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Autore: Alkimia    06/06/2012    10 recensioni
[CONCLUSA]
Ha calcolato ogni cosa, a questo gli è servito quel suo lungo esilio. Per ogni percorso possibile ha trovato almeno due o tre vie di fuga. Aveva messo in conto anche l'eventualità di venire catturato nel caso in cui il suo piano con i Chitauri fosse fallito.
Mentre nella sua mente si dipana una mappa da seguire, Loki sa che non è più un prigioniero. È solo qualcuno in attesa di un'occasione, come lo è stato per il resto della sua vita.

Loki sfugge alla sua prigionia e torna sulla Terra per recuperare un oggetto di cui ha bisogno per riacquistare potere; potrebbe rubarlo o prenderlo con la forza ma quando lo trova, in quella singolare città che è Venezia, scopre che la situazione non è così facilmente risolvibile. Intanto, dal pianeta dei Chitauri arriva la vendetta di Thanos per la mancata promessa della consegna del Tesseract e la cosa finirà per coinvolgere anche i Vendicatori...
Genere: Azione, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Thor, Tony Stark/Iron Man
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'A waltz for shadows and stars' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Capitolo terzo


C'è un bel sole che entra dai finestrini dell'auto, la luce disegna strane forme geometriche sulla plastica scura del cruscotto, e c'è odore di bosco, quell'aroma penetrante di erba, terriccio e resina.
Le ruote del suv macinano chilometri di strada sterrata e Steve si sente meravigliosamente rilassato mentre guida quella grossa auto che gli hanno messo a disposizione alla centrale dello S.H.I.E.L.D. e che ha impiegato qualche giorno a imparare a usare. Si sente rilassato anche se accanto a lui c'è Bruce Banner, quello capace di trasformarsi in un enorme mostro verde poco incline alle buone maniere.
Durante i primi minuti di macchina hanno provato ad accendere l'autoradio, ma hanno scoperto che nessuno dei due è troppo aggiornato sulle nuove tendenze musicali e, soprattutto che nessuno dei due le gradisce troppo. Poi per un po' hanno semplicemente continuato ad andare, godendosi il cambio di paesaggio, la città che stemperava in vie sempre più piccole, le case sempre meno ammucchiate, fino alla campagna. E oltre la campagna, il bosco.
«Sei proprio sicuro di quello che stai facendo?» domanda all'improvviso Steve, desideroso di interrompere il silenzio.
«Pensi che dovrei tornarmene a Calcutta o in un qualche altro posto sperduto ai confini del mondo, a fare il medico...»
«Bruce...»
«... no, perché sarebbe plausibile, cioè lo capirei se è questo che pensi, sarebbe molto più sicuro, ma...»
«Bruce, volevo solo dire che potresti provare a restare in città. Dopotutto, l'ultima volta Hulk non mi è sembrato così fuori controllo» osserva Steve.
Banner dondola il capo con quell'espressione perennemente a metà tra un sorriso e un sospiro afflitto,
«Davvero? Vorrei ricordarmelo. E più di ogni altra cosa vorrei ricordare di quando l'Altro ha messo al tappeto Loki».
I due uomini ridacchiano. Steve se lo ricorda bene, quando sono saliti in cima alla Stark Tower e hanno trovato Loki infossato nel pavimento, suonato come una nacchera è stata la prima cosa che ha pensato riuscendo a mettere su il primo e ultimo sorriso di quella tremenda giornata. Una giornata memorabile, ad ogni modo.
Nei giorni a venire poi, mentre sociologi e criminologi e alte cariche delle forze dell'ordine discutevano in tv della potenziale minaccia che potevano essere questi fantomatici supereroi, la gente continuava a tappezzare le strade e le case con le loro foto, inneggiando il loro nome.
La gente è dalla loro parte, non c'è conduttore o sponsor che tenga.
«Comunque, sei sicuro che confinarti in una casa in mezzo al bosco, da solo, sia una buona idea?» aggiunge Steve, spiando di sottecchi il dottore.
«Diciamo che al momento mi sembra la migliore opzione tra quelle disponibili» afferma Banner, scrollando le spalle. «Lo S.H.I.E.L.D. è stato gentile a fornirmi le apparecchiature per continuare i miei studi lì e Tony Stark mi ha messo a disposizione la casa sul lago di sua madre... a proposito, dov'è?»
