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Autore: Horanshuge    07/06/2012    0 recensioni
Premettendo che probabilmente sono errati alcuni verbi vi prego di non farvi attenzione, o magari se avete voglia correggete ahahah. Il titolo l'ho inventatao ora per cui non so se sia giusto o meno e per il titolo del capitolo non so cosa mettere ahahah :) Un'altra cosa non sapevo se aggiungerlo tra le FF o nelle storie originali perchè all'inizio aveveo iniziato a scrive una FF su di loro poi boh..per cui vedrò come trasformarla :) Grazie se la leggete e mi piacerebbe ricevere pareri xx Martina
PS: Non fate caso agli avvertimenti, non sapevo che mettere D:
Genere: Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi guardo attorno, niente è più come una volta. La mia camera, è cambiata. Ora più che mai, è vuota..non ci sono più ne poster, libri, il mio pianoforte, niente di tutto ciò che si dovrebbe trovare nella mia camera. E’ piena di scatoloni, pronti a partire su un camion diretto all’aeroporto di Milano e prenderanno poi un aereo per Londra. E così farò anch’io, prenderò un aereo che mi porterà a più di 1.200 km di distanza dalla mia casa. Parto. Non voglio più saperne nulla di questo posto, lascio tutto e tutti. Questa casa è piena di ricordi, ricordi che fanno male. Sono successe troppe cose quest’anno, che m’hanno completamente cambiata. Tutti gli amici che lascerò, farò finta che non siano mai esisti.. Sono sul mio letto. Troppi ricordi anche su questo, ..quel ragazzo.. Mi scende una lacrima, ma alzo lo sguardo in modo tale da non fare vedere a nessuno che sto piangendo, anche se nessuno è presente. Manca poco, sono quasi le 17 e il camion verrà a prendermi per le 17.15. In fondo mi mancherà tutto ciò, ma voglio ricominciare. Respiro per l’ultima volta l’aria della mia vera casa. Mi sollevo delicatamente come se non fossi mai stata sopra a quel letto, predo borsa e il trolley con alcuni dei pochi vestiti che ho voluto tenere e m’incammino verso la porta. Mi volto e dico segretamente addio con amarezza alla mia casa. Sto per andarmene, non ci credo nemmeno io. Apro dolcemente quella porta sopra alla quale è presente ancora un bigliettino che dice:Cambierà te lo prometto. Lo prendo, lo stringo tra le mie dita e lo gettò con cattiveria a terra. Sono fuori, finalmente fuori da quella casa. Sono arrivati i ragazzi che prenderanno gli scatoloni nella mia camera per poi portarli nel camion. Una volta che ebbero finito di caricare tutto prendo le chiavi dalla tasca destra del mio giubbino blu, e le infilo nella serratura per l’ultima volta,poi le rinfilo nuovamente nella tasca..credo che le conserverò, per un bel po’ di anni hanno comunque fatto parte di me. Mentre il camion parte io aspetto il taxi che ho chiamato poco prima. Eccolo, salgo e dico all’autista di dirigersi verso l’aeroporto Linate. Durante il breve percorso con il taxi guardo attentamente tutte le strade di questa città, noto dei ragazzini giocare a pallone lungo la strada e uno di loro grida: macchina!!! Si scostano. Il taxi si ferma, sono arrivata, l’autista mi dice che sono 40 €. Scendo, prendo il trolley e mi dirigo verso l’interno dell’aeroporto. La coda al check-in è abbastanza lunga ma non importa. All’improvviso sento qualcuno che mi abbraccia da dietro. Mi volto impaurita, non riesco a pensare. Incredula a quello che stavo vedendo sbatto più volte gli occhi per essere sicura che fosse vero. Era Camilla, l’unica amica che mi era stata veramente accanto in quel periodo tanto disastroso, ma che avevo deciso di eliminare comunque dai miei ricordi. Camilla è la ragazza