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Autore: Liz Earnshaw    07/06/2012    8 recensioni
La storia si concentra principalmente su Klaus e Caroline. Ci sono comunque tutti i personaggi ed Elena è ormai un vampiro. L'inizio vede Klaus infuriato per questo motivo, poi Caroline farà finalmente la sua comparsa!
Dalla seconda parte dell'8 capitolo:
-L’ho fatto perché… -Prima di continuare, scrutai ancora i suoi occhi, immersi nei miei. Erano celesti, limpidi come l’acqua e bellissimi come il cielo primaverile. Sorridevano sempre. Volevo, desideravo, speravo di vederli un giorno sorridere per me, nei cui confronti pareva riserbassero solo rancore. –Perché credo di provare qualcosa per te, Caroline. L’ho fatto perché volevo vederti felice. L’ho fatto in quel modo perché –sorrisi nervosamente, alzando lo sguardo prima di rincrociarlo al suo, spaesato-, perché io sono Klaus. –Mi fermai, ripensando improvvisamente alla mia stramba vita le cui immagini si ripresentavano, come sempre, nella mia folle testa. -Non ho conosciuto nessuno che mi abbia. –Ancora un’altra pausa, tesa a riprendere il tono della mia voce ormai troppo smozzato. Pensai a mia madre, se così potevo definirla. Accarezzai le labbra e il mento e ripresi, con calma - insegnato ad amare, ad offrirmi, a sorprendere. Non sapevo come dirti dove stessimo andando perché vedevo nei tuoi occhi l’ebrezza e l’eccitazione. Ma non avrei mai potuto colmarla, volevo vederti sorridere col cuore. Volevo vedere i tuoi occhi… brillare come le stelle, quelle che ti ho mostrato l’altra sera. Tutto ciò nonostante non lo facessero con me. Nonostante non lo facciano con me. Non mi importava, seppure non ti ignoro che me ne doleva e duole tutt’ora. Me ne sono convinto sempre più andando lì, ho capito che non avrei mai potuto organizzare qualcosa che rimpiazzasse il tuo bisogno di avere accanto qualcuno che ti ami, qualcuno che tu inspiegabilmente ami. L’ho fatto con rabbia perché… non volevo. Io non volevo farti andare lì, sapendo cosa poi sarebbe successo. –Digrignai i denti e scossi il capo, tentando di non pensarla fra le sue mani. - A cosa sarebbe servito mostrarti Los Angeles? A cosa sarebbe servito parlarti di come l’ho vissuta io, di cosa ho vissuto in tutto questo tempo. Tu pensavi continuamente a lui e questo mi ha fatto render conto della completa inutilità che rappresentavo, in quel momento. –Mollai la presa sulla porta, sedendomi sul letto. –Non potevo farlo con dolcezza, Caroline. Non potevo correre da te e dirti che mi dispiaceva vederti piangere in quel modo. Tyler stava arrivando, avrei rovinato tutto. L’ho fatto per te! –Battei i pugni sul letto. –Lo capisci? –Mi avvicinai, accarezzandole il viso troppo pallido. –Per te. –Terminai, aprendo la porta e fuggendo via da quella dannatissima stanza, evitando così la sua risposta.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Caroline Forbes, Klaus, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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LEGGETE QUESTO CAPITOLO ASCOLTANDO, SE VOLETE, LA SUDDETTA SOOOOONG: http://www.youtube.com/watch?v=LVsrP9OJ6PA&feature=related

POV KLAUS

Caroline era aggrappata al muro, pronta a fuggire definitivamente se l’avessi attaccata. Sentivo le vibrazioni percorrerle il copro, tremante e pronto all’azione. Nonostante tutto cercava in ogni modo di tener ferme le gambe, che esprimevano spudoratamente tutto il terrore da me procuratole.

Le parole, però, si dice siano peggiori di uno schiaffo. Quello morale fa male, quello fisico in qualche modo passa. Metti un po’ di ghiaccio, una pomata e per gli umani è andata. Per noi vampiri il dolore fisico è qualcosa di davvero molto relativo.

Mi voltai, per non vederla in quelle condizioni. Io l’avevo afferrata per il collo, buttata sul muro dove le avevo pure mostrato le zanne affilate. Le immagini si ripresentavano violentemente nella mia mente, dove i particolari, gli sguardi, tutto si faceva più inquietantemente chiaro. Mi sentivo terribilmente in colpa; non avevo mai provato quel sentimento. Neanche quando succhiavo bramosamente l’anima delle mie vittime provavo tutto quel rancore. Era nella mia dannata natura e dovevo farci l’abitudine e oramai quella era diventata l’essenza stessa della mia vita. Ma Caroline? Cosa c’entrava lei con l’ira che avevo dentro? Cosa ci faceva in quell’oscurità dove solo io regnavo e dove la luce non c’era? Nulla. Doveva andarsene. La luce doveva andarsene.

-Caroline, ti supplico. Va’ via! –Cercai di mantenere un tono più calmo, voltandomi e stringendo i pugni raccolti nel maglione che indossavo. La rabbia contenuta dentro stava per esplodere: come mi si poteva accusare di umanità? Chi le aveva concesso il permesso di salire qui e spiattellarmi in faccia la verità?

Si avvicinò, lentamente. Percepii la sua presenza dietro la mia schiena. Lì posò la fronte, accarezzando le mie mani irrigidite.

