Fanfic su artisti musicali > Justin Bieber
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Autore: despicableandri    04/06/2012    19 recensioni
STORIA COMPLETA - Niente è come sembra, e quasi sempre la prima impressione è sbagliata.
'non giudicare un libro dalla copertina' mi dicevano, ma non gli avevo mai dato peso. Si può passare davvero dalle famose 'stalle' alle 'stelle'? Si può amare qualcosa che ti ha già distrutto ma che ce la mette tutta a fare di te a persona più felice del mondo, ora?
probabilmente, si.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Justin Bieber, Kenny, Nuovo personaggio, Pattie Malette, Un po' tutti
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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"non so come chiamarlo" s corner. (?)
Innanzitutto vi chiedo umilmente scusa cc
sono cinque mesi che non aggiorno, sono pessima lo so! ho avutop parecchi problemi e ogni volta che provavo a scrivere non mi usciva granchè.
quindi ho scrittoil capitolo a singhiozzi e ora è finalmente pronto. vi prometto che pubblicherò molto più spesso HAHAHAHAHAHAHA
veramente, chiedo perdono anche se so di non essere perdonabile cc
per chi non ricordasse neanche di cosa stiamo parlando, fortunatamente questo è solo il secondo capitolo, quindi basterà rileggere il primo.
non so che dire HAHAHAHAH non l'ho neanche riletto, ma o che è n'altro capitolo palloso kdjvnftvjkgb
c'ho messo un casino a scriverlo e secondo me è uno dei peggiori.  fatemi sapere comunque se vi piace, come sempre u.u
e grazie mille a tutti quelli che hanno recensito il primo capitolo, l'hanno messo tra le storie preferite, seguite o da ricordare. grazie. 
al più presto possibile questa volta, spero in tante recensioni come al primo capitolo erkvgnregv


-Andrea.
( @horansmile ) ♥



Da piccola immaginavo il mio futuro come un enorme castello, un prato che non finiva mai, dei fiori bianchi come il manto del mio cavallo, e poi il mio principe azzurro.
All’età di nove anni cambiai idea. Mi vedevo cantante, con un milione di persone ai miei piedi, schiacciati contro la transenna sotto al palco ad urlare un mio ritornello.
Ma la migliore era quando avevo sedici anni e tutto ciò che volevo era vedere tutti parlare di me, solo di me. Probabilmente perché avevo vinto un qualche premio o avevo recitato come protagonista femminile in un film da milioni di incassi. 
Adesso sono tra le sue braccia, con i miei sogni solo nella testa. Eppure stranamente il mio futuro lo vedo esattamente così e non so ancora dire se sia una cosa positiva o una negativa.
 
2.
 
