio dell’altro e, quella volta, erano morti insieme.
«Regole, regole, regole!» ruggì infine, esasperato. «Io sono fatto per trasgredire le regole! Che smettano di impormene! Noi, NOI, abbiamo creato il mondo! Noi siamo dei! Nulla ci è proibito!» gridò.
Il fratello non batté ciglio nell’assistere al suo ennesimo scatto d’ira.
«Esistono forze più grandi di me e più grandi di te.» fu infatti il suo commento.
Allora, il dio della Tenebra si voltò di scatto verso di lui, il volto una maschera di rabbia, sofferenza e follia.
«Ah sì? Ah sì? Allora, io la MALEDICO!»
Il suo ultimo grido echeggiò, sovrannaturale, mentre il cielo si riempiva di nuvole nere.
«Che lei non abbia volto! Che lei non abbia nome! Che lei per sempre non abbia identità, che lei non esista!»
Un fulmine illuminò il cielo, seguito subito dopo da un assordante tuono, proprio mentre il dio crollava a terra tremante.
La malattia si faceva sentire, ma a lui non importava.
«E, proprio in questo momento, due delle mie creature la stanno prendendo e la stanno chiudendo nel Limbo. Nel mio Limbo. Ed è li che rimarrà. Per l’eternità.»
Scoppiò in una risata, una risata malata, sadica, persa nella propria follia.
«Questo dovrebbe bloccare la malattia, fratello?»
Il dio della Luce abbassò il volto, addolorato. Se il gemello si fosse preso la briga di guardarlo in volto, invece di rimanere a crogiolarsi nella propria pazzia, avrebbe visto le sue lacrime.
Quella povera bambina, dopotutto, non era che sua nipote.
«…Sì.»





Ciò che dice l'Autore

Dunque! Innanzitutto, grazie a chi ha avuto la  pazienza di leggere il mio prologhetto, che mi è venuto molto più lungo di quello che pensavo  (spero di non aver annoiato nessuno).
Questa è la prima storia originale che pubblico su efp, e sono molto agitata per questo, quindi credo che userò questo spazio per giustificarmi per tutte le cose che mi hanno tormentato e mi stanno tormentando. In primis, il titolo! Sono negata a dare i titoli alle cose, davvero, questa è l'unica cosa decente che mi è uscita dopo ore di arrovellamento...Mi rendo conto, non è il massimo :S
Poi, mi sono accorta di aver inserito due fatti molto crudi in un solo capitolo, spero che la cosa non abbia infastidito nessuno, ecco...Ehm xD E' meglio se chiudo qui.
Un bacio a tutti!
PS: Qualsiasi parere o opinione è più che ben accetto!! ^^












  
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