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Autore: Compostezza    05/06/2012    3 recensioni
«Sei peggio di mia madre quando ti ci metti.» sbuffò, aumentando il passo e scorgendo all’orizzonte il grande edificio in mattoni rossi.
«E’ per questo che sono la tua migliore amica.»
Si voltò verso di lei. «Perché sembri mia madre?»
«No, perché sono l’unica che riesce a non farti replicare ogni volta.»
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Synyster Gates, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Efelidi.

Los Angeles.
June, 99. h10.07.






Brian guardò i piccoli cristalli di zucchero sparsi per il tavolo di legno chiaro, mischiati alle briciole dei biscotti fatti in casa di Cass, prese il cucchiaino e ne rigirò il rimanente nella grande tazza con le macchie di mucca e se la portò, infine, alla bocca. Il sole era già alto nel cielo da un pezzo, poteva sentire i raggi riscaldargli la schiena nuda e le voci dei bambini scherzare, felici, all’esterno. La sua faccia era tutto al di fuori che felice, era teso come una corda di violino e quasi non cadde dalla sedia a sentire l’anta del mobiletto chiudersi in maniera non delicata.
«Nervosi?» Zacky appoggiò la busta dei cerali al cioccolato sul tavolo e lo guardò.
«La testa mi scoppia. Se vuoi un po’ di tè, è lì vicino al fornello.» lasciò la tazza fumante e morse metà biscotto.
«Dovresti essere abituato alle sbronze.» versò il latte freddo nella tazza. «Ma quella faccia la conosco troppo bene. Sei preoccupato per Sam?»
Gli lanciò un’occhiata. «Tu che dici?»
«Glielo dirai stasera?» domandò, prese il giornale e si sedette al suo fianco. A quanto pare un pazzo aveva ucciso due ragazze dopo averle stuprate. Dove andremo a finire? Pensò e storse la bocca.
«Sì.» sospirò, lasciando cadere il cucchiaio nel liquido verdognolo. «Ho già organizzato tutto, l’unica cosa che mi preoccupa è la sua reazione. Come minimo mi ucciderà per averglielo detto dopo così tanto. Cass invece?»
Zacky si irrigidì fermando il cucchiaio pieno di cereali a mezz’aria. «All’inizio mi è saltata addosso felice come non mai. Mi ha quasi ucciso, però.. l’ha presa bene, penso
«E se non la prendesse bene?» lo guardò.
«La prenderà bene.»
«Zacky, stiamo parlando di Sam!»
«Brian..» tentò.
«Cosa posso fare? Mh? Mi lascerà, me lo sento. Sì,sì.»
«Ascolta..»
«Rischio un esaurimento nervoso. E se mi chiederà di scegliere? Oh nono, non ne sarei capace.»
«Porca puttana, Brian! Tranquillo cazzo. Stai facendo salire l’ansia anche a me.» sbuffò, prendendo un tovagliolo e pulendo il disastro che aveva causato il moro accanto a lui, urtando per sbaglio la tazza di tè che era finita su tutto il giornale.
«Scusa, sono agitato. Non so più che fare e che pesci prendere, adesso che tutto iniziava ad andare per il verso giusto. Infondo è colpa mia. La conosco da un anno, l’ho sempre avuta sotto il naso e non ho fatto niente. Cieco e interessato soltanto a finte bionde, tette rifatte e cuori spezzati. Sono un cretino.» si massaggiò le tempie, poggiando i gomiti sulla pozza di tè alle erbe.
«Per il fatto del cretino sono d’accordo con te ma devi stare calmo, okay? Anche se non dovesse accettarlo, strapparti le palle a morsi, perché è capace.. no, no, scherzavo, scusa. Lo capirà, non è stupida, è una ragazza forte e se ci tiene davvero, sono sicuro, che ti aspetterà.» gli passò una mano sulle spalle, concedendogli un bellissimo sorriso e l’aiuto che solo un vero amico poteva darti. E Zacky lo era, lo era con la “a” maiuscola.
Sorrise a sua volta, allegro. «Grazie, bro.»
«Di niente, non sono qui per questo?»