“A che pensi?” la domanda mi sorge spontanea, anche se cose del genere non sono proprio da noi. Non so perché, ma questa volta è rimasto in camera mia e siamo a fissare il soffitto da un quarto d’ora, stretti in una sorta di abbraccio. Ho la fronte poggiata sulla sua spalla e il suo odore, che ormai sa di casa e di sesso insieme, mi fa sentire quasi completamente bene. Mi accarezza distrattamente la schiena nuda passandomi un dito proprio sulla spina dorsale. Su e giù. Come se fosse un gesto normale.
“Non trovi che sia tutto così strano?” la sua voce impastata dagli infiniti quarti d’ora di gemiti misti a silenzio suona roca nella stanza vuota. Alzo lo sguardo su di lui, staccandomi di poco dal suo petto caldo.
“Strano?”
“Già, strano. Io e te. Non mi sarei mai immaginato di trovarmi in una situazione simile. Insomma, io ero il ragazzino dal faccino dolce e il caschetto biondo. Gli occhi color nocciola e  tutte quelle canzoni dolci e roba simile;  e poi vengo a letto con te senza manco sapere qualcosa su di te.  Suona così incoerente” sospira, portando anche lui lo sguardo nel mio. Non capisco le sue parole. Se qualcuno mi avesse detto solo due minuti fa che stesse pensando a questo, gli avrei riso in faccia e anche pesantemente. Ma ora è il suo sguardo cupo e allo stesso tempo così chiaro a fissarmi.
“Cos’hai mangiato per cena? Era così pesante?” ironizzo, staccandomi completamente da lui e mettendomi a sedere sul materasso. Si aggiusta alla bene e meglio anche lui, riprendendo un po’ di quella fermezza acida di sempre.
“Non sto dicendo che me ne pento, o che non lo rifarei. Dico solo che fa strano, non trovi?” mi fissa di nuovo e sembra così insicuro e solo. Non so cosa mi stia prendendo, ma mi viene uno strano formicolio alle braccia e un enorme impulso di abbracciarlo. Non rispondo, ma continuo a tenere gli occhi nei suoi, mordendomi il labbro inferiore.
“Io – cioè, io non mi sarei mai immaginato così. Se il mondo lo sapesse, farei una pessima figura e tutta la mia immagine crollerebbe, non trovi?” continua rivolgermi domande alle quali non so esattamente cosa rispondere e l’impulso di tornare con la fronte sulla sua spalla e stringerlo, sentire il suo odore nelle narici si fa sempre più imponente.
“Forse tutti semplicemente non accettano che in realtà sei cresciuto. A quindici anni è facile avere una faccia d’angelo e sembrare innocente. Ma sei cresciuto e questo nessuno può negartelo. Dovresti smetterla di tormentarti tanto su cosa penserebbero gli altri di ogni cosa che fai. So che c’è il pericolo che milioni di ragazzine inizino a prendere esempio da te, ma se si fanno condizionare così tanto significa che hanno un cervello solo per comodità. Hai i tuoi diciannove anni ed è normale non pensare più a tutte le parole fatte di zucchero e smielate del mondo, ma voler solo del sano sesso. È la tua vita, la tua vita da adulto e credo che dovrebbero anche loro smetterla di chiederti i essere ancora quello di una volta. Che poi secondo me sei sempre stato un pervertito nell’anima” le parole iniziano ad uscire rapide dalle mie labbra, non so cosa stia dicendo, vedo solo un sorrisino nascergli sulle labbra piene e mi sento meglio.
“Hai perfettamente ragione. La vita è mia, decisioni mie. Immagine mia. Dovrei parlarti più spesso” lo dice sorridendo e mi viene da sorridere in risposta. Sono le tre del mattino e forse siamo parecchio assonnati tutti e due. Forse è questo che ci sta facendo delirare. Solo ora mi rendo conto che ha ragione. Sembra tutto così strano e quasi credo che tra un po’ uscirà qualcuno da qualche parte di questa stanza d’albergo  a dirmi ‘Just kidding! I'm an actor, these are all actors, and you're on MTV's Disaster Date!’ .
Ma tutto questo non accade. Restiamo stesi sul letto, in silenzio, a fissare il soffitto come fosse un cielo stellato. Mi sembra tanto una di quelle sere passate all'insegna del relax con Shereen, a parlare del più e del meno stese sul suo letto. Mi manca Shereen, non la sento da un giorno intero e mi sembra un’eternità. Un po’ come quando non sento Justin bussare alla mia porta per più di quattro ore, quei suoi occhi color miele, che sanno di malizia e piacere che cercano i miei nei pochi metri quadrati della stanza. 
Oddio, che cazzo sto dicendo. È vero che mi piace stare con lui anche se andiamo solo a letto, ma a questo punto esagero. Posso vivere senza di lui, ma senza di Shereen no. Ecco.
“Ora sei tu la pensierosa” mi fa notare, e sorrido al soffitto bianco.
“Stavo pensando a Shereen” mento, anche se poi non è del tutto una bugia. Mi si avvicina un po’ strisciando con la schiena sulle lenzuola arrotolate.
“Chi è Shereen?” quasi mi sconvolge il fatto che non solo nella mia testa Justin non sa proprio nulla di me. Iniziamo a parlare, parlare di tutto. Dopo neanche mezz’ora ho imparato più cose di quanto abbia fatto in cinque mesi.
“Adesso conosci qualcosa di me, ti sentirai meno in colpa venendo su questo letto?” chiedo, facendo scoppiare entrambi in una fragorosa risata. Siamo ancora spalla e spalla e sento il suo respiro nell’aria. Sembra più leggero, come rincuorato. Persino il suo sorriso sembra più bellogrande.
 “Mi sento già meglio, in effetti” eccolo, il Justin di sempre, con il suo sguardo malizioso, anche se il tono della voce potrebbe sembrare addirittura dolce.  Quasi mi salta addosso e in pochi secondi mi ritrovo con la schiena appiccicata sul materasso con lui che si poggia sui gomiti per non pesarmi troppo. Nonostante il suo respiro caldo sul collo e la leggera pressione sul mio corpo, ho quasi paura che scompaia.