«Stark? Beh, credo che tutto questo affetto da parte della gente alla fine lo abbia terrorizzato. C'è un limite a tutto, anche al suo narcisismo»
«Si è preso una vacanza?».
Steve sorride, un sorriso sornione pieno di un certo compiacimento.
«Io direi che se l'è data a gambe» conclude, trattenendo una risata. Tony Stark non è lo spaccone egoista che il Capitano credeva, era disposto a sacrificarsi per deviare il missile nucleare lanciato sulla città, ma questo non lo rende immune al sarcasmo altrui – come nessuno è immune al suo, di sarcasmo. Sono giorni buoni per ridere questi, pensa Steve, nonostante nel mondo ci siano parecchie cose che vanno a rotoli; ci sono anche minacce peggiori, minacce che loro hanno sventato e che sventeranno ancora, se ce ne sarà bisogno. E nonostante tutto, fuori dai finestrini del suv il bosco manda avanti la sua sinfonia di suoni che sembrano un perfetto inno alla pace.
La casa compare in fondo al sentiero. È piuttosto grande, con i muri di mattoni e gli infissi di legno, il tetto spiovente perfettamente rosso sfiorato dai rami delle conifere, è un'immagine da cartolina.
«Il piano quindi è quello di restartene qui?» domanda ancora Steve.
Bruce annuisce,
«Beh, mi sembra un posto tranquillo. E ho idea che Fury verrà spesso a prendere il té e che l'agente Barton e l'agente Romanoff verranno a portarmi il pancake per la colazione».
«E io potrei portarti la birra i cheeseburger. E quando torna Stark potrete farvi lunghe chiacchierate nella vostra lingua da scienziati pazzi».
Il dottore sorride, un sorriso un po' più largo del solito. Anche a Steve viene da sorridere, forse è sciocco e sentimentale ma al momento ha in mente l'immagine di una specie di grande famiglia.
«Me la caverò benissimo» sentenzia Banner dando un'amichevole pacca sulla spalla del proprio interlocutore.
Sì, lui se la caverà. Se la caveranno tutti. È decisamente l'ora di ridere per un po'.

***

È quasi sera. Il tramonto fa diventare la Laguna una stola di velluto.
Dalla finestra della sua camera, Nadia osserva un tratto del Canal Grande attraversato dai traghetti che si fermano davanti alla stazione di Santa Lucia. Non ha cenato quella sera, non ha fame, vuole solo uscire a fare un sopralluogo per delle foto, con Casanova che la segue per un tratto di strada, fino a quando non scivola in un vicoletto dove c'è di sicuro qualche gattina miagolante ad attenderlo. Chissà quanti figli ha sparsi per la città dei Dogi, pensa Nadia ridendo, forse quei gattini in quella casa di Dorsoduro erano suoi, in effetti avevano tutti gli stessi occhi color dell'ambra.
La giornata è stata piatta, una di quelle giornate senza infamia né lode. Peccato solo che non abbia trovato nessuna occasione per uscire, di solito le piace occuparsi delle commissioni da sbrigare fuori: andare al mercato di Rialto, fare la spesa, comprare le sigarette a suo padre. Quel giorno invece è rimasta inchiodata dietro il bancone della reception a fare la sua parte, insieme a Sara. Sara che ha finito le superiori e non ne ha più voluto sapere di libri e insegnati, perché per Sara restare o non restare inchiodata lì non fa nessuna differenza. Sara non ha grandi ambizioni, Nadia forse ne ha ma non ha ancora capito quali sono... la fotografia, certo, ma poi? Dove vuole andare? Cosa vuole fare davvero? Chi vuole essere?
«Sei un po' fuori tempo massimo per le crisi adolescenziali, ragazza» borbotta al suo riflesso sullo schermo del computer portatile spento.
Sente qualcosa di umido e ruvido strusciare contro il dorso della sua mano destra abbandonata a penzoloni oltre il bracciolo della sedia da scrivania. Casanova le sta leccando la mano e il bracciale, quello che ancora non è riuscita a sfilarsi, non ci ha nemmeno riprovato in realtà, ha scoperto che le piace e ha paura di usare pinze o qualcosa di simile, non vuole rovinarlo. Semmai dovesse toglierlo per forza, allora troverà il sistema per farlo, adesso non ha voglia né motivo di starci a pensare.