-Grazie, Klaus. –Affermò, con tono calmo e dolce.

Poi la vidi allontanarsi, prima ancora di incrociare i miei occhi.

Allora capii che dovevo fare qualcosa, mettere da parte l’orgoglio, il rancore, la rabbia e tutto il resto. Dovevo darle delle spiegazioni.

Così, quando aprì la porta la raggiunsi con uno scatto fulmineo, chiudendola ed impedendole in tal modo di andare via. Il tonfo fece eco nelle scale.

Lei si voltò, con aria incerta.

-Klaus? Cosa ti è preso adesso? Tu mi hai detto che dovevo andarmene e lo sto facendo. Ero venuta per ringraziarti e posso tornare a casa tranquilla, adesso.

-L’ho fatto perché… -Prima di continuare, scrutai ancora i suoi occhi, immersi nei miei. Erano celesti, limpidi come l’acqua e bellissimi come il cielo primaverile. Sorridevano sempre. Volevo, desideravo, speravo di vederli un giorno sorridere per me, nei cui confronti pareva riserbassero solo rancore. –Perché credo di provare qualcosa per te, Caroline. L’ho fatto perché volevo vederti felice. L’ho fatto in quel modo perché –sorrisi nervosamente, alzando lo sguardo prima di rincrociarlo al suo, spaesato-, perché io sono Klaus. –Mi fermai, ripensando improvvisamente alla mia stramba vita le cui immagini si ripresentavano, come sempre, nella mia folle testa.  -Non ho conosciuto nessuno che mi abbia. –Ancora un’altra pausa, tesa a riprendere il tono della mia voce ormai troppo smozzato. Pensai a mia madre, se così potevo definirla. Accarezzai le labbra e il mento e ripresi, con calma - insegnato ad amare, ad offrirmi, a sorprendere. Non sapevo come dirti dove stessimo andando perché vedevo nei tuoi occhi l’ebrezza e l’eccitazione. Ma non avrei mai potuto colmarla, volevo vederti sorridere col cuore. Volevo vedere i tuoi occhi… brillare come le stelle, quelle che ti ho mostrato l’altra sera. Tutto ciò nonostante non lo facessero con me. Nonostante non lo facciano con me. Non mi importava, seppure non ti ignoro che me ne doleva e duole tutt’ora. Me ne sono convinto sempre più andando lì, ho capito che non avrei mai potuto organizzare qualcosa che rimpiazzasse il tuo bisogno di avere accanto qualcuno che ti ami, qualcuno che tu inspiegabilmente ami. L’ho fatto con rabbia perché… non volevo. Io non volevo farti andare lì, sapendo cosa poi sarebbe successo. –Digrignai i denti e scossi il capo, tentando di non pensarla fra le sue mani. - A cosa sarebbe servito mostrarti Los Angeles? A cosa sarebbe servito parlarti di come l’ho vissuta io, di cosa ho vissuto in tutto questo tempo. Tu pensavi continuamente a lui e questo mi ha fatto render conto della completa inutilità che rappresentavo, in quel momento.  –Mollai la presa sulla porta, sedendomi sul letto. –Non potevo farlo con dolcezza, Caroline. Non potevo correre da te e dirti che mi dispiaceva vederti piangere in quel modo. Tyler stava arrivando, avrei rovinato tutto. L’ho fatto per te! –Battei  i pugni sul letto. –Lo capisci? –Mi avvicinai, accarezzandole il viso troppo pallido. –Per te. –Terminai, aprendo la porta e fuggendo via da quella dannatissima stanza, evitando così la sua risposta.

POV CAROLINE

Scivolai per terra, buttando il capo indietro e sperando che tutto ciò che avevo udito uscisse per osmosi dalla mia testa. Ovviamente niente sparì, anzi, le sue parole, i suoi, sguardi, la sua voce, le sue mani, continuavano ad assillare il mio cervello. Mi alzai, sentendomene perseguitata. Una parte della mia mente produceva Klaus dietro di me, che continuava a proferire quel maledetto discorso. Per me? E la rabbia era dovuta  alla difficoltà nel portarmi lì. Ecco perché non parlava, ecco perché era rigido. Ora tutto era chiaro. Scesi le scale, sperando di non incrociare quegli occhi colmi di tristezza, di rancore, di imbarazzo, di paura. Sembravano gli occhi di un bambino. Un bambino col corpo e il cervello di un uomo, un adulto, un vampiro. I nostri sentimenti erano sempre ed inaspettatamente grandi, pullulavano di emozioni contrastanti ed evidenti: per noi era difficile nasconderle. Non sapevo cosa avrei dovuto fare, entrai in macchina e cercai di intraprendere, per la prima volta, la sua stessa strada: dovevo trovarlo.

Note dell'autricee:
Bene bene! Devo ammettere che vedere cinque commenti per il capitolo è stata una vera conquista! Per me sarebbe un po' deludente vederne di meno per questo, che è molto toccante e profondo, almeno secondo me. A dire il vero ho riletto più volte la parte di Klaus: l'ho immaginato, ho sentito la sua voce -quella inglese, più che altro-, ho visto i suoi occhi, il suo corpo muoversi e delinearsi in atteggiamenti diversi. Non è per egocentrismo, ma questa parte mi ha stranamente commossa. Vorrei vederla nella serie. Che dite, gliela passiamo? Ahaha Bene, spero di sentire critiche costruttive, come sempre. Un bacione bellee!!
   
 
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