più dolce, ma allo stesso tempo tenace che avessi mai conosciuto. Sorride. Mi dice che è contenta di esser riuscita a trovarmi, immaginava che me ne sarei andata, e immaginava anche dove. Ero senza parole non avrei mai immaginato che sapesse tutto ciò. Con gioia mi mostrò il suo biglietto, era diretto a: Heathrow volo AZ 07052. Rimasi senza parole. Aveva un biglietto del mio stesso volo. L’abbracciai e scoppiai in lacrime da quanto ero contenta, non pensavo che ci sarebbe stato qualcuno che sarebbe partito con me per la Gran Bretagna. Rimasi abbracciata a lei per un buon quarto d’ora, e finalmente toccò a me. Aspettai che Camilla, e poi m’imbarcai insieme a lei. La giornata era cambiata in un attimo. Ovviamente io e Camilla eravamo divise, per cui passai l’ora e mezza di viaggio, a vagare nella mia mente insieme ai mille problemi e pensieri che la riempivano. Iniziavo ad avere dei ripensamenti, pensavo di aver sbagliato ad aver mollato tutto, ma poi capii che avevo fatto la scelta giusta, Milano non m’aveva mai portato tanta fortuna ne amorosa ne economica. Come se niente fosse quell’ora e mezza passò. Scesi dall’aereo e insieme a Camilla ci dirigemmo a ritirare i bagagli. Per la sistemazione non c’erano problemi avremmo trascorso almeno un mesetto in un Hotel poco distante dal centro, e poi quando avremmo trovato un lavoro fisso e iniziato a guadagnare soldi saremmo andate a vivere in un appartamento. Prendemmo i bagagli, e diedi uno sguardo all’orologio del mio telefono, erano le 17.10 il fuso orario mi aveva confuso le idee anche se la differenza d’orario è di solamente un’ora. L’albergatore al telefono mi sembrò una persona molto puntuale che odiava i ritardi e mi disse che mi aspettava alle 17.40 per l’anticipo. Sbattei le palpebre più volte come per cercare di capire cosa c’era che non andava. Dopo qualche minuto realizzai che ero in ritardo e per questo dovevamo muoverci, nell’uscire la gente che entrava nell’aeroporto ci travolse e queste ci divisero io da una parte e Camilla non so dove. Urlai per tutto l’aeroporto il suo nome come una povera pazza, correvo, correvo all’impazzata il tempo scorreva e io non trovavo ancora Camilla; ad un certo punto m’imbattei in contro ad un ragazzo. Mi cadde la borsa e le cose al suo interno uscirono, mi detti una mossa nel raccogliere il tutto e quel ragazzo gentile mi dette una mano. Non mi accorsi di chi fosse, notai solamente che attorno ad egli erano presenti degli uomini forzuti vestiti di nero, con occhiali scuri, e un auricolare che ogni tanto si toccavano nell’orecchio destro, e più avanti a questi altri ragazzi, credo fossero tre o quattro non li stetti ad osservare. Ringraziai il ragazzo con cui mi ero scontrata per avermi aiutato a raccogliere i vari oggetti, e dopo di che scappai. Nella corsa però persi qualcosa, non capii cosa, ma avevo sentito un oggetto cadere dalla tasca del mio giubbino, non mi preoccupai, avevo cose più importanti a cui pensare, dovevo trovare Camilla. Poco dopo la ritrovai seduta nell’area d’attesa. Finalmente uscimmo. Chiamammo un taxi come ognuno di noi ha visto fare nei grandi film e subito dopo aver gridato e agitato la mano dicendo: Taxiii! Ci guardammo e scoppiammo a ridere. Salimmo su uno di quei taxi gialli, che appunto vedi solo nelle grandi metropoli o nei film, e dicemmo all’autista di dirigersi a Great Cumberland 34 all’hotel “The Montcalm”. Dall’aeroporto ci volle una mezz’oretta, quindi, se già non eravamo in ritardo prima, ora più che mai. Arrivati a destinazione scendemmo e il taxista ci diede una mano a scaricare le valige mi disse che erano 