Si alza, infila il soprabito leggero. È aprile, la cappa di gelo del giorno prima sembra solo un ricordo. C'è un vento tiepido che soffia gentile su Venezia, che non increspa nemmeno l'acqua del Canale.
Nadia esce, passando dalla porta sul retro. La macchina fotografica è un peso piacevole a tracolla della spalla, anche se di sera è improbabile che riesca a usarla a dovere senza usare dei faretti. Casanova cammina elegante nella scia dei suoi passi, senza fare rumore.
La chiesa è un blocco bianco che emerge dalla penombra, all'uscita del vicolo. Non c'è molta gente in strada, non ce n'è mai troppa in quella zona della città a quell'ora.
Venezia è bella. Nadia deve riconoscerlo, l'abitudine non toglie niente allo splendore di quella città, anche se lei crede che il mondo sia pieno di tante altre cose belle da vedere.
Casanova balza agile e aggraziato su un muretto, la coda diritta, con la punta che dondola, i suoi occhi brillano leggendo le ombre degli edifici. Ad un tratto il gatto si arresta emettendo un sibilo, si volta di scatto e salta giù dal muretto alle spalle di Nadia. La ragazza ha un sussulto, anche lei si gira, guarda il suo micio rizzare il pelo, la coda dritta come un palo e gli occhi scintillanti puntati davanti a sé, le zampe ben piantate sul selciato, le orecchie tese, quasi come a volerla difendere da qualcuno che sta tentando di prenderla alle spalle.
Nel silenzio della sera, per qualche secondo si sente solo il soffio di minaccia del felino argentato.
«Accidenti...». Il qualcuno alle spalle di Nadia fa un sobbalzo all'indietro, come preso alla sprovvista, spaventato dal movimento improvviso del gatto.
La ragazza richiama debolmente Casanova che dopo qualche secondo, dopo aver soffiato e sputato in direzione del nuovo arrivato, abbassa la coda e scatta di lato, infilandosi in un vicolo e sparendo tra le ombre.
Ora Nadia fissa il ragazzo, ancora un po' boccheggiante per lo spavento. E non è il solo ad aver rischiato un infarto.
«Lei? Ma che cosa... che diavolo?» non riesce ad articolare le parole. Low Key Laufeyson, Loki, o come accidenti si chiama, prima o poi si beccherà un ceffone o un calcio in mezzo alle gambe. Sì, le piacerebbe davvero assestargli un bel colpo, tanto per lasciargli un ricordo di Venezia.
«Scusa», come se le avesse letto nel pensiero, lui alza le mani in una specie di segno di resa. «E prima che tu me lo chieda, non ti stavo pedinando».
Nadia non è sicura di aver pensato una cosa del genere, ma ora che lui l'ha detto quasi quasi comincia a farci un pensierino.
«Buono a sapersi» borbotta, quasi soffiando come il suo gatto. «E allora stavi pedinando Casanova?». Smette automaticamente di dargli del lei, a un certo punto le sembra ridicolo, quanti anni avrà quel tizio? Ventotto, ventinove? E il suo gatto stava per sbranarlo. Sì, le formalità possono essere anche messe da parte.
«Chi?... no, ero uscito per fare una passeggiata. Nemmeno mi ero accorto che eri tu qualche metro più avanti».
Nadia non sa se crederci. Il modo di parlare di quel ragazzo sembra così... non sa come descriverlo, ma in quel momento le viene da pensare che il serpente che era andato da Eva per convincerla a mangiare la mela dovesse aver avuto più o meno quel tono. Il tono di un mentitore molto abile. Però, volendo essere razionali, non avrebbe alcun motivo per mentirle e non le farebbe del male visto che il suo nome è registrato tra gli ospiti dell'albergo della sua famiglia, giusto?
«Mi dispiace se il mio gatto ti ha spaventato» dice Nadia. Se lui non vuole farle del male, lei non ha nessun motivo di non essere civile e cortese.
Loki si stringe nelle spalle e fa qualche passo verso di lei, avvicinandosi al cono di luce proiettato da un lampione.