Scoppiarono entrambi a ridere, uno abbracciato a l’altro e con le briciole di biscotti sparse per tutti i pantaloncini. In quell’esatto momento entrarono in cucina Jimmy e Johnny. Il più piccolo teneva tra le braccia una scatola di legno piena di bastoni, raccolti in spiaggia, mentre quello più alto un ammasso di fili che posò sul tavolo, imprecando quando si accorse di averli bagnati in parte.
«Ecco qua, Haner.» Johnny invece lasciò la cassetta a terra, batté le mani per togliere qualche residuo di sabbia e poi il cappello da baseball che teneva in testa.
«Trovato tutto?»
Jimmy annuì. «Spero vadano bene gialle, bianche non c’erano. O così o colorate da albero natalizio.»
«Vanno benissimo, grazie ragazzi.»
Jimmy gli si avvicinò. «Nervi saldi, mi raccomando.» e gli passò una mano sulle spalle, all’altezza del tatuaggio con il suo cognome. Si ricordava benissimo il giorno in cui lo aveva fatto, ubriaco fradicio, era appena uscito dalle prove e se ne era andato da un suo vecchio amico tatuatore e si era lasciato “torturare”. Lo odiava e cercava di nasconderlo poiché considerava la calligrafia e i colori scadenti. Per James, al contrario, era un bellissimo ricordo perché se lo era fatto proprio una settimana dopo che si erano conosciuti nei corridoi della scuola, cacciati dalle proprie classi per ila troppa confusoine.
«Dio, ragazzi siete troppo sdolcinati, smettetela vi prego.» tutti si voltarono verso l’ingresso della cucina, dove Matthew se ne stava tranquillamente appoggiato, con una spalla, una birra nella mano destra, un piede incrociato con l’altro e un sorriso franco dipinto sul volto.
Brian abbozzò un sorriso. «Tu la fai facile, la tua ragazza, perdon, futura ragazza non ha problemi.» e lo liquidò con un’occhiata.
Matt si avvicinò, sedendosi di fronte a lui e vicino a Johnny. Estrasse le chiavi di Daisy dalla tasca posteriore del costume a righe bianche e rosse e giocherellò con il portachiavi a forma di pacchetto di Marlboro con tanto di luce.
Poi lo lasciò cadere in una mossa veloce, sentendo improvvisamente il braccio pesante e alzò lo sguardo verso il suo migliore amico. «Dispiace pure a me. Stavo iniziando a considerarla quasi come una sorella e..» si irrigidì insieme a tutti gli altri. Trattennero il respiro, puntando gli occhi sulla figura che era appena entrata a passo svelto.
«Evitate di fissarmi così, è colpa di quella scema.» strinse i pugni, passando una mano sui lunghi capelli dove delle piccole goccioline salata caddero lentamente, una dopo l’altra, sul pavimento. Anche i vestiti erano bagnati e attaccati al corpo, evidenziandone le curve, mentre la pelle appena rossa risplendeva sotto l’unico raggio che entrava dalla finestra.
«Eddai Sam per un po’ d’acqua.» Cass spuntò da dietro la parete su cui era appoggiato un attimo prima Matt, trattenendo le risate.
«Ti faccio fuori. Ehi, vi ha mangiato la lingua il gatto per caso?» diede un bacio leggero sulle labbra di Brian che fissò automaticamente i suoi amici, zitti e immobili. Fortunatamente non aveva sentito niente ed erano riusciti a nascondere i fili e i legnetti sotto al bancone.
Tensione nell’aria.
«Che ne dite di un bel tuffo in acqua?» propose Jimmy.
«Tanto sono già bagnata, non ho problemi.» lanciò uno sguardo all’amica, corsa tra le braccia del suo ragazzo.
«Io ho un’altra idea. Sam tu non hai per caso una macchina fotografica?»
La ragazza si appoggiò all’acquaio prendendo un pezzo di scottex e si soffiò il naso. Si sarebbe presa un bel raffreddore o addirittura la febbre conoscendo il suo organismo.
«Sì, è una vecchia polaroid di mia madre.»
«Bene.» il cantante si alzò. «E’ deciso scatteremo un po’ di foto.»