“Grazie” mi sussurra vicino all’orecchio, per poi mordere il mio labbro e poi il collo. E infine, addio al raro e unico momento di comunicazione.
Il giorno seguente non mi sorprende il fatto che Justin non è al mio fianco. Mi alzo dal letto con fatica e imprecando. Ho tutti i muscoli indolenziti e gli occhi pesanti per la scarsa oretta di sonno. Justin è rimasto nella mia stanza fino alle cinque per parlare, con piccoli break per, come lo ha definito Justin, scambiarci altro tipo di informazioni. Sorridendo mi avvio verso la valigia per pescarne un jeans e una di quelle maglie larghe super-comode. Oggi è giorno di partenza, tra un’oretta prenderemo un aereo per andare a Londra per non so quale premiazione. Mi vesto in fretta e passo un po’ di correttore sulle occhiaie decisamene troppo vistose e, non so neanche perché, anche un po’ di mascara sulle ciglia.
Mi sono messa in testa di raggruppare le ultime cose in meno di due secondi, così da prendere la mia borsa e andare alla pasticceria dietro l’angolo per fare colazione, ma prima di riuscire a prendere il beauty, qualcuno bussa.
“Abby, sono Justin” diciamo che dopo ieri non potrei sorprendermi più di tanto. Apro la porta e poi torno a ficcare tutte le bottigliette varie nel beauty, incastrandole con non poca difficoltà. Quando riesco a ficcarci tutto e ad incastrare anche lui nella valigia mi sento una specie di dio e mi giro con  un’espressione vittoriosa – che penso appari più ridicola che altro – verso Justin, che mi fissa sorridendo mantenendo un sacchetto bianco che credo appartenga proprio alla pasticceria.
“Hai un sedere perfetto” si giustifica, per poi venire verso di me. Mi posa un bacio casto sulle labbra, quasi impercettibile e mi passa il sacchetto. L’odore di cornetti alla crema appena sfornati e cappuccino mi fa vibrare piacevolmente le papille gustative.
“Ho portato la colazione. Cappuccino con scaglie ci cioccolato e cornetti alla crema. La tua colazione preferita, o sbaglio?” mi fa l’occhiolino e ricordo di averglielo detto ieri.
Iniziamo a mangiare seduti sul mio letto, che per la prima volta ci vedeva parlare, sorridendo e con tutti i vestiti ancora addosso. 
Stavamo iniziando a parlare di quale fosse stata la nostra città preferita durante l’ultimo tour, quando il mio telefono inizia a squillare, e le note di Never Say Never riempiono la stanza.
Justin alza lo sguardo su di me, sussurrando un ‘che pessimo gusto’ con un tono decisamente ironico.
“Zio Kenny?” il mio tono invece è sorpreso, avevo letto il suo nome sul display del cellulare. Raramente mio zio mi chiamava al cellulare.
“Hei, Abby. Sai dov’è Justin? Aveva promesso un saluto dal balcone della sua suite prima di andare ma non lo troviamo da nessuna parte e il suo cellulare è spento” 
“Si è qui con me, stavamo facendo colazione insieme, mi aveva accennato a questo saluto ma..” lascio la frase in sospeso perché in realtà non so come continuarla. Vedo Justin guardami sospettoso per poi tirarsi una mano sulla fronte, ricordandosi di tutto.
“Oh, davvero? Non pensavo foste così amici!” risponde allegro e quasi me lo immagino a sorridere allo schermo del cellulare. Sposto lo sguardo da quello di Justin, arrossendo. Anche mentre mangia un cornetto sa essere più sexy del dovuto.
“Già, ultimamente parliamo un po’ di più. Comunque ora te lo rispedisco in camera sua, a dopo zio” e attacco. Sospiro e guardo Justin raccattare tutto nella busta bianca e lanciarla come fosse una parla da basket nel canestro, che in questo caso è il cestino della mia camera d’albergo.
“Devi andare in camera tua, c’è il saluto alle fan che sembrano essersi accampare lì sotto” lo avverto.”Già lo avevo proprio dimenticato. Grazie mille Kenny!” sorride e – Dio mio! – che sorriso.
“E si puo’ sapere perchè hai spento il cellulare?” gli chiedo iniziando ad uscire dalla stanza seguita da lui. Lascio la valigia lì perché so che Kenny verrà  prenderle cinque minuti prima di partire.
“Perché volevo passare del tempo in santa pace con te” risponde e mi volto a guardarlo, inarcando un sopracciglio.
“Okay, okay. In realtà mi si è scaricata la batteria in pasticceria e siccome tra un po’ dobbiamo partire mi è sembrato stupido metterlo a caricare”
“E bravo Bieber!” dico e mi avvicino lentamente a lui, faccio per baciarlo ma invece mi allontano velocemente, mentre con una mano gli scompiglio il ciuffo tanto curato. Inizio a correre verso la sua stanza e lo sento imprecare alle mie spalle mentre cerca di prendermi.
Quando arrivo alla sua porta mi ci appoggio con le spalle per riprendere fiato e subito mi sento intrappolare i fianchi dalle sue mani. Rido e cerco di aggiustarglielo. Stranamente me lo lascia fare.
“Questa me la paghi, davvero” sussurra cercando di riprendere fiato. Mentre stavo per mordergli il collo qualcuno tossisce. Merda. Alziamo entrambi lo sguardo senza muoverci di un millimetro per ritrovarci uno Scooter a braccia conserte. Già una volta ci aveva beccato stesi uno affianco all’altra sul divano del camerino di Justin, dopo un concerto. All’inizio ci intimò di svegliarci, poi si accorse che eravamo mezzi nudi e richiuse la porta non proferendo una parola. Non ci aveva mai più chiesto nulla dell’argomento. 
“Sempre così vicini, non è vero?” immediatamente ci separiamo e come se niente fosse successo Justin sfila dalla tasta dei suoi pantaloni decisamente troppo a vita bassa la chiave della stanza.
Senza alzare lo sguardo dalla moquette del corridoio, che ora mi sembra la cosa più interessante e bella del mondo, entro nella stanza di Justin – minimo tre volte più grande della mia – seguita dai due.
“Bene. Che stavate facendo?” 



   
 
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