Ora che lo vede meglio, si accorge che si è cambiato i vestiti, ma il suo abbigliamento non è meno austero. Indossa una camicia grigio chiaro senza cravatta, il soprabito e i pantaloni sono di uno strano colore scuro che dovrebbe essere grigio, ma sembra più una tonalità molto cupa di verde. La sciarpa di seta invece non l'ha tolta, dev'essere proprio un suo vezzo personale. E ha anche un colorito molto più sano e un viso decisamente più riposato.
In un primo momento Nadia si chiede quando è successo che sia arrivato il suo bagaglio con i vestiti, poi pensa a Sara, al fatto che aveva ragione, quel tizio ha qualcosa di intrigante e non è affatto male. Però non ce lo vuole tra i piedi...
«Quella è una macchina fotografica?» domanda all'improvviso Loki, indicando la tracolla che le pende sotto il braccio.
Nadia annuisce sbrigativa. «Io dovrei andare a... sì, insomma...»
«Posso accompagnarti?».
No, mille volte no.
«Penso che ti annoieresti, Loki. Io sono un po' musona quando mi occupo di questa roba»
«Non dobbiamo conversare per forza, ma ho lasciato la cartina in albergo e ho paura di perdermi».
Scuse, ovvio, scuse piuttosto scontate tra l'altro. Ma Nadia non conosce un modo educato per dire a una persona di non passeggiare in sua compagnia, oltretutto Venezia è suolo pubblico e se Loki vuole andare dove va lei non c'è modo di impedirglielo. Tra l'altro, appurato che il tizio non dovrebbe essere pericoloso – sulla base di un ragionamento molto approssimativo, che Nadia non sa fino a che punto sia esatto – potrebbe essere anche un'occasione per spezzare la routine delle sue passeggiate serali da sola.
«Per questa volta faccio finta di cascarci, Loki» conclude la ragazza, con un mezzo sorriso, voltandosi e cominciando a camminare.    

***

La curiosità è la madre di ogni conoscenza. Loki ne è profondamente convinto, per questo si ritiene un curioso, perché la conoscenza gli è sempre interessata, è un potere maggiore della forza bruta e a differenza di quest'ultima, può essere acquisita da chiunque. Ed è stata la curiosità a spingerlo a trascorrere quella giornata a guardarsi intorno, tra gli umani che vivono in quell'albergo nella città sull'acqua. Per quanto li ritenga insulsi, Loki non può non essere curioso riguardo a creature così diverse dalla sua natura, per questo le ha osservate durante il giorno, mentre la ragazza – che ha appurato, si chiama Nadia – era impegnata a fare altro e lui non poteva starle vicino e assorbire energia dalla pietra.
Ha osservato la sua famiglia e alla fine ha concluso che la casa in cui è cresciuto non è affatto la gabbia di matti peggiore dell'universo, come talvolta gli era capitato di pensare.
La vita di quegli umani è piena di piccole cose che si ammucchiano davanti alle cose veramente importanti, fino a seppellirle.
Non ha scoperto granché su Nadia, su come avvicinarla e come suscitare il suo interesse, ma ha deciso comunque che appena avrebbe messo piede fuori dall'hotel l'avrebbe seguita.
È stato umiliante fingersi spaventato per quello stupido gatto e sforzarsi di non apparire seccato quando lei lo ha scoperto. Per non parlare di quel: «e prima che tu me lo chieda, non ti stavo pedinando», per i corvi di Odino! Ha detto menzogne migliori, in circostanze in cui era assai più divertente e necessario farlo. Però lei se l'è bevuta... quella del fatto che aveva dimenticato la cartina in albergo e temeva di perdersi invece no.
Oh, quando tutto questo sarà finito si divertirà moltissimo a farle pagare tutte queste umiliazioni, e quelle che verranno. Perché Loki lo sa che ce ne saranno altre.
Ma una cosa alla volta. La pazienza è sempre stata una delle sue migliori virtù. Ora deve pensare ad arrivare in fondo a questa serata.
Nadia cammina pochi passi avanti a lui, senza dire niente – ovviamente non ha nulla da dirgli. La macchina fotografica penzola al suo fianco. Le piace fare fotografie, quindi. Sì, su Midgard dovrebbe essere una specie di forma d'arte o qualcosa del genere, abbastanza simile alla pittura probabilmente. Ah, gli animi artistici, così pomposi e inutilmente complicati!