56,73£, frugai nella tasca del mio giubbino, ma non lo trovai, così senza preoccuparmi, cercai nell’altra ma non c’era, in tanto che cercavo dentro alla borsa, chiesi a Camilla se potesse pagare lei. Niente. Frugai in tutte le tasche ma tutto ciò che trovai erano cose che non assomigliavano nemmeno lontanamente ad un portafoglio. Ebbi un flash. Il portafoglio doveva essermi caduto dal giubbino quando dopo aver ringraziato il ragazzo me ne ero andata di fretta, incurante del suono che aveva provocato quel mio oggetto cadendo atterra. Dentro avevo i soldi dell’anticipo per l’hotel, la carta d’identità, il passaporto, la carta di credito e il numero del’hotel in cui mi trovavo. Il numero dell’hotel! Ritrovai immediatamente la speranza! Di certo la persona che aveva trovato il mio portafoglio avrebbe chiamato, pensai. Camilla, nel frattempo si era resa disponibile nel pagare l’anticipo dell’hotel. Non si faceva mai problemi quando c’era da pagare qualcosa, veniva da una famiglia ricca e i suoi genitori avevano conti in Europa e in America, così facendo ovunque lei andasse aveva i soldi a sua disposizione. Alla reception l’uomo con cui parlai al telefono una settimana fa era arrabbiato. Erano le 18.28 ed eravamo in ritardo. Camilla per far placare la sua rabbia, lo “comprò” diede dei soldi in più di quanti ne doveva per la sola caparra, e improvvisamente l’uomo cambiò espressione, da arrabbiato, come se dovesse sbatterci fuori dall’hotel, a quasi come illuminato, alla vista di così tanti quattrini. Un ragazzo che si trovava alla reception ci porto alla nostra camera e ci ricordò che la cena sarebbe stata pronta per le 20.00 e si congedò. Erano le 19.00 e ed ero ancora molto stanca dal viaggio, avrei voluto dormire per ore e ore, ma Camilla mi disse che non potevo. Secondo lei dovevo farmi bella, in caso in hotel ci fosse stato qualche bel ragazzo. A me sinceramente non interessava, ne avevo avuto abbastanza a Milano, ed ero venuta qua per cambiare vita. Camilla passò circa mezz’ora in bagno per truccarsi e vestirsi. Non posso negare che quando uscì era meravigliosa, indossava un vestito corto color smeraldo con delle perline lungo la parte superiore che andavano a creare un disegno articolato che ne valorizzava il vestito. Io ero decisa invece ad indossare un paio di jeans e la mia maglietta preferita, quando Camilla si mise tra me e la porta che ci separava dal corridoio, dicendo che se fossi uscita in quel modo se ne sarebbe andata da Londra. Ammetto che appena la sentii dire ciò scoppiai a ridere, ma vendendo l’espressione seria che era sul suo viso cambiai idea e mi andai a cambiare, o almeno cercai qualcosa con cui cambiarmi. Nel trolley avevo portato con me solo quei due o tre vestiti, ma che non mi soddisfa vano. Dissi a Camilla che sarei andata a cena così con la maglietta e i jeans. Mi rise in faccia e mi prese per mano portandomi fino alla sua valigia, e mi mostrò vari vestiti, dicendomi anche a che avevo libera scelta. C’erano numerosi vestiti, ma io decisi di prendere il meno appariscente era blu e non aveva più di tante perle, l’unica decorazione presente era un fiocco d’argento. Finalmente uscimmo da quella stanza, ci dirigemmo verso le scale e andammo verso la sala ristorante. Un cameriere sulla porta della sala ci accompagnò al nostro tavolo, sopra al quale era presente un numero, lo stesso della nostra camera: 98. La cena non era male, anzi a me non era per niente dispiaciuta. Al contrario di quello che dicono tutti gli italiani che tornano dall’Inghilterra. Ci alzammo, e senza fretta ci dirigemmo verso la nostra camera. Una volta