Il sole picchiava forte sulle loro teste. Era riuscita a mettere in fila ordinata tutte le foto scattate fino ad un attimo prima e con l’aiuto di Zacky stava scrivendo la data e qualche commento, nello spazio bianco, ad ognuna di esse.
«Non osare buttarla via.» si sporse verso di lui, allungando la mano nel tentativo di prenderla e di non fargliela strappare.
«Mi hai visto?» sbattè le palpebre. «Sembro un misto tra un cammello e una drag queen, Sam.»
Fece spallucce e guardò la foto tanto orrenda. Zacky era disteso sulla battigia, la sabbia appiccicata a tutto il corpo e preso proprio mentre si stava girando, uscendone con gli occhi chiusi e la bocca in una smorfia. Effettivamente faceva ridere.
«Sei davvero carina, Zacky.»
«Sfotti?» inclinò un sopracciglio.
Ridacchiò e si concentrò di nuovo sulle fotografie, una in particolare: erano tutti insieme, Johnny di spalle che correva verso di loro dopo aver faticato a spiegare a una signora anziana come scattare, le due ragazze sommerse dalla sabbia e dai corpi dei ragazzi stessi.
Erano momenti che mai si sarebbe dimenticata, momenti che ti entrano dentro e non ti lasciano mai, nascosti in qualche parte del cervello ma non rimossi. I ricordi, la mente, non li cancella, li prende soltanto e li lascia in un angolino, sia brutti che belli, e ci basta poco, un profumo, un oggetto, una parola per farli riaffiorare. Li avrebbe sempre portati con se, un bagaglio astratto da raccontare in futuro.
Prese l’ultima foto e la dispose insieme all’altra, riponendola all’interno di un foglio e poi alla sua borsa, in un punto nascosto e sicuro. Mentre sbirciava nella borsa le capitò un origami a forma di volpe fatto da lei stessa una mattinata noiosa e grigia qualche tempo prima. Glielo aveva insegnato sua madre da piccola per gioco e crescendo aveva continuato, imparando e migliorandosi.
«Che figata, lo hai fatto tu?»
«Sì.» glielo lanciò. «Tienilo pure, ne so fare a bizzecche.» Zacky lo strinse tra le mani, scrutandolo nei minimi particolari. «Vuoi che ti insegni?» chiese poi.
«Lo faresti?»
«Ovvio.» rispose tranquillamente, sorridendogli e recuperando un foglio dal blocco di disegni che portava sempre con se; erano essenziali, insieme alla matita.
Lei e Zacky non avevano avuto un rapporto come gli altri, lui era soltanto il ragazzo della sua migliore amica e il migliore amico del suo ragazzo e degli altri, lei viceversa. Se con i ragazzi era riuscita a costruire una sorta di vincolo, legame, con lui no. Non avevano avuto tempo, per modo di dire, di rimanere da soli per qualche momento e conversare. Anzi, quella, era la prima vera conversazione che facevano, ma pur da qualche parte dovevano iniziare, no?








Un piccolo anello di pietra marrone stringeva il dito magrolino, che stava toccando delicatamente la carta stropicciata, mentre gli occhi catturavano ogni piccola lettera, ingabbiandola con sicurezza all’interno del cervello.
L’ultima volta che aveva guardato fuori il sole era ancora alto nel cielo, adesso si iniziavano già ad intravedere le prime stelle e in piccolo angolo, la luna. Il sedere iniziava a dolere, le gambe erano intorpidite e le unghie mangiucchiate a metà, cosa c’era di così difficile? Ormai aveva imparato quel volantino a memoria. Gli angoli erano tutti stropicciati e il colore se ne era andato via in alcuni punti. Tanto ne aveva un centinaio a casa, nascosti in un cassetto della sua scrivania nell’attesa che i suoi piedi potessero, un giorno, toccare quell’asfalto composto dai milioni di san pietrini- nella foto erano cinquantasette contati- e quell’enormi classi dove la magia veniva liberata. Un po’ preoccupante, ma era il suo sogno d’infanzia. E adesso aveva l’opportunità di poterlo vedere avverarsi nel giro di pochi mesi.
Perché tutto doveva essere così dannatamente complicato?
«Tu non dovresti essere qui.»
«Il mondo gira in senso antiorario perché a me sembra andare al contrario?»
