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Autore: _Dandelion_    08/06/2012    0 recensioni
«È passato molto tempo. Hai dimenticato tutto, Rosa?»
«...»
«Ascolta bene, devi darmi i tuoi capelli. Li devi tagliare vicino alla radice, che siano belli lunghi, capito? E i tuoi figli, e tuo marito.»
«...»
«Non opporti, Rosa, sai benissimo cosa succederebbe.»
«...»
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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-Prologo-



La donna si scostò i capelli rossi dal viso, lavati da poco e non pettinati si spandevano in tutte le direzioni, lunghi e mossi com’erano, impedendole la visuale della strada.
Sbadigliò e premette l’acceleratore con più decisione, sistemandosi un po’ meglio sul sedile che perdeva d’imbottitura.
«Mamma», disse titubante la figlia maggiore seduta accanto a lei, «non credi di stare andando troppo veloce?».
Rosa increspò le labbra e abbassò il finestrino per gettare via il mozzicone di sigaretta. Lasciò andare il volante per accendersene un’altra.
«…»
«Mamma, questa è già la tua terza sigaretta da quando siamo partiti.»
«…»

La piccola automobile rossa macinava velocemente la drittissima e deserta strada Castello di Mirafiori, costeggiando le file di alberi sulla destra e i prati seccati dal sole del parco Colonnetti alla sinistra.
«Quest’automobile fa schifo.»
«Che ha che non va?» domandò la madre concentrando la sua attenzione sul figlio, che perlomeno non tentavano di farle da genitori come la figlia.
«È piccola. Ed è blu.»
«Credevo ti piacesse il blu.» obbiettò Rosa cercando il suo sguardo del bambino nello specchietto retrovisore.
«Mi piace, mi piace», si affrettò a chiarire «ma non è adatto per un’automobile. I colori scuri attirano il calore, non senti come fa caldo?»
«È piccola, non ci possiamo fare niente, se volete, possiamo verniciarla di bianco. O giallo, magari.»
«Se la verniciaste di giallo, come minimo contribuireste a far giocare ragazzini in tutta Torino a “Macchina Gialla”. »
«E che cosa sarebbe “Macchina Gialla”?»
«Non ascoltarla, mamma! Non è solo che è piccola e blu, puzza anche.»
«Puzza?»
«Sì, come i cani bagnati.»
«Capisco.»
«Dobbiamo prenderne una nuova, mamma.»
«Ci penseremo. Iniziate ad accontentarvi però, senza la piccola puzzolente macchina blu, voi non potreste andare a Bardonecchia, adesso.»
«Oh, giusto. Scusa.»
“Forse, Emanuele non aveva tutti i torti”, pensò Rosa sbottonando di un altro bottone la camicetta. In quel catorcio non c’era un sistema d’aria condizionata, e non poteva neppure abbassare i finestrini perché Gabriella, delicata com’era, si sarebbe sicuramente presa un mal di gola o qualcosa di simile.
Quell’estate si stava facendo particolarmente calda, bastava lanciare un’occhiata ai prati secchi  che, sulla destra della strada, segnavano la fine del parco Colonnetti.

 «Mamma?»
«Dimmi.»
«Hai visto che bello?»
«Cosa?»
«Il mausoleo della Bela Rosin.»
«Ah, sì.»
«Io so com’è stato costruito, ma non so la sua storia. Tu la sai?»
«No, non me ne sono mai interessata.»
«Oh, la so io la sua storia, tutta!»
«E come faresti, a saperla?» Camilla scrutò dubbiosa la ragazza seduta accanto a lei.
«Per via della scuola mamma, si studiano queste cose.»
«Ma in storia non dovreste studiare, che ne so, le guerre? Quella roba là.»
«In effetti sì, eppure mi ricordo della vita di questa Rosa.»
«Gabriella, ce la racconti la storia?»
«Tutta tutta, però.»
«Va bene, va bene!»
«Ecco, Gabriella, tu racconta, e tu Emanuele ascolta, che la strada per Bardonecchia è ancora lunga.» disse la madre soffiando un anello di fumo e appoggiandosi con la schiena al sedile, nella speranza che Gabriella riuscisse a tenere un po’ buono il figlio.
  
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