Loki cerca di concentrarsi su altro, prima che il suo istinto di torcerle il collo abbia la meglio. Cerca di concentrarsi sull'enorme energia che sprigiona dalla pietra e che lui sente aleggiare nell'aria come un profumo. Gli basta aprire i palmi delle mani, concentrarsi su quelle onde che attraversano impercettibilmente l'aria, per incanalare quel potere. È naturale che quell'energia magica scorra verso di lui e che si lasci assorbire dalla sua pelle, lui è un asgardiano, lui conosce i misteri di quella forza, e quando ne avrà raccolta abbastanza...
Quando ne avrai abbastanza, cosa farai?
Non lo sa, non ci ha ancora pensato. Ma di certo sarà forte tanto da poter contrastare ogni minaccia, da non dover più temere che Thor o Thanos lo scovino.
Loki ha totalmente perso la cognizione del tempo, ma le stelle in cielo ora sono nitide e la luna è una virgola d'argento perfettamente delineata. E Nadia continua a camminare. È una buona cosa, vuol dire che avrà ancora più energia da raccogliere.
«Hai cenato?» domanda all'improvviso la ragazza, fermandosi di colpo al margine di una piccola piazza. Nell'aria c'è un odore zuccheroso e gradevole, ma lui non ha tempo per queste cose. Lui è un dio, non ha bisogno di nutrirsi così spesso come gli umani.
«No, non sono particolarmente affamato» risponde.
Nadia ridacchia sommessamente. Cosa diamine ci troverà da ridere?
«Ma qui non si sta parlando di fame. Si sta parlando di tentazione calorica».
Loki non ha idea di cosa lei stia dicendo, non vuole nemmeno saperlo, vuole continuare a camminare in silenzio ed essere lasciato in pace a fare ciò per cui è venuto.
«Crema o cioccolato?» insiste lei e gli sorride. Maledizione, potesse stringere una mano intorno a quel collo e cancellarle quel sorriso dalla faccia!
«Come dici?» si ritrova invece a mormorare con un mezzo sorrisetto spaesato che lo fa sentire un perfetto idiota.
«Uhm, sei più tipo da crema tu». Detto questo Nadia si allontana in direzione di un negozietto davanti al quale se ne sta raccolto un crocchio di ragazzi, con in mano del cibo avvolto in tovaglioli di carta. Sul manifesto accanto alla porta del negozio c'è scritto: aperto fino a mezzanotte – bomboloni caldi.
Bomboloni. A Loki la parola fa venire in mente qualcosa di molto grande e minaccioso. Qualcosa di... qualcosa di enorme, verde e arrabbiato. Il solo ricordo basta a fargli venire male in tutte le ossa, quel maledetto mostro dissennato!
Nadia riemerge dal crocchio di ragazzi con in mano due cartocci.
«Tieni» gli dice allungandogliene uno. Loki lo afferra, senza provare nemmeno a opporsi o a fare domande, non servirebbe, la ragazzina è esuberante e sicuramente cocciuta e insistente. Andrebbe d'accordo con Thor, senz'altro. Pensa spesso a lui, ci pensa più spesso di quanto vorrebbe, ci pensa ogni volta che è irritato per qualcosa.
«Grazie» dice poco convinto, guardando il cibo avvolto nella carta. È qualcosa di tondo e soffice, coperto di zucchero e odora di buono, e lui davvero non ha tempo per queste cose. Ma visto che in quei giorni il suo tempo sarà quello della ragazza umana, tanto vale abituarcisi.
Si siedono su una panchina di pietra fredda. Freddo come il vento che soffiava nella desolazione di Jotunheim, come il suo stesso sangue. Loki si rende conto di quanto la sua mente sia fragile alle volte, di come certi ricordi dolorosi e molesti riescano a riaffiorare in superficie con troppa facilità, senza che lui possa fare niente. Stringe le mani che sente gelide attorno al cartoccio caldo. Assaggia.
Beh, non tutto il cibo in quel posto fa schifo.
«È buono» si trova costretto ad ammettere. Un po' perché gli viene spontaneo, un po' perché ora che è distratto e non riesce ad assorbire l'energia della pietra il silenzio gli da quasi fastidio e i ricordi di cui è popolato gli fanno paura.
«Sembri stupito. Non hai mai mangiato un bombolone in vita tua?» chiede Nadia.
