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Autore: EvgeniaPsyche Rox    05/06/2012    8 recensioni
[ Long-fic sull'AkuRoku che descrive momenti quotidiani e il modo in cui si sviluppa il loro rapporto, il tutto diviso nei diversi mesi dell'anno. Ringrazio in anticipo tutti coloro che si soffermeranno a leggere.]
January -Normal-
February -Away-
March -Confused-
April -Hidden-
May -Burning-
June -Protection-
July -Doll-
August -Anger-
September -Together-
October -Sweetness-
November -Emotions-
Dicember -Mine-
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Axel, Roxas
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
Capitoli:
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August -Anger-

 

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Si dondolò con aria assorta in quella piccola altalena, osservando un punto vuoto del terreno.
Amava profondamente quel parco perché era nascosto e non ci veniva mai nessuno, nemmeno in piena estate.
Era lui il re di quel giardino. Lui e nessun altro.
Non aveva mai condiviso quel suo posto segreto, eppure gli venne improvvisamente voglia di farlo; si lasciò sfuggire un lieve sorriso sulle piccole labbra e tirò fuori il cellulare, quando quest'ultimo vibrò.
Un nuovo messaggio.
Inclinò il volto su un lato, incuriosito, e si affrettò a leggerlo: un MMS da Olette.
Strano. Lei di solito detestava inviare messaggi.
'Mi dispiace.'
Ridusse gli occhi a due fessure, senza capire a cosa si riferisse; ma, nonostante ciò, si sentì inspiegabilmente in ansia.
Notò poi che il messaggio non era finito: vi era allegata una foto che non si era ancora caricata.
Sbuffò, picchiettando le Vans bianche e nere sul terreno, spazientito: accidenti al suo dannato cellulare risalente al Paleolitico.
E, proprio mentre stava per chiudere il messaggio e chiamare Olette per dirle che non aveva ricevuto nulla, si pietrificò: i suoi occhi blu cobalto si dilatarono in un'espressione shockata e gli sembrò di sprofondare tre metri sotto terra.
Rimase perfettamente immobile con il telefono in mano ad osservare quella foto che gli aveva fatto avere un improvviso contatto di nausea; per un attimo ebbe l'impulso di piangere o di gridare, ma non fece nulla.
Si limitò a stringere l'aggeggio tra le mani, senza riuscire a staccare gli occhi da quell'immagine che raffigurava un ragazzo dagli occhi smeraldini intento ad assaggiare le labbra di una giovane ragazza particolarmente attraente.
Ma certo.
Lei era bella, formosa, simpatica, dolce; ma, soprattutto, era una lei.
Avrebbe dovuto immaginarsi che sarebbe finita così.
Si lasciò sfuggire una risata amara e scosse la chioma bionda: ma finita cosa, poi?
Come poteva finire qualcosa che non aveva mai avuto un inizio?
Un ammasso di sciocchezze, ecco qual'era la verità.
Deglutì e si detestò a morte per la propria debolezza; si detestò a morte per aver iniziato a bagnare le proprie guance, il proprio collo e la propria maglietta con quelle dannate lacrime amare.
Sentì un dolore indescrivibile alla pancia e si piegò in avanti, singhiozzando lentamente: tremò appena e si portò le mani al volto, vomitando via tutta la disperazione e la sofferenza che lo stava uccidendo.
Era uno stupido.
Uno stupido ingenuo che si era lasciato inghiottire dalle fiamme, solamente per il loro gusto di bruciare e di divorare.
Era stato preso in giro.
Si accorse di non avere nemmeno la forza di alzarsi; singhiozzò più forte e spostò le mani, lasciando che le lacrime potessero rugargli tranquillamente il volto.
Fa niente, si disse, andava bene così, in fondo.
Sobbalzò improvvisamente, accorgendosi della suoneria del proprio cellulare; osservò con aria amareggiata il piccolo schermo luminoso e si irrigidì nuovamente, riconoscendo il numero di Axel.
Udì il proprio cuore martellare più velocemente e roteò lo sguardo da una parte all'altra dell'ambiente circostante, quasi volesse chiedere aiuto, indeciso sul da farsi.
Eppure avrebbe dovuto affrontarlo, prima o poi.
Quindi meglio prima che poi, giusto?
Prese un respiro profondo e premette il tasto verde, portandosi l'apparecchio all'orecchio con aria titubante, rimanendo però in silenzio.
«Pronto? Ehi, Roxas, ci sei?», sentì l'acuta voce del ragazzo che gli mandò l'anima completamente in frantumi.
Non riuscì a rispondere.
Era come se qualcuno gli avesse improvvisamente rubato la voce; sapeva benissimo che se solo si fosse azzardato a parlare, sarebbe scoppiato nuovamente a piangere come un bambino.
E quella era l'ultima cosa che voleva.
«Roxas? Roxas, mi senti?», trattenne il fiato, quasi impaurito di essere scoperto, come un ladro che tentava di uscire furtivamente dalle case altrui.
«Roxas?», si morse forte il labbro inferiore, sperando che l'altro si zittisse, sperando che smettesse di chiamarlo.
«Roxas? Roxas, ci sei?», si lasciò sfuggire un flebile singhiozzo e sgranò gli occhi, affrettandosi a chiudere la chiamata e a spegnere immediatamente il cellulare.
Si tappò le orecchie, come terrorizzato dall'ascoltare ancora il richiamo del fulvo, e si inginocchiò sul terreno, scoppiando nuovamente a piangere.
Non gli importava. Non gli importava. Non gli importava. Non gli importava.



