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Autore: mamie    08/06/2012    5 recensioni
Il maestro Asuma è morto e Shikamaru non si dà pace. Crescere di colpo non è facile per nessuno, ma a volte anche la cucina può dare una mano.
[Prima classificata allo Chef Ninja contest di Shark Attak]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Kurenai Yuhi, Shikamaru Nara
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto Shippuuden
- Questa storia fa parte della serie 'Fanfiction in cucina!'
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Storia partecipante allo Chef Ninja contest di Shark Attak: http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=10191846
Attestato di Grande Chef (prima classificata.... su due!)
Premio Critico (più gradito al giudice)
Premio Sommelier (miglior resa dell'IC)
Premio Teuchi (migliore attinenza al mondo del manga)
Premio Fast Food (prima a consegnare)

Piatto: misoshiro
Ingrediente: alga
Personaggio singolo: Shikamaru
Note: Le frasi in corsivo sono riprese direttamente dal manga.

 ZUPPA DI MISO
 
Sto dicendo che ora tocca a noi insegnare. E’ una rottura di scatole, ma non possiamo lamentarci. Anche tu un giorno comincerai a offrire i ramen e ti chiameranno maestro Naruto. Non possiamo restare bambini per sempre se vogliamo diventare ninja straordinari come Asuma o il grande Jiraiya.
Shikamaru – cap 406
 
1. Crescere
 
“Non sei tagliato per la parte del pedone sacrificabile”.
Gliel’aveva detto, perché se lo sentiva che le cose non sarebbero andate come speravano. Gliel’aveva detto, e aveva fatto del suo meglio. Ma a volte fare del tuo meglio non basta. Non è una consolazione sapere che nessuno avrebbe potuto fare di più. Non è proprio una consolazione.
 
Dalla cucina saliva quell’odore intenso di alghe e sale che ha solo la buona zuppa di miso, insieme al profumo solleticante dei cipollotti freschi. Sentiva quasi, sotto i denti, la consistenza leggera e pastosa del tofu fresco e dentro le guance il calore confortante del brodo bollente. Era un odore rassicurante, un odore di casa, di serate fredde e di famiglia.
La maestra Kurenai stava sciogliendo lentamente la pasta di miso nel brodo. Shikamaru la osservava i suoi gesti lenti e precisi senza dire niente.
Era passata una settimana dal funerale di Asuma e lui la andava a trovare tutti i giorni. Non era solo il dovere a spingerlo, la promessa fatta al suo maestro, era piuttosto una sorta di bisogno, quello che restava di un legame che non voleva, che non era ancora pronto per rompere.
 
“Se paragonassimo le pedine dello shoji ai ninja della Foglia tu, Shikamaru, saresti il cavallo. Perché non hai tanta forza, ma hai la capacità di saltare i pezzi e portarti avanti…”
Asuma era stato capace di vedere dentro di loro: di vedere la farfalla danzare dentro il corpo goffo di Choji, di vedere il cinghiale forte dentro le insicurezze di Ino, di vedere il cervo saltare dietro la pigrizia e l’indolenza di Shikamaru; solo che il suo portarsi avanti non era stato sufficiente a salvare il suo maestro. No, nessun salto brillante, nessuna tecnica perfetta, a volte niente ti può strappare alla morte. 
La morte è sempre accanto a te. Non te lo insegnano, ma di sicuro è una delle prime cose che impari a Konoha. La morte si prende chi vuole, non le interessano i voti e i pianti, o la disperazione di chi resta.
 
Kurenai stava tagliando l’alga wakame a striscioline sottili. Shikamaru guardava affascinato le sue mani manovrare il coltello affilato ad un soffio dalle sue dita. Anche sua madre faceva così. Non era mai successo che si tagliassero via un dito, anche se a vederle sembrava la cosa più probabile che potesse succedere. Era come se avessero imparato una tecnica segreta e potente, eppure quante donne sapevano fare lo stesso pur non essendo ninja?
Fare qualcosa e farla bene… tagliare le verdure, lavare il pavimento. Perché improvvisamente quei gesti banali, che lui aveva sempre disprezzato, gli sembravano così importanti?
Kurenai prese il mucchietto di alghe che brillavano sul tagliere col loro verde intenso e le mise nella zuppa calda. Shikamaru non disse niente. A lui non piaceva l’alga wakame nel misoshiro, ma si sentiva strano. Era seduto in quel posto, che forse era il posto del maestro Asuma, e la maestra Kurenai gli stava preparando la zuppa di miso, proprio come forse aveva fatto tante volte con lui, mettendoci le cose che a lui piacevano.
 