«Columbia University, bella roba.»
«Ci sono chili di università in America e io vado a scegliere quella più ambita e difficile in cui entrare. Che genio.»
«E’ il tuo sogno, devi inseguirlo, seppur complicato.»
«E se non ci riesco? Se fallisco e mi ritrovo in mezzo a una strada con il mio sogno strappato in minuscoli pezzettini?»
«Non devi smettere di credere in te stessa perché hai abbastanza forza e fegato da realizzare ogni cosa ti metterai in testa. L’unico responsabile del tuo futuro sei tu.»
Sam drizzò il busto e avvolse le gambe nude con le braccia, appoggiando il mento sopra il ginocchio e perdendosi nel vortice di parole che si era creato nella sua testa.
«L’ho ricevuta stamattina, me l’ha inviata mia madre. A quanto pare studierò e diventerò una giornalista, sempre non succeda niente che rompa l’equilibrio creatosi... Dimmi che mi rimarrei vicino.»
«Era sottinteso.»
«Sarai lì vicino a dirmi che sto facendo la scelta giusta?»
«Sarò lì vicino a te a dirti che sei la ragazza più forte, brava e con talento che Dio mai abbia creato. Sarò lì vicino nei momenti di sconforto, quando sarai sommersa dallo studio e dalle crisi.. conoscendoti mi dovrò cambiare dieci magliette al giorno e comprarti scatoloni e scatoloni di fazzoletti, ma sarò lì
James sorrise mostrando la dentatura perfetta. Sorrise allungando il braccio verso quel batuffolo, ripiegato su di se stesso e l’abbracciò delicatamente.
«Non volevo farti piangere però.»
«Ci sei riuscito contento? Hai vinto lo scontro, la partita, la battaglia, la guerra, hai vinto e sei riuscito a farmi piangere. Non mi ricordo neanche l’ultima volta che l’ho fatto, Jim.»
«Quindi io passerò alla storia come il crudele, bruto e cattivo mostro che ha fatto, per la prima volta in tutta la sua vita adolescenziale, commuovere la dura Sam? Riceverò un premio, una medaglia o qualcosa del genere?»
«Un pugno va bene?»
«Mi accontenterò.»
Sam alzò il viso verso di lui e si asciugò gli occhi, macchiando la mano di eye-liner nero come era riuscita a fare con la sua maglietta e gli sorrise punzecchiandolo a un fianco.
«Scusa.»
James la guardò, alzando un sopracciglio. «Per cosa? C’entra il fatto che tu sia completamente ricoperta di vernice arancione?»
«Ehm sì. Oddio, sono così piena?» si staccò.
«In viso soprattutto.» ridacchiò.
«Oh, pace. Cosa intendevi prima con tu non dovresti essere qui
Sullivan sembrò essersi svegliato da un incubo e si alzò in piedi come un fulmine. «Merda, mi uccide.»
«Chi ti uccide?»
«Vieni con me.» le afferrò le mani e prima che potesse emettere un suono, la trascinò fuori dalla casa.
L’aria afosa e secca le colpì la pelle come un getto improvviso e i piedi affondarono pesantemente nella sabbia fresca e bagnata. Vedeva James correre giù e su mentre stringeva il suo polso senza farle neanche un po’ di male.
«Rallenta, ti ricordo che io ho un terzo delle tue gambe!»
Continuava a correre per tutta la spiaggia aumentando il passo e Sam sentiva i polmoni esplodere e la milza pulsare nel fianco. Trattenne anche le lacrime quando pestò un legnetto secco nascosto e messo lì, quasi, a posta e quando il ragazzo di fronte a lei si arrestò di sorpresa e si morse, di conseguenza, la lingua.
«Cazzo, James! Punto primo non ti fermare inaspettatamente in questo modo, punto secondo avrò bisogno di una nuova milza e se ci sono anche un paio di polmoni, punto terzo che diavolo ci facciamo qui?» sentiva il liquido caldo bagnarle la bocca. Il batterista se ne stava ancora immobile di spalle,e non accennava a fare un passo.
Sam sbuffò, incrociando le braccia e si guardò intorno. Erano sempre in spiaggia, però vicino a loro c’era un piccolo boschetto e dei legnetti sparsi intorno a forma di freccia. L’oceano alle loro spalle si muoveva lento, colpito dalla luna e dalla luce di un faro, posto dall’altra parte della costa.