Rise di cuore, schizzando la giovane amica che tentava di coprirsi il volto con le mani vellutate, senza smettere di ridere. «Roxas, smettila!»
«E va bene, ti lascio un pò di tregua.», rispose con aria divertita il biondo, immergendosi completamente nell'acqua cristallina e tiepida.
«Meno male.», commentò con un sospiro Xion, mettendosi una mano al petto.
Riemerse dopo qualche secondo e sorrise appena. «Grazie ancora dell'invito, Xion.»
La corvina ridacchiò appena con le gote lievemente arrossate, scuotendo la testa. «Non devi ringraziarmi, Roxas: sei il mio migliore amico e volevo passare un pò di tempo insieme a te.»
L'altro si sentì scaldare il petto di fronte alla dolcezza della compagna; era davvero fortunato ad averla conosciuta.
«Roxas, che ne dici se conto quanto tempo riesci a stare sott'acqua?», propose improvvisamente la ragazza, continuando a sorridere teneramente; il volto del giovane dagli occhi cristallini si illuminò ed annuì energeticamente, compiaciuto dall'idea. «Mi sembra perfetto!»
«Bene, sei pronto?»
Il biondo annuì, stando attento alla partenza. «Tre, due, uno...Via!», e chiuse di scatto gli occhi, immergendo la testa in acqua, cercando in ogni modo di non concentrare i propri pensieri sul tempo che passava.
Due settimane e cinque giorni.
Era riuscito ad evitarlo, anche se con estrema fatica: aveva ricevuto decine di chiamate, messaggi in segreteria e tutti i suoi amici appena lo vedevano gli dicevano ''Ehi Roxas, c'è Axel che ti sta cercando!''
Come se già non lo sapesse.
Si era trovato anche un paio di volte addirittura dei mazzi di fiori di fronte alla porta di casa, con dei bigliettini su cui erano scritte frasi del tipo ''Mi manchi'', oppure ''Cercami'', o ancora ''Perché?''
Era partito poi per cinque giorni per passare un pò di tempo con suo cugino Ventus; si era divertito un sacco, aveva fatto nuove conoscenze ed era riuscito a rilassarsi un pò.
Per una volta desiderava solo svuotare la mente.
Si accorse che iniziava a mancargli il fiato e non riuscì più a trattenersi a lungo; si affrettò a fuoriuscire dall'acqua, respirando affannosamente per poi portarsi una mano alla gola, alla ricerca di ossigeno.
Si voltò verso la giovane amica, aspettandosi un suo complimento o un suo sorriso; eppure sul suo volto era dipinta un'espressione indecifrabile e si limitava ad osservare un punto in particolare dietro di lui che si voltò istintivamente.
Si sentì mancare un battito.
Fu come se qualcuno gli avesse improvvisamente puntato la pistola sulla testa, o meglio: se gli avesse appena sparato.
Che ingiustizia, si disse: era orribile che il passato continuasse a bussare insistentemente alla porta della sua mente.
Era proprio una cattiveria.
Lui non parlò, si limitò ad osservarlo con aria fredda che gli fece venire i brividi: avrebbe dovuto affrontarlo prima o poi.
Si accorse di un movimento veloce nell'acqua e si voltò di scatto verso Xion che si stava allontanando lentamente, rivolgendogli un sorriso di scuse; strinse i pugni con rabbia, intuendo che, quasi sicuramente, anche lei c'entrava qualcosa con quell' incontro casuale.
Non riuscì a mantenere il silenzio ancora per molto: era troppo agghiacciante e soffocante. «Che cosa vuoi?»
Axel accennò una risata sinistra, infilandosi una mano tra i capelli ancora perfettamente asciutti, scuotendo la testa, come se fosse a conoscenza di un segreto che l'altro ignorava. «Scompari nel nulla e mi chiedi che cosa voglio? Molto bravo, Roxas.»
Ebbe l'istinto di abbassare lo sguardo, ma si sforzò di mostrarsi forte: lui aveva tutto il diritto di essere offeso, no?
Forse no.
In fondo loro cos'erano?
Perché mai avrebbe dovuto arrabbiarsi?
«E adesso stai anche zitto: ti diverti a prendermi in giro per caso?», Axel avanzò di un passo verso l'altro che invece indietreggiò lentamente.