Si era ricordato di come, prima della loro partenza, il maestro Asuma si era fermato a guardare di lontano quella finestra. Adesso capiva perché. Quando vai a combattere devi pensare sempre a quelli che difendi. Se non lo fai, se cerchi lo scontro solo per la gloria, perché sei bravo, perché ti fa sentire potente, perché ti fa sentire importante, non vali nulla.
Loro adesso avevano quel vantaggio sul nemico, per quanto potesse essere forte. Sapevano per che cosa combattevano… per chi.
 
La maestra mise davanti a lui la ciotola fumante. Il colore bruno del brodo caldo era ravvivato dai cubetti candidi di tofu e dal verde brillante dell’alga. Shikamaru ringraziò e cominciò a mangiare. Il sapore, per via dell’alga, era più intenso di quello a cui era abituato. Ad ogni boccone era quasi come se tutta la volontà e la determinazione del maestro Asuma si manifestassero di nuovo in lui. Ad ogni sorso di quella zuppa, si sentiva più forte, più deciso in quello che aveva pensato di fare.
Non si sarebbe rassegnato piagnucolando come un bambino. Non erano più bambini. Erano adulti e da adulti dovevano comportarsi e agire per il meglio. Lui ora sapeva cosa fare.
 
Salutandola sulla porta vide com’era tirato il suo viso, le ombre profonde attorno agli occhi e la pelle trasparente, quasi come carta di riso. Eppure gli aveva sorriso. Un piccolo sorriso che si sforzava di venire fuori dalle ombre, perché nella sua tristezza lei aveva qualcosa per cui vivere. E ora ce l’aveva anche lui.
Si mise la mano in tasca toccando il pacchetto di sigarette stropicciate. Ne tirò fuori una insieme con l’accendino consumato. La accese come aveva visto tante volte fare ad Asuma. Aspirò il fumo con una lunga boccata e si trovò a tossire lacrimando come la prima volta che si erano conosciuti. Eppure, anche ricominciando a tossire, continuò caparbiamente a fumarsela, quella sigaretta, fino in fondo.
Anche nelle altre cose avrebbe fatto così, nonostante la sua pigrizia. Sarebbe andato fino in fondo. Quella era una promessa che doveva a tutti i costi mantenere.
 
Anche quando si erano avviati verso i cancelli, lui, Ino e Choji con l’andatura di chi va incontro al proprio destino, aveva una sigaretta accesa tra le labbra. Non è facile diventare adulti di colpo e, anche se Shikamaru sapeva cosa doveva fare, aveva ancora bisogno di qualcosa, di quel piccolo tramite, di sentire la mano del maestro sulla sua spalla che lo incoraggiava, che gli diceva che sì, stavano facendo la cosa giusta e non dovevano tornare indietro. Ne era talmente convinto che nemmeno la severità di Tsunade li avrebbe riportati al canile come cuccioli recalcitranti. Per fortuna il maestro Kakashi li aveva assecondati.
Era un buon maestro, Kakashi, perché capiva i suoi allievi ed era molto abile. Però non era la stessa cosa che avere con sé la persona che ti ha mostrato per primo la strada, quella a cui sei abituato ad obbedire, quella con cui sei abituato a confrontarti. Non era la stessa cosa che avere Asuma vicino.
 
 
 
2. Combattere
 
Kakashi si era stupito. Quel ragazzo non solo aveva imbastito un piano estremamente intelligente, con tutte le sue possibili varianti, ma lo perseguiva con determinazione, spiegando strategie e anticipando mosse con l’abilità di un giocatore di shoji imbattibile. Aveva pensato che si sarebbe lasciato andare all’emotività, come aveva fatto Choji e, in misura minore, anche Ino, ma si sbagliava. Era freddo e lucido. Aveva imbrigliato la sua rabbia e il suo dolore facendone una potente fonte di energia che serviva a spingerlo avanti con tutta la sicurezza di chi non vuole più girarsi a guardare indietro. Aveva dato a ciascuno un ruolo preciso, quello che meglio si adattava alle sue capacità. Sarebbe stato un ottimo capitano quando fosse giunto il suo momento. Se fossero tornati vivi.
 