«Jimbo.» gli strattonò la maglietta e lui si girò.
«Vedi il boschetto e la freccia?» glieli indicò con un cenno della testa, senza smettere di sorridere.
Annuì, non capendo dove volesse arrivare.
«Vacci. Ti ritroverai subito davanti a Brian.» detto questo le baciò la fronte e la superò, camminando sui passi e sulla strada di prima.
«Brian?» domandò ma non ricevette riposta.
E adesso che diavolo dovrei fare? Se mi hanno fatto uno scherzo giuro sulla tomba di Einstein che li faccio fuori uno ad uno e in una delle peggiori maniere.
Fece due enormi respiri e deglutì, ammucchiò tutto il coraggio e la forza presenti nel suo organismo e si incamminò a passi lenti e tremolanti verso il punto indicatole. C’era un piccolo gufo su un ramo di un albero completamente secco e se ne stava lì fermo con i suoi grandi e vispi occhi gialli che la puntavano come un predatore fissa la sua preda.
Si sporse più avanti affrettando il passo. I piedi nudi toccarono l’erba umida e una scarica le attraversò la spina dorsale. Paura, eccitazione, curiosità e ansia si albergavano all’interno del suo piccolo e pulsante cuore che subito fu sollevato nel vedere la figura del ragazzo sotto un altro albero, simile a quello dove era appoggiato il gufo, ma con la grande differenza che era totalmente ricoperto di tante, piccole, luci bianche.
Brian se ne stava lì, saldato al tronco, con lo sguardo e la mente rivolte a quelle stesse luci e alle stelle ben visibili del cielo. In tutta LA non si potevano vedere per colpa delle luci, insegne e grattaceli, ma bastava allontanarsi un po’ che ti ritrovavi davanti uno spettacolo mozzafiato.
«Ti piace?» adesso la stava fissando.
«E’ un po’ troppo film romantico, non ti facevo un tipo da queste cose.» disse, avvicinandosi maggiormente.
«Quello è Synyster. Brian ha altri lati nascosti.»
«E questi lati nascosti riuscirò a scoprirli tutti?» quando gli fu abbastanza vicino, gli portò le braccia intorno al collo, rapita dalle luci.
«Certo,  basta che tu mi risponda di sì a quello che ti sto per dire.»
La bionda aggrottò la fronte. Entrambi erano pieni di vernice arancione ovunque, sulla pelle e sui vestiti. Non avevano avuto tempo di sciacquarsi, avevano dipinto Daisy e l’avevano nascosta in un parcheggio poco distante dalla casa e James ancora non si era accorto niente.
«Ah, ecco. Mi hai fatto portare qua e hai fatto tutto questo per dirmi qualcosa. Qualcosa che, a giudicare dalla tua faccia inespressiva, non è nulla di buono.»
Sorrise amaro. «Sotto alcuni punti di vista, sotto altri invece è positivo.» intrecciò la sua mano, con numerosi calli sulle dita dovuti alle ore e anni passati a suonare, in quella piccola di lei.
«Vedi, non voglio fare tanti rigiri di parole, lo porto dentro da un mese e ho passato notti intere e insonne a spremermi le meningi su come te lo potessi dire. Alla fine ho optato per l’opzione “veloce e indolore”, sei pronta?»
«Merda, Bri, sto diventando più ansiosa di quello che non sono. Certo che tu, in fatto di confessioni, sei davvero negato.» scherzò, ricordando il primo loro bacio.
«Abbiamo ottenuto un contratto con la Goodlife Recording, capisci? Inizieremo un tour e incideremo delle cazzo di demo! Tutto tra un mese.» Brian aveva allargato le braccia e un sorriso sornione, felice e impaziente si era aperto sul suo viso.
Invece, per Sam, si era aperto un baratro ed era caduta insieme a tutte le sue aspettative, idee e concretezze. Come se fosse stata costretta a fissare per interminabili minuti il sole e le lacrime chiedessero di uscire come un fiume in piena lungo le pendici del suo viso.
«Partire? Tour?» sussurrò.