«Non...Non ho nulla da dirti.», si sforzò di tirare fuori la voce il più piccolo, mantenendo lo sguardo fisso sul volto del fulvo che sogghignò. «Questo però non ti autorizza ad evitarmi così.»
Roxas lo ignorò, intezionato ad andarsene, quando il più grande gli gelò il sangue nelle vene, per quanto il sole gli stesse riscaldando la pelle. «Non dovresti farmi arrabbiare, Roxas. Non ti conviene.»
Venne scosso da un forte brivido e si fermò, senza riuscire più a muovere un altro passo; aveva paura, ecco la verità.
Axel lo aveva sempre spaventato; il fuoco era in grado di bruciarti il corpo e ucciderti dall'agonia.
Le fiamme sapevano proteggerlo ed essere la fonte della sua morte al tempo stesso.
Abbassò lo sguardo verso l'acqua salata del mare e sussultò, sentendo un paio di braccia cingergli la vita: si odiò profondamente.
Non riuscì nemmeno a dimenarsi, a spingerlo via e a gridargli contro che l'aveva fatto soffrire; era immobile, rabbrividendo non appena l'altro aveva iniziato a mordicchiargli l'orecchio.
Una schifosissima bambola.
Non c'era più niente: nè i bambini che giocavano a pallone, nè le ragazze che prendevano il sole, nè i bagnini che scrutavano l'orizzonte, nè i materassi galleggianti.
Solo loro, il mare e il sole in una calda giornata di Agosto.

«Cosa ti è successo?», gli chiese bisbigliando accanto all'orecchio, afferrandogli poi il volto per farlo voltare verso sé.
Il biondo arrossì violentemente, tuffandosi in quegli smeraldi scintillanti che l'avevano stregato ormai da tempo. «Io...Io so quello che hai fatto.»
Axel sollevò un soppraciglio, aspettandosi una spiegazione più dettagliata.
«Tu...Tu hai baciato una...U-Un'altra ragazza.», balbettò il giovane, venendo nuovamente assalito dalla rabbia e dalla voglia di fuggire via.
«Come fai a saperlo?»
«Non ti deve interessare.»
Il diavolo dai capelli fiammeggianti rise di cuore come se avesse appena sentito una barzelletta, scuotendo la testa. «Roxas, stavo facendo il gioco della bottiglia con i miei amici.»
Il biondo si sentì improvvisamente male, accorgendosi di avere un attacco di nausea.
«Ma non ti preoccupare!», si affrettò ad aggiungere, notando l'aria scossa dell'altro. «Ho solo dato un bacio veloce a quella ragazza e me ne sono andato.»
Solo un bacio veloce.
Come faceva ad avere la certezza che gli stesse dicendo la verità?
Come poteva sapere se in realtà lui non si fosse trattenuto più a lungo, baciando magari altre persone e, chissà, forse facendo anche altro.
Non poteva avere quella sicurezza.
E questo Roxas lo sapeva bene; eppure non fece nulla, non si mosse, rimase lì, con lo sguardo basso e amareggiato, sentendo improvvisamente le calde labbra dell'altro travolgerlo nelle sensuali emozioni a lui ormai familiari.

«Mi dispiace.», lo sentì sussurrare a malapena e lo guardò dritto negli occhi, in quelle splendide iridi smeraldini e, allora, capì.
Capì che stava dicendo la verità; sentì un sussulto al cuore e sorrise con dolcezza, appoggiando la testa tra la spalla e il collo del fulvo.
«Non importa. Va bene così, davvero.», bisbigliò lasciando che il sole, e non solo quello, gli baciasse dolcemente la schiena.