«Sarebbe così strano?». Loki sente i granelli di zucchero attaccarsi al bordo delle labbra.
Nadia sgrana gli occhi,
«Sei un vampiro?» le chiede, fingendo un'aria spaventata.
«No, direi di no».
«Se lo fossi, diresti di no comunque».
«Allora immagino tu non abbia altra scelta che prestare fede alla mia parola» conclude lui.
La ragazza inclina la testa,
«Mah, considerando che ti ho visto mangiare, posso anche sincerarmi da sola che tu non sia un vampiro» asserisce, arricciando le labbra.
«Molto logico. Perché la mia parola non ti basterebbe, dico bene?».
Ora Nadia sta aggrottando le sopracciglia in un'espressione da combattimento verbale.
«Mi hai mentito prima. La scusa della cartina dimenticata in albergo era abbastanza triste e tu mi sembri un ragazzo intelligente» borbotta. Non è risentita, ci tiene solo a precisare che non è stupida.
«Quindi o soffri di solitudine o forse entro mezzanotte mi avrai fatta a pezzi e gettata nel Canale».
Sarebbe allettante...
«Non voglio farti a pezzi e gettarti nel Canale».
 Non entro la mezzanotte di oggi, almeno...
Ora c'è qualcosa di dolce nel sorriso di Nadia, la guerriera ha abbassato le armi. Come sono materne le donne su Midgard, si inteneriscono per niente. Soffrire di solitudine, lui? Che sciocchezza!
«Sei una specie di trafficante, un terrorista in fuga, un criminale che si sta nascondendo?».
Loki stavolta non riesce a capire fino a che punto la domanda della sua interlocutrice sia seria e fino a che punto lei stia solo scherzando. In realtà è un po' tutte quelle cose messe assieme, secondo la logica umana, e Nadia forse davvero non è stupida. Ma lui è il dio dell'inganno, lui sorride nel modo più amabile e convincente che riesce a trovare.
«Certo che no» dichiara, riuscendo a mantenere la voce perfettamente ferma, il suo sguardo puntato in quello della ragazza. «Ma visto che non ti fidi della mia parola, sei libera di continuare a pensare che potrei esserlo».
Gli crede, evidentemente, perché fa una specie di cenno di assenso e gli fa un altro sorriso.
Finiscono di mangiare il dolce in silenzio. Nadia ha l'aria di una che avrebbe ancora molte domande da porre ma non lo fa, per educazione forse, o magari perché anche lei è stanca di parlare. Loki pensa che se vivesse in una casa come la sua sarebbe stanco anche lui di avere a che fare con le altre persone.
Si alzano dalla panchina, si addentrano in vicoli deserti e stretti dove sono i gatti randagi a farla da padrone. La luna getta un riverbero argenteo sul ciottolato levigato e reso irregolare dalle maree, nel silenzio si sente solo lo sciabordio leggero dell'acqua che scorre sotto i ponti e contro gli argini.
Nadia si ferma di colpo alla fine di un vicolo cieco, dove c'è una casa con le finestre prive di vetri. Si avvicina a quell'edificio con aria sorridente e osserva la porta chiusa da una trave inchiodata alla buona.
«Devi entrare lì dentro?» domanda Loki.
«Sì, credo proprio di sì». Lo dice come se fosse un infante che sta scegliendo il giocattolo nuovo da farsi regalare per il suo compleanno, sembra entusiasta.
«È un rudere». Loki si sente in dovere di ribadire l'ovvio visto che lei non sembra molto conscia della cosa.
«Certo»
«Quindi tu fai fotografie alle case in rovina».
Nadia interrompe la sua ispezione dell'edificio fatiscente e si volta verso di lui, facendo cenno di sì con la testa.
«E, dimmi, queste tue fotografie riscuotono molto successo?»
«Intendi di recente?» borbotta lei mordendosi il labbro.
«Come immaginavo».
La ragazza si volta di scatto, ha di nuovo quell'espressione corrucciata e sta incrociando le braccia sul petto.
«Tutto il mondo fotografa la parte bella di Venezia, io fotografo posti come questo. Mi... mi piacciono le cose spezzate» dice, agguerrita come l'intero esercito di Asgard.