entrate io mi fiondai sul letto come un peso morto, il letto emise un suono sordo, mi risollevai e guardai dopo tanto il cellulare. Avevo ancora una foto di lui come sfondo, non l’avevo ancora eliminata. E senza nemmeno pensarci la eliminai, senza alcun rimorso, anzi ero orgogliosa di me stessa. Mi arrivò poi un messaggio. Ma non ne ebbi, ne voglia ne tanto meno il coraggio, così lo spensi. I miei pensieri passarono subito ad un’altra cosa, ben più importante di uno stupido messaggio: il mio portafoglio. Mi stavo chiedendo perché la persona che l’aveva trovato non avesse chiamato il numero dell’hotel, speravo che la reception prima o poi mi chiamasse dicendo che un tale era sull’atra linea dicendo di aver ritrovato il mio portafoglio. Mentre pensavo a tutto ciò mi addormentai, Camilla mi coprii con un telo e successivamente andò anche lei a dormire. La mattina seguente fui svegliata alle 9.35 dalla sveglia principale impostata sul mio cellulare. Ormai mi ero già svegliata per tornare a dormire, di conseguenza mi alzai e mi diressi verso il bagno e mi cambiai. Alle 10.00 ero pronta per andare a far colazione al contrario di Camilla che stava ancora dormendo. Non la svegliai, non volevo disturbarla. Una volta arrivata nella sala ristorante, non ebbi nemmeno il tempo di sedermi che il padrone dell’hotel mi chiamò, ammetto che ero abbastanza intimorita dal quel tipo, era calvo e aveva due occhi talmente tondi che una palla da golf non era poi così tonda. Mi scortò alla reception e mi disse che c’era una telefonata per me, subito pensai che fossero dei miei compagni d’università che chiedevano il perché della mia assenza, invece era un tipo di nome Paul che diceva di aver ritrovato il mio portafoglio in aeroporto e che all’interno erano presenti soldi, carta d’identità, passaporto e carte di credito. Esternamente non mostrai la mia felicità, ma all’interno scoppiavo dalla gioia, avevo ritrovato il mio portafoglio con tutto al suo interno! Il signor Paul mi disse che purtroppo non aveva tempo di venire a portarmi il portafoglio in hotel, per cui mi disse che avrebbe fatto arrivare un’automobile, che poi mi avrebbe accompagnato nell’hotel nel qual si trovava e che l’auto sarebbe passata per le 21. Riposi il telefono al suo posto e ringraziai il padrone per avermi passato la chiamata. Ritornai nella sala ristorante dove poco prima della chiamata stavo per mettermi a far colazione. Camilla non era ancora scesa, ma decisi di non andarla a chiamare e di farla riposare un altro po’. La colazione era particolare, non come quella italiana, dove si mangiano croissant o una fetta biscottata con nutella o marmellata a proprio piacere, tutto il contrario. Nel piatto c’erano della uova, due fette di bacon, dei pomodori e dei wurstel, rimasi abbastanza scioccata alla vista di questo cibo così pesante nel piatto. Così l’unica cosa che presi per colazione fu del the perché il caffè inglese non era di mio gusto. Una volta terminato di bere il mio the mi alzai da tavolo e mi diressi verso le scale lungo le quali incontrai Camilla che aveva ancora un po’ spettinati per come aveva dormito, mi disse di aspettarla in camera e nel frattempo di prepararmi perché oggi saremmo andate visitare Londra! Mi diede le chiavi della camera, e la vidi scomparire dietro alla colonna. Salii fino al piano della camera e una volta di fronte alla porta la aprii dolcemente, per fare in modo che se qualcuno degli altri clienti stesse ancora dormendo non lo svegliassi. Entrai. Mi scivolarono le chiavi dalle tasche emettendo un suono sordo. Trovai un disordine al quanto assurdo perché da