La foresta attorno a loro era gravata di silenzio, mentre Ino cercava di localizzare i nemici con la sua tecnica. Gli alberi, vecchi alberi dall’ombra densa come nebbia, li coprivano con la loro quieta, apparente immobilità. Sembravano essi stessi antichi ninja che aspettassero il momento adatto per strappare le proprie radici e muoversi in battaglia.
Shikamaru stava in piedi senza dire niente, l’espressione corrucciata che non aveva mutato da quando erano partiti. Solo i suoi occhi ogni tanto saettavano in giro guardinghi, mostrando quanto fosse vigile e teso in quel momento. Riusciva quasi a respirare la vitalità del bosco, la linfa che scorreva sotto le cortecce rugose, le foglie che raccoglievano il sole sopra la sua testa, il tonfo leggero dei grandi cervi che caracollavano nella radura. Con un gesto distratto si toccava l’orecchino, uguale a quello dei suoi compagni, che il maestro aveva regalato loro quando erano diventati chunin.
Mi fido di te” aveva detto. Erano state le sue ultime parole per lui.
Non aveva pianto allora, davanti ad Ino e Choji che singhiozzavano senza frenarsi. Solamente dopo avere acceso quella prima sigaretta si era girato da una parte perché gli altri non vedessero le sue lacrime che si mescolavano alla pioggia.
“A me non piacciono le sigarette. Il fumo mi fa piangere”.
Quando Ino annunciò, con la voce che le tremava leggermente, di averli trovati, si limitò a stringere un poco più le labbra nel dare il segnale di partenza.
 
Aveva dovuto tenere a bada l’odio. La voglia di scagliarsi contro di loro alla cieca, urlando tutta la propria rabbia. Si era imposto con violenza di pensare, di essere lucido, di non lasciarsi distrarre dalle loro parole beffarde. Si era ripassato in testa il piano per l’ennesima volta. C’erano un milione di cose che potevano andare storte, e per ciascuna si sforzava di trovare una soluzione possibile. Doveva fingere che quella fosse una semplice partita a shoji, una di quelle che giocava col suo maestro e che Asuma perdeva regolarmente. Una partita in cui non si giocavano solo le loro trascurabili vite, ma forse il futuro della Foglia.
Mi fido di te.
Ho paura, maestro. Ho paura di fallire. Di essere indegno della tua fiducia, ho paura di perdere qualcuno dei miei compagni. Ho paura di sbagliare…
Mi fido di te.
Poi non c’era stato più tempo.
 
Il fuoco, l’acqua, la terra, il vento, il fulmine: l’energia sprigionata dalle tecniche riempiva l’aria di un odore ferroso. Si muovevano tutti a scatti, cercando di schivare, toccare, imprigionare, fermare. Nulla, in quella battaglia furiosa sembrava andare come doveva.
Shikamaru non pensava più ad Asuma o a Kurenai o alla propria promessa. Si limitava ad agire e basta, a mettere insieme l’esatta sequenza di azioni che aveva così accuratamente pianificato. L’esatto numero di mosse sufficienti per mettere in scacco quei due avversari che sembravano invincibili.
Ogni invincibile, Shikamaru lo sapeva bene per aver giocato innumerevoli partite, ha un punto debole. E il punto debole di Hidan e Kakuzo era che li avevano sottovalutati. Anche per questo il suo piano era riuscito alla perfezione. Eccolo lì, quello… scherzo di natura, quel pervertito immortale, finalmente immobilizzato e impossibilitato a nuocere. Shikamaru sentiva ribollirsi dentro un disprezzo misto a disgusto che rischiava ad ogni momento di venire fuori e rompere quella perfetta maschera di freddezza che si era cucito addosso con tanta cura.
Hidan continuava a lanciare le sue minacce, ma lui non lo sentiva. Sentiva invece una voce che aveva già ascoltato mille volte, avvertiva il tocco di una mano sulla spalla, un tocco a cui era abituato. Ora il suo maestro era con lui.
Le ombre veloci dei cervi passavano fra gli alberi. Shikamaru non era solo un nome: aveva dietro una stirpe, un compito da svolgere, un destino da accettare.
Si accese la sigaretta, con calma, guardando negli occhi il suo nemico. Non provava pietà, ma nemmeno soddisfazione. Non provava più nulla. Solo un enorme vuoto che nessuna vendetta sarebbe bastata a riempire. Avrebbe fatto quello che andava fatto. Avrebbe spazzato via quell’abominio dalla loro strada. L’avrebbe reso innocuo per sempre. Lui, il suo dio atroce e la sua pazzia, il suo sangue e la sua voce che ora gli graffiava le orecchie ancora e ancora senza mai tacere. Questa volta aspirò il fumo senza tossire, ormai aveva imparato. Quella sigaretta sarebbe stata l’ultima.
Con lo stesso gesto di Asuma, la sigaretta volò dalle sue dita ora sicure tracciando un arco incandescente. Poi esplose tutto.
 