«Sì, faremo delle serate qua in giro. Tutto merito di Val e di suo padre.» gli occhi nocciola la fissavano in ogni particolare, occhi nocciola velati dall’agitazione e  voglia di sapere.
«Wow, è fantastico. Davvero fantastico.»
«Sam ti conosco, dimmi tutto quello che pensi.»
«Non c’è nulla che va, eh. Il mio ragazzo e i miei migliori amici partiranno per non so dove, per incidere un cd, e sono felicissima cazzo, è il vostro sogno.»
«Ma questo influirà sul nostro rapporto e non sai come ci sto male. Possiamo farcela, starò via solo un mese e poi potrai venire con noi.»
«Un mese diverrà due, tre, quattro e così via.» un caldo venticello cominciò a soffiare e le lampidine sopra alla loro testa iniziarono a sbattere l’una contro l’altra.
«Vivremo insieme, Cass verrà con noi, non ci saranno problemi.»
«E rinunciare ai miei sogni? No, Brian, non posso.» indietreggiò staccandosi da lui.
Il moro abbassò la testa, sedendosi. «La Columbia University.»
«La Columbia University, esattamente. Ho ricevuto stamattina la lettera e.. mi hanno accettata.»
Alzò subito il viso su di lei.
«Oh.»
«Forse, forse.. Brian non sai quanto mi faccia male dirlo ma dobbiamo inseguire i nostri sogni. Un rapporto a distanza non potrà che farci del male. Dobbiamo avere la mente libera e nessuna preoccupazione addosso, mettere tutte le forze in quello che amiamo, pensare e puntare solo a quello. Io mi sono innamorata di te e questo lo sai e se lo sei anche tu e tieni a me, questa è l’unica scelta giusta.»
Era una delle sue doti; l’incredibile capacità di dire tutto senza parole sulla lingua, schietta, decisa e dura peggio di un comandante e in cuor suo, Brian, sapeva che aveva ragione, lo aveva sempre saputo che quel rapporto e i loro sogni diversi non avrebbero potuto mai coincidere perfettamente.
Strinse l’erba e inficcò le unghie nella carne e guardò le lacrime scenderle sul viso.
«Quindi è finita, neanche due settimane ed è finita. » non seppe dove trovò le forze di parlare.
«Sì.» disse flebilmente e il chitarrista recepì quella parola fredda come un miliardo di coltelli affilati lacelargli la pelle. I suoi erano lontani e spenti, udiva le grida di James eccheggiare per tutta l'aria.
Abbozzò un sorriso: aveva visto Daisy. 
Capisci quanto tieni alle persone, solo ed esclusivamente, quando esse escono dalla tua vita d’improvviso, da un giorno all altro.












 












Buonsalve people :)
Ed ho pubblicato anche il dodicesimo capitolo, con un pò di fatica, ma l'ho fatto.
Purtroppo non ho molto tempo, anche se manca veramente poco alle vacanze, avrò da studiare fino a sabato e il prossimo lo pubblicherò, infatti, la settimana seguente. Scusate.
Per quanto riguarda questo capitolo;  sono a conoscenza delle frasi, discorsi senza senso e filo logico, pieni zeppi di errori e chiedo venia!
Ho il cervello spappolato stasera e sto sparando cavolate a destra a manca ( del tipo, "Gambe Boy" al posto di Game Boy e "Tu domani a che ora venni alla stazione del parcheggio dietro casa mia?" e "Devo portare il cane alla tv" pensate un pò come sono lucida D:)
Ringrazio chiunque abbia recensito, chi l'ha messa fra le preferite, ricordate, seguite e chi la legge semplicemente.
Adesso inizia il bello, che fine faranno? Sam aspetterà Brian?
Il prossimo capitolo sarà un salto nel futuro, cari miei e io vi auguro una buona lettura e una buona notte :)

Ps: Io vorrei fare, se mi è possibile e se mai ci riuscirò, l'università nel campo proprio del giornalisimo e chissà, un giorno, in America. Ho chiesto in giro (una ragazza che conosco, ha avuto la possibilità di visitarla) e mi è stato detto che è ottima, quindi ho optato per quella :D

  
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