quello che mi ricordavo quando ero uscita era tutto in perfetto ordine. C’erano vestiti ovunque, gioielli sul letto, i miei occhiali a terra e tutto quello che si poteva immaginare, sembrava quasi fosse passato un uragano. O meglio, l’uragano Camilla. Dopo poco entrò in camera, mi voltai e le chiesi come mai tutto questo disordine, e lei cautamente mi rispose che non trovava le scarpe da abbinarci il vestito che indossava. La mia reazione fu semplicemente quella di farle rimettere a posto la camera come farebbe una mamma con la propria figlia. Tra scarpe, vestiti, gioielli e borse ci mise un buon quarto d’ora per rimettere tutto in ordine, ma alla fine tutto era al suo posto. Dopo di che mi misi una maglia, un paio di jeans puliti e presi la borsa blu per uscire. Chiusi la porta e insieme a Camilla mi diressi verso la hall, riposi le chiavi al bancone e notai che dietro a questo c’era un’adorabile ragazza dai capelli rossi e gli occhi verdi. Uscimmo dall’hotel e aspettammo un Black Cab che aveva chiamato prima di scendere Camilla. Non era il solito taxi giallo, ma bensì nero,quando salimmo Camilla disse al conducente di dirigersi verso “Covent Garden”, non avevo la più pallida idea di dove ci stessimo dirigendo, le uniche cose che conoscevo di Londra erano il Big Ben, Madame Tussauds, Buckingham Palace, Westminster Abbaey, Tower Bridge e London Eye, ma di questo Covent Garden non ne avevo mai sentito parlare o forse non c’avevo mai prestato tanta attenzione. Arrivammo prima di quando credessi, in meno di dieci minuti eravamo arrivati a Covent Garden. Mentre scendevamo l’autista ci disse il costo della corsa, il quale fu abbastanza caro per poco più di dieci minuti, 16,20 £. Camilla mi disse che non era un prezzo molto alto, per il motivo che i prezzi dei Black Cabs variano a seconda dell’ora, del luogo di partenza, della velocità e anche a seconda di quanto si percorre. Anche da questo punto di vista conoscevo poco Londra, ed ero per questo fortunata ad avere un’amica come Camilla al mio fianco. Non mi ero ancora voltata verso il Covent Garden, e quando lo feci rimasi senza parole. Sembrava un’enorme galleria, quasi come la Galleria Vittorio Emanuele II nella mia Milano, solo che in quest’ultima ci sono dei negozi di grande moda, al contrario invece del Covent Garden di Londra dove numerosi turisti si ritrovano all’interno per vedere i numerosi numeri acrobatici o magici eseguiti da degli artisti di strada, oltre a questo all’interno di questa enorme galleria si trovano, sia negozi di moda che di alimentari. Continuavo a girare su me stessa con il viso rivolto verso l’alto come fanno i bambini, quando vedono cose nuove e hanno voglia di scoprire. Per un momento mi sentii come quando mia madre mi portava nella grande galleria, come la chiamavo io, dove correvo come una matta avanti e indietro come se quel posto appartenesse a me, mi divertivo poi ad andare al suo centro dove c’era uno stemma rosso. Quando smisi di girare, senza fare apposta mi scese una lacrima. L’asciugai subito, per nasconderla a Camilla, ma la vide comunque, odio fare vedere alle persone quando piango. Mi strinse forte come se avesse capito come mai quella mia lacrima solitaria sul mio viso. Covent Garden mi ricordava quella che per molto era rimasta la mia Milano. Ma non era poi così famigliare di famigliare aveva solamente l’aspetto esteriore, la cosa stravagante di Covent Garden erano i mille colori che la avvolgevano, lo strano apple market che si trova all’entrata, le buffe bandierine che sono appese sulla gallerie
  
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