 
3. Continuare
 
Shikamaru posò il pacchetto di sigarette ancora pieno a metà sulla lapide che il sole aveva riscaldato. Ora non ne aveva più bisogno.
La maestra Kurenai, lì accanto, alzò gli occhi, ma non parve sorpresa. I suoi lineamenti si erano addolciti e si vedeva già un po’ la rotondità del ventre. Era quello il futuro, era quello che Asuma voleva proteggere, e adesso sarebbe toccato a lui.
“Tu eri il preferito di Asuma. Scommetto che ti manca”.
Che cosa ovvia da dire in quel posto, in quel cimitero assolato e quieto, dove le lapidi biancheggiavano tutte uguali e si sentiva, a volte, dalle fronde delle magnolie, cantare l’uguisu. Lì i morti riposavano in pace, lasciando passare le stagioni.
“Mentirei se dicessi che non mi manca, ma purtroppo non sono più un ragazzino. Non posso starmene a piangere”.
Ecco. Era quello diventare grandi? Faceva male, non c’erano dubbi. Quando da bambini rievocavano le gesta dei grandi ninja del passato non si fermavano mai a pensare quanto fosse costata tutta quella gloria. Adesso, nel suo piccolo, lo sapeva. Sapeva anche, e questa era la cosa che faceva più male, che non sarebbe mai potuto tornare indietro, ma insieme era orgoglioso di andare avanti. Sperava che Asuma fosse lì da qualche parte a guardarlo e ad essere fiero di lui.
Alla fine sorrise.
“Quando nascerà quel bambino toccherà a me fargli da insegnante e proteggerlo”. Si sentiva orgoglioso a dire quella frase, si sentiva veramente grande.
Il “grazie” di Kurenai suonò dolcissimo.
 
A casa, lo sguardo di suo padre, un po’ ironico, l’aveva riportato indietro bonariamente.
Si erano messi a giocare prima di cena, come non facevano da tempo. Suo padre non aveva detto nulla quando lui era tornato, eppure il suo sguardo pieno insieme di sollievo e di fierezza era stato un benvenuto ben più caloroso di quello che si era aspettato.
Il rumore secco e sonoro delle pedine sulla scacchiera rimbombava sotto la veranda mentre il genitore, molto più abile in quel gioco del maestro Asuma, gli dava scacco matto.
Studia di più” esclamò con una risata che fece fuggire uno stormo di colombi spaventati.
Uffa” rispose Shikamaru imbronciato, ma in fondo era contento. Con suo padre ancora, qualche volta, poteva permettersi di non lasciarsi del tutto alle spalle il bambino che era stato.
 
Il vapore del misoshiro caldo riempiva la cucina, col suo odore pungente. Sua madre affettava velocemente i cipollotti sul tagliere con un coltello affilato. Non era mai successo che si tagliasse.  Li gettò nel brodo insieme ai cubetti di tofu candido mescolando rapidamente.
“Ci vorrei anche dell’alga wakame” mormorò Shikamaru senza guardarla. Guardava fuori, dove sui rami del ciliegio i fiori erano già stati sostituiti quasi tutti dalle prime foglie verde chiaro.
La madre si voltò verso di lui leggermente sorpresa.
“Non ti è mai piaciuta l’alga wakame nella zuppa di miso” disse.
Shikamaru rimase per un po’ in silenzio, tanto che sua madre pensò che non l’avesse sentita.
Alla fine però rispose, ancora più piano, quasi in un sussurro.
“Ho cambiato idea”.
  
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