«Bene. Se la cosa ti aggrada, fai pure» borbotta Loki, fingendo persino una certa arrendevole complicità. No, decisamente non ha voglia di mettersi a questionare sui discutibili gusti di quella stramba umana, ma quando la vede sollevare l'anta di legno di una finestra e arrampicarsi per scavalcare il davanzale, strabuzza gli occhi perplesso.
Sta pensando a una trave che si stacca e che le cade in testa. Sta pensando a lei che muore con il cranio fracassato. Sta penando alla pietra che si spegne per sempre e a se stesso che rimane inchiodato lì senza risorse. Brutti, bruttissimi pensieri.
Loki si lancia verso il davanzale, pianta i palmi delle mani sul parapetto di marmo e si da una spinta.
«Che stai facendo?» borbotta la ragazza a mezza voce.
«Se ti dovesse capitare qualcosa, non saprei come ritrovare la strada per tornare in albergo» replica lui, atterrando con un balzo agile sul pavimento di pietra impolverata.
«Molto premuroso, grazie».
La ragazza armeggia con qualcosa che ha estratto dalla custodia della macchina fotografica. Una specie di torcia con una manovella che Nadia ora sta facendo girare energicamente, producendo uno strano ronzio.
La torcia si accende, una bolla di luce incerta illumina l'interno della casa fatiscente. I muri sono spogli, corrosi dal tempo. Mattoni rossi sono visibili sotto l'intonaco scrostato del soffitto.
A terra sono disposti alcuni materassi vecchi, coperte, vestiti strappati ammucchiati negli angoli a prendere polvere. L'aria sa di chiuso e di sporco.
Loki si chiede se non sia più semplice prendere in ostaggio la famiglia della ragazza per obbligarla a starsene ferma e lasciargli assorbire l'energia della pietra. Ma la famiglia di Nadia ha un maledetto albergo, è circondata di persone, sarebbe troppo complicato e richiederebbe troppa fatica.
«Se ne sono andati davvero» mormora all'improvviso la ragazza, strappando il dio dell'inganno alle sue elucubrazioni.
«Sì, me ne andrei anche io da un posto come questo» si ritrova a ribattere lui con un sospiro spazientito.
«Qui ci vivevano degli zingari che per non so quale ragione erano stati cacciati via dal loro campo» spiega Nadia.
Loki si rende conto che sta per ascoltare una storia insulsa, noiosa e inutile.
«Interessante» mormora distrattamente, guardando un grosso ragno risalire lungo un pilastro scoperto.
«Per un po' sono stati qui, c'erano anche dei bambini. Gli ho portato da mangiare e in cambio loro si sono lasciati scattare delle foto».
La ragazza scatta foto di relitti umani dentro a relitti di edifici. È parecchio perversa.
«Ne è venuto fuori un servizio fotografico stupendo, una cosa che nessuno ha mai fatto» insiste Nadia stringendo i pugni. La luce della torcia si sta affievolendo.
«Ne sono certo» annuisce Loki, reprimendo uno sbadiglio.
«Ma quella testa di cazzo del gallerista ha detto che non lo esporrà, perché non è idoneo. Idoneo, così ha detto. Perché la gente quando pensa a Venezia deve poter vedere i monumenti e le gondole e i piccioni... sai che ti dico? Che si fottano i piccioni!».
Oh, e così la piccola Nadia ha anche un lato scurrile, basta solo farla surriscaldare un po'.
«Che si fottano i piccioni» ripete Loki.
Lei scoppia a ridere, ride anche lui. Ridono entrambi, di gusto, ma per motivi ben diversi.  

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Note, varie ed eventuali:

Cinque minuti di sentimentalismo, affidati al buon Cap., l'idea di fondo sarebbe quella di far vedere un po' tutti i Vendicatori nei vari capitoli, prima che vengano inseriti nella trama principale (perché loro saranno inseriti nella trama principale) della storia, anche perché di solito, quando scrivo una fanfiction su un film è perché io amo TUTTO del film e quindi, chi più chi meno anche tutti i suoi personaggi. E mi piaceva mostrare Steve e Bruce (per il quale ho un'enorme tenerezza) in un momento di normalità, intenti a fare pensieri sereni.

E sì, anche un momentino di sciocca normalità e non-prendiamoci-troppo-sul serio tra Nadia e Loki volevo proprio scriverlo. Perché in seguito non ci saranno più molte occasioni.


   
 
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