Il tredicenne buttò con violenza i libri sul pavimento, tirando poi un calcio contro la sedia. «Cazzo, cazzo, cazzo!», imprecò ripetutamente, mettendosi una mano ai capelli con rabbia; il più piccolo, di fronte a lui, indietreggiò di qualche passo, impaurito.
«A-Axel...»
«Che c'è?!», rispose aspramente il diretto interessato, voltandosi verso il biondo che si strinse le spalle. «Sei...Sei arrabbiato?»
Axel sbuffò ripetutamente, perdendo completamente il controllo. «Ma che domande del cazzo mi fai?! Non si vede per caso?!»
«S-Scusa...», balbettò timidamente il bambino di nove anni, abbassando immediatamente lo sguardo.
«Quegli stronzi dei professori... Ma sì, sempre a rompere le palle e a riempirmi di compiti, cazzo!», continuò a strillare il fulvo, spaventando ulteriormente l'altro che si sforzò comunque di parlare.
«Perché... Perché dici delle parole così brutte?», domandò alzando lentamente gli occhi blu verso il compagno che si irritò sempre di più. «Roxas, la vuoi smettere o no di rompere i coglioni?! E' normale usare questo linguaggio quando si è arrabbiati, porca miseria!», esclamò così in preda all'ira, afferrando il pesante libro di matematica per poi lanciarlo di fronte a sé; Roxas non riuscì a spostarsi in tempo, venendo colpito pesantemente sulla spalla sinistra.
Il rosso sgranò le iridi verdi, placando immediatamente la propria rabbia alla vista del ragazzino che si era appoggiato una mano sulla parte colpita. «Roxas... Merda, scusa, io...»
Il diretto interessato scosse la testa con lo sguardo rivolto verso il pavimento, stringendosi contro il muro; si abbassò lentamente il colletto della felpa blu fino a raggiungere la spalla, mostrando un livido violaceo.
«Roxas, mi... Mi dispiace...Ti giuro che non volevo...», cercò di giustificarsi il compagno, avvicinandosi al più piccolo che allungò di scatto una mano, scuotendo nuovamente il volto e facendogli cenno di allontanarsi.
«Roxas... Scusa, scusami, ti prego, perdonami... Ero molto arrabbiato e non ho pensato alle conseguenze...»
Il biondo osservò un punto vuoto sulle piastrelle, stringendosi con più forza la spalla per poi correre verso l'uscita, spintonando volontariamente il fulvo. «Sei... S-Sei uno stronzo!», e svanì dietro la porta.
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*Note di Ev'*
E rieccomi qua con l'ottavo capitolo di questa raccolta con il titolo di 'Rabbia'. L'intero capitolo è appunto collegato proprio perché nella prima parte viene mostrato il motivo per cui Roxas smetterà di parlare al nostro caro e vecchio (?) Axel; nella parte centrale, invece, si vede una sorta di riappacificazione, dettata soprattutto dalla testardaggine del rosso e dalla paura dell'altro verso quest'ultimo. Inizialmente, proprio per quest'ultima paura, volevo intitolare il capitolo 'Afraid', ma non mi convinceva; successivamente ho pensato a 'Forget' dovuto al fatto che Roxas volesse in un certo senso dimenticare il rosso e... Boh, alla fine, ieri, ho scritto il solito flash-back della loro infanzia; in realtà questa parte doveva andare nel mese di Ottobre, però mi sono accorta che se avessi invertito tutto sarebbe stato meglio, proprio per permettere all'intero capitolo di basarsi sulla rabbia. Infatti questo flash-back, al contrario degli altri, non termina nei migliore dei modi e Roxas, con la sua prima parolaccia, desidera mostrare a parole la propria rabbia.
...Okey, chissenefotte. Non so perchè l'ho scritto, ma ci tenevo a farlo °-°
Uhm altro dire... Beh, sì, io praticamente devo solo scrivere una parte di Novembre e Dicembre per terminare la storia, quindi direi che sono proprio a buon punto.
Insomma, come sempre mi auguro che la storia sia stata di vostro gradimento e vi prego di recensire
Oh, vorrei inoltre dare un ringraziamento speciale a 'Beckill' per avermi aggiunta tra le sue autrici preferite; sono lusingata da tutto ciò, davvero! *Si asciuga una lacrima di commozione*
Sabato ultimo giorno di scuola.
Ohm, vorrei inoltre augurare a tutti coloro che hanno degli esami -Terza media/Maturità/Universitari- un grandissimo in bocca al lupo, gente (:
Alla prossima.
E.P